SETI GALASSIE A GUSCIO IL MISTERO DELLE. «Come sono riuscito a riprendere THEBE, la piccola luna di Giove» GIOVE e VENERE uniti al tramonto

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1 GIOVE e VENERE uniti al tramonto I risultati del CONCORSO FOTOGRAFICO Ritratto con Lune di Giove «Come sono riuscito a riprendere THEBE, la piccola luna di Giove» SETI L ULTIMO LIBRO DI PAUL DAVIES FA IL PUNTO SULLA RICERCA DI CIVILTÀ EXTRATERRESTRI IL MISTERO DELLE GALASSIE A GUSCIO Mensile - Anno 16 - Sped. Abb. Pt - DL 352/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 1 NE/VE ISSN Test: Barlow Euro 6, CELESTRON X-CEL 2x Le novità di Telescope Doctor Deboli luci nel Leone Minore Daniel Kirkwood: la storia Evidenziare i colori delle stelle: applichiamo la tecnica che fu di Malin del KEPLERO americano 2012 I fenomeni celesti di MARZO

2 RIPRENDERE il COLORE DELLE STELLE CON LA TECNICA DELLA SFUOCATURA DELLE TRACCE Più di 20 anni fa, nel gennaio del 1991, la rivista indiana Current Science uscì con un numero speciale (A Celebration of Colour in Astronomy) tutto dedicato all opera pioneristica di David Malin nel campo dell astrofotografia: 60 immagini che rappresentavano lo stato dell arte in quegli anni; e una di queste (vedi a destra) era una inusuale ripresa della costellazione di Orione, che poi avrebbe fatto scuola come esempio didattico nella resa dei colori. Questo articolo vuole essere un omaggio a Malin e un invito ai lettori affinché provino a riscoprire e ad applicare la sua tecnica della progressiva sfuocatura delle tracce stellari. di Daniele Gasparri Avete mai notato che anche nelle immagini più riuscite, come quella in apertura di articolo, le stelle di campo appaiono quasi sempre come piccoli punti privi di colore, o al limite con tonalità poco evidenti? Il problema assume dimensioni poco piacevoli quando si riprendono ammassi aperti o le costellazioni a grande campo, dove le colorazioni sono sempre estremamente tenui e le immagini sembrano spente. Eppure la teoria alla base delle proprietà dell emissione stellare sembra essere piuttosto chiara a riguardo. Come si sa, tutte le stelle possono essere infatti assimilate ad un corpo nero che irradia energia lungo una grande regione dello spettro elettromagnetico, con un picco centrato su una particolare lunghezza d onda che dipende unicamente dalla sua temperatura. Di conseguenza, stelle relativamente fredde (3000 K) emettono radiazio- 18 COELUM 2012

3 ne con un massimo nella regione rossa dello spettro e dovrebbero quindi apparire rosse, mentre le più calde, attorno ai K, emettono per gran parte nel vicino ultravioletto, e all occhio umano appaiono o dovrebbero apparire di un blu acceso. Tra questi due estremi, abbiamo quasi tutte le tonalità possibili, dall azzurro all arancio; tranne, forse, il verde. Questa è, in breve, la teoria, ma nella pratica sono poche le stelle che ad occhio nudo mostrano una colorazione netta [a tale proposito si veda in Coelum n. 84 l esauriente articolo Il colore delle stelle, illusione o realtà? ]. Alcune tra le più brillanti, come Antares nello Scorpione, Aldebaran nel Toro o Betelgeuse in Orione, hanno tonalità arancio-rosse, mentre altre, come Vega, sono perfettamente bianche. Possibile che su oltre 3000 astri visibili in un cielo mediamente scuro, solamente una manciata di essi mostrino tracce di colore, quasi esclusivamente tendente al rosso? Certo che sì, e il problema è da attribuire all occhio umano, che in condizioni di scarsa illuminazione (come quelle che si realizzano durante l osservazione ad occhio nudo) riesce a percepire solo pochissime tonalità (su questo argomento vedi anche la serie di articoli sull osservabilità dei colori negli oggetti deepsky in Coelum n. 112 e 123). Proprio per questo motivo si ricorre alla fotografia astronomica, capace di accumulare luce e quindi informazione di colore. Se però con la fotografia le cose migliorano molto con nebulose e galassie, le stelle continuano ad apparire come punti solo debolmente colorati, a volte addirittura meno evidenti rispetto all osservazione visuale. E quindi, che fare? In alto. La tabella mostra la temperatura superficiale e il corrispondente colore per ciascuna delle sette classi fondamentali di stelle descritte nella Harvard Spectral Sequence, dovuta all opera dell infaticabile astronoma Annie Jump Cannon ( ). Nella classificazione di Harvard ogni classe spettrale, codificata con una lettera dell alfabeto, è caratterizzata da una particolare temperatura superficiale e, dunque, a ciascuna classe possiamo associare un colore ben preciso. Per ottenere una graduazione più fine, ogni classe è a sua volta suddivisa in 10 sottoclassi, numerate da 0 a 9. Secondo questa classificazione, ad esempio, il Sole appartiene alla classe spettrale G2. In basso. Tre diverse fotografie della costellazione di Orione chiariscono i termini del problema riguardo la rappresentazione del colore nelle stelle. A sinistra, una normale ripresa porta a un immagine dove il colore, perso nella saturazione dei puntini luminosi, è praticamente assente. Al centro, soltanto ripreso con sensori di pregio o con tecniche o filtri speciali lo stesso soggetto porta a un risultato naturale e soddisfacente dal punto di vista estetico. A destra, il primo passo verso la tecnica inventata da Malin: già una semplice ripresa sfuocata, se fatta con criterio, mostra i veri colori delle stelle. Un problema di sovraesposizione e di dinamica dei sensori Può sembrare paradossale, ma il motivo per cui le stelle brillanti non rivelano facilmente le proprie colorazioni alla fotocamera è dovuto a un fattore che in astronomia è quasi un eresia considerare come un difetto: al sensore arriva troppa luce! I pixel dei sensori digitali hanno un limite alla massima quantità di luce che possono contenere e, quando il numero di fotoni incidenti è maggiore della capacità di raccolta, l intensità luminosa raggiunge il livello di saturazione; e se un pixel arriva alla saturazione si perdono tutte le informazioni COELUM

