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1 LA PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO AGRO-SILVO PASTORALE. 1. Il Piano faunistico-venatorio regionale. 2. La gestione privata della caccia. 3. Aziende faunistico-venatorie. 4. Aziende agri-turistico-venatorie. 5. Il Piano faunisticovenatorio provinciale. 6. Obiettivi del piano faunistico-venatorio provinciale. I compiti in indirizzo, pianificazione e programmazione generale del territorio vengono affidati alle Regioni e alle Province. Queste ultime sono incaricate direttamente dalla norma alla gestione di altri istituti previsti dalla legge, quali le Oasi di protezione, le Zone di ripopolamento e cattura e i Centri pubblici di riproduzione di fauna selvatica allo stato naturale oltre ad avere funzione di controllo sull operato degli istituti a gestione privata. Nel quadro delle funzioni e delle competenze attribuite all Ente provinciale, viene delineata una successione logica nella predisposizione dei piani faunistici-venatori previsti dal comma 7 dell art. 10 così articolata: 1. Riconoscimento delle aree protette ai sensi di altre normative vigenti (parchi nazionali, parchi regionali, riserve naturali, ecc ); 2. Individuazione delle aree protette ai sensi della legge 157/92 (Oasi di protezione); 3. Definizione delle zone di produzione: Zone di ripopolamento e cattura, Centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, Centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, Zone per l addestramento cani e le gare cinofile; 4. Definizione degli istituti di caccia a gestione privata: Aziende faunistico venatorie ed Aziende agri-turistico-venatorie in funzione delle scelte operate anche sulla base delle richieste di concessione pervenute da parte dei privati entro una data prefissata; 5. Ripartizione del rimanente territorio agro-silvo-pastorale in ambiti territoriali di caccia così come definito ai sensi dell art. 10, commi 3, 5 e 6. E facoltà degli Ambiti territoriali di caccia creare al proprio interno eventuali altre zone di protezione parziale o temporanea (Zone di rispetto) non rientranti nel territorio protetto del comma 3 dell art.10 della legge n 157/92, attraverso le modalità definite dal proprio regolamento per la tutela di specie animali indicate nel piano di assestamento faunistico elaborato dall organismo di gestione.

2 Linee essenziali del nuovo modello di organizzazione e gestione dell attività venatoria sono: - La pianificazione faunistico-venatoria, - La gestione programmata della caccia. 1 - Il Piano faunistico-venatorio regionale. La Regione esercita le funzioni di programmazione, di indirizzo e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria, svolgendo altresì, funzioni di orientamento e di controllo previste dalla presente legge. Più precisamente gli Uffici preposti, la Giunta Regionale o il Consiglio Regionale predispongono e approvano rispettivamente: le leggi; i regolamenti di attuazione delle leggi che risultano così suddivisibili: - istituzione e gestione delle zone destinate all'allenamento e all'addestramento dei cani da caccia e alle prove cinofile, - richiami vivi di cattura, - esercizio venatorio, - allevamento di fauna selvatica autoctona, limitatamente alle classi mammiferi e uccelli, - allenamento e addestramento dei cani da caccia di età non superiore a 15 mesi. le circolari esplicative e i pareri, formulati annualmente dagli Uffici preposti, per Province, Associazioni venatorie e ambientaliste e singoli cittadini; il Piano Faunistico Venatorio Regionale, predisposto dagli Uffici e approvato dalla Giunta Regionale, deve essere approvato dal Consiglio Regionale.; il calendario Venatorio Regionale; i provvedimenti di attuazione della direttiva 79/409/CE (conservazione uccelli in Europa); i provvedimenti di attuazione della direttiva 92/43/CEE (conservazione habitat naturali); la promozione e il coordinamento delle ricerche e del monitoraggio della fauna selvatica; il Sistema Informativo Faunistico Regionale; il Rapporto sullo Stato di Conservazione della Fauna Selvatica, composto da specifiche banche dati distributive e quantitative georeferenziate relative a: - ungulati, - uccelli nidificanti, - uccelli svernanti, - uccelli migratori;

3 gli indici cinegetici relativi al prelievo venatorio, ricavabili dall'esame dei dati del prelievo venatorio, ottenuti dalle singole Province annualmente, attraverso la lettura dei tesserini venatori 1. Il piano faunistico-venatorio regionale è predisposto dalla giunta regionale secondo criteri di omogeneità e congruenza, sulla base di indicazioni dell'istituto nazionale per la fauna selvatica, assicura il perseguimento degli obiettivi di mantenere e aumentare la popolazione di tutte le specie di mammiferi e uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico. Il piano regionale contiene le norme per l accesso agli ambiti territoriali di caccia e disciplina le forme di partecipazione, anche economica, alla gestione dei territori in essi compresi ed è adottato con atto avente valore di legge. Il piano regionale disciplina in particolare: a) il regime di tutela della fauna selvatica secondo le tipologie territoriali; b) le attività tese alla conoscenza delle risorse naturali e della consistenza faunistica, anche con la previsione di modalità omogenee di rilevazione e di censimento; c) i criteri per la individuazione dei territori da destinare alla costituzione di aziende faunistico venatorie, di aziende agrituristico-venatorie e di centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale; d) gli indirizzi e le modalità di coordinamento della legge regionale sulla caccia con la normativa regionale in materia di salvaguardia e di tutela delle aree naturali protette; e) gli impegni finanziari per la realizzazione degli indirizzi e degli obiettivi della legge regionale sulla caccia ; f) il rapporto numerico minimo tra gli agenti di vigilanza dipendenti dalle province ed il territorio agro-silvo-pastorale, nel rispetto delle indicazioni dell'istituto nazionale per la fauna selvatica. 2 - La gestione privata della caccia. L'articolo 16 della legge n 157/1992 stabilisce le norme per l'autorizzazione regionale all'istituzione di Aziende faunistico-venatorie e di Aziende agrituristico-venatorie, che rappresentano le due articolazioni che compongono la gestione privata della caccia, previa presentazione ed accettazione di una domanda di autorizzazione. Nelle domande di costituzione avanzate dai richiedenti assume una importanza rilevante la presentazione di una dettagliata relazione tecnica, che a seconda del tipo di Azienda da 1 GRASSI R.,(2005) La Lombardia e la sua caccia - Prima indagine sulla prativa venatoria nelle province lombarde Consiglio regionale della Lombardia Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia, Milano.

4 costituire (faunistico-venatoria o agri-turistico-venatoria), evidenzi le caratteristiche particolari del progetto. 3 - Aziende faunistico-venatorie. Decisivi ai fini del rilascio della concessione, la caratterizzazione ambientale del territorio e il tipo di conduzione agraria in atto per poter impostare adeguato programma di gestione tenendo in primo piano l esigenza delle specie selvatiche che ci vivono. L obiettivo del legislatore è dunque quello di conservare e ripristinare gli ambienti naturali e incrementare la fauna. Spetta alle regioni, all atto del rilascio della concessione, dettare i piani di assestamento, e di abbattimento della fauna selvatica che vi dimora o vi sosta. Nella presentazione della domanda di concessione di particolare importanza assumono: 1 la Relazione tecnica indicante: a) caratterizzazione ambientale del territorio comprendente l'estensione totale, l'altimetria minima e massima, la ripartizione colturale delle aree coltivate con relativo ettaraggio, l'estensione di eventuali aree boschive, bacini artificiali, zone umide, vallive e allagate, aree ad incolto; b) precisazioni, a seconda dei casi, sul modello di conduzione agricola, forestale, zootecnica o ittica; c) descrizione dei programmi pluriennali di ripristino, conservazione e gestione ambientale con particolare riferimento agli interventi di miglioramento ambientale a fini faunistici; d) caratterizzazione faunistica del comprensorio riguardante, oltre che le popolazioni appartenenti a specie cacciabili, anche quelle di specie protette che rivestono particolare interesse naturalistico presenti in forma permanente o temporanea all'interno del comprensorio; e) elenco delle specie per le quali si richiede l'autorizzazione al prelievo venatorio e consistenza di popolazione di ciascuna di esse. f) indicazioni inerenti le strutture produttive o di ambientamento esistenti o da realizzarsi con indicazione della/e specie e del numero potenziale di esemplari ospitati e liberati annualmente; g) eventuali programmi pluriennali di immissione di specie selvatiche indicanti le finalità perseguite (ripopolamento, introduzione o reintroduzione), i quantitativi annui di soggetti che si intendono liberare nonché la durata dei programmi stessi. 2 Planimetria dell'area, possibilmente in scala 1: , in cui siano evidenziate le tipologie ambientali di cui al punto a).

5 4 - Aziende agri-turistico-venatorie. Questa tipologia di azienda agricola, autorizzata all immissione e all abbattimento di fauna selvatica, risulta una novità del quadro normativo della Legge n 157/92 nei confronti delle precedenti. A differenza delle aziende faunistico-venatorie, in relazione al carattere integrativo che l attività di caccia assume rispetto a quella agricola, la norma stabilisce che tali aziende debbano essere situate preferibilmente in zone di scarso rilievo faunistico e coincidere preferibilmente con il territorio di una o più aziende agricole situate in zone ad agricoltura svantaggiata. In zone umide e vallive possono insediarsi aziende di questo tipo soltanto se comprendono bacini artificiali e fauna selvatica di allevamento. Anche in questo caso, ella presentazione della domanda di concessione di particolare importanza assumono: 1 la Relazione tecnica indicante: h) caratterizzazione ambientale del territorio comprendente l'estensione totale, l'altimetria minima e massima, la ripartizione colturale delle aree coltivate con relativo ettaraggio, l'estensione di eventuali aree boschive, bacini artificiali, aree vallive e allagate, zone ad incolto; i) l'eventuale inclusione dell'area nell'ambito di vincoli quali: - zone ad agricoltura svantaggiata; - terreni dismessi da interventi agricoli ai sensi del Regolamento CEE n. 1094/88 riguardante il ritiro dei seminativi dalla produzione nonché l'estensivizzazione e la riconversione della produzione; a) precisazioni, a seconda dei casi, sul modello di conduzione agricola, forestale, zootecnica o ittica; b) sintetica caratterizzazione faunistica del comprensorio; c) elenco delle specie allevate per le quali si richiede l'autorizzazione al prelievo venatorio; d) descrizione delle strutture produttive o di ambientamento esistenti o da realizzarsi con indicazione della/e specie e del numero di esemplari che si intende produrre annualmente; e) illustrazione dei programmi pluriennali di immissione di specie selvatiche cacciabili indicanti i quantitativi annui di soggetti allevati da liberare suddivisi per specie. 2 - Planimetria dell'area, possibilmente in scala 1:10.000, in cui siano evidenziate le tipologie ambientali di cui al punto a).

6 Relativamente ai criteri di omogeneità e congruenza che debbono caratterizzare la gestione faunistico-venatoria di questi istituti, si ritiene che, per ciò che concerne in particolare le Aziende faunistico-venatorie, queste debbano mirare a favorire l'insediamento sul territorio, la riproduzione naturale e l'incremento numerico delle popolazioni selvatiche che in questi ambienti trovano habitat adatto. Tali obiettivi vanno perseguiti agendo principalmente sul ripristino e il miglioramento qualiquantitativo dell'ambiente naturale, nonché sul ricorso a forme di prelievo programmato sulla base delle consistenze accertate. I principi e le tecniche di gestione suggeriti per gli Ambiti territoriali di caccia possono, con le opportune differenze dovute alla natura privatistica dell'istituto, applicarsi anche alle Aziende faunistico-venatorie. La differenza tra i due tipi di aziende è chiara: nelle aziende faunistico-venatorie l obiettivo primario è naturalistico-ambientale, perseguito con i piani di assestamento e di abbattimento; nelle aziende agro-faunistico-venatorie l obiettivo primario è di tipo agricolo ed economico. Le due tipologie di aziende hanno però in comune il carattere privato e, anche se rientrano però nella pianificazione faunistico-venatoria, per loro non vale il principio della caccia programmata con le imposizioni da essa comporta. In questi ambiti privati la programmazione non opera, ma l esercizio della caccia deve svolgersi secondo le regole dettate dalla legge e dal calendario venatorio Il Piano faunistico-venatorio provinciale. Ai fini della pianificazione generale del territorio agro-silvo-pastorale le province, sentite le organizzazioni agricole, protezionistiche, venatorie e cinofile, predispongono e presentano alla giunta regionale piani faunistico-venatori articolati per comprensori omogenei con specifico riferimento alle caratteristiche orografiche e faunistico vegetazionali. Alle Province, il comma 7 dell articolo 10 della legge n 157/92 attribuisce il ruolo di promozione dei contenuti dei piani faunistici venatori interessanti territorio di dimensioni preferibilmente sub-provinciali e sempre ad essa è attribuita la competenza per la predisposizione dei piani di miglioramento ambientale e dei piani di immissione della fauna selvatica. Il comma successivo dello stesso articolo indica quali sono le componenti che devono costituire il piano, tra cui è possibile individuare una zonizzazione del territorio, per poter garantire una destinazione differenziata del territorio e altre prescrizioni organizzative relative alla corresponsione degli indennizzi per danni causati di fauna selvatica, la determinazione degli incentivi economici per la realizzazione di interventi a favore degli 2 Sul tema: GORLANI I. (1992) La caccia programmata per un esercizio venatorio ecocompatibile, Commento alla legge 11 febbraio 1992 n 157 II edizione Bologna, pag

7 habitat e della fauna selvatica ed infine l indicazione dei siti dove sono collocabili gli appostamenti fissi. Per quanto riguarda la zonizzazione del territorio, la scelta era già ritenuta valida già nelle leggi precedenti la 157/92, ed ora la norma è precisa nel confermare la decisione e nell indicare la tipologia delle zone da costituire e le funzioni da loro svolte. I piani hanno validità fino alla loro modifica secondo le esigenze e devono prevedere: a) le oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica. Le oasi vennero previste dalla legge 2 agosto1967, n 799 3, tuttavia già nel testo unico del 5 giugno 1939, n , all ex Ministro dell Agricoltura e Foreste, sentito il Comitato centrale della caccia, era consentito di restringere il periodo di caccia e di uccellagione o vietarlo in specificate aree nell interesse della protezione della selvaggina. Il principio a cui si ispirò il legislatore per l istituzione di tali aree, note come aree 23, fu chiaramente definito nella norma della suddetta legge n 799/1967. Si tratta dell unico istituto, tra quelli contemplati nella legge n 157/92, nel quale la sola finalità dichiarata e quella della protezione di popolazione di fauna selvatica. Va tuttavia osservato che per la mancanza di vincoli alle destinazioni d uso dei territori compresi in questi ambiti territoriali, la loro valenza conservazionistica rivesta un ruolo inferiore rispetto a quella propria di istituti di particolare protezione. Ciò non significa che, se efficacemente affiancate ad altre zone di protezione, le oasi non possano fornire un utile contributo nell ambito di una strategia globale di conservazione. Il principale fattore che dovrebbe guidare le scelte in merito all istituzione delle oasi, va individuato nella qualità dell ambiente in relazione alla possibilità di offrire luogo di rifugio, sosta o riproduzione per alcune realtà faunistiche particolarmente meritevoli di conservazione. Relativamente all estensione che debbono avere le oasi non sono indicati parametri di riferimento standard anche se per molte specie animali può risultare utile la presenza di aree di protezione anche di dimensioni limitate, ma ben distribuite sul territorio in punti strategici come lungo le rotte di migrazione o nelle aree soggette a naturale espansione degli areali delle specie stanziali. Tra l altro le oasi di protezione possono utilmente prestarsi, al fianco di altre zone di protezione, alla creazione di una rete di aree protette lungo le principali 3 Art. 67 bis. 4 Art. 23.

8 rotte di migrazione dell avifauna, come stabilito dall art.1 comma 5 della legge 157/92. Tale istituto può inoltre essere proficuamente utilizzato nell ambito di programmi di reintroduzione di specie in comprensori dotati di caratteristiche ambientali intrinseche favorevoli al loro reinsediamento, facendo anche riferimento a quanto previsto dagli artt. 10, comma 7, e 11, comma 3 5. In questo ultimo decennio, per le oasi di protezione, egualmente ripartite rispetto alla superficie territoriale tra pianura, collina e montagna, è stata registrata una leggera contrazione dell incremento in numero e superficie, dovuta probabilmente alla concorrenza nell istituzione delle nuove aree Natura b) le zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l'immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all'ambientamento fino alla ricostituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio. Già l art.24 del T.U. del 15 gennaio 1931, n 117, prevedeva degli ambiti territoriali in cui l attività venatoria era limitata nei tempi e questa norma dette origine all art. 23 del successivo T.U. 5 giugno 1939, n 1016, con il quale vennero istituite, insieme alle bandite di caccia, le zone di ripopolamento e cattura. Queste, insieme alle bandite e alle riserve di caccia, hanno rappresentato le prime aree di gestione pubblica della risorsa naturale rappresentata dalla fauna. A differenza delle bandite, più orientate verso l allevamento gestito dall ente pubblico (bandite demaniali) o dai privati (bandite private), le zone di ripopolamento e cattura venivano istituite dai Comitati provinciali della caccia allo scopo di salvaguardare specifiche popolazioni selvatiche, soprattutto di interesse venatorio e favorire la riproduzione naturale a fini di cattura e di irradiamento nei terreni circostanti. Da qui la definizione di aree di produzione, più che di protezione, valide ancora oggi. La principale metodologia adottata al fine di perseguire le finalità indicate è la cattura di una frazione della popolazione prodotta annualmente. L entità numerica della frazione catturabile andrebbe valutata a priori sulla scorta di opportune valutazione quantitative delle popolazioni locali condotte in epoca post-riproduttiva. 5 Sul tema cfr.: SPAGNESI M., S. TOSO, R. COCCHI, V. TROCCHI, (1993) Documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunistico venatoria. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Documenti tecnici, N 842 con una superficie di ha nel 1980, n con una superficie complessiva di ha nel Fonte: ISTAT, Statistiche sulla pesca, caccia e zootecnia, vari anni fino al Dal 2000, Statistiche congiunturali su coltivazioni agricole, foreste e caccia, vari anni.

9 Vi è anche la possibilità di uno sfruttamento della fauna a fini venatori attraverso l irradiamento naturale nel territorio limitrofo. Tale aspetto tuttavia non dovrebbe essere considerato prioritario nel processo decisionale che deve condurre alla definizione delle dimensioni delle zone di ripopolamento e cattura e alla loro ubicazione sul territorio. La funzione di irradiamento dovrebbe invece essere assicurata soprattutto dalle aree di rispetto costituite nell ambito dei territorio di caccia, aree non espressamente previste dalla legge, ma sulla cui opportunità si farà cenno più avanti. A queste aree è opportuno aggiungere, considerate le finalità molto simili, le zone di rifugio, i rifugi faunistici, e le aree di rispetto, anche se queste non vengono esplicitamente previste dalla legge n 157/92, sono contemplate da alcune leggi regionali. Nonostante le zone di ripopolamento e cattura debbano essere distinte dalle aree protette, in relazione alle finalità prevalentemente produttive nei confronti di alcune specie animali, non vi è dubbio che esse assolvono ugualmente un ruolo importante nella conservazione di certe popolazioni selvatiche. Una presenza significativa di queste aree e una loro distribuzione quasi sempre omogenea, a macchia di leopardo, ha favorito, in certe regioni ed aree biogeografiche 7, il mantenimento nel tempo nel tempo di nuclei sufficientemente consistenti di popolazioni con caratteristiche di rusticità e di adattabilità alle condizioni ambientali del luogo. In questo modo, e ciò vale in particolare per le specie oggetto di intenso prelievo venatorio e tipiche degli ecosistemi agrari come lepri e fagiani, gli effetti negativi dei ripopolamenti con selvaggina proveniente dall estero sono stati attenuati dalla presenza di queste riserve di animali sufficientemente ambientati e naturalizzati. Nonostante il patrimonio genetico di queste popolazioni debba essere considerato profondamente modificato dalle diffuse e continue immissioni di animali di importazione, un tempo erroneamente giustificate da ragioni di rinsanguamento delle popolazioni locali, le attitudini al comportamento selvatico in alcuni casi possono essere state salvate e mantenute proprio grazie alla presenza diffusa negli ambienti agrari di queste zone interdette alla caccia. Prescindendo da valutazioni di merito circa la validità della pratica dell immissione di esemplari traslocati così come viene comunemente attuata, preme evidenziare la fondamentale importanza rivestita dalla scelta, e 7 Specialmente le zone di pianura e di bassa collina.

10 successiva puntuale gestione, dei comprensori da adibire a zona di ripopolamento e cattura. Ancora una volta va evidenziato come una scelta attenta del sito, condotta mediante una preventiva verifica della vocazionalità del territorio, rappresenti il presupposto necessario, anche se non sufficiente, al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Al fine di incrementare le capacità produttiva di questi territori risulta estremamente utile il ricorso ad interventi mirati di ripristino ambientale e a tal fine vengono espressamente previsti dalla legge incentivi economici 8. In Italia l incremento di questi tipo di istituto di tutela non ha segnato un significativo incremento nel tempo infatti segno forse di una non comprensione delle effettive potenzialità a favore della fauna e della attività venatoria 9. c) i centri pubblici di riproduzione di fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di ricostituzione delle popolazioni autoctone. La legge finalizza questi istituti alla ricostituzione di popolazioni autoctone. Tale compito può essere assolto in duplice forma. O considerando questi istituti come ambiti territoriali entro cui attuare iniziative di immissione di selvatici a fini di reintroduzione, oppure destinandoli alla produzione naturale di fauna selvatica da utilizzare per fini di immissione in altri territori. Prescindendo dalla scelta circa la forma di produzione, si ritiene che a tali centri possa essere attribuita una più specifica connotazione di tipo sperimentale per ciò che attiene in particolare lo studio e la ricerca sulle tecniche di immissione in natura di fauna selvatica finalizzata alla reintroduzione e al ripopolamento. d) i centri privati di riproduzione di fauna selvatica allo stato naturale, organizzati in forma di azienda agricola singola, consortile o cooperativa, ove è vietato l'esercizio dell attività venatoria ed è consentito il prelievo di animali allevati appartenenti a specie cacciabili da parte del titolare dell'impresa agricola, di dipendenti della stessa e di persone nominativamente indicate. Il dettato normativo inerente questo istituto sembra prestarsi a possibili equivoci sulle caratteristiche qualitative della fauna prodotta. Esiste una certa contraddizione tra lo stato naturale della fauna riprodotta nei centri e la successiva dizione animali allevati riportata nello stesso comma. 8 Art. 10 comma 8, lettera g della legge 157/92. 9 N 1278 con una superficie di ha nel 1980, n 1887 con una superficie complessiva di ha nel Fonte: ISTAT, Statistiche sulla pesca, caccia e zootecnia, vari anni fino al Dal 2000, Statistiche congiunturali su coltivazioni agricole, foreste e caccia, vari anni.

11 Inoltre, il prelievo può indicare concettualmente sia la cattura che l abbattimento degli esemplari presenti nei centri. Per quanto attiene al primo aspetto, non vi è dubbio che animali allevati in aree recintate non possono di fatto essere considerati allo stato naturale in quanto il loro stato condiziona in varia misura la qualità dei capi allevati sia sotto il profilo biologico, sia dal punto di vista sanitario. Per ciò che riguarda invece la natura e le finalità di questi centri in relazione agli altri istituti di gestione faunistica emerge evidente come, rispetto agli allevamenti 10 la principale caratteristica di distinzione sia da ricercarsi proprio nella mancanza di condizione di cattività per la fauna presente. Nell ipotesi di un eventuale attività di prelievo venatorio della fauna prodotta peraltro impropria in questo contesto, si verrebbero a verificare una sovrapposizione con l istituto dell azienda agricola venatoria. Per queste ragioni si ritiene che i centri privati di produzione della fauna selvatica allo stato naturale debbano essere destinati esclusivamente alla produzione naturale di fauna autoctona per il territorio interessato e in aree prive di recinzione. Il prelievo degli animali prodotti dovrà avvenire, di regola, mediante cattura. Per ragioni di carattere strettamente sanitario, connesse alla presenza di capi eventualmente malati o menomati, può essere consentire il ricorso all abbattimento di tali soggetti da parte del titolare del centro o di altra persona preventivamente indicata nel provvedimento di concessione. Andrebbe prevista l adozione di un apposito registro di attività in cui il titolare dovrà annotare sia l entità e le caratteristiche dei capi comunque prelevati, sia le eventuali immissioni effettuate. e) le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale o con l'abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili, la cui gestione può essere affidata ad associazioni venatorie e cinofile ovvero ad imprenditori agricoli singoli o associati. È la legge n 157/92 che disciplina le attività cinofile connesse all attività venatoria indicando che le stesse debbano rientrare nei dispositivi del piano faunistico venatorio provinciale 11. Le attività di allenamento consistono nella preparazione metodica del cane per portarlo e mantenerlo nelle migliori condizioni fisiche, finalizzate ad ottenere le più qualificate o efficaci prestazioni nell esercizio venatorio. 10 Art 17 della legge 157/ Art. 10, comma 8, lettera e, della legge 157/92.

12 L addestramento è l attività più impegnativa e complessa che mira ad impartire al cane una educazione venatoria, abituandolo ad essere ubbidiente, a lavorare mantenendo il collegamento con il cacciatore a comprenderne e seguirne i gesti. Secondo i manuali in uso, il cane addestrato deve rispondere a cinque comandi: chiamata, dietro, va, terra, posta. Le gare, da non confondere con le prove cinofile conoscono diversi livelli: provinciale, regionale, nazionale ed internazionale ed interessano cani iscritti (o non iscritti) al L.O.I. 12. Nella gestione delle zone addestramento e nell organizzazione delle gare o prove cinofile è presente l E.N.C.I 13. rappresentato anche nel Comitato tecnico faunistico venatorio nazionale. Nella legge vengono tuttavia chiaramente definite e distinte la pratica dell'addestramento ed allenamento in zone appositamente definite e quella che è possibile condurre sul restante territorio destinato alla caccia programmata. L addestramento cani in zone appositamente istituite prevede la distinzione in due precise categorie di zone di addestramento di tipo A e quelle di tipo B. Nelle zone di tipo A, di grandi dimensioni, dove è consentito l addestramento dei cani su selvaggina naturale senza possibilità di abbattimento e dove si applica una sospensione delle attività nel periodo aprile-luglio. In queste zone le eventuali immissioni di selvaggina devono essere condotte esclusivamente dall'organismo gestore sulla base delle indicazioni generali. Le gare cinofile sia per cani da cerca, da ferma e da riporto sia per quelli da seguita, dovrebbero essere di norma organizzate nell'ambito delle zone di tipo A. Nelle zone di tipo B, di estensione più ridotta, è consentito anche l'abbattimento di selvaggina allevata durante tutto l arco dell anno. Le zone di tipo B dovranno essere istituite in territori di scarso pregio faunisticoambientale e vi si potrà utilizzare selvaggina allevata di specie autorizzate. L addestramento ed allenamento nel resto del territorio cacciabile deve essere svolto senza possibilità di sparo, può essere consentita nelle tre settimane precedenti l'apertura della caccia alla selvaggina stanziale e con l'esclusione dei due giorni precedenti l'apertura stessa. Le attività cinofile dovranno essere limitate ad un periodo giornaliero definito nei rispettivi calendari venatori. 12 Libro Origini Italiano. 13 Ente Nazionale della Cinofilia Italiana.

13 Le Regioni, nella definizione delle zone di addestramento cani, nella loro autonomia legislativa, possono apportare ulteriori distinzioni a queste tipologie di aree. A queste principali tipologie di zonizzazione, nei piani faunistici venatori provinciali dovranno essere elencati anche: 1. gli ambiti territoriali e i comprensori alpini di caccia; 2. i criteri per la determinazione del indennizzo in favore dei conduttori dei fondi rustici per i danni arrecati dalla fauna selvatica e domestica inselvatichita alle produzioni agricole e alle opere approntate su fondi rustici vincolati. 3. i criteri per la corresponsione degli incentivi in favore dei proprietari o conduttori dei fondi agricoli, singoli o associati, che si impegnino alla tutela ed al ripristino degli habitat naturali e all incremento della fauna selvatica nelle zone di cui alle lettere a) e b); 4. l'identificazione delle zone in cui sono collocati e collocabili gli appostamenti fissi. Piani di miglioramento ambientale. Le Province sono incaricate anche per la predisposizione di piani di miglioramento ambientale tesi a favorire la sosta dell'avifauna selvatica migratoria, la produzione naturale di fauna selvatica autoctona, nonché piani di immissione di fauna selvatica. Le catture e i ripopolamenti sono disposti dalle province e sono finalizzati alla immissione equilibrata sul territorio delle specie di fauna selvatica autoctona, fino al raggiungimento delle densità faunistiche ottimali. Le catture sono controllate dagli agenti venatori dipendenti dalle province con la collaborazione delle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale. 6 - Obiettivi del piano faunistico-venatorio provinciale. Gli obiettivi generali perseguiti dal Piano faunistico-venatorio provinciale possono essere individuati nei seguenti punti: 1) la conservazione della fauna selvatica nel territorio attraverso azioni di tutela e di gestione; 2) realizzazione di un prelievo venatorio impostato in modo biologicamente ed economicamente corretto e, conseguentemente, inteso come prelievo commisurato rispetto a un patrimonio faunistico di entità stimata per quanto

14 concerne le specie sedentarie e di status valutato criticamente per quanto riguarda le specie migratrici. In tal senso, il Piano faunistico-venatorio deve risultare coerente con quanto previsto da leggi approvate e regolamenti redatti in ambito internazionale e nazionale in tema di tutela delle risorse naturali e patrimonio faunistico. Le normative di riferimento rappresentano vincoli che, a vari livelli di governo, individuano specifici obiettivi di protezione ambientale, condivisi dal Piano faunistico-venatorio. Esse sono rappresentate da: Ambito internazionale - Convenzione di Parigi del 18 ottobre 1950 finalizzata alla protezione degli uccelli, - Convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971 finalizzata alla tutela delle zone umide di importanza internazionale, - Convenzione di Bonn del 23 giugno 1979 finalizzata alla conservazione delle specie migratorie appartenenti alla fauna selvatica, - Convenzione di Berna del 19 settembre 1979 finalizzata alla conservazione della vita selvatica e dell ambiente naturale in Europa, - Convenzione per la protezione delle Alpi di Salisburgo del 7 novembre 1991 finalizzata alla salvaguardia e allo sviluppo sostenibile dell ecosistema alpino, - Convenzione di Rio de Janeiro del 5 giugno 1992 finalizzata alla tutela della biodiversità. Ambito comunitario - Direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici, - Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche. - Decisione 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 luglio 2002 che istituisce il Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente. Ambito nazionale - Legge 11 febbraio 1992, n. 157 Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, - Legge 6 dicembre 1991, n. 394 Legge quadro sulle aree protette, - DPR 8 settembre 1997, n. 357 e s.m.i. Regolamento recante attuazione della Direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, - D.M. 2 agosto 2010 Terzo elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia, ai sensi della direttiva 92/43/CEE, - D.M. 19 giugno 2009 Elenco delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE,

15 - D.M. 17 ottobre 2007 Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione (ZSC) e a Zone di Protezione Speciale (ZPS). Ambito regionale - Piano Faunistico Venatorio Regionale, - Piano Territoriale Regionale, - Piano di Tutela e Uso delle Acque, - La Rete Ecologica Regionale, - Programma di sviluppo rurale, - Il Piano paesaggistico regionale. Ambito provinciale - Il Piano di Indirizzo Forestale, - Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, - Piani delle aree protette e dei Siti della rete Natura Piano di monitoraggio. L attività di monitoraggio che si svolgerà durante il periodo di validità del Piano faunisticovenatorio provinciale è costituita da una serie di Rapporti di monitoraggio che dovranno contenere le seguenti informazioni: - date dei rilevamenti e delle attività di monitoraggio; - area territoriale interessata dal monitoraggio; - obiettivi e azioni di Piano che si intendono monitorare; - indicatori e gli strumenti utilizzati per l effettuazione del monitoraggio; - previsione sullo stato degli indicatori monitorati; - previsione sullo stato ambientale alla data del monitoraggio; - evidenziazione delle situazioni critiche; - indicazioni di eventuali azioni correttive da porre in atto od eventuale revisione del Piano

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