RI-PRENDERE LA MISURA. Luoghi comuni e nuove mappe dell'agire economico

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RI-PRENDERE LA MISURA Luoghi comuni e nuove mappe dell'agire economico

Premessa Pubblichiamo finalmente gli interventi del convegno Riprendere la misura. Luoghi comuni e nuove mappe dell agire economico. Chi ha partecipato al convegno, ma soprattutto chi non vi ha partecipato, nonostante siano passati diversi mesi, troverà qui intatta la freschezza di un tema che continua a essere all ordine del giorno nel dibattito scientifico economico e negli ambiti politici più seri e degni di questo nome. È del mese di dicembre scorso la notizia che Istat e Cnel hanno dato vita a un Gruppo di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana che lavorerà per 18 mesi a partire da quest anno. Da questo punto di vista dunque, la presente pubblicazione è tempestiva e con tutta probabilità la sua data di scadenza non a breve termine. Il gruppo sarà coordinato da Enrico Giovannini, attuale presidente dell Istat, unico italiano ad aver partecipato ai lavori della commissione Stiglitz, Sen, Fitoussi, che il Presidente Francese Sarkozy ha voluto istituire dopo aver compreso che il PIL, come unico indice di misura dell economia, non basta per prendere decisioni utili ad affrontare la crisi economica e sociale che dal 2008 fa sentire la sua forza e mette fortemente in crisi i presupposti, anche valoriali, che hanno governato il mondo occidentale negli ultimi 30 anni. Producendo anche linguaggi e schemi di pensiero spesso assunti come verità indiscutibili. Rileggere quanto è stato detto nel convegno dagli studiosi presenti e da alcuni Presidenti delle nostre Cooperative, non è soltanto un buon esercizio di cultura economica. Non serve solo a farsi un idea della crisi, della sua natura e dei presupposti

4 RI-PRENDERE LA MISURA economici e politici che la determinano. Diventa anche un modo per orientare le riflessioni su Coop e sul modello di impresa cooperativa in generale. Emerge infatti con chiarezza che i criteri che vengono usati per descrivere Coop come soggetto socio economico, sono spesso parziali se non addirittura omologhi a quelli dell impresa privata. Ed emerge dunque la necessità di sviluppare riflessioni e strumenti per misurare una realtà, quella cooperativa, che si fonda su presupposti molto lontani da quelli di chi è orientato solo al profitto, alla finanza e ai risultati di breve termine che possono dare grandi soddisfazioni agli azionisti, ma finiscono per depauperare la comunità e alimentare diseguaglianze economiche e sociali. È indubbio poi che un lavoro sugli strumenti di misura costringerebbe a interrogarsi in modo più rigoroso sul senso di Coop nella società e sui presupposti che governano la sua azione, rendendo più visibili, a chi ci lavora, le sue specificità. Contribuendo a sviluppare una cultura economica che non sia appiattita sulle parole e i criteri logici del pensiero economico e politico dominante. Individuare criteri diversi per interpretare e descrivere Coop potrebbe essere anche l occasione per una riflessione più rigorosa sul piano organizzativo, sul senso del lavoro in Coop e sul clima che caratterizza i rapporti all interno dell organizzazione. Perché è indubbio che nelle riflessioni che emergono dal dibattito economico, un punto importante riguarda il benessere delle persone e la qualità del lavoro. Speriamo quindi che questa pubblicazione possa servire a riattivare l interesse per il tema, ma anche a favorire, nelle sedi opportune, un lavoro di studio finalizzato alla individuazione di criteri di valutazione delle azioni di Coop coerenti con la sua natura, i suoi valori e l idea di società che esprime o che vorrebbe esprimere.

PREMESSA 5 Il lettore troverà oltre agli interventi del convegno una postfazione di Mauro Bruzzone, Vice Presidente di Coop Liguria e Vice Presidente di Scuola Coop, che ha contribuito insieme ad altri all impostazione del convegno. Abbiamo poi aggiunto un agile bibliografia insieme a una breve nota biografica degli studiosi presenti.

Interventi Nota sul testo Gli interventi che qui sono riportati sono stati revisionati dagli stessi relatori. Abbiamo però svolto una attività di redazione successiva per rendere più agevole la lettura. In linea di massima abbiamo lasciato emergere lo stile del linguaggio parlato, operando qualche aggiustamento quando la lettura ci sembrava più faticosa. Qualsiasi difetto di stile, sintassi e ortografia, qualsiasi difetto di chiarezza è da imputare a Scuola Coop.