4 A sinistra. I presupposti della tecnica applicata da Malin stanno nella semplice osservazione di un fatto noto a tutti i visualisti: la sfocatura dell immagine di una stella, se effettuata nella giusta misura, porta la luce a distribuirsi su una superficie più vasta, rivelando il colore legato alla sua temperatura. nella parte iniziale vicina al punto di fuoco. A questo punto, la fase di elaborazione si limiterà ad aumentare la saturazione del colore di almeno il 50% per far emergere finalmente un campo pieno di evidenti sfumature e affascinanti contrasti. sull intensità luminosa e sul colore. In una foto a lunga e lunghissima posa quasi tutte le stelle del campo saturano perché molto più brillanti e di conseguenza le tonalità si perdono. Solamente gli astroimager più bravi, poco più di una dozzina in tutto il mondo, riescono a mostrare il colore delle stelle nelle loro immagini a lunga esposizione, ma per questo scopo sono richiesti spesso sensori CCD con ampia dinamica, tecniche di ripresa particolari e massicci interventi in fase di elaborazione. Personalmente non sono mai riuscito ad applicare con soddisfazione questo procedimento e infatti le stelle delle mie immagini continuano ad apparire monocromatiche. Esiste però una tecnica fotografica espressamente applicata proprio per esaltare il colore delle stelle, sia pure in un contesto soltanto dimostrativo e didattico, ed è proprio quella inventata più di due decenni fa da David Malin. Qualche consiglio utile Fin qui la teoria, che sembrerebbe di facile applicazione. Vediamo ora alcuni consigli pratici per non perdere tempo e ottenere subito dei buoni risultati. I colori delle stelle e l estetica dell immagine risultante dipendono dalla lunghezza e dalla larghezza dei coni stellari, quindi dalla focale di ripresa, dal tempo di esposizione, dall intensità della sfocatura. Le variabili in gioco sembrano complicare la nostra ripresa, ma questa è una delle rare e piacevoli situazioni nelle quali la pratica è molto più semplice di qualsiasi spiegazione. Il consiglio principale, quindi, è quello di fare esperienza e Strumentazione e tecnica La strumentazione necessaria per arrivare agli stessi risultati dell astronomo australiano è davvero minimale. Non servono super sensori CCD con filtri di ultima generazione, non è necessaria neanche una montatura equatoriale motorizzata, né apprendere complicate nozioni di elaborazione. Tutto quello di cui avete bisogno è una semplice reflex collegata a un telescopio (o addirittura a un obiettivo fotografico), un supporto stabile e fisso, mezz ora di tempo per prendere la mano la prima volta, un paio di minuti per le volte successive, un minuto al computer per un brevissimo passaggio di elaborazione, fantasia e voglia di sperimentare. Anche la tecnica è molto semplice; sarà infatti sufficiente effettuare un unica esposizione di un campo stellare; senza inseguimento siderale e variando delicatamente la messa a fuoco fino alla fine della posa. La mancanza dell inseguimento produrrà sul sensore le classiche tracce stellari, mentre la sfocatura progressiva trasformerà le tracce in tanti piccoli coni, la cui larghezza e lunghezza dipendono dal tempo di esposizione e dall intensità della sfocatura. In questo modo la nostra immagine conterrà molta più dinamica rispetto a una posa classica: le stelle più brillanti mostreranno il colore nella parte terminale del cono, quando la loro luce si sarà finalmente distribuita su un numero sufficientemente grande di pixel per evitare la saturazione. Le stelle più deboli avranno coni più stretti ma sempre colorati, soprattutto 20 COELUM 2012

5 dare sfogo alla vostra fantasia. Saranno sufficienti pochi minuti e un paio di tentativi per trovare già il giusto compromesso che soddisferà il vostro gusto estetico. Alcune indicazioni potrebbero comunque rivelarsi utili. Prima di tutto la focale da utilizzare. Ci sono sostanzialmente due possibilità: la ripresa al telescopio di campi stretti, oppure delle costellazioni principali attraverso gli obiettivi delle reflex. In questo secondo caso la durata dell esposizione dovrebbe essere di circa 4-5 minuti (ma dipende anche dalla distanza dal Polo), e la conseguente sfocatura, da effettuare manualmente, dovrebbe risultate piuttosto lenta. Ovviamente sarà necessario agire con delicatezza sulla ghiera di messa a fuoco per evitare di trasmettere vibrazioni all apparecchiatura o peggio alla montatura: è questa sicuramente la parte più difficile dell intera operazione, tanto che sarebbe auspicabile l impiego di un fuocheggiatore elettrico. Come sensibilità possiamo utilizzare i classici 800 ISO, con il diaframma dell obiettivo aperto almeno a f/6. I campi da riprendere sono quelli moderatamente affollati e magari popolati da stelle di diverso colore. La costellazione di Orione è forse l obiettivo migliore, ma anche Boote con la rossa Arturo, o la piccola Lira se si dispone di obiettivi di focale superiore a 50 mm. Favoriti dalla tecnica sono comunque gli ammassi aperti grandi e luminosi come le Pleiadi, M44 nel Cancro e tutti gli ammassi nell Auriga, ma soprattutto il doppio ammasso del Perseo. È importante che lo strumento sia luminoso: maggiore luminosità implica maggiore profondità raggiungibile. La rotazione terrestre sposta le stelle e distribuisce la loro luce in ampie strisciate, e dunque è inutile aumentare il tempo di esposizione per mostrarne di più deboli; tutto è affidato al rapporto focale dello strumento e alla sensibilità della reflex. Riprendendo con una focale inferiore ai 1000 mm (un ottimo valore è intorno ai 600 mm) e sensibilità di almeno 800 ISO, si possono mettere in evidenza i colori di centinaia di stelle. La durata complessiva dell esposizione raramente sarà superiore al minuto; di conseguenza, la messa a fuoco deve variare più velocemente rispetto alle riprese con gli obiettivi di corta focale. Pagina a lato, in basso. Una reflex digitale munita di un obiettivo o collegata a un piccolo rifrattore, poggiata su un robusto treppiede o una montatura non motorizzata, un esposizione di pochi minuti variando gradualmente la messa a fuoco ed ecco che il vero colore delle stelle finalmente si mostra evidente ai nostri dispositivi digitali, senza dover ricorrere a speciali e difficili espedienti elaborativi. La tecnica è molto semplice, tanto che le Pleiadi qui riprese (immagine a destra in alto) rappresentano il mio primo tentativo. Da notare come la grande luminosità delle stelle principali dell ammasso abbia saturato malgrado tutto anche il cono sfuocato. A destra, in basso. Gli ammassi aperti sono i soggetti migliori per applicare la tecnica di Malin. In questa immagine il Doppio ammasso del Perseo ripreso con la tecnica descritta nel testo, attraverso un rifrattore apocromatico Sharpstar da 106 mm f/6,5, reflex Canon 450D non modificata e un minuto di esposizione. La fase di elaborazione è molto semplice e richiede solamente l aumento della saturazione dei colori per mostrarli ancora più evidenti. COELUM

6 Vista la brevità delle esposizioni non si rende neanche necessaria la ripresa dei dark frame. Solamente se siete dei perfezionisti e lavorate con un telescopio, potreste considerare l acquisizione dei flat field. Per ottenere immagini con minore rumore e con colori più fedeli, è consigliabile riprendere in formato RAW. Questo consente ai più esperti ed esigenti di effettuare in fase di elaborazione un bilanciamento del bianco che corregga le inevitabili dominanti di colore. Aiutandosi con un software planetario, si individua nel campo ripreso una stella di colore bianco, contraddistinta da un indice di colore pari a zero o di classe spettrale A0. Un astro di questo tipo, di solito sempre presente, rappresenta il riferimento per il programma di elaborazione su cui effettuare un perfetto bilanciamento del bianco. L operazione è semplice da eseguire, tanto che in alcuni programmi, come Iris e Maxim Dl è sufficiente selezionare la zona che dovrebbe risultare bianca per far bilanciare automaticamente tutta l immagine. Questo passaggio, sebbene non fondamentale, è utile se si cercano colori corrispondenti il più possibile alla realtà. Usare la fantasia Daniele Gasparri, classe 1983, studia astronomia all università di Bologna. Ha ricevuto il suo primo telescopio a 10 anni e da allora non ha mai smesso di guardare il cielo. Appassionato di fotografia astronomica e di tutta la scienza in genere, spera di diventare un astronomo professionista per occuparsi di popolazioni stellari e pianeti extrasolari. Ha pubblicato due libri: Primo incontro con il cielo stellato (www. danielegasparri.com) e L Universo in 25 centimetri (Springer, 2011) è in libreria dallo scorso settembre. In alto. Un esempio di ripresa a sfuocamento progressivo detta a clessidra. Una volta fatte le prime esperienze, ci possono essere molte varianti da sperimentare: l unico limite è la vostra fantasia e creatività. Se utilizzate obiettivi dalla focale medio-corta, troverete senza dubbio interessante combinare la tecnica con quella della classica rotazione attorno al Polo Nord celeste. Sarebbe estremamente interessante effettuare un esposizione di almeno 10 minuti attorno alla stella polare per mostrare la rotazione celeste ed i colori delle stelle limitrofe. Non ho trovato nessuna immagine di questo tipo: un motivo in più per provarci! Una variante ai coni stellari è quella che produce le clessidre. Invece di iniziare l esposizione con l immagine a fuoco per poi sfocarla, si parte da un abbondante fuori-fuoco. Durante l esposizione si muove il fuocheggiatore fino a raggiungere la stessa intensità di sfocatura nella parte opposta. Le stelle non saranno più a forma di cono ma sembreranno proprio delle clessidre. A causa della maggiore lunghezza delle tracce, è consigliabile applicare questa variante in campi stellari poco affollati. Un potente strumento didattico Le immagini che possiamo riprendere in modo così semplice, oltre a deliziare il nostro senso estetico, contengono informazioni scientifiche molto utili dal punto di vista didattico. Se il bilanciamento dei colori è stato effettuato in modo oggettivo come descritto poche righe sopra, i diversi colori saranno anche degli ottimi indicatori della temperatura superficiale, come accennato in apertura di questo articolo. Se il campo è piuttosto ricco vi saranno presenti tutte le classi stellari principali, dalle piccole e deboli stelle rosse alle grandi giganti blu. Confrontando la scala delle tonalità delle vostre immagini con quella teorica dei diversi tipi spettrali, è possibile stimare in modo abbastanza preciso le temperature superficiali di tutte le stelle del campo. Ma non solo: l analisi dei colori negli ammassi aperti ci può fornire anche una approssimativa stima dell età. La maggior parte degli ammassi sono infatti dominati dalle loro stelle massicce di classe O e B, che sono molto luminose ma di vita breve. Analizzando i colori sarà allora possibile stimare l età misurando il rapporto tra le abbondanze di stelle blu, gialle e rosse. Se volete vedere ancora meglio come variano le abbondanze dei colori delle stelle con l avanzare dell età, vi consiglio di riprendere in queste notti di inizio primavera l ammasso aperto M67 nella costellazione del Cancro e magari confrontarlo con i colori delle Pleiadi. Quale dei due è il più vecchio secondo voi? IL DEEP SPACE CCD ATLAS scontato a 15,00 UN ATLANTE INDISPENSABILE PER GLI OSSERVATORI DEEPSKY Per ordinare il volume: > astroshop È composto di 257 tavole con le immagini CCD in negativo di 2400 oggetti del profondo cielo (magnitudine stellare raggiunta 18ª-21ª), di DEC tra +90 e 30 e ordinate per AR. Formato 21x29,7 cm 272 pagine b/n 22 COELUM 2012

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