in persona del giudice del lavoro Giovanni Mimmo ha pronunciato la seguente SENTENZA

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1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ROMA SEZIONE LAVORO in persona del giudice del lavoro Giovanni Mimmo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al numero del ruolo generale dell anno 2013 promossa DA MINZOLINI AUGUSTO, elettivamente domiciliato in Roma via Ennio Quirino Visconti n. 20, presso lo studio del procuratore Avv. Nicola Petracca che lo rappresenta e difende unitamente all Avv. Federico Tedeschini RICORRENTE CONTRO RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del direttore della direzione affari legali e societari Salvatore Lo Giudice, elettivamente domiciliata in Roma corso Vittorio Emanuele II n. 326, presso lo studio del procuratore Avv. Claudio Scognamiglio che la rappresenta e difende unitamente ai procuratori Avv.ti Roberto Pessi e Roberto Testa RESISTENTE FATTO E DIRITTO 1. Minzolini Augusto è stato assunto dalla Rai Radiotelevisione Italiana S.p.A. (di seguito denominata RAI ) con contratto del 5 giugno 2009 in qualità di capo redattore con le mansioni di direttore del TG1 con retribuzione annua di ,00 oltre ad una indennità annua di funzione di ,00; la RAI aveva concesso al ricorrente l uso di una carta di credito aziendale per un importo mensile di 5.200, Il ricorrente è stato in data 6 dicembre 2011 rinviato a giudizio per il reato di peculato di cui all art. 314 c.p. per avere utilizzato la carta di credito per spese personali o comunque non pertinenti al servizio. A seguito di tale rinvio a giudizio con delibera del 13 dicembre 2011 il consiglio di amministrazione della RAI ha disposto il collocamento del

2 ricorrente in posizione di disponibilità ai sensi dell art. 3, secondo comma, della legge 27 marzo 2001 n. 97 in attesa dell individuazione di una diversa funzione; con nota del 15 dicembre 2011 il ricorrente è stato invitato ad optare tra l incarico di corrispondente dagli Stati Uniti, di editorialista per le tematiche politico-sociali e di componente dello staff del gruppo di lavoro finalizzato alla creazione di un polo all-news ed è stata revocata l indennità di funzione; con lettera del 26 gennaio 2012 la RAI ha assegnato al ricorrente l incarico di corrispondente per i servizi giornalistici radiofonici e televisivi dagli Stati Uniti a decorrere dal 15 febbraio 2012, trasferendolo nel contempo a decorrere dal 1 aprile 2012 presso l ufficio di corrispondenza di New York con la funzione di responsabile. Pur riservandosi, con nota del 10 maggio 2011, la valutazione della legittimità della richiesta di ripetizione della somma totale di ,24 richiesta dalla RAI, il ricorrente ha versato all azienda in più soluzioni la somma complessiva di ,43 in relazione all uso della carta di credito aziendale. Con ricorso proposto in via di urgenza Augusto Minzolini ha contestato il provvedimento della RAI con il quale era stato assegnato a diverse mansioni ed ha chiesto la reintegra nelle mansioni di direttore del TG1. Con ordinanza del 12 marzo 2012 il Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso; avverso l ordinanza il ricorrente ha proposto reclamo. Con delibera del consiglio di amministrazione della RAI del 31 maggio 2012 il ricorrente è stato assegnato quale direttore alla direzione corrispondenti esteri collocata nell ambito della direzione generale per gli affari immobiliari, gli approvvigionamenti e i servizi di funzionamento. Il giudizio di reclamo avverso l ordinanza del Tribunale di Roma del 12 marzo 2012 è stato dichiarato estinto a seguito di rinuncia del reclamante alla fase del giudizio Con sentenza del 14 febbraio 2013 la sesta sezione penale del Tribunale di Roma ha assolto Augusto Minzolini dal reato di cui all art. 314 c.p.c. perché il fatto non costituisce reato. A seguito della sentenza resa in sede penale Augusto Minzolini ha chiesto alla RAI con lettera del 18 febbraio 2013 di essere reintegrato nelle mansioni di direttore del TG1 svolte anteriormente al rinvio a giudizio. Con lettera del 25 febbraio 2013 la RAI, sul presupposto che l assegnazione alla direzione corrispondenti esteri integrasse un trasferimento non più collegato al rinvio a giudizio, ha risposto di non essere disposta ad accogliere la richiesta. Essendo stato eletto senatore a decorrere dal marzo 2013 Augusto Minzolini è stato collocato in aspettativa non retribuita per la durata del mandato. 2. Con il presente ricorso Augusto Minzolini ha esposto: che gli accordi con il direttore generale della RAI circa l uso della carta di credito aziendale non prevedevano alcun controllo sulle spese sostenute, salva la consegna delle ricevute; di avere restituito la somma di ,93 con ogni riserva di ripetizione e di avere diritto alla restituzione della somma a pagina 2 di 17

3 seguito della sentenza di assoluzione in sede penale che ha accertato l uso corretto della carta di credito aziendale; che una volta assegnato all incarico di direttore della direzione corrispondenti estero è stato impegnato solo per due o tre ore al giorno; di avere subito dalla vicenda un danno all immagine, alla professionalità ed esistenziale. In diritto, ha affermato che la RAI ha applicato in maniera inesatta l art. 3 della legge n. 97/2001, per cui non avrebbe dovuto assegnarlo alla sede di New York prima e alla direzione corrispondenti estero poi; che l assegnazione a tali mansioni aveva un carattere discriminatorio e latamente disciplinare; di avere in ogni caso diritto, a seguito dell assoluzione in sede penale, ad essere nuovamente assegnato alla direzione del TG1; di avere, di conseguenza, diritto a percepire l indennità di funzione pari ad ,00 annui e la restituzione della somma di ,93; di avere diritto al risarcimento dei danni all immagine, alla professionalità ed esistenziale, quantificabile in ,00 a seguito del danno da dequalificazione, in ,00 per danno all immagine e alla reputazione professionale e in ,00 per danno esistenziale. Ha convenuto in giudizio la RAI chiedendo di accertare la sussistenza di una condotta discriminatoria posta in essere dalla RAI, l illegittimità del provvedimento di trasferimento a New York e della assegnazione alla direzione corrispondenti esteri e di ordinare alla RAI la reintegra nelle mansioni di direttore del TG1; di condannare la RAI al pagamento della indennità di funzione di ,00 annui e alla restituzione della somma di ,93; di condannare la RAI al risarcimento del danno pari ad , La RAI ha contestato il ricorso e chiesto il rigetto delle domande. In particolare, ha rilevato che il ricorrente aveva utilizzato in maniera non appropriata la carta aziendale, per cui aveva recuperato le somme che lo stesso dipendente aveva dichiarato di essere disposto a restituire; ha affermato la correttezza del comportamento dell azienda, la quale, a seguito del rinvio a giudizio per il reato di peculato, aveva provveduto ad assegnare al ricorrente un diverso incarico, di responsabile dell ufficio corrispondenza di New York, corrispondente a quello di direttore del TG1, per il quale era prevista una retribuzione annua di ,88; che a seguito della indisponibilità del ricorrente a recarsi a New York è stato nominato direttore della direzione corrispondenti esteri; che a seguito dell elezione del ricorrente a senatore è stato collocato in aspettativa non retribuita per tutto il tempo del mandato parlamentare; che, pertanto, la domanda di ricollocamento nelle mansioni di direttore del TG1 risulta preclusa dal collocamento in aspettativa ed è, in ogni caso, infondata in quanto nelle more il dipendente era stato trasferito ad altra sede, quale direttore della direzione corrispondenti esteri; eccepiva, inoltre, la decadenza dal diritto di contestare tale ultimo trasferimento ai sensi dell art. 32, quarto comma, della legge n. 183/2010. Ha affermato, infine, l insussistenza del diritto a percepire l indennità di funzione e alla restituzione della somma restituita spontaneamente. pagina 3 di 17

4 4. Il ricorrente, assunto con la qualifica di capo redattore a decorrere dal 28 maggio 2009 si duole, in primo luogo, della rimozione dall incarico di direttore del TG1 e del trasferimento presso la sede di New York con l incarico di responsabile dell ufficio di corrispondenza prima e di direttore della direzione corrispondenti esteri poi e, in ogni caso, afferma che, una volta assolto nell ambito del giudizio penale a seguito del quale era stato trasferito, avrebbe avuto diritto al ripristino dell incarico precedente Con delibera del consiglio di amministrazione della RAI del 13 dicembre 2011 è stata disposta in applicazione dell art. 3 della legge n. 97 del 2001 la rimozione del ricorrente dall incarico di direttore del TG1, la sua messa a disposizione del direttore generale per l individuazione di un differente incarico e l affidamento dell incarico fino al 3 gennaio 2012 ad Alberto Maccari. Con nota del 15 dicembre 2011 la RAI ha invitato il ricorrente ad optare tra uno dei seguenti incarichi: corrispondete per i servizi giornalistici radiofonici e televisivi dagli Stati Uniti; editorialista per le tematiche politico-sociali alle dirette dipendenze del direttore di Rai News; componente dello staff del gruppo di lavoro coordinato dal vice direttore generale per il coordinamento dell offerta Radiotelevisiva finalizzato alla creazione di un polo all-news. Con lettera del 26 gennaio 2012 la RAI facendo seguito alla delibera del CDA del 13 dicembre 2011, preso atto del mancato esercizio del diritto di opzione nel termine di trenta giorni e ritenendo che sussistano evidenti motivi di opportunità in considerazione del discredito che l azienda potrebbe ricevere per effetto della permanenza nell incarico di direttore della testata del TG1, stante l esposizione negativa che l immagine aziendale potrebbe subire nelle more del procedimento penale per il reato di peculato, ha assegnato al ricorrente l incarico di corrispondente per i servizi giornalistici radiofonici e televisivi dagli Stati Uniti a decorrere dal 15 febbraio 2012, trasferendolo nel contempo a decorrere dal 1 aprile 2012 presso l ufficio di corrispondenza di New York con la funzione di responsabile. Con delibera del consiglio di amministrazione della RAI Augusto Minzolini è stato assegnato alla direzione corrispondenti esteri con la qualifica di direttore. 5. L art. 3, la cui rubrica è intitolata Trasferimento a seguito di rinvio a giudizio dispone al primo comma che salva l applicazione della sospensione dal servizio in conformità a quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, quando nei confronti di un dipendente di amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica è disposto il giudizio per alcuni dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, del codice penale l amministrazione di appartenenza lo trasferisce ad un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio al momento del fatto, con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle svolte in precedenza. L amministrazione di appartenenza, in relazione alla propria organizzazione, può procedere al trasferimento di sede, o alla attribuzione di un incarico differente da quello già svolto dal pagina 4 di 17

5 dipendente, in presenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell ufficio in considerazione del discredito che l amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza. Precisa il secondo comma dell articolo in esame che qualora, in ragione della qualifica rivestita, ovvero per obiettivi motivi organizzativi, non sia possibile attuare il trasferimento di ufficio, il dipendente è posto in posizione di aspettativa o di disponibilità, con diritto al trattamento economico in godimento salvo che per gli emolumenti strettamente connessi alle presenze in servizio, in base alle disposizioni dell ordinamento dell amministrazione di appartenenza Circa la corretta applicazione della disposizione in esame devono essere reiterate le argomentazioni già sviluppate dal giudicante nel corso del giudizio cautelare promosso dal ricorrente nei confronti della RAI e definito con ordinanza del 12 marzo Ritenuto applicabile al rapporto di lavoro in oggetto l art. 3 della legge n. 97 del 2001, ritiene il giudicante che la norma sia stata applicata dalla RAI correttamente. E pacifica, e in ogni caso documentata, la sussistenza del requisito che consente l applicazione della norma, cioè l esistenza di un rinvio a giudizio per il reato di peculato di cui all art. 314 c.p. La circostanza dell esistenza di un rinvio a giudizio per uno dei reati contro la pubblica amministrazione indicati, integra oggettivamente un elemento costitutivo della fattispecie, che preclude, prima al datore di lavoro e poi al giudice, ogni valutazione circa la fondatezza dell accusa penale. Secondo la prima parte del primo comma l amministrazione di appartenenza lo trasferisce ad un ufficio diverso da quello in cui prestava servizio al momento del fatto, con attribuzione di funzioni corrispondenti, per inquadramento, mansioni e prospettive di carriera, a quelle svolte in precedenza. Il legislatore, dunque, in presenza di un rinvio a giudizio del dipendente per uno dei reati contro la pubblica amministrazione, impone al datore di lavoro di spostare il lavoratore da un ufficio ad un altro, ravvisando così motivi di non opportunità ex lege circa la permanenza del dipendente presso lo stesso ufficio. Ovviamente tale norma presuppone che il datore di lavoro abbia una organizzazione tale da rendere possibile il mero cambio di ufficio, all interno della stessa sede, che non comporti alcuna modifica qualitativa dell incarico (stessa qualifica e stesse mansioni). Qualora ciò non sia possibile, ovvero non si ravvisino motivi di opportunità nel mero mutamento di ufficio, l amministrazione di appartenenza, in relazione alla propria organizzazione, può procedere al trasferimento di sede, o alla attribuzione di un incarico differente da quello già svolto dal dipendente, in presenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell ufficio in considerazione del discredito che l amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza. pagina 5 di 17

6 Questa seconda parte della norma si distingue nettamente dalla prima: mentre il mero spostamento di ufficio che non comporti modifiche di sede e di incarico in presenza di un rinvio a giudizio costituisce un atto necessitato per la pubblica amministrazione, il trasferimento di sede e/o l attribuzione di un diverso incarico presuppongono la sussistenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell ufficio in considerazione del discredito che l amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza. Nella fattispecie in esame il datore di lavoro non ha semplicemente trasferito il dipendente da un ufficio ad un altro della stessa sede, ma, avvalendosi della facoltà di cui alla seconda parte della norma, lo ha trasferito sia di sede, New York, sia gli ha assegnato un differente incarico (da direttore del TG1 a responsabile dell ufficio di corrispondenza di New York). Ne consegue che il provvedimento può ritenersi legittimo solo in presenza di evidenti motivi di opportunità circa la permanenza del dipendente nell ufficio in considerazione del discredito che l amministrazione stessa può ricevere da tale permanenza. La RAI, sia nel provvedimento del 26 gennaio 2012, sia nella propria memoria di costituzione ha evidenziato che i motivi di opportunità richiesti dalla norma risiedono nell intento di preservare l immagine aziendale e della testata TG1, stante l oggettiva incompatibilità tra il rinvio a giudizio per un reato contro la pubblica amministrazione e le funzioni di direttore della principale testata giornalistica della azienda, anche in relazione alla fitta rete di rapporti istituzionali riservati al titolare di tale incarico. Al riguardo il giudicante osserva che, non essendo previsto dall art. 3 della legge n. 97 del 2001 un obbligo di indicare analiticamente i motivi nello stesso provvedimento di trasferimento (diversamente da quanto la legge prevede, ad esempio, all art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 in materia di apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, e all art. 2 della legge n. 604 del 1966 in materia di licenziamenti), l azienda abbia legittimamente specificato e integrato in giudizio la motivazione posta a fondamento del provvedimento. Non costituisce, pertanto, motivo di illegittimità la formale mancanza di una specificazione dei motivi nel provvedimento in questione, in quanto elemento essenziale imposto dalla norma non è il dato formale, quanto quello sostanziale della sussistenza di tali motivi. Inoltre, i motivi di opportunità sottesi al provvedimento possono essere equiparati alle esigenze organizzative che, ai sensi dell art c.c., consentono al datore di lavoro l esercizio dello ius variandi. In tal caso il sindacato del giudice deve essere limitato da un lato alla valutazione della sussistenza dei fatti posti a fondamento del provvedimento e dall altro alla ragionevolezza e congruenza delle motivazioni addotte, al fine di evitare che il provvedimento datoriale risulti pretestuoso e irrazionale: infatti, ai sensi dell art. 30 della legge 4 novembre 2010 n. 183 in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge contengano clausole generali il controllo giudiziale è pagina 6 di 17

7 limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell ordinamento, all accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro. Ribadito che i fatti posti a fondamento del provvedimento (esistenza di un rinvio a giudizio per uno dei reati indicati nell art. 3 della legge n. 97 del 2001) sono pacifici, la valutazione della sussistenza di motivi di opportunità circa la permanenza del ricorrente nell incarico assegnato, e dunque l esigenza di trasferire il dipendente nelle more della definizione del giudizio penale, può spettare solo al datore di lavoro, mentre spetta al giudice un sindacato sulla ragionevolezza di tale valutazione e coerenza rispetto al provvedimento adottato. Sotto questo profilo il provvedimento contestato risulta immune da censure, in quanto non può certamente ritenersi irragionevole la scelta dell azienda di trasferire il direttore del testata giornalistica più importante a fronte di un rinvio a giudizio per peculato per fatti posti in essere proprio nell esercizio di quelle specifiche funzioni. Infatti, la circostanza che la testata giornalistica più importante dell azienda venga diretta da un soggetto che ha subito un rinvio a giudizio per peculato per fatti posti in essere proprio in relazione alla funzione di direttore, è potenzialmente idonea a gettare discredito nei confronti dell azienda, rendendone così certamente opportuno un intervento Non risultano condivisibili le argomentazioni sviluppate dalla difesa del ricorrente secondo cui l esigenza rappresentata dall azienda sarebbe del tutto strumentale, come dimostrato dal fatto che in qualità di responsabile dell ufficio corrispondenza di New York apparirebbe in video in misura maggiore rispetto a quanto non avveniva nella sua qualità di direttore. In primo luogo, nell assegnazione del diverso incarico il datore di lavoro, seppure ciò non emerga direttamente dalla seconda parte del primo comma dell art. 3 della legge n. 97 del 2001, è obbligato, ai sensi dell art c.c. ad assegnare al lavoratore mansioni che siano equivalenti alla qualifica ricoperta, per cui è fisiologico che anche il nuovo incarico debba rivestire una idonea rilevanza; in secondo luogo, i motivi di opportunità indicati dall azienda non sono collegati alla attività di giornalista in sé, ma unicamente al ruolo apicale ricoperto dal ricorrente, ruolo non più rivestito nell incarico di responsabile di una sede estera. Le ulteriori censure al provvedimento, collegate alla presunta strumentalità dello stesso, volto unicamente a revocare l incarico al ricorrente alla luce del diverso assetto politico che contemporaneamente ai fatti di causa si è instaurato, sono prive di rilevanza giudica, dovendo il giudice valutare la legittimità degli atti posti in essere dal datore di lavoro, senza che possano venire in rilievo sue eventuali riserve mentali, che come tali non hanno alcuna rilevanza. Alla luce delle argomentazioni che precedono deve ritenersi legittimo, in quanto conforme alle prescrizioni di cui all art. 3 della legge n. 97 del 2001, il provvedimento pagina 7 di 17

8 dell azienda con il quale il ricorrente è stato rimosso dall incarico di direttore del TG1 e assegnato ad altro incarico. 6. Il ricorrente, tuttavia, afferma il diritto al ripristino delle funzioni di direttore del TG1 a seguito dell assoluzione dalla accusa di peculato nell ambito del procedimento penale che aveva dato origine al trasferimento in applicazione del terzo comma dell art. 3 della legge n. 97/2001. La norma, infatti, dispone che Salvo che il dipendente chieda di rimanere presso il nuovo ufficio o di continuare ad esercitare le nuove funzioni, i provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 perdono efficacia se per il fatto è pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorsi cinque anni dalla loro adozione, sempre che non sia intervenuta sentenza di condanna definitiva. In caso di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva, l amministrazione, sentito l interessato, adotta i provvedimenti consequenziali nei dieci giorni successivi alla comunicazione della sentenza, anche a cura dell'interessato. Con sentenza del Tribunale di Roma del 14 febbraio 2013 il ricorrente è stato assolto dal reato di peculato perché il fatto non costituisce reato. Con nota del 18 febbraio 2013 il ricorrente ha comunicato alla RAI l esito del giudizio penale e contestualmente ha chiesto di tornare a svolgere le mansioni di direttore del TG Il terzo comma dell art. 3 citato prevede effettivamente il diritto del dipendente a tornare a svolgere le mansioni che svolgeva prima del mutamento di incarico nell ipotesi di assoluzione dall accusa in sede penale, salvo il caso che sia lo stesso dipendente a chiedere di mantenere il nuovo incarico. Tuttavia, tale diritto non costituisce un effetto automatico della assoluzione penale in quanto lo stesso legislatore attribuisce al datore di lavoro la facoltà di una diversa valutazione. Il quarto comma dell art 3 citato dispone, infatti, che Nei casi previsti nel comma 3, in presenza di obiettive e motivate ragioni per le quali la riassegnazione all ufficio originariamente coperto sia di pregiudizio alla funzionalità di quest ultimo, l amministrazione di appartenenza può non dare corso al rientro La RAI, come emerge dalla corrispondenza intercorsa tra l azienda e il dipendente, ha contestato il diritto del lavoratore alla assegnazione all originario incarico di direttore del TG1 rilevando che l assegnazione all incarico di direttore della direzione corrispondenti esteri avvenuta a seguito della delibera del consiglio di amministrazione del 31 maggio 2012 non era stata disposta in applicazione dell art.3, secondo comma, della legge n. 97/2001 ma costituiva un mero esercizio dello jus variandi ai sensi dell art c.c. Nella nota del 12 marzo 2013, inoltre, nel ribadire quanto sopra l azienda ha precisato che in ogni caso l assegnazione del ricorrente all incarico di direttore del TG1 sarebbe certamente preclusa dallo status di parlamentare nel frattempo acquisito dal ricorrente. pagina 8 di 17

9 6.3. Quest ultima, stante l attuale situazione di aspettativa dal servizio in cui si trova il dipendente, ha indotto la RAI ad eccepire l inammissibilità della domanda per difetto di interesse ad agire, in quanto l eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe, allo stato, portare all assegnazione del dipendente in aspettativa alle funzioni richieste. L eccezione non può essere condivisa. Infatti, ai fini dell interesse ad agire bisogna distingue l impossibilità di eseguire una sentenza, che se genetica porta all inammissibilità del ricorso, se sopravvenuta al giudizio porta alla cessazione della materia del contendere, dalla contingente e potenzialmente transitoria non eseguibilità di un provvedimento giudiziario. Pertanto, il ricorrente, il quale attualmente si trovi in aspettativa senza assegni, in caso di accoglimento della domanda non potrà certamente eseguire la sentenza e pretendere di svolgere in concreto le mansioni richieste, ma non per questo non ha un interesse giuridicamente rilevate ad ottenere una pronuncia che, una volta cessato l incarico parlamentare, potrebbe porre in esecuzione: infatti, egli ha certamente interesse ad una pronuncia che accerti il diritto al ripristino delle mansioni svolte, anche se attualmente tale pronuncia, in considerazione della aspettativa, non potrebbe portare all adozione di alcun provvedimento. Del resto, sarebbe incongruo ritenere che il ricorrente debba prima dimettersi, ovvero cessare, dall incarico parlamentare e poi azionare il proprio diritto, in quanto ben potrebbe lo stesso avere interesse a subordinare una eventuale rinuncia al mandato parlamentare proprio al ripristino delle mansioni di direttore di telegiornale. Del resto la stessa circostanza di avere la possibilità di scegliere, una volta ottenuta una pronuncia favorevole, se rimanere in aspettativa ovvero avvalersi della pronuncia rassegnando le dimissioni da parlamentare, costituisce un bene giuridico che giustifica un concreto ed attuale interesse ad agire. Un conto è l accertamento del diritto del ricorrente al ripristino delle mansioni a suo tempo sottratte, altro conto è la circostanza che allo stato, considerato l attuale collocamento in aspettativa, la sentenza non potrebbe essere eseguita. Infatti, l eventuale esito favorevole del giudizio non precluderebbe dal un lato al ricorrente di chiedere il ripristino delle mansioni nel momento in cui cessi la posizione di aspettativa, dall altro all azienda resistente di adottare un diverso e nuovo provvedimento proprio in considerazione della attuale collocazione in aspettativa del dipendente e della necessità di coprire il posto di lavoro. Ciò porta a ritenere che, nonostante la transitoria in eseguibilità della sentenza, la pronuncia potrebbe in ogni caso produrre effetti giuridici nei confronti di entrambe le parti, con evidente esclusione di una attuale carenza di interesse al giudizio La RAI ha ritenuto di non riassegnare al ricorrente l incarico di direttore del TG1 in quanto tra l assegnazione ad altro incarico in attuazione della disposizione di cui all art. 3 della legge n. 97/2001 e la sentenza di assoluzione sarebbe intervenuto un ulteriore trasferimento non collegato alle esigenze connesse all art. 3 della legge n. 97/2001, ma a mere esigenze pagina 9 di 17

10 organizzative ai sensi dell art c.c., trasferimento da un lato non impugnato a pena di decadenza ai sensi dell art. 32 della legge 4 novembre 2010 n. 183 e dall altro lato che avrebbe fatto venire meno il diritto alla riassegnazione dell incarico sottratto in presenza di una sentenza di assoluzione. L argomentazione non risulta condivisibile. Con delibera del 13 dicembre 2011 il consiglio di amministrazione della RAI ha disposto il collocamento del ricorrente in posizione di disponibilità ai sensi dell art. 3, secondo comma, della legge n. 97/2001 in attesa dell individuazione di una diversa funzione; con nota del 15 dicembre 2011 il ricorrente è stato invitato ad optare tra l incarico di corrispondente dagli Stati Uniti, di editorialista per le tematiche politico-sociali e di componente dello staff del gruppo di lavoro finalizzato alla creazione di un polo all-news; con lettera del 26 gennaio 2012 la RAI ha assegnato al ricorrente l incarico di corrispondente per i servizi giornalistici radiofonici e televisivi dagli Stati Uniti a decorrere dal 15 febbraio 2012, trasferendolo nel contempo a decorrere dal 1 aprile 2012 presso l ufficio di corrispondenza di New York con la funzione di responsabile. Avverso tale assegnazione il ricorrente ha proposto ricorso in via di urgenza. Con delibera del consiglio di amministrazione della RAI del 31 maggio 2012 il ricorrente è stato assegnato all incarico di direttore della direzione corrispondenti esteri collocata nell ambito della direzione generale per gli affari immobiliari, gli approvvigionamenti e i servizi di funzionamento. Tale delibera, adottata in pendenza del giudizio di reclamo avverso il provvedimento cautelare, conteneva espressamente un richiamo alla delibera del 13 dicembre 2011, cioè il provvedimento con il quale il consiglio di amministrazione preso del rinvio a giudizio del ricorrente e in attesa di individuare una sua collocazione lo collocava in disponibilità ai sensi dell art. 3 della legge n. 97/2001. Pertanto, seppure sia vero che tale delibera non contenga un espresso riferimento alla legge n. 97/2001, appare chiaro, attraverso il richiamo alla precedente delibera del 13 dicembre 2011, che con essa la RAI non abbia fatto altro che individuare l incarico da assegnare al ricorrente a seguito della rimozione da direttore del TG1 e in attesa della definizione del giudizio penale a suo carico, per cui l assegnazione all incarico di direttore della direzione corrispondenti esteri non integri un nuovo e diverso esercizio dello jus variandi ai sensi dell art c.c., ma costituisca mera specificazione dell ufficio cui assegnare il dipendente a seguito del mutamento di assegnazione disposto in applicazione dell art. 3 della legge n. 97/2001. Corollario di tale argomentazione è che tale assegnazione, non essendo stata disposta ai sensi dell art c.c. non risulta soggetta alla disciplina decadenziale di cui all art. 32 della legge n. 183/2010, per cui l eccezione della RAI deve essere disattesa. pagina 10 di 17

11 6.5. L incarico parlamentare del ricorrente se non esclude l esistenza di un interesse ad agire incide sull esistenza del diritto al ripristino delle funzioni di direttore di telegiornale. Si è detto, infatti, che il quarto comma dell art. 3 della legge n. 97/2001 consente al datore di lavoro di non riassegnare al lavoratore trasferito a seguito di un rinvio a giudizio alle precedenti mansioni in presenza di obiettive e motivate ragioni per le quali la riassegnazione all ufficio originariamente coperto sia di pregiudizio alla funzionalità di quest ultimo. Con la nota del 12 marzo 2013 la RAI ha ritenuto, tra le altre motivazioni, di non potere accogliere la domanda del dipendente di assegnazione al ruolo di direttore del TG1, in quanto tale incarico sarebbe incompatibile con lo status di parlamentare acquisito dal ricorrente. In sostanza, seppure con motivazione subordinata ad altra, la RAI ha inteso avvalersi della facoltà di cui al quarto comma dell art. 3 della legge n. 97/2001 ritenendo che sussistessero ragioni per non riassegnare il ricorrente all ufficio originariamente ricoperto, ragioni consistenti nell essersi candidato alle elezioni politiche e nell essere stato eletto in Parlamento. Considerato che l art. 2.5, secondo comma lett. f), del codice etico RAI prevede una incompatibilità tra l accettazione di una candidatura elettorale e lo svolgimento di attività giornalistica all interno dell azienda nonché il divieto per il giornalista che assume cariche pubbliche elettive di curare e condurre trasmissioni televisive, appare evidente l inopportunità (oltre che l incompatibilità) tra il ruolo di direttore del telegiornale e l accettazione di una candidatura elettorale prima e la nomina a parlamentare poi: tale situazione, infatti, presuppone la piena adesione del giornalista ad un partito politico che rende certamente non opportuno l affidamento allo stesso giornalista di un ruolo di direzione del telegiornale che, essendo edito dalla televisione pubblica, non può che caratterizzarsi per l assoluta imparzialità dell informazione. Il profilo che qui viene in rilievo non è tanto collegato alla posizione di aspettativa del giornalista, ma proprio alla circostanza che lo stesso, candidandosi con un partito politico alle elezioni e risultando eletto ha, almeno in apparenza, perso quelle doti di imparzialità che devono caratterizzare l incarico di direttore del telegiornale, come del resto implicitamente evidenziato dalla RAI attraverso il riferimento al codice etico, la cui situazione di incompatibilità è chiaramente riferita all inopportunità che un giornalista del servizio pubblico eletto parlamentare continui a svolgere un ruolo di direzione di una testata giornalistica. Appare così non censurabile la motivazione, in realtà neppure contestata dal ricorrente non costituendo il punto motivo di contestazione, secondo la quale la RAI ha ritenuto di non dovere procedere alla riassegnazione del ricorrente all incarico di direttore del TG1 proprio in relazione alla circostanza di essersi candidato alle elezioni e di essere stato eletto in Parlamento. Infatti, premesso che l incarico di direttore del TG1 costituisce estrinsecazione di un potere discrezionale del datore di lavoro nell individuare il capo redattore cui assegnare pagina 11 di 17

12 l incarico e comporta il coordinamento di tutti i giornalisti con il compito di dettare le linee editoriali, appare con ogni evidenza non opportuno che tale incarico venga assegnato ad un soggetto che si è candidato alle elezioni politiche con un determinato partito e che sia risultato eletto. A prescindere dall obbligatoria sospensione dall incarico imposta transitoriamente dal citato codice etico dell azienda per i giornalisti che si candidano alle elezioni e che vengano eletti ad incarichi politici, così come sarebbe certamente legittimo il provvedimento di revoca dall incarico per il direttore del telegiornale che venga candidato alle elezioni parlamentari, appare immune da censure la decisione di ritenere sussistenti motivi di opportunità per non confermare il ricorrente nel ruolo di direttore del TG1. Pertanto, anche se solo sotto tale ulteriore profilo evidenziato dall azienda in via meramente subordinata, appare non censurabile la decisione dell azienda che investe l esercizio di poteri discrezionali, come tali non sindacabili dal giudice. Così come non è sindacabile la scelta di affidare l incarico di direzione di una testata giornalistica ad uno piuttosto che ad un altro, allo stesso modo non è sindacabile la scelta dell azienda, in presenza di ragioni obiettive, di non confermare l incarico stesso: e certamente, come illustrato, l accettazione di una candidatura ad elezioni politiche e la nomina a senatore costituiscono ragioni obiettive per operare tale scelta discrezionale. Si deve, infine, ribadire che il sindacato del giudice avverso un provvedimento discrezionale del datore di lavoro deve essere limitato da un lato alla valutazione della sussistenza dei fatti posti a fondamento del provvedimento e dall altro alla ragionevolezza e congruenza delle motivazioni addotte, al fine di evitare che il provvedimento datoriale risulti pretestuoso e irrazionale: infatti, ai sensi dell art. 30 della legge 4 novembre 2010 n. 183 in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge contengano clausole generali il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell ordinamento, all accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro. Orbene, nella fattispecie la circostanza dedotta (elezione al Parlamento) risulta pacifica e non può ritenersi, alla luce dell incompatibilità sancita dal citato codice etico e da elementari canoni di buon senso, che la motivazione appaia irragionevole e pretestuosa. 7. Il ricorrente, infine, si duole dell assegnazione alla direzione corrispondenti esteri in qualità di direttore; afferma, infatti, la non equivalenza delle mansioni da espletare rispetto a quelle espletate fino al 13 dicembre 2011 quale direttore del TG1, per cui rivendica il diritto ad essere assegnato a mansioni che possano considerarsi equivalenti a quelle ricoperte. Mentre nel pubblico impiego privatizzato è stato recepito un concetto di equivalenza formale, ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita e non sindacabile dal giudice, nell impiego privato il giudizio di pagina 12 di 17

13 equivalenza delle mansioni non può in alcun modo essere sganciato dal livello di professionalità che ciascuna mansione richiede. Ai fini della verifica del legittimo esercizio dello jus variandi da parte del datore di lavoro, deve essere valutata dal giudice la omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente (cfr. Cass. 8 giugno 2009, n ). Occorre distinguere il prestigio e l importanza di un incarico conferito ad un lavoratore dal livello di professionalità che lo stesso comporta. Certamente l incarico di direttore della principale testata giornalistica della RAI ha una importanza e conferisce un prestigio di gran lunga maggiori rispetto all incarico di direttore della direzione corrispondenti esteri, direzione, peraltro, appena istituita nell ambito della RAI. Tuttavia, il giudizio di equivalenza deve necessariamente essere operato non tanto in relazione all importanza e al prestigio di un incarico, quanto in relazione alla professionalità dallo stesso richiesta, non essendo configurabile un diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni da ultimo svolte, sebbene maggiormente gratificanti per la sua professionalità (cfr. Cass. 20 marzo 2004, n. 5651). In quest ottica viene in rilievo la distinzione tra l incarico conferito dal datore di lavoro e la qualifica ricoperta dal lavoratore: il primo attiene al mero svolgimento di determinate funzioni, il secondo delinea il livello professionale raggiunto dal lavoratore al quale viene, normalmente, ancorata la retribuzione. Vi sono degli incarichi, e segnatamente quelli apicali, che il datore di lavoro può assegnare ai lavoratori che ricoprano una determinata qualifica e che sono caratterizzati da unicità, nel senso che il soggetto cui viene assegnato tale incarico è l unico che svolge quelle determinate funzioni, certamente sovraordinate rispetto a quelle svolte dagli altri colleghi aventi uguale qualifica ma che non ricoprono quello specifico incarico. La Suprema Corte ha ritenuto, in tema di posizioni organizzative nel comparto enti locali, che non integri demansionamento ma una mera restituzione a compiti rientranti nella qualifica posseduta l ipotesi in cui al titolare di un determinato incarico venga revocata la posizione organizzativa con ripristino delle mansioni espletate precedentemente al conferimento dell incarico (cfr. Cass. 2 settembre 2010, n ). Un ragionamento analogo può essere seguito nell ipotesi di conferimento, ad un giornalista che abbia la qualifica di capo redattore, dell incarico di direzione della testata giornalistica: considerato che tale incarico non ha equivalenti nell ambito della struttura organizzativa dell azienda, una volta che l incarico, per qualunque ragione, venga a cessare, il titolare dell incarico non può certamente pretendere di continuare a svolgere le stesse mansioni, ovvero mansioni equivalenti rispetto a quello specifico incarico, in quanto tale equivalenza non pagina 13 di 17

14 sussiste con nessun altra funzione, ma deve essere restituito alle mansioni corrispondenti alla qualifica svolta in precedenza. Argomentando diversamente e ritenendo che un lavoratore cui venga assegnato un incarico apicale possa essere spostato solo verso un incarico del tutto equivalente, presupporrebbe l inamovibilità del titolare dell incarico medesimo, il quale se svolgesse altre funzioni dovrebbe considerarsi demansionato. Allora la valutazione di equivalenza non può in tal caso semplicemente essere operata in relazione all incarico in sé, ma deve essere operata in relazione alla qualifica rivestita, tenendo ovviamente in considerazione la professionalità acquisita in virtù dell incarico. Proprio tenendo presenti tali considerazioni l art. 11 dell accordo integrativo Rai-Usigrai del 13 gennaio 2010 prevede che un direttore di testata al termine delle funzioni possa essere assegnato ad una delle posizioni indicate e ritenute equivalenti dal punto di vista del contenuto professionale, tra cui vi è l incarico di direttore di una direzione aziendale (così come vi è incluso l incarico di corrispondente dall estero). Non può essere condivisa l argomentazione secondo cui la disposizione dell art. 11 dell accordo integrativo citato non potrebbe trovare applicazione al caso in esame, in quanto presuppone la cessazione dall incarico, mentre il ricorrente non sarebbe cessato dall incarico, ma solo temporaneamente assegnato ad altra attività: la norma contrattuale disciplina semplicemente l assegnazione di un incarico al direttore di testata che non svolga più tale funzione, a prescindere dalle modalità e dai motivi che hanno portato alla cessazione dello svolgimento delle mansioni di direttore di testata, per cui risulta pienamente applicabile al caso in esame. Per termine delle funzioni si intende ovviamente qualunque ipotesi di cessazione dell incarico e non solo la scadenza naturale dello stesso. Una volta che le parti sociali abbiano ritenuto che, in relazione alle considerazioni sopra sviluppate, l incarico di corrispondente dall estero e di direttore di una direzione aziendale debbano ritenersi equivalenti dal punto di vista del contenuto professionale a quello di direttore di testata, non residuano più margini per affermare che l incarico assegnato al ricorrente non possa essere ritenuto equivalente a quello svolto in precedenza. 8. Ne consegue la legittimità dei provvedimenti con i quali la RAI ha assegnato ai sensi dell art. 3 della legge n. 97/2001 l incarico prima di responsabile dell ufficio corrispondenza da New York e poi di direttore della direzione corrispondenti esteri, la legittimità del diniego, una volta assolto dalle accuse penali, di una rassegnazione all originario incarico e l insussistenza di una dequalificazione professionale. In conclusione, deve essere rigettata la domanda volta al ripristino delle funzioni di direttore del TG1, la domanda volta al pagamento dell indennità di funzione, essendo tale compenso strettamente connesso all esercizio delle funzioni di direttore di testata e le domande pagina 14 di 17

15 risarcitorie che avevano quale presupposto la sussistenza di condotte della RAI ritorsive, discriminatorie e dequalificanti Deve essere, invece, accolta la domanda volta alla restituzione della somma di ,43 che Augusto Minzolini aveva spontaneamente restituito alla RAI nelle more del giudizio penale che aveva ad oggetto l accusa di essersi indebitamente appropriato di tali somme, effettuando spese non riconducibili alle sue funzioni. Dalla lettura della sentenza del Tribunale di Roma, sezione penale, che ha assolto l imputato perché il fatto non costituisce reato non emerge che, come affermato dal ricorrente, il collegio abbia ritenuto che ogni spesa da lui affrontata con l utilizzo della carta di credito aziendale era all evidenza congrua e giustificata, ma il giudice si è limitato ad escludere l elemento soggettivo del reato in quanto mancava la prova della consapevolezza della destinazione a fini diversi da quelli inerenti alla professione e al servizio, svolti dal Minzolini alle dipendenze dell ente RAI, delle somme da egli spese nel periodo in contestazione. La sentenza in questione, pertanto, non afferma in alcun modo che le spese sostenute dal ricorrente fossero tutte documentate, ma si limita ad affermare che, a seguito di uno scambio di corrispondenza con l ex direttore generale della RAI, era insorto un equivoco, nel quale era caduto il ricorrente, circa la necessità che le spese sostenute con la carta di credito venissero o meno documentate (sostanzialmente attraverso l indicazione dei nominativi dei soggetti che consumavano i pasti); nella stessa sentenza si dà atto che Minzolini, nella corrispondenza con l ex direttore generale, aveva manifestato la disponibilità a restituire le spese in relazione alle quali non fosse stato in grado di ricostruire la motivazione, mentre un testimone (il dott. Flussi, responsabile del personale) aveva dichiarato che le spese non documentate (in quanto riferite a pasti in assenza della specificazione del soggetto che ne aveva usufruito) ammontavano ad ,93 che corrispondeva alla somma restituita da Minzolini. La circostanza che il ricorrente non fosse a conoscenza del fatto che dovesse indicare la giustificazione delle spese sostenute con la carta di credito porta ad escludere la rilevanza penale e disciplinare della condotta del dipendente (il quale, infatti, non è stato sottoposto a procedimento disciplinare da parte della RAI), ma non è idonea in sé ad incidere sul rapporto civilistico tra datore di lavoro e lavoratore in ordine alla rimborsabilità delle spese sostenute. Una volta che siano insorte contestazioni tra lavoratore e datore di lavoro circa il corretto utilizzo della carta di credito aziendale e il dipendente abbia restituito la somma corrispondete alle spese non documentate, è onere del ricorrente, nel chiedere la restituzione delle somme medesime, provare l esistenza di un indebito, cioè che effettivamente quelle spese trovavano specifica giustificazione in ragioni connesse al servizio espletato. Dalla lettura della documentazione in atti, con particolare riferimento alla sentenza penale in questione, emerge che la contestazione non riguardasse tanto la giustificazione delle spese (corrispondenti alla consumazione dei pasti per due persone), bensì l indicazione sulla pagina 15 di 17

16 ricevuta del nominativo del commensale, indicazione che in virtù di una circolare interna del 2003 dovrebbe essere obbligatoria (circolare neppure prodotta nel presente giudizio da nessuna delle parti). In poche parole, il giornalista ha giustificato tutte le spese sostenute con la carta di credito attraverso la consegna al datore di lavoro delle relative ricevute delle spese, ma non ha indicato, per parte di esse pari ad ,93, il nominativo del commensale. Tuttavia, sempre dalla lettura della sentenza penale (vedi in particolare pagg. 15 e 16 della sentenza), emerge che nel corso del dibattimento alcuni testimoni hanno riferito dell esistenza di una prassi aziendale in base alla quale i direttori di telegiornale non fossero tenuti ad indicare il nominativo del commensale ai fini del rimborso delle spese in deroga, così, alla citata circolare. Tale prassi risulterebbe vigente anche nel periodo in cui il ricorrente ha svolto mansioni di direttore del TG1, come del resto reso evidente dalla circostanza che l azienda non ha mai contestato le spese sostenute dal ricorrente chiedendo che venisse indicato il nominativo del commensale e ritenendo regolare l uso della carta di credito aziendale (la RAI, infatti, non ha mai sollevato questioni circa tali spese, né mai segnalato irregolarità, essendo la questione dell uso della carata di credito emersa a seguito di denunce effettuate da soggetti terzi). L esistenza di tale prassi riferita dai testimoni in sede di dibattimento penale e non contestata in alcun modo dalla RAI in questa sede, porta a ritenere che il ricorrente abbia correttamente giustificato le proprie spese attraverso la mera produzione della ricevuta del ristorante e che abbia diritto, nel limite massimo pattuito, al rimborso delle stesse: il datore di lavoro, infatti, avrebbe dovuto, in presenza di tale prassi aziendale, contestare la stessa ed invitare anche i direttori ad adeguarsi alle disposizioni regolamentari impartite per gli altri giornalisti (indicazione nella ricevuta del nominativo del commensale). Una volta che si afferma che il dipendente aveva diritto al rimborso delle spese (si ribadisce, circostanza neppure contestata dalla RAI che nulla ha rilevato in ordine alla regolarità delle spese sostenute dal ricorrente), si deve affermare che egli abbia anche diritto alla restituzione di quanto spontaneamente versato con riserva di ripetizione all esito dell accertamento penale. La RAI, pertanto, deve essere condannata al pagamento in favore del ricorrente della somma di ,43, oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria dal 29 aprile 2013 (data della domanda) fino al saldo. 9. L accoglimento di quest ultima domanda, l accoglimento di buona parte delle argomentazioni del ricorrente e l oggettiva insussistenza della principale delle motivazioni che hanno portato al diniego della domanda di restituzione nelle funzioni proposta dal ricorrente, pur in presenza di un rigetto delle principali domande formulate dal ricorrente, comportano in pagina 16 di 17

17 parte una reciproca soccombenza e costituiscono motivi di rilevanza tale da rendere equa la integrale compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, condanna la RAI Radiotelevisione Italiana S.p.A. al pagamento in favore di Minzolini Augusto della somma di ,43, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a decorrere del 29 aprile 2013 fino al saldo; rigetta nella restante parte il ricorso; compensa tra le parti le spese del giudizio. Roma, il 24 settembre 2013 Il giudice Giovanni Mimmo pagina 17 di 17

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