Introduzione al convegno Enrico Parsi, Direttore di Scuola Coop Innanzitutto un ringraziamento ai molti colleghi che hanno contribuito alla definizione del programma della giornata: Mauro Bruzzone, Vice Presidente di Coop Liguria e Vice Presidente di Scuola Coop, Claudio Toso, Responsabile Settore Politiche Sociali di Coop Consumatori Nordest, e Riccardo Bagni, Presidente di CNNA. Un ulteriore contributo è stato dato da Aldo Soldi Presidente ANCC e Marisa Parmigiani, Responsabile Settore Politiche Sociali ANCC, che ringraziamo di cuore. Oltre, naturalmente, a tutto il gruppo di lavoro di Scuola Coop. Questa iniziativa è la prima di due appuntamenti annuali, il prossimo sarà a ottobre, intorno ai quali Scuola Coop vorrebbe innestare ulteriori momenti di approfondimento e di ricerca. In cartellina trovate alcune schede riguardanti studiosi con cui abbiamo iniziato a lavorare. Altri sono presenti a questo tavolo. Si tratta di economisti, sociologi, psicologi, metodologi, epistemologi, studiosi che si occupano di discipline diverse e che provengono da differenti aree culturali, ma che a nostro parere sembrano tutti convergere verso una idea centrale: l importanza dei legami sociali nell economia, nel ben vivere e nella ricerca della democrazia. L idea cioè che i beni relazionali fanno bene all economia e alla vita, ammesso e non concesso che economia e vita possano essere tenute separate. Un concetto, quello dei legami sociali, che spinge a una riflessione integrata per quanto riguarda il mercato, la società e le condizioni di vita all interno delle organizzazioni.

10 RI-PRENDERE LA MISURA Ma veniamo alla giornata di oggi. L idea è nata l anno scorso dall aver constatato nelle nostre aule una scarsa conoscenza della natura delle nostre Cooperative. Una scarsa conoscenza delle differenze tra Coop e mondo privato e una idea distorta delle attività sociali, percepite talvolta come separate da ciò che conta: i risultati economici. Da qui due conseguenze: 1. l idea che le attività economiche possano non avere un carattere sociale. 2. l idea conseguente che le attività sociali siano meno importanti. Questa giornata è rivolta a tutti coloro che pensano che una cosa sia l economia e altra cosa la società. Una cosa siano i conti e altra cosa la vita delle persone, anche la vita che si svolge dentro le organizzazioni. Ed è rivolta anche a tutti coloro che invece non la pensano così e possono oggi trovare nei relatori qui presenti idee, rigore scientifico e argomenti per spiegare e discutere. Ci è sembrato giusto partire da un lavoro importante, il Rapporto Sociale di ANCC, non per parlare di strumenti come il bilancio sociale, ma per parlare invece di modelli economici, cioè di progetti sociali, cioè di una visione diversa della società rispetto a quella che ci viene proposta dal neoliberismo da 20 anni a questa parte anche nel nostro paese. Ragionare di queste cose assume oggi anche una valenza fortemente politica. E qui vorremmo aprire una breve parentesi: la Costituzione Italiana contiene un articolo che garantisce e legittima l esistenza delle Cooperative. Crediamo che il Movimento Cooperativo debba qualcosa alla Costituzione Italiana e debba fare qualcosa per lei. Torniamo a questa giornata. Partiremo dal Rapporto Sociale ANCC che noi pensiamo possa essere un buon materiale di comunicazione anche per tanti colleghi che lavorano nelle

INTRODUZIONE AL CONVEGNO 11 Cooperative e che ci segnalano il bisogno di dare un senso al proprio lavoro. Non raccontare la propria storia è uno spreco, come dice Luigino Bruni in suo libro. Questo materiale è un buon tassello per questo racconto. Marisa Parmigiani ci parlerà del nuovo Rapporto Sociale e dei criteri che sono stati usati per costruirlo. Laura Pennacchi ci aiuterà a ridiscutere i luoghi comuni del neoliberismo che stiamo vedendo all opera anche in questi giorni e che, mi permetto di dirlo, sembrano indistinguibili da una visione autoritaria e antidemocratica della società, della politica e del fare impresa. Luigino Bruni ci spiegherà cosa significa economia e impresa civile. Non siamo amanti del ragionare per opposti, ma civile/incivile, ci sembra una delle poche dicotomie sensate. Dicotomia semplice ed elegante per valutare i comportamenti imprenditoriali in questo paese. Donato Speroni, ci parlerà invece di indici di misurazione. La scelta di Sarkozy, di dare vita a un gruppo di esperti per provare a costruire un nuovo indice che superi il Pil, ha fatto scuola. In realtà il tema dello sviluppo e del benessere sono da tempo oggetto di attenzione in Italia, ben prima della Commissione Stiglitz. Chi vuole approfondire può andare a cercare le analisi QUARS della campagna Sbilanciamoci che da anni forniscono una fotografia della qualità della vita nelle regioni italiane. L idea che abbiamo è che anche questo tema, gli indici di misurazione, possa essere di interesse per Coop, non solo per chiarire i criteri della propria azione, ma anche perchè si pone il problema del confronto con altri senza appiattirsi su modelli

