I PROFILI GIURIDICI DELL'AGRICOLTURA TRANSGENICA

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1 I PROFILI GIURIDICI DELL'AGRICOLTURA TRANSGENICA Francesco Bruno SOMMARIO: 1. Premessa. - 2 La disciplina delle biotecnologie. - I. L'impiego confinato di MGM. II. La brevettazione del materiale biologico. III Introduzione alle direttive nn. 90/220/CEE e 2001/18/CE. IV L'emissione deliberata nell'ambiente di OGM. V. L'immissione in commercio di OGM: ai sensi della direttiva 90/220/CEE. VI. (segue): ai sensi della direttiva 2011/18/CE. VII. (segue): ai sensi del reg. n. 258/97/CE. VIII. L'etichettatura. 3. Il fondamento della disciplina comunitaria sulle biotecnologie: il principio di precauzione. I. La giurisprudenza della Corte di Giustizia sul principio di precauzione - II. L'applicazione diretta del principio di precauzione, la responsabilità per danni da prodotti difettosi e la definizione del principio di precauzione ex art. 7 reg. (CE) n. 178/2002. III. La sentenza della Corte di giustizia Greenpeace France sull'applicazione del principio di precauzione nella procedura di autorizzazione in commercio degli OGM. 4. Il ruolo del principio di precauzione nelle soluzioni delle controversie nell'ambito del WTO. 5. I profili di diritto interno della gestione degli OGM. I. Il riconoscimento e la protezione degli interessi privati dei titolari di fondi confinanti con le aziende agricole ove sono state introdotte coltivazioni manipolate geneticamente II. Il riconoscimento di legittimi interessi pubblici nella disciplina di determinate aree da escludere a colture transgeniche. 6. Conclusioni. 1. Premessa Gli aspetti giuridici concernenti la capacità dell'uomo di prelevare singoli geni da un organismo e di inserirli in un altro essere vivente con il quale il primo non avrebbe mai potuto incrociarsi per vie naturali riguardano, innanzitutto, il diritto comunitario. La Comunità europea ha iniziato ad occuparsi dell'ingegneria genetica già dalla seconda metà degli anni ottanta, al fine di garantire un'elevata sicurezza alla salute dei cittadini ed all'ambiente dall'uso delle tecniche del DNA ricombinante. L'obiettivo del lavoro è in primo luogo analizzare nel dettaglio le regole delle biotecnologie, partendo da una analisi delle disposizioni europee che, in base ad una visione di filiera del prodotto, disciplinano il materiale biologico modificato dall'ideazione al suo utilizzo finale, attraverso una serie di provvedimenti orizzontali

2 riguardanti l'intera gamma dei prodotti realizzabili. A partire dal 1990, nell'arco di un decennio, si è formato un quadro normativo che, partendo dalle due direttive CEE nn. 90/219 e 90/220, riguardanti, rispettivamente, l'impiego confinato dei microrganismi geneticamente modificati (c.d. MGM) e l'emissione deliberata nell'ambiente e la messa in commercio degli organismi geneticamente modificati (c.d. OGM), si è oggi arricchito delle direttive CE nn. 98/44, sulla brevettazione del materiale genetico, 98/81, di modifica della precedente 90/219, e 2001/18, che abroga e sostituisce dal 17 ottobre 2002 la precedente 90/220. Inoltre, sono stati emanati il regolamento n. 258/97/CE, sull'immissione in commercio dei "novel foods", OGM o da essi derivati, ed i regolamenti CE sulla etichettatura dei prodotti immessi in commercio n. 1139/98, 49/2000 e 50/2000. In Italia, si sono recepite tre delle cinque direttive emanando provvedimenti legislativi il cui contenuto ricalca perfettamente gli atti comunitari e aggiungendo ad essi unicamente disposizioni attuative necessarie a renderli operativi. Così, le direttive CEE nn. 90/219 e 90/220 sono state recepite, rispettivamente, con i d.lgs. 3 marzo 1993, nn. 91 e 92 e la direttiva n. 98/81/CE è stata recepita con il d.lgs. 12 aprile 2001, n. 226, mentre le direttive nn. 98/44 e 2001/18 sono ancora in fase di recepimento. Tuttavia, i problemi di natura giuridica non si esauriscono con i suddetti provvedimenti comunitari e le relative norme nazionali di recepimento e di applicazione. Così, il secondo obiettivo di questo lavoro è di approfondire le basi giuridiche dell'approccio precauzionale utilizzato dal legislatore comunitario nel disciplinare l'agricoltura transgenica, e soprattutto analizzare la questione della compatibilità di una siffatta normativa comunitaria con il diritto del WTO, che invece non sembrerebbe riconoscere la via precauzionale nel commercio dei prodotti e, quindi, dei prodotti contenenti OGM. Infine, il terzo obiettivo del saggio è esaminare due rilevanti profili di natura patrimoniale, che restano irrisolti dalle regole della UE: i) il riconoscimento e la protezione degli interessi privati dei titolari di fondi confinanti con le aziende agricole ove sono state introdotte coltivazioni manipolate geneticamente, ossia la tutela da eventuale contaminazione di OGM su fondo di un terzo; ii) il riconoscimento di legittimi interessi pubblici di tutela dell'ambiente o della biodiversità tali da poter escludere da determinate aree le colture transgeniche, in contrasto con la libertà di impresa (agricola) dei titolari dei terreni inseriti in tali aree. 2. La disciplina delle biotecnologie Seguendo il disegno comunitario di filiera biotecnologica, occorre distinguere l'analisi

3 della disciplina applicabile in quattro fasi differenti: i) l'impiego confinato per lo studio, la modifica e l'utilizzo del materiale genetico; ii) la fase di brevettazione dell'invenzione biotecnologica; iii) l'emissione nell'ambiente di OGM a scopi di ricerca; e iv) la messa in commercio e l'etichettatura degli OGM e dei prodotti alimentari geneticamente modificati. I. L'impiego confinato di MGM a) la direttiva CEE n. 90/219 Con la direttiva CEE n. 90/219, il legislatore comunitario aveva stabilito misure comuni per l'impiego confinato (ossia la messa in coltura, lo stoccaggio, l'utilizzo, il trasporto, la distruzione e lo smaltimento con barriere fisiche, chimiche o biologiche) dei microrganismi geneticamente modificati al fine di tutelare la salute dell'uomo e dell'ambiente (art. 1), intendendosi per "microrganismo geneticamente modificato" ogni entità microbiologica cellulare o non, il cui materiale genetico risultava modificato in modo non naturale mediante moltiplicazione e/o ricombinazione (art. 2, lett. a b). Lo scopo del provvedimento comunitario era quello di regolare l'impiego di tecniche genetiche nella prima fase della filiera dei prodotti biotecnologici, ossia quella relativa alla creazione e all'impiego di MGM, ovvero di quelle entità microbiologiche indispensabili alla creazione di un organismo complesso geneticamente modificato. Partendo dalla constatazione, però, che tali microrganismi non erano protagonisti esclusivamente della prima fase di una filiera di produzione di organismi biotecnologici complessi, ma erano anche impiegati dal comparto industriale direttamente per la produzione di sostanze chimiche pure (come ad es. l'insulina per scopi farmaceutici), la direttiva, oltre a disciplinarne la fase di ricerca e sperimentazione, si occupava dell'impiego diretto di MGM a scopi industriali e commerciali. All'interno del provvedimento, quindi, si distinguevano due tipi di impieghi confinati differenti: le operazioni di tipo A, ossia le operazioni eseguite per l'insegnamento, la ricerca, lo sviluppo o altri scopi non industriali o commerciali (art. 2, lett. d); e le operazioni di tipo B, diverse dalle prime (art. 2, lett. e). I microrganismi geneticamente modificati erano classificati in due gruppi. Al gruppo I appartenevano tutti quegli MGM con le caratteristiche di cui all'allegato II della direttiva, come quelle di non essere patogeno e instabile e di avere capacità di riproduzione limitate, etc. Al gruppo II appartenevano tutti gli MGM non rientranti nel gruppo I (art. 4). Oltre ad una valutazione preventiva che, in ogni caso, si era tenuti a compiere (art. 6), a seconda del gruppo di MGM utilizzati e dell'operazione compiuta, l'utilizzatore era

4 obbligato, secondo un ordine crescente di pericolosità dell'operazione compiuta: i) a redigere meri verbali ad attività effettuate; ii) a notificare alle autorità competenti le informazioni di cui all'allegato V B prima di procedere alle attività; iii) a notificare alle autorità competenti le informazioni di cui all'allegato V C prima di procedere alle attività; od infine, iv) a notificare alle autorità competenti le informazioni di cui all'allegato V D prima di iniziare l'impiego. Notificate le informazioni, l'autorità competente esaminava la conformità delle domande con le informazioni previste dalla legge. Al termine della valutazione, essa poteva: i) chiedere ulteriori informazioni; ii) chiedere una modifica dell'utilizzazione; ovvero iii) delimitare il periodo di impiego permesso. In ogni caso, se l'impiego riguardava operazioni di tipo B con MGM del gruppo I, era previsto un sistema autorizzatorio di "silenzio assenso" ai sensi del quale, trascorsi inutilmente sessanta giorni dal ricevimento della notifica, le attività potevano iniziare senza ulteriori attese. Per operazioni di tipo B con impiego di MGM del gruppo II, invece, era previsto un sistema autorizzatorio di "silenzio rifiuto", in quanto l'impiego era impedito fino ad un espresso consenso dell'autorità competente (artt. 9, 10 e 11). Se necessario, le autorità competenti potevano richiedere, prima dell'inizio delle operazioni, che venisse elaborato un piano d'emergenza per la protezione della salute umana e per l'ambiente, obbligandone l'invio alle autorità di sicurezza (art. 14). Al verificarsi di un incidente, l'utilizzatore era tenuto ad informare immediatamente l'autorità competete sulle circostanze dell'accaduto, l'identità e le quantità degli MGM liberati (art. 15). L'utilizzatore, inoltre, era chiamato a modificare ed integrare il contenuto delle informazioni notificate, sia nel caso in cui le caratteristiche di categoria degli MGM impiegati fossero modificate, sia nel caso in cui esso fosse venuto a conoscenza di informazioni nuove o tali da aumentare significativamente le possibili conseguenze per i rischi derivanti dall'impiego. A tali nuove informazioni, lo Stato membro poteva imporre la modifica, la sospensione od anche l'interruzione immediata dell'impiego (art. 12). Si prevedeva, infine, un sistema di scambio e raccolta d'informazioni per tutto il territorio comunitario, sia sugli eventuali incidenti, sia sulle relazioni conclusive degli impieghi confinati compiuti, sia sulle esperienze complessive.

5 La direttiva 90/219/CEE veniva attuata in Italia con il d.lgs. 3 marzo 1993, n. 91, il quale, ai sensi dell'art. 1, identificava l'autorità competente nel Ministero della Sanità, oggi Ministero della Salute. Con il provvedimento di recepimento, ferma restando l'applicabilità dell'art. 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349 sul danno ambientale, veniva anche predisposto un sistema sanzionatorio amministrativo e penale in caso di violazione dei vari obblighi ed oneri. b) la direttiva CE n. 98/81 Con la direttiva del 26 ottobre 1998, n. 98/81/CE, il Consiglio ha profondamente modificato la direttiva 90/219/CEE, sia negli articoli, sia negli allegati. In particolare, ha sostituito gli articoli da 2 a 16 e da 18 a 20, inserendo un nuovo articolo, il 20 bis e sostituendo completamente gli allegati della precedente direttiva. Sul presupposto che la procedura autorizzatoria ed i confinamenti negli impieghi di MGM dovessero dipendere esclusivamente dai rischi effettivi degli MGM impiegati per la salute umana e l'ambiente (considerando 2) rimanendo ininfluenti le finalità delle operazioni da compiere (considerando 10), sono venute meno la distinzione tra operazioni di tipo A e di tipo di B e la classificazione degli MGM in due gruppi. Allargando e specificando la nozione di microrganismo (oggi comprendente espressamente anche i virus, i viroidi, le cellule animali e vegetali in coltura: art. 2 lett. a), ogni impiego, indipendentemente dallo scopo perseguito, è oggi classificato esclusivamente in funzione della pericolosità del MGM utilizzato. La direttiva distingue gli MGM richiamando il contenuto della direttiva 90/679/CEE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall'esposizione ad agenti biologici durante il lavoro. Ai sensi di quest'ultima direttiva, recepita in Italia con il Titolo VIII del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, gli agenti biologici e, in forza della direttiva n. 98/81, gli MGM stessi, sono ripartiti in quattro gruppi secondo il rischio di infezione ad essi collegato. Partendo dal gruppo 1, i cui agenti biologici presentano poche probabilità di causare malattie in soggetti umani, si passa al gruppo 2, in cui gli agenti biologici, pur se pericolosi, sono privi di potenzialità epidemiologiche e le malattie da essi derivanti sono facilmente contrastate da adeguate misure profilattiche o terapeutiche. Il gruppo 3 ed il gruppo 4, invece, comprendono gli agenti biologici più pericolosi con forti potenzialità epidemiologiche, ed attitudine a causare gravi malattie agli esseri umani. La distinzione in questi ultimi due gruppi è da ritrovarsi nella disponibilità, o meno, di efficaci misure per contrastarne l'azione. La classificazione in uno dei suddetti gruppi avviene sulla base della valutazione dei rischi per la salute umana e per l'ambiente correlati all'uso confinato di MGM secondo la procedura indicata dal nuovo allegato III (nuovo art. 5). Per iniziare le attività di manipolazione occorre rispettare una procedura. Se l'impiego di MGM avviene in un impianto di nuova costruzione o, comunque, in un luogo in cui non

6 erano mai stati utilizzati MGM, prima dell'inizio dell'impiego, l'utilizzatore deve notificare all'autorità competente un fascicolo contenente le informazioni di cui al nuovo Allegato V A con espressa indicazione della classe degli impieghi confinati che si intendono porre in essere (nuovo art. 7). Dopo tale notifica, il successivo impiego confinato della classe 1 può aver luogo senza ulteriori attività informative (nuovo art. 9). Per procedere ad un impiego confinato della classe 2, invece, occorre compiere un'ulteriore notifica. Dopo quella relativa agli impianti, devono essere trasmesse le informazioni di cui al nuovo Allegato V B. Se gli impianti sono stati oggetto di notifica relativa ad impieghi confinati della classe 2 o superiore, il nuovo impiego potrà aver luogo subito dopo la nuova notifica. Altrimenti, l'impiego potrà avere inizio, in assenza di indicazioni contrarie, trascorsi quarantacinque giorni dalla trasmissione delle ulteriori informazioni (nuovo art. 9). Per procedere ad un impiego confinato della classe 3 o 4, invece, occorre presentare, in occasione sia del primo impiego, sia di quelli successivi, una notifica contenente le informazioni di cui al nuovo Allegato V C, e l'inizio delle attività non potrà aver luogo se non ottenuta l'approvazione scritta dell'autorità competente. Ossia, trascorsi i termini previsti, il silenzio della Pubblica Amministrazione equivale ad un rifiuto. c) la norma di recepimento La nuova direttiva è stata attuata in Italia con il d.lgs. 12 aprile 2001, n. 206, con il quale il legislatore nazionale ha provveduto ad apportare alcune aggiunte ed integrazioni al provvedimento comunitario. In particolare, è stata introdotta, accanto a quella dell'utilizzatore, la figura del titolare dell'impianto (art. 2, lett. e). Ad esso il decreto ha imposto il rispetto di una serie di obblighi la cui violazione è sanzionata penalmente. Inoltre, senza ricorrere a rinvii di sorta, è stata recepita in tutto la classificazione propria della normativa sui rischi dei lavoratori individuando le quattro classi di pericolo in cui ricomprendere i singoli MGM. La classificazione del singolo materiale biologico è compiuta nel rispetto della procedura prevista dall'allegato III del nuovo decreto legislativo, come esplicata dal Ministero della Salute con il proprio decreto 25 settembre Infine, rispetto al testo della direttiva di modifica, il d.lgs. n. 206/2001 prevede per gli impianti una procedura autorizzatoria differenziata a seconda della classe di rischio in cui sono ricompresi gli impieghi confinati che si vogliono compiere nei locali. II. La brevettazione del materiale biologico

7 Con la direttiva del 6 luglio 1998, n. 98/44/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, è stato posto termine ad un dibattito durato quasi dieci anni da cui si pensava dipendesse la stessa possibilità di sperimentare ed applicare le biotecnologie avanzate su scala industriale. La prima proposta di direttiva, infatti, risale al Il testo, esaminato ed emendato varie volte, era approdato alla procedura di conciliazione nel 1995, ma era fallita la sua approvazione in quanto, tra l'altro, era stato accolto con sfavore l'inserimento del divieto della brevettabilità del corpo umano, esclusivamente in un considerando. Il testo respinto dal Parlamento, però, era ugualmente utile. La Commissione ne aveva ripreso il contenuto integrandone le disposizioni con le differenti posizioni espresse dagli oppositori durante il dibattito che lo aveva visto protagonista. Il nuovo lavoro veniva riproposto dalla Commissione al Consiglio per una ulteriore valutazione e, questa volta, la procedura di conciliazione si concludeva positivamente e la direttiva veniva definitivamente approvata. a) il contenuto della direttiva Con essa, l'unione prende atto del ruolo che l'ingegneria genetica sta assumendo nel futuro sviluppo agricolo e industriale (considerando 1). Il legislatore si vede costretto, infatti, ad incentivarne l'attività con adeguate misure protettive, le uniche capaci di assicurare adeguati profitti alla notevole quantità di investimenti in macchinari, in strutture ed in personale che le biotecnologie impongono. La base giuridica scelta per la nuova direttiva è l'ex art. 100A del Trattato, oggi art. 95, ossia un intervento di armonizzazione delle discipline degli Stati membri al fine di eliminare quegli ostacoli a tutela della salute, dell'ambiente e, in particolare, dei consumatori che altrimenti potrebbero incidere sul mercato. Nel tentativo, però, di limitare il più possibile l'impatto sugli ordinamenti interni della nuova "concessione" alle industrie, il legislatore comunitario ha previsto espressamente che le invenzioni biotecnologiche non richiedono una disciplina speciale, ma trovano protezione all'interno degli ordinamenti con un mero adeguamento delle discipline nazionali sulle invenzioni industriali già in vigore (art. 1). b) le tipologie, i requisiti e l'oggetto del brevetto biotecnologico Ai sensi della direttiva, che per la dottrina maggioritaria ha utilizzato una terminologia

8 non tecnica, vi sono, a seconda dell'oggetto dell'invenzione, due tipi di brevetti biotecnologici: i) quello c.d. "di prodotto", quando l'invenzione consiste in un materiale biologico, contenente informazioni genetiche, che è autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico; e, ii) quello c.d. "di procedimento" con il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico (art. 3). Affinché si possa ottenere il brevetto, occorre che l'invenzione risponda ai requisiti propri dei brevetti tradizionali, ossia, ai sensi dell'art. 3, occorre che l'invenzione biotecnologica sia: i) nuova, ovvero non risultare allo stato della tecnica; ii) il risultato di un'attività inventiva; iii) suscettibile di applicazione industriale, per cui nella domanda di brevetto di un'invenzione di prodotto deve essere espressamente precisata non solo la proteina o la proteina parziale prodotta ma anche la funzione da essa assolta (considerando 24); ed infine occorre che sia iv) lecita (art. 6). Tale ultimo requisito è assolto esclusivamente quando l'invenzione, da un lato non contrasti con l'ordine pubblico, quale espressione dei principi etici, o con il buon costume, quale espressione dei principi morali (considerando 39), e, dall'altro, essa non sia identificabile con una delle quattro invenzioni espressamente vietate dall'art. 6, 2º comma (procedimenti di clonazione e procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano; utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali, ad eccezione delle invenzioni a finalità terapeutiche o diagnostiche; ed i procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali senza utilità medica). Riguardo il corpo umano, su cui era fallito il primo tentativo di emanare la direttiva in esame, il legislatore ha previsto un regime generale ed una serie di eccezioni. Ai sensi del primo comma dell'art. 5, infatti, il corpo umano ed i suoi elementi non sono e non possono mai essere oggetto di brevetto. Il comma 2 del medesimo articolo, però, prevede una deroga al divieto generale, disponendo che un elemento isolato di un corpo umano, ivi compresa la sequenza anche parziale di un gene, può costituire un'invenzione brevettabile quando esso è stato separato

9 dal suo ambiente naturale ovvero diversamente prodotto mediante un procedimento tecnico. L'eccezione consente di brevettare singoli elementi del corpo umano in deroga al divieto generale. Il legislatore ha giustificato la sua scelta, da un lato con una finzione giuridica, e, dall'altro, con una presa di coscienza. In primo luogo, il legislatore ha sostenuto che i singoli elementi dell'uomo, anche se parte di un essere umano, non devono più essere considerati tali, ma vere e proprie invenzioni in quanto l'isolamento compiuto è il risultato di procedimenti tecnici di identificazione, purificazione, caratterizzazione e moltiplicazione, che solo l'intelletto umano è capace di porre in essere e che la natura di per sé non è in grado di compiere (considerando 21). In secondo luogo, il regime derogatorio è giustificato dal legislatore comunitario sostenendo che le attività di isolamento, anche se ad oggetto elementi del corpo umano, consentono "progressi decisivi nella cura delle malattie" che, per tali fini, la Comunità ha l'obbligo di incentivare (considerando 17). Alla stregua della regola generale relativa al corpo umano, inoltre, non sono brevettabili neanche le razze animali quando l'eseguibilità tecnica dell'invenzione è limitata ad una sola razza. Riguardo le varietà vegetali, invece, l'eseguibilità tecnica dell'invenzione limitata ad una sola varietà impedisce la brevettazione in quanto, la protezione eventualmente concessa verrebbe a sovrapporsi a quella di cui al regolamento CE n. 2100/94. c) i limiti della protezione riconosciuta I brevetti così ottenuti attribuiscono al proprio titolare uno ius excludendi alios all'utilizzo dell'invenzione con estensione diversa secondo il tipo di brevetto (art. 8). Se il brevetto è quello chiamato nella direttiva di "prodotto", il titolare del brevetto estende il suo diritto di esclusiva al materiale biologico brevettato, nonché a tutti i materiali biologici derivati, per riproduzione o moltiplicazione, dal primo, purché essi mantengono le medesime caratteristiche da questo espresse. Se il brevetto è quello definito nella direttiva di "procedimento", invece, al suo titolare è riconosciuto un diritto di esclusiva, sia sul procedimento oggetto della sua invenzione, sia sul materiale biologico con esso prodotto, sia sul materiale biologico derivato, per riproduzione o moltiplicazione, dal primo, purché quello ottenuto risulti dotato, per effetto dell'invenzione, di determinate proprietà che possono attribuirgli il requisito della novità. La protezione giuridica di tali invenzioni, però, incontra, in entrambi i casi, alcuni limiti che sono propri, sia del diritto comune, sia della sola disciplina speciale. Ai sensi del diritto comune, infatti, il titolare di un brevetto biotecnologico non può

10 impedire l'uso della propria invenzione o pretenderne un corrispettivo, quando essa è utilizata per fini sperimentali, ovvero, ad uso privato, per fini non commerciali. Ai sensi della disciplina introdotta con la direttiva, invece, il titolare di un brevetto biotecnologico vede limitati i suoi diritti di esclusiva sulle generazioni future del materiale biologico brevettato od ottenuto dal procedimento brevettato, per due diritti contrapposti, il farmer's right ed il breeder's right, riconosciuti all'agricoltore. In entrambi i casi, infatti, l'agricoltore si ritrova titolare di un diritto di utilizzare l'invenzione biotecnologica anche oltre i limiti eventualmente stabiliti dal titolare del brevetto. In forza del farmer's right, l'agricoltore ha la facoltà di utilizzare, per le successive semine nella sua azienda, il prodotto del raccolto biotecnologico che ha ottenuto piantando le sementi acquistate dal titolare del brevetto, senza dover ottenere da questi alcuna ulteriore autorizzazione. In forza del breeder's right, invece, l'agricoltore ha il diritto di utilizzare per un uso agricolo l'animale acquistato dal titolare del brevetto, ricomprendendo nella locuzione "uso agricolo" anche la riproduzione dell'animale brevettato per ottenere prole da utilizzare nella medesima attività agricola, senza dover ottenere dall'inventore alcuna autorizzazione. d) la procedura di recepimento La direttiva, che era stata oggetto di impugnazione da parte dell'olanda, sostenuta dall'italia e dalla Norvegia, è stata ormai riconosciuta legittima dalla Corte di Giustizia con la sentenza 9 ottobre 2001, pertanto, il suo recepimento da parte dell'italia, anche se non ancora compiuto, non può essere ulteriormente ritardato. Dal 28 novembre 2001, infatti, è all'esame delle camere la proposta di legge delega n ter che dovrebbe consentire al governo di recepire la direttiva entro pochi mesi dalla sua eventuale approvazione. III. Introduzione alle direttive nn. 90/220/CEE e 2001/18/CE Come già ricordato, le fasi di emissione deliberata nell'ambiente e di immissione in commercio di OGM erano disciplinate dalla direttiva n. 90/220/CEE, abrogata dal 17 ottobre 2002 dalla direttiva 12 marzo 2001, n. 2001/18/CE. Nonostante tale modifica di disciplina a livello comunitario, però, il legislatore italiano non ha ancora provveduto al suo recepimento. Pertanto, fino a quando la nuova direttiva non sarà resa operativa nell'ordinamento italiano, un esame di tali fasi della filiera del prodotto biotecnologico, richiede, non solo un esame compiuto della nuova disciplina, ma anche una valutazione della direttiva abrogata e del relativo decreto d'attuazione, il d.lgs. 3 marzo 1993, n. 92.

11 a) la direttiva CEE n. 90/220 La direttiva n. 90/220/CEE aveva come base giuridica l'ex art. 100A del Trattato, oggi art. 95. La normativa espressamente prevedeva la regolamentazione delle biotecnologie al fine di assicurare nella formazione del mercato interno un alto livello di protezione (considerando 4), ma soprattutto per assicurare uno sviluppo sostenibile dei prodotti industriali contenenti OGM (considerando 5). Obiettivo perseguibile solo attraverso la valutazione, caso per caso, dei rischi potenziali derivanti dal loro utilizzo (considerando 7). Strumento principale per il raggiungimento dei suddetti obiettivi, era il sistema autorizzatorio che imponeva all'interessato di notificare all'autorità competente di una notevole quantità di informazioni sull'attività di cui si chiedeva l'autorizzazione. La notifica doveva essere preceduta da una valutazione dei rischi correlabili all'utilizzo dell'ogm ed i dati relativi dovevano essere uniti alle informazioni notificate. Lo strumento autorizzatorio si completava con l'espressa previsione della necessità del previo consenso scritto dell'autorità per procedere alle emissioni nell'ambiente od alle immissioni in commercio di OGM. La direttiva si distingueva in quattro parti, una di apertura che conteneva le disposizioni generali, una di chiusura per le disposizioni finali, e due riguardanti, rispettivamente, le fasi III e IV della filiera, relative all'emissione deliberata nell'ambiente e all'immissione in commercio degli OGM. Le disposizioni generali iniziavano con l'indicare lo scopo della direttiva, ossia la protezione della salute umana e dell'ambiente. Poi, la direttiva procedeva con le definizioni e l'ambito di operatività della disciplina, escludendo dal procedimento autorizzatorio quei materiali biologici modificati non con tecniche ricombinanti o proprie della biotecnologia avanzata (cfr. artt. 2, num. 2 e 3, nonché allegato I parti A e B). b) la direttiva CE 2001/18 Con la nuova direttiva del 2001, sia i considerando, sia la prima parte del provvedimento del 1990, sono stati modificati. Con essa, il legislatore comunitario introduce nella disciplina relativa agli OGM una serie di novità a tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente. In primo luogo ed in ossequio alla nuova politica ambientale espressa dall'unione, nella direttiva 2001/18 assume un ruolo di assoluta preminenza il principio di precauzione. Se in seno alla direttiva 90/220, tale principio era stato rinvenuto dalla dottrina a seguito di una ricostruzione del sistema, nella nuova direttiva, esso è espressamente indicato dal

12 legislatore come base di partenza, direttrice di movimento e punto di arrivo dell'intera disciplina (v., ad esempio, considerando 8, art. 1 ed art. 4). In secondo luogo, considerando la nuova direttiva una disciplina sufficiente a raggiungere quegli obiettivi di protezione dell'ambiente propri della nuova politica comunitaria, il legislatore attribuisce alla direttiva n. 2001/18 un ruolo di primaria importanza. Essa oggi, non si limita a sostituire la direttiva 90/220, ma diviene norma quadro di settore e punto di riferimento nella disciplina degli OGM (considerando 27). L'autorizzazione al commercio rilasciata ai sensi di tale normativa, infatti, diviene l'unico provvedimento con cui poter immettere in commercio un OGM, almeno fino a quando non sarà emanato, ai sensi dell'art. 251 Trattato di Roma, un regolamento che formalizzi la funzione di norma quadro della nuova direttiva e che indicherà nuovi strumenti autorizzatori per il commercio di OGM (art. 12). Novità è anche il progressivo abbandono, nella modificazione genetica, dei marcatori anti antibiotici. Entro il 31 dicembre 2004 essi saranno vietati per gli OGM immessi in commercio ed entro il 31 dicembre 2008, ne sarà vietato l'utilizzo anche negli OGM da emettere nell'ambiente a scopo di ricerca (art. 4). Inoltre, ribadita l'impossibilità di emettere od immettere un OGM senza il previo consenso scritto da parte dell'autorità competente, l'art. 4 prevede espressamente che, prima di compiere la notifica all'amministrazione, il notificante è tenuto ad effettuare una valutazione del rischio ambientale. La novità riguarda il contenuto di tale valutazione, avendo oggi il legislatore espressamente previsto le linee guida da rispettare nell'elaborazione del documento. IV. L'emissione deliberata nell'ambiente di OGM La terza fase della filiera del prodotto biotecnologico riguarda l'emissione deliberata nell'ambiente degli OGM a scopi differenti dalla messa in commercio. L'emissione, tappa fondamentale nello sviluppo dei prodotti OGM o che da essi derivano (considerando 9 della vecchia direttiva e 23 della nuova), è compiuta nel rispetto del "principio per gradi", in base al quale si riduce il confinamento di OGM e si aumenta progressivamente la dimensione dell'emissione, solo se la valutazione del grado precedente, in termini di protezione della salute umana e dell'ambiente, indica che è possibile passare al grado successivo (considerando 8 della vecchia direttiva e 24 della nuova). Ai sensi della direttiva 90/220/CEE l'interessato, prima di ogni emissione, era tenuto a notificare all'autorità competente dello Stato membro in cui intendeva emettere l'ogm a scopi di ricerca un fascicolo contente:

13 i) le informazioni necessarie di cui all'allegato II; ii) la valutazione dei rischi compiuta sulla base di tali informazioni; e iii) le informazioni su precedenti emissioni dei medesimi OGM compiute da lui stesso o da altri. L'autorità competente che riceveva la notifica, ne inviava una sintesi alla Commissione entro trenta giorni dal ricevimento, la quale, a sua volta, la distribuiva alle autorità competenti degli altri Stati membri. Nei trenta giorni successivi, questi ultimi e la Commissione avevano la facoltà di presentare all'autorità competente dello Stato notificante, le proprie osservazioni in merito all'emissione. L'autorità competente, che aveva ricevuto la notifica originale, esaminava la conformità del contenuto della notifica, valutava i rischi connessi all'emissione nell'ambiente, eseguiva eventuali prove ed ispezioni e redigeva le proprie conclusioni anche sulla base delle osservazioni inviate dagli altri soggetti comunitari. Entro novanta giorni dal ricevimento della notifica, l'autorità competente decideva e comunicava al notificante il proprio rifiuto all'emissione ovvero, concedendo l'autorizzazione, il proprio assenso. In tale procedura, il silenzio dell'autorità equivaleva a rifiuto. Ottenuta l'autorizzazione, poi, il notificante era tenuto a comunicare eventuali nuove informazioni che avrebbe potuto compromettere e modificare le conclusioni della valutazione del rischio. Al termine dell'emissione, il soggetto autorizzato era tenuto a trasmettere all'autorità competente i risultati della propria attività. Tale procedura, come detto, è stata interamente recepita dal nostro legislatore senza modifiche con il d.lgs. n. 92/1993 che ha identificato l'autorità competente della direttiva con il Ministero della Sanità, oggi della Salute. La direttiva 2001/18/CE non ha modificato la procedura descritta, se non introducendo accanto a questa, la c.d. procedura differenziata. Di questa possono beneficiare esclusivamente quegli OGM di cui si disponga sufficiente esperienza, che soddisfino i criteri di cui all'allegato V e che siano stati oggetto, su proposta dell'autorità competente di uno Stato membro, di un'apposita decisione della Commissione, la quale delibera dopo aver consultato le autorità competenti degli altri Stati membri, il pubblico ed i comitati scientifici competenti (art. 7). Tale procedura prevede delle semplificazioni nella preparazione del fascicolo da notificare diminuendo le informazioni da allegarvi.

14 V. L'immissione in commercio di OGM: ai sensi della direttiva 90/220/CEE Considerando che nessun prodotto contente OGM poteva essere immesso sul mercato senza che prima fosse stato sottoposto, nella fase di ricerca e sviluppo, ad idonee verifiche in campo aperto (considerando 11 della direttiva 90/220/CEE), il legislatore comunitario aveva previsto che un prodotto contente OGM (o da essi costituito) poteva ottenere il consenso per l'immissione in commercio solo ed esclusivamente se era già stato oggetto di un precedente consenso per l'emissione deliberata nell'ambiente ovvero se era stato oggetto di un'analisi del rischio pari alla valutazione necessaria per ottenere l'autorizzazione ai sensi della parte B della direttiva 90/220/CEE (art. 10). Chiunque avesse avuto intenzione di fabbricare od importare un OGM ai fini della sua immissione in commercio, era tenuto a notificare all'autorità competente dello Stato membro, nel cui mercato aveva intenzione di immettere per la prima volta il prodotto, un fascicolo contente, ai sensi dell'art. 11: i) le informazioni di cui all'allegato II, completate, se necessario, con informazioni sui luoghi d'impiego; ii) la valutazione del rischio sulla base di tali informazioni; iii) le condizioni per l'immissione sul mercato, con indicazione delle caratteristiche d'uso, nonché di proposte di etichettatura e d'imballaggio ai sensi dell'allegato III; ed infine, iv) le informazioni su precedenti emissioni nell'ambiente dei medesimi OGM. L'autorità competente esaminava la conformità alla legge del contenuto della notifica, esaminava la valutazione dei rischi e le precauzioni raccomandate dal notificante, eseguiva eventuali prove ed ispezioni e redigeva le proprie conclusioni. Entro novanta giorni dal ricevimento della notifica, essa respinge la domanda comunicando al notificante il rifiuto ovvero, quando giudicava sufficientemente sicuro l'ogm per la salute dell'uomo o per l'ambiente, emetteva parere favorevole e trasmette alla Commissione una sintesi della notifica corredata delle condizioni nel rispetto della quali consentiva l'immissione. In questo secondo caso, l'invio del fascicolo alla Commissione apriva una nuova fase nella procedura di autorizzazione dell'ogm, quella europea, necessaria per il perfezionamento del provvedimento finale, atto a formazione progressiva e complessa. La seconda fase era necessaria in quanto il provvedimento finale consentiva la commercializzazione dell'ogm su tutto il territorio della Comunità e, pertanto, occorreva che ogni singolo Stato membro fosse messo nella condizione di poter esprimere il proprio parere. La Commissione trasmetteva alle altre autorità competenti di tutti gli Stati membri la

15 sintesi ricevuta. Entro sessanta giorni dal ricevimento della documentazione, tali autorità ovvero la stessa Commissione, potevano chiedere chiarimenti, ulteriori informazioni ovvero presentare osservazioni od obiezioni motivate all'immissione in commercio. Se al sopraggiungere del termine, nessuno dei soggetti legittimati sollevava obiezioni, ovvero su queste era raggiunto un accordo, l'autorità competente che aveva ricevuto la notifica in originale, dava il suo consenso scritto al notificante e ne informava gli altri Stati membri e la Commissione. Nel caso in cui, allo scadere del termine, permanevano obiezioni motivate irrisolte, era la Commissione che decideva secondo la procedura di cui all'art. 21 della direttiva. Ai sensi di tale articolo, la Commissione sottoponeva il progetto di decisione ad un Comitato composto da sedici membri, uno per ogni Stato ed un rappresentante della Commissione. Il Comitato emetteva un parere sul progetto entro il termine fissato dal proprio presidente. Se la decisione della Commissione era conforme con il parere del Comitato, la decisione veniva pubblicata e l'autorità competente che aveva ricevuto la notifica in originale si atteneva al suo contenuto concedendo o rifiutando l'autorizzazione. Se la decisione della Commissione non era conforme al parere del Comitato ovvero questo non aveva emesso parere entro i termini prestabiliti, la Commissione sottoponeva il medesimo progetto all'esame del Consiglio che aveva tre mesi di tempo per deliberare. La decisione deliberata faceva immediatamente stato. Se il Consiglio, però, non decide entro i tre mesi indicati, era la Commissione stessa che decideva secondo il proprio progetto e l'autorità competente che aveva ricevuto la notifica in originale era tenuta a rispettarne il contenuto. Ottenuta, così, l'autorizzazione, al notificante era consentito di commercializzare il proprio prodotto, nel rispetto delle prescrizioni contenute nel provvedimento, su tutto il territorio della Comunità senza ulteriori notifiche (art. 13) e nessuno Stato membro, salvo l'attivazione della clausola di salvaguardia (art. 16), poteva proibirne, limitarne od impedirne l'immissione sul proprio mercato (art. 15). VI. (segue): ai sensi della direttiva 2011/18/CE La nuova direttiva mantiene il medesimo impianto procedurale del precedente provvedimento, ma con una minuzia maggiore negli obblighi e nei singoli passaggi e con l'introduzione di alcune novità. La scelta di aggiungere maggiori dettagli di procedura sembrerebbe giustificata dal modo in cui i singoli Stati membri hanno recepito la precedente direttiva, i quali, limitandosi a riportare, senza cambiamenti, il testo della direttiva, hanno lasciato alcuni passaggi procedurali oscuri e lacunosi. Le novità della direttiva riguardano, sia un maggior scambio di informazioni tra i soggetti

16 comunitari e nazionali ed una loro maggiore partecipazione alla procedura, sia una maggiore partecipazione del pubblico ad ogni sua fase, sia l'introduzione della relazione di valutazione che la prima autorità competente è tenuta a redigere sempre per ogni notifica, secondo uno schema prestabilito. Secondo il nuovo schema, il notificante ha il diritto di conoscere e le autorità competenti l'obbligo di comunicare, il risultato di ogni singola fase della procedura. Ad ogni comunicazione, al notificante può decidere di ritirare il proprio fascicolo ed interrompere la procedura di fronte all'autorità investita per ripresentare la medesima domanda di fronte all'autorità competente di un diverso Stato membro. Una novità introdotta dalla nuova direttiva è anche la "autorizzazione a tempo". Ogni OGM, infatti, potrà essere autorizzato per l'immissione in commercio per un periodo di tempo non superiore a dieci anni, trascorso il quale, questo deve essere oggetto di una nuova notifica che apre una procedura semplificata per ottenere il rinnovo, sempre temporaneo, dell'autorizzazione. Novità rispetto all'abrogata direttiva è anche la puntuale indicazione del contenuto dell'autorizzazione. Se sotto la precedente disciplina le autorità competenti rilasciavano autorizzazioni il cui contenuto poteva differire tra stato membro e stato membro, oggi queste sono tenute a rispettare il contenuto minimo indicato dalla direttiva. Inoltre, ai sensi della direttiva n. 2001/18, i nuovi provvedimenti autorizzatori devono contenere anche prescrizioni in merito ai monitoraggi che il titolare dell'autorizzazione è tenuto a porre in essere dopo l'immissione in commercio dell'ogm. Gli artt. 13, 19 e 20 della direttiva, infatti, stabiliscono che è requisito di rilascio dell'autorizzazione allegare alla relativa domanda una proposta di monitoraggio redatto secondo le indicazioni di cui all'allegato VII della direttiva. L'allegato descrive gli obiettivi ed i principi generali da seguire per definire il piano di monitoraggio. La proposta viene esaminata ed approvata, prima dall'autorità competente investita della procedura e poi, dalla stessa Commissione. La procedura inizia con la notifica da parte dell'interessato di un fascicolo all'autorità competente dello Stato di prima immissione. Il fascicolo deve contenete: i) le informazioni di cui agli allegati III e IV; ii) la valutazione dei rischi secondo quanto previsto nell'allegato II; iii) le condizioni a cui sottoporre l'immissione in commercio del prodotto; iv) una proposta di durata dell'autorizzazione che non può superare i dieci anni; v) un piano di monitoraggio secondo quanto previsto dall'allegato VII;

17 vi) una proposta di etichettatura contenente la dicitura "questo prodotto contiene organismi geneticamente modificati"; vii) una proposta per l'imballaggio; viii) una sintesi del fascicolo; e ix) le informazioni relative alle emissioni già notificate od effettuate dal medesimo notificante o da altri (art. 13, par. 2, 3 e 4). Appena ricevuta la notifica, l'autorità competente trasmette immediatamente la sintesi agli altri Stati membri ed alla Commissione. Nello stesso tempo, verifica la conformità del fascicolo alla legge e ne trasmette copia integrale alla Commissione, la quale, a sua volta entro trenta giorni, ne trasmette copia alle autorità competenti degli altri Stati membri. Esaminata la conformità alla legge, la prima autorità competente elabora una relazione di valutazione entro novanta giorni dal ricevimento della notifica. Compiuta la relazione, la medesima autorità ne trasmette copia al notificante e, a seconda che dia o meno il consenso all'immissione in commercio, alla Commissione. Quest'ultima trasmissione deve avvenire subito, nel caso di consenso ovvero non prima di quindici giorni dall'invio al notificante e non oltre centocinque giorni dalla data di ricevimento della notifica. La Commissione distribuisce la relazione di valutazione alle altre autorità competenti le quali, al pari della Commissione, hanno la possibilità di presentare osservazioni od obiezioni sulla richiesta di autorizzazione entro sessanta giorni. Se l'autorità competente investita della procedura rifiuta il consenso all'immissione, l'autorizzazione è sempre rifiutata. Se la medesima autorità concede il proprio consenso e non vengono sollevate obiezioni (o, se sollevate, esse sono superate), invece, l'autorità competente concede l'autorizzazione in forma scritta trasmettendola a tutti i soggetti coinvolti nella procedura. Avendo l'autorizzazione un termine di validità, almeno nove mesi prima del sopraggiungere di tale termine (ovvero prima del 17 ottobre 2006 per le autorizzazioni rilasciate ai sensi della precedente direttiva n. 90/220/CEE), il titolare dell'autorizzazione è tenuto a notificare alla medesima autorità che ha rilasciato l'atto in scadenza, un fascicolo contenente: i) una copia dell'autorizzazione; ii) una relazione sui monitoraggi compiuti;

18 iii) eventuali nuove informazioni; e, se del caso, iv) una proposta di modifica delle condizioni dell'autorizzazione in scadenza. L'invio avvia la procedura semplificata di rinnovo. L'autorità competente, appena verificata la conformità del contenuto del fascicolo, trasmette copia integrale della notifica alla Commissione e, contemporaneamente, redige la relazione di valutazione. Come per la procedura standard, l'autorità investita della nuova notifica può dare parere favorevole alla prosecuzione del commercio ovvero rifiutare il consenso. Nel primo caso, il consenso può anche essere condizionato al rispetto di alcune modifiche alle modalità di immissione. Redatta la relazione di valutazione e trasmessane copia alla Commissione, la procedura prosegue con il medesimo iter di quella standard, ma con termini abbreviati. Conclusa la procedura con esito positivo, al titolare dell'autorizzazione è concesso un rinnovo "a termine" che non potrà, in ogni caso, superare i dieci anni. In entrambe le procedure, infine, la direttiva prevede un sistema di "sblocco" delle obiezioni sollevate dalle autorità competenti degli altri Stati membri o dalla Commissione, che, al termine dei procedimenti, rimangano irrisolte. In tali evenienze, infatti, si attivata un procedimento simile a quello di cui all'art. 21 dell'abrogata direttiva n. 90/220/CEE. Ai sensi dell'art. 30 della direttiva trovano applicazione gli artt. 5, 6 e 7 della decisione del Consiglio n. 1999/468/CE, secondo i quali è la Commissione che decide sulla richiesta di autorizzazione assistita da un Comitato di Regolamentazione composto dei rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione. Secondo tale procedimento, il rappresentante della Commissione sottopone al comitato un progetto delle misure da adottare. Il Comitato esprime il suo parere sul progetto entro un termine che il presidente può fissare in funzione dell'urgenza della questione in esame. Se la decisione della Commissione è conforme al parere del Comitato, la decisione viene pubblicata e l'autorità competente che ha ricevuto la notifica in originale si attiene al suo contenuto. Se le misure previste nel progetto di decisione, invece, non sono conformi al parere del comitato, od in assenza di parere, la Commissione sottopone al Consiglio una proposta in merito alle misure da prendere, informandone contemporaneamente il Parlamento europeo. Il Consiglio investito della decisione, ha tre mesi di tempo per deliberare. Se entro tale termine esso manifesta la sua opposizione alla proposta della Commissione, quest'ultima è tenuta a riesaminare la questione e presentare al Consiglio una nuova

19 proposta che potrà essere la medesima ovvero una modificata. Se allo scadere del termine concesso al Consiglio per emettere la propria decisione, esso non ha adottato alcun atto, la Commissione adotta l'atto di esecuzione proposto e l'autorità competente che ha ricevuto la notifica in originale ne esegue la decisione. VII. (segue): ai sensi del reg. n. 258/97/CE In parziale deroga alla direttiva n. 2001/18, l'immissione sul mercato della Comunità dei c.d. "novel foods", non è disciplinata da tale direttiva, ma dal reg. n. 258/97/CE anche se tali prodotti consistono in OGM o sono da essi derivati. L'art. 1 di tale regolamento, infatti, definisce "novel foods" quei prodotti od ingredienti alimentari non ancora utilizzati in "misura significativa" per il consumo umano nella Comunità, che consistono in: i) prodotti ed ingredienti alimentari contenenti o costituiti da organismi geneticamente modificati; ii) prodotti ed ingredienti alimentari prodotti a partire da organismi geneticamente modificati, ma che non li contengono; iii) prodotti ed ingredienti alimentari con una struttura molecolare primaria nuova o volutamente modificata; ed i iv) prodotti ed ingredienti alimentari costituiti da vegetali o isolati a partire da vegetali e ingredienti alimentari isolati a partire da animali, esclusi i prodotti e gli ingredienti alimentari ottenuti mediante pratiche tradizionali di moltiplicazione o di riproduzione che vantano un uso alimentare sicuro storicamente comprovato. La normativa contenuta nel regolamento ricalca in parte la disciplina della direttiva del 2001 sulla messa in commercio di OGM, ma a tale disciplina il regolamento apporta alcuni correttivi ed aggiunge un regime speciale per quei prodotti giudicati "sostanzialmente equivalenti" ai loro omologhi tradizionali. a) la procedura autorizzatoria ordinaria Per commercializzare legittimamente un novel food sul territorio della Comunità, pertanto, occorre che il prodotto sia stato espressamente autorizzato al commercio dall'autorità competente per la valutazione dei prodotti alimentari dello Stato membro sul cui mercato il prodotto è immesso per la prima volta. L'autorizzazione certifica che il prodotto risponde alle tre condizioni essenziali indicate dal paragrafo 1 dell'art. 3, ossia che il prodotto:

20 i) non presenta rischi per il consumatore; ii) non lo induce in errore; e, soprattutto che il prodotto iii) non differisce dagli altri prodotti o ingredienti alimentari, alla cui sostituzione esso è destinato, al punto che il suo consumo normale possa comportare svantaggi per il consumatore sotto il profilo nutrizionale. La procedura di autorizzazione si articola in due fasi di valutazione, di cui la seconda meramente eventuale. La prima fase viene introdotta dal deposito di una domanda di autorizzazione all'immissione sul mercato del "nuovo prodotto" contenente quelle informazioni e quegli studi necessari a dimostrare che esso soddisfi le tre suddette condizioni. Quando riceve la domanda, l'autorità competente procede con una sua "valutazione iniziale". Entro tre mesi dal ricevimento della domanda, la valutazione iniziale viene conclusa con la presentazione di una relazione in cui l'autorità compente stabilisce se il prodotto o ingrediente alimentare debba, o meno, formare oggetto di una valutazione complementare. Lo Stato membro trasmette senza indugio la relazione alla Commissione che, a sua volta, la trasmette agli altri Stati membri. Entro sessanta giorni dalla data di diffusione della relazione da parte della Commissione, gli Stati membri e la Commissione possono formulare le proprie osservazioni o presentare obiezioni motivate all'immissione sul mercato del prodotto o ingrediente alimentare in questione (Le osservazioni o obiezioni possono riguardare anche la presentazione o l'etichettatura del prodotto o dell'ingrediente alimentare). Le osservazioni o obiezioni formulate, poi, vengono inviate alla Commissione, che le trasmette agli Stati membri. Se allo spirare del termine non risultano sollevate obiezioni e la relazione di valutazione iniziale non prescrive alcuna valutazione supplementare ed approfondita, l'autorità competente informa senza indugio il richiedente che può procedere all'immissione del prodotto o dell'ingrediente alimentare sul mercato. In caso contrario, dopo aver informato il richiedente della necessità di una valutazione complementare, è la Commissione che procede con la seconda fase del procedimento di autorizzazione. La procedura di valutazione supplementare è simile a quelle di cui agli artt. 21 dell'abrogata direttiva n. 90/220/CEE, e 30 della nuova direttiva n. 2001/18. Ai sensi dell'art. 13 del regolamento, infatti, la Commissione è assistita dal comitato permanente per i prodotti alimentari a cui, concluso l'esame della domanda di autorizzazione, e valutatone il contenuto, sottopone un progetto delle misure da adottare. Nella valutazione

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