12 RI-PRENDERE LA MISURA che se vanno bene per il privato, e quindi hanno a che fare con ragioni contabili, non è detto che debbano andare bene per Coop, soprattutto quando le sue azioni più evidenti sono addirittura inconcepibili per chi fa del profitto la sua esclusiva ragion d essere. Ri-prendere la misura. Non sfuggirà che il titolo riguarda tutte queste cose: riprendere in mano le parole giuste per descrivere il mondo e sfuggire alla tirannia dei luoghi comuni, recuperare l idea che i progetti economici sono cosa diversa dal solo profitto e che hanno a che fare con la civiltà, accettare l impegno scientifico e creativo richiesto per trovare gli indicatori giusti e anche rispondere con più argomenti a chi non concepisce l idea che si possa fare impresa cooperativa. C è poi una questione di stile: anche la gentilezza e la pacatezza oggi in Italia sembrano avere un connotato politico ed essere diventati un atto di resistenza. Buon lavoro a tutti e la parola ai relatori.

Il Rapporto Sociale Nazionale approccio, metodologia e numeri Marisa Parmigiani, Responsabile Settore Politiche Sociali ANCC L approccio e la metodologia della rendicontazione sociale a livello nazionale Nel 2005 nasce il Rapporto Sociale della Cooperazione di Consumatori come consolidato delle performance economiche, sociali e ambientali delle grandi Coop di Consumo. Rappresentava un atto importante in una fase di diffusione significativa della RSI in Italia per affermare un primato, che aveva radici lontane, ma che rischiava di essere offuscato da altri, e al contempo rispondeva alla necessità di condividere e mettersi a confronto internamente tra le cooperative che nel frattempo avevano sviluppato i loro percorsi in autonomia. Nel 2010 si registra l esigenza condivisa a livello internazionale dai diversi attori di ripensare la misurazione della ricchezza, come testimoniano anche la Comunicazione della Commissione UE al Consiglio Europeo e al Parlamento Non solo PIL. Misurare il progresso in un mondo in cambiamento e il Report della Commissione Sen-Stiglitz-Fitoussi sulla misurazione della Performance Economica e del Progresso Sociale. Al contempo è in corso una profonda riflessione economica sul valore dell impresa e delle attività produttive. L approccio utilizzato per la redazione del Rapporto Sociale è stato fino ad oggi in primo luogo finalizzato a rendicontare agli stakeholder, in modo confrontabile con gli altri, perché Coop aveva appunto l esigenza di poter essere misurabile rispetto agli altri grandi distributori che avviavano in quegli anni percorsi di RSI. Proprio per questo si era scelto di adottare l approccio per performance: economica, ambientale e sociale

14 RI-PRENDERE LA MISURA che riuscisse il più possibile a raccontare Coop integralmente. Si è così prodotto un documento che rendiconta attraverso 310 indicatori a 650 stakeholder esterni, utilizzato soprattutto nella relazione istituzionale. Tre anni fa è stata aggiunta al consuntivo la redazione di un Preventivo Sociale di sistema, come strumento di trasparenza e per mettere in condizioni di capire e valutare. Il punto di forza del documento così prodotto, e che ancora oggi pubblichiamo, è sicuramente la buona capacità di comunicazione verso gli stakeholder, ma è opportuno lavorare per dimostrare meglio la specificità cooperativa e per rendere più evidente la potenzialità di valutazione delle scelte. Nei prossimi anni, al fine di rafforzare l utilità complessiva del sistema Coop, è opportuno lavorare per trovare indicatori che misurino la distintività, trasformando in numeri il benessere prodotto, pesando la coerenza cooperativa tra principi, politiche e azioni. È importante dimostrare la compatibilità tra azienda solida e performante e azienda socialmente responsabile, prima di tutto per noi: come cartina tornasole della bontà delle scelte che effettuiamo e come driver di valorizzazione di ciò che facciamo e di come lo facciamo. Ma anche per la relazione con gli altri: più indici, meno indicatori, sono più facili da capire e da valutare; più correlazione tra la performance economica e quella socio-ambientale aiuta a capire, metabolizzare ed implementare il concetto di sostenibilità. Quando il Rapporto Sociale Nazionale è nato c era l esigenza di adottare un modello riconoscibile e confrontabile, che rendesse evidente il nostro impegno rispetto agli altri competitor e alla media di settore. Dal momento che la grande distribuzione caratterizzata da un impegno più significativo su questi temi è straniera (Carrefour, Tesco, M&S) si è scelto di adottare l impostazione più accreditata a livello internazionale. La cosiddetta

IL RAPPORTO SOCIALE NAZIONALE 15 triple bottom line che articola il rendiconto in performance economica, ambientale e sociale. Il rendiconto sociale viene poi sviluppato per stakeholder proprio per la centralità che il rapporto con i diversi stakeholder ha nella concretizzazione della Missione Coop. Missione, per sua natura, multistakeholder. Il processo di analisi delle performance ha portato alla definizione di una griglia parametrica a partire dagli ambiti di rendicontazione: 310 indicatori, raccolti da 25 persone, che annualmente vengono consolidati, comparati e interpretati. Al fine di meglio supportare gli attuali processi di riflessione, sarebbe utile sviluppare il rendiconto per stakeholder non più a partire dalle azioni, ma in funzione delle dimensioni del benessere. Per rispondere a questa esigenza e per meglio dimostrare l identità Coop andrebbe ridefinita una griglia parametrica, che riclassifichi le attività in nuclei prioritari e che interconnetta la performance economica a quella sociale e ambientale. I principali risultati Anche il Rapporto Sociale Nazionale 2009 presenta dei buoni numeri. Buoni perché nella maggior parte dei casi migliori di quelli precedenti, ma soprattutto buoni perché indice della correlazione tra la bontà dell impresa, la sua solidità, il suo patrimonio, la sua capacità di investimento e il valore sociale che le sue scelte imprenditoriali e sociali sanno generare. Relazione con i Soci Coop è prima di tutto una cooperativa, di conseguenza la relazione con il socio è il primo elemento da valutare: cresce la base sociale con un incremento del 3,6%, superando i 7,2 milioni di soci;

16 RI-PRENDERE LA MISURA si consolida l indice di prevalenza: con i soci si realizza il 74,4% delle vendite totali; si rafforza il rapporto mutualistico: il valore ridistribuito ai soci è cresciuto del 21% per un valore complessivo pari a 456.111 milioni di euro (+21%), di cui 321.273 mln sono stati conferiti attraverso sconti e offerte, 114.303 mln con il collezionamento, 13.599 mln tramite ristorni, 6.936 mln sotto forma di aumento del capitale sociale. si conferma la fiducia verso Coop, con un incremento significativo del prestito sociale: +2,4% i soci prestatori che superano quota 1,2 milioni, mentre cresce del 4,8% l ammontare raccolto superando i 12,12 miliardi di euro. migliorano i dati sulla partecipazione: 84.648 persone hanno partecipato alle 529 assemblee sul territorio. Tutti buoni dati che evidenziano come in Coop si stia investendo per rafforzare sempre più la relazione con il socio. E, d altro canto, come questo investimento si traduca in maggiore fiducia e frequentazione da parte del socio. Coop è una cooperativa di consumatori, di conseguenza la capacità di tutelarne i diritti, di offrire prodotti sicuri, equi, buoni e sostenibili non è un elemento indifferente alla sua capacità di fare impresa nel rispetto della missione. A questo proposito è importante valutare il grado di convenienza che Coop può offrire, in netto miglioramento sull anno precedente: a fronte di una inflazione Istat dell 1,8%, Coop ha garantito un inflazione dello 0,3%, grazie ad una politica di prezzi contenuta, in particolare sviluppata attraverso la convenienza distintiva sul Prodotto a Marchio Coop. A questo si aggiunge il risparmio offerto attraverso le politiche promozionali: il 20,7% del totale del venduto in Coop è stato realizzato con prodotti in promozione, ossia con prezzi ribassati alla vendita.

IL RAPPORTO SOCIALE NAZIONALE 17 nel 2009 Coop ha permesso a ogni consumatore (sia socio che non) di risparmiare 91 euro grazie alle diverse meccaniche promozionali (4 euro in più rispetto al 2008). Non da meno è la verifica sulla garanzia di sicurezza che offriamo ai consumatori sul nostro prodotto a marchio e non solo: sul prodotto a marchio: 423 ispezioni, 4,1 milioni di analisi, a cui si affiancano per migliorarne la bontà Approvato dai soci e Il prodotto Coop si prova nelle Coop. sull assortimento a punto vendita, sui fornitori nazionali: 2.742 campioni analizzati, 913 fornitori controllati e 117 verifiche ispettive; mentre sui fornitori locali: 1.692 fornitori verificati, 518 visite ispettive e 4539 campioni analizzati. sulle produzioni interne: 27.713 tamponi, 1.270 ispezioni a negozio. Tutti numeri che dimostrano come Coop, nonostante la crisi, non abbia abbassato la guardia sul controllo e la sicurezza alimentare. Investimento confermato globalmente proprio sul prodotto a marchio, in crescita sia per numero di referenze che per quota di mercato, 3.569 referenze con il 21,8% di quota di mercato. Il PAM viene realizzato con i valori di sempre ed è stato oggetto di una profonda revisione strategica che ha portato allo sviluppo di nuove linee: Viviverde, Club4-10 e BeneSì. Il rapporto con i lavoratori I lavoratori rappresentano la forza motrice di Coop: più di 56.000 persone che tutti i giorni garantiscono al consumatore il servizio a punto vendita. L impegno primario a questo proposito è negli ultimi anni il

18 RI-PRENDERE LA MISURA consolidamento dell occupazione: crescono i contratti a tempo indeterminato +2%, raggiungendo l 87% si stabilizzano i contratti di apprendistato. Per lo sviluppo di politiche attive un tema prioritario nei progetti e nelle azioni delle cooperative è quello dell integrazione vita-lavoro. Da quest anno sono stati inseriti alcuni indicatori importanti per garantire una vista di genere. A fronte di una composizione che vede donna il 68% dei lavoratori Coop, è in rosa il 13% dei dirigenti ed il 22% dei quadri. Stabile l impegno in Coop per la formazione come elemento di qualificazione aziendale e personale: è stato coinvolto il 51% del totale complessivo dei lavoratori delle 9 grandi Cooperative. Sono state così erogate 442.447 ore di formazione per un costo di oltre 12,4 milioni di euro. La solidarietà Da sempre Coop è radicata nelle comunità in cui opera, rappresenta un attore sociale importante di coesione sociale, di supporto ai più deboli nonché di distribuzione del valore sul territorio. In merito ai progetti di solidarietà, dal momento che calano le risorse a disposizione degli italiani, calano i contributi devoluti in solidarietà internazionale, mentre aumentano quelli in solidarietà locale. Nel 2009 il sistema Coop ha ridistribuito 16 milioni di euro tra progetti di solidarietà locale e merce donata grazie al progetto Buon Fine, di questi 1.327.000 euro sono stati raccolti e destinati all Abruzzo attraverso diverse modalità e coinvolgendo diversi soggetti. Il progetto Buon Fine rappresenta oggi il progetto di sostenibilità

IL RAPPORTO SOCIALE NAZIONALE 19 per eccellenza, coinvolgendo 380 punti vendita: ha donato più di 14 milioni di euro ha supportato 1.301 associazioni (+ 12%) non ha prodotto 2.448 tonnellate di rifiuti. Sono quindi in crescita il numero di punti vendita coinvolti, le organizzazioni beneficiarie e la quantità di prodotti donati. In merito al valore distribuito sui territori si segnala che i fornitori di freschissimi per il 90% sono italiani, con un incremento del 3% sull anno precedente concentrato in particolare nel comparto pesce, dove crescono di oltre il 15%, per il resto si confermano stazionari. La nota dolente è che si è assistito viceversa ad una lieve diminuzione delle vendite - 19,5 milioni di euro verso i 20,9 del 2008- dei prodotti equo e solidali per quanto il brand Solidal Coop, con il 13,1%, risulta il primo marchio citato dai conoscitori del CEeS (fonte: Eurisko/Altromercato). L ambiente Complessa e articolata l analisi della performance ambientale. Valuta gli impatti ambientali di prodotti, punti vendita e processi con particolare attenzione alle azioni di miglioramento adottate. Ci si sofferma in particolare sul contributo di Coop al cambiamento climatico, presentando i progetti realizzati e i risultati così ottenuti. La CO2 risparmiata complessivamente, grazie all impegno ambientale di Coop, è pari a 74,116 milioni di tonnellate, di cui 43.789 risparmiate grazie all impegno per l adozione di energie alternative e l efficienza energetica nei punti vendita, mentre 74.072.523 grazie alla vendita di prodotti sostenibili. In termini energetici questo significa che Coop ha risparmiato 45.843TEP di energia elettrica, di cui 10.124 grazie alle

20 RI-PRENDERE LA MISURA tecnologie adottate a punto vendita e il resto attraverso soprattutto la vendita di elettrodomestici di classe energetica A+ e A++. In merito all impegno per le rinnovabili sono 45 gli impianti in essere, di cui 21 sono entrati in funzione nel 2009, per un totale di 10.400 kwp di potenza installata. Oltre all impegno sulle proprie strutture e sui propri prodotti Coop ha lavorato per accrescere la consapevolezza di consumatori e fornitori. Alla community on line Risparmia le energie hanno partecipano 2500 famiglie e i contatti con la comunità sono stati 315.700. Grazie al progetto l 8% delle famiglie sono passate da sprecone ad attente. Al progetto Coop for Kyoto rivolto ai fornitori partecipano 152 stabilimenti, e si è registrato un miglioramento dell efficienza pari al 9,2% e una diminuzione complessiva delle emissioni di anidride carbonica pari al 2,8 %. Buoni numeri quindi, buoni per la comunità, buoni per l ambiente. E buoni per i cooperatori.

Ri-Prendere la misura Una necessità per il Paese e un impegno per Coop Aldo Soldi: Presidente ANCC V orrei innanzitutto sottolineare la positività di queste iniziative che nascono dalla collaborazione tra Scuola Coop e ANCC. È importante questa capacità di lavorare e costruire assieme. Ri-Prendere la misura è il titolo di questa iniziativa. Considero il lavoro di oggi come propedeutico a un approfondimento che dovremo continuare per le ragioni che proverò a dire molto sinteticamente. Nel gennaio di quest anno è uscito un rapporto di Mediobanca sui bilanci delle cooperative. Era la prima volta che il Centro Studi di Mediobanca prendeva in esame in maniera molto approfondita i bilanci delle cooperative. Il quadro che è venuto fuori, distribuito alla stampa, è un quadro realistico con luci e ombre. Viene messa in luce una grande solidità patrimoniale delle nostre imprese, accumulata da generazioni e pronta per le generazioni future, che è una delle ragioni vere per cui esiste la cooperazione. A me, di quel lavoro, colpì una cosa: era un analisi sicuramente attenta che però assimilava in tutto e per tutto le cooperative alle società di capitali. Ma le cooperative non sono uguali alle altre società, nascono per altre ragioni, esistono per altre ragioni, funzionano con altre regole. Parlammo un po in Associazione di questo studio, lo approfondimmo con Albino Russo, responsabile del nostro Centro Studi e decidemmo di prendere una posizione che fu puntualmente ospitata dal Sole 24 Ore. C era da fare qualche precisazione rispetto a ciò che era stato pubblicato e lo facemmo. In sostanza dicemmo due cose: noi come Cooperative non rifiutiamo, non rifuggiamo dal confronto con gli altri operatori della grande distribuzione nazionali e internazionali che operano nel nostro mercato, sugli indici tipici

22 RI-PRENDERE LA MISURA delle imprese di capitali; questo non ci fa paura, anzi ci stimola, ci interessa. Viviamo nel mercato, non in una zona protetta, e auspichiamo il confronto con gli altri sul terreno classico delle performance che connotano il risultato di un impresa; però questo non basta, dicemmo: la cooperativa è qualcosa di diverso e questa diversità bisogna provare a misurarla. Come si fa a misurarla? Alcune cose le ha già dette Marisa Parmigiani nella presentazione del Rapporto Sociale, altre mi auguro possano venire fuori dalla discussione di oggi. Pensiamo a un indicatore estremamente importante per le società di capitali: la remunerazione del capitale investito dai soci. Nel nostro caso questo è un fattore di nessun peso e di nessun valore. Per noi infatti ciò che è importante è lo scambio mutualistico. Allora qual è il problema? Sicuramente c è un deficit di conoscenza; sicuramente gli studiosi che hanno studiato i nostri bilanci hanno studiato un solo tipo di società cioè quella di capitali. Lo hanno fatto sicuramente bene, ma c è una carenza di strumenti e anche una valenza politica del pensiero unico in base al quale d impresa ce n è una, c è un solo modello, ed è quello. La nostra discussione si intreccia con quella più complessiva, non è distaccata. Bisogna misurare quali siano gli indicatori utili per una economia e utili per una nazione e in questa logica misurare anche quali siano gli indicatori necessari per una impresa. Capire come un impresa contribuisce alla ricchezza o al benessere di una nazione. Quindi è del tutto evidente che questi due piani di ragionamento, uno che riguarda la cooperazione, l altro che riguarda più complessivamente un dibattito che ha dimensioni mondiali, si intrecciano necessariamente. Anche il Rapporto Sociale, strumento che ritengo di straordinaria utilità, alla lunga manifesta la sua insufficienza, bisogna provare ad andare oltre. C é una suggestione che voglio darvi. A ottobre uscirà per la prima volta un report complessivo delle imprese aderenti a

RI-PRENDERE LA MISURA 23 Lega Coop che sarà centrato sull elemento della sostenibilità, intesa non solo nel classico elemento della sostenibilità ambientale, ma in un modo molto più articolato e declinato. Lo abbiamo articolato in quattro capitoli: la sostenibilità nel governo, la sostenibilità nell offerta, la sostenibilità nel lavoro, la sostenibilità nello sviluppo. E in ognuna di queste aree proviamo a misurare la distintività della cooperativa. Ad esempio, non basta parlare di lavoro, bisogna parlare di lavoro buono. Non importa sapere quanti posti di lavoro ha offerto la cooperazione di produzione e lavoro, bisogna sapere anche se nei cantieri di quelle imprese ci sono meno incidenti sul lavoro delle altre. È questo ad esempio il lavoro buono. Quindi la sostenibilità declinata e la distintività misurata attraverso casi concreti e attraverso buone pratiche. È il momento di farlo perché questa crisi, prima finanziaria poi economica, ci ha dimostrato come il modello unico sia pericoloso, ci ha dimostrato quanti danni può fare un capitalismo becero e aggressivo e ci ha dimostrato quanto sia importante avere una pluralità di forme di impresa e tra queste anche di imprese cooperative. Certo ci sono cose bellissime non facilmente misurabili: penso al contributo che la cooperazione dà alla coesione sociale, la nostra di consumo, ma anche altre forme di cooperazione. Non è sempre misurabile ma quanto è importante per il vivere civile dentro una collettività! C è infine un ragionamento che velocemente voglio fare rispetto ad alcuni indicatori che vorrei definire, se mi permettete il termine, macro mediatici. È un ragionamento che ci invita a capire che dietro i numeri ci sono le persone, perché spesso si ragiona di numeri e ci si ferma lì. Quando si dice che in Italia c è stato un calo dei consumi del 2,5% si dice un numero e lo leggiamo. Ma noi dobbiamo sapere che dietro a quel numero ci sono milioni di famiglie che in Italia fanno fatica ad arrivare alla fine del mese; ci sono milioni di famiglie che hanno dovuto ridisegnare i

24 RI-PRENDERE LA MISURA propri bilanci perché non ce la fanno a farli quadrare. Ci sono persone in carne e ossa, in questo paese mediatizzato, che vivono quotidianamente questo problema. Allora noi bisogna dire cosa facciamo come Coop per dare una risposta concreta a queste persone in carne ed ossa, che sono le famiglie che vengono da noi e che spesso sono i nostri soci. Si dice che uno dei problemi più grossi del nostro paese è il precariato perché impedisce ai giovani di darsi una prospettiva di vita. Non basta dare un indicatore bisogna sapere che ci sono milioni di ragazzi e ragazze che non sono in grado di costruirsi una prospettiva seria di vita. Allora bisogna dire noi cosa facciamo come Coop rispetto a questo, che è un fattore nazionale di grande rilievo; anche qui il Rapporto Sociale lo dimostra: se il 93% dei nostri lavoratori ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato vuol dire che noi non ci fermiamo a denunciare il problema, ma facciamo delle cose, le facciamo concretamente. Rispondiamo alle esigenze di migliaia di ragazzi e ragazze che hanno questo tipo di rapporto di lavoro con noi. Potremmo proseguire con gli esempi, però mi sembra importante rimarcare questo intreccio fra i numeri, le persone, i bisogni delle persone e delle azioni che le imprese come noi possono fare. Un ultima considerazione: ri-prendere la misura. Lasciatemelo dire, questo paese ha bisogno di riprendere un po la misura in senso complessivo: per esempio la misura della legalità, a volte la misura della decenza, a volte anche la misura del ridicolo. O la misura dell equità: pensate alla manovra economica che viene dichiarata come equa e poi si rivela assolutamente iniqua. O la misura del rispetto delle istituzioni, dei fondamentali di questa Repubblica. Insomma questo paese un po la misura l ha persa. Io credo che noi, come Coop, facciamo bene a dare il nostro contributo, per quello che ci compete e per quello che possiamo fare, a riprendere una misura giusta.

I luoghi comuni del neo liberismo Conseguenze sociali, politiche ed economiche Laura Pennacchi Economista, Direttrice Scuola di Democrazia Fondazione Basso Oggi vorrei trattare il tema generale del riprendere la misura. Tema che mi sembra molto opportuno e molto significativo. Evocativo dei compiti che la fase che stiamo vivendo ci mette di fronte. Proverò a ricostruire quelli che sono stati i luoghi comuni del neoliberismo e le conseguenze sociali, politiche ed economiche che il radicarsi di questi luoghi comuni, addirittura direi la loro tirannia, ha provocato. Pensate soltanto allo slogan che ha imperversato per un ventennio: meno tasse, meno regole, meno Stato ; questo è stato lo slogan che, ad esempio in Italia, ha caratterizzato molte campagne elettorali, ma è uno slogan che in realtà ha imperversato in tutto il mondo. Sui fondamenti culturali di questo slogan bisogna riflettere perché da una parte c è la visione delle tasse come esproprio, il mettere le mani nelle tasche dei cittadini, come se fosse un furto da parte dello Stato (una visione che contraddice la stessa visione liberale che ha guidato la formazione dello Stato di diritto, in cui il potere di avere entrate basate sulle tasse è stato uno degli elementi fondamentali di codificazione). Dall altra una visione che incide anche dal punto di vista ideologico e culturale. Tant è vero che anche la nostra Costituzione, uno dei prodotti più felici dell umanesimo della modernità, prevede non soltanto la funzione sociale dell impresa all articolo 41 1 (che oggi si vuole ridiscutere), ma anche che le tasse siano con- 1 Articolo 41della Costituzione Italiana: L iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

26 RI-PRENDERE LA MISURA cepite come contributo al bene comune; che è anche la visione del catechismo sociale della Chiesa Cattolica. Questa visione codificata dunque è stata drasticamente rimessa in discussione fino ad arrivare al punto di ritenere moralmente legittimo evadere le tasse: è stata dichiarata legittima, infatti, l evasione quando la pressione fiscale avesse superato un certo limite, misteriosamente non definito. Quindi meno tasse e meno regole. Pensate alla portata distruttiva, corruttiva del carattere e perfino dell antropologia che questo postulato ha comportato. Anche meno Stato. Qui c è stata un aggressione all idea della responsabilità collettiva che non può non esercitarsi che attraverso istituzioni pubbliche, attraverso la mediazione che le istituzioni pubbliche esercitano. In definitiva attraverso queste affermazioni è in atto un aggressione all intero corpo di ciò che ho definito umanesimo della modernità. Come si sia arrivati a radicare questi luoghi comuni richiede uno sforzo di ricostruzione delle caratteristiche di fondo del neo-liberismo dal punto di vista ideologico e culturale. Non va sottovalutato che il liberismo è stato una profonda operazione ideologica e culturale, preparata nel tempo anche con grandi investimenti attraverso istituzioni, think tank, agenzie che hanno prodotto un certo tipo di pensiero. Possiamo addirittura farne risalire l origine negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale con il manifesto che veniva lanciato da Von Hayek, da Friedman e da Popper 2, quest ultimo un filosofo molto orientato in 2 FRIEDRICH AUGUST VON HAYEK 1899-1992, Premio nobel dell economia 1974), SIR KARL RAIMUND POPPER (1902-Londra, 1994) è stato un filosofo e epistemologo. MILTON FRIEDMAN (1912-2006) Premio Nobel per l economia nel 1976. I primi due hanno ispirato l azione politica di Margaret Tatcher, mentre il terzo quelle di Ronald Reagan, George Bush e Pinochet. Friedman è conosciuto per aver dato origine alla famosa Scuola di Chicago mentre gli economisti che ne facevano parte sono stati definiti Chicago Boys.

RI-PRENDERE LA MISURA 27 senso conservatore e neo liberista. Quel manifesto venne redatto in un epoca in cui l influenza del New Deal di Roosevelt e della costruzione dei grandi sistemi di protezione sociale socialdemocratici in Europa avevano ancora una forza molto rilevante, anche dal punto di vista della creazione del consenso. Si sbaglierebbe moltissimo a pensare che la crisi economica globale abbia messo in disarmo il neo liberismo, che si è trovato evidentemente in grossissima difficoltà perché questa crisi mostra il più drammatico fallimento dell ipotesi stessa neo liberista. Ma il neoliberismo, dicevo, di fronte a questo fallimento non si è arreso. Pensiamo proprio ai paesi europei che in questa fase stanno adottando manovre restrittive e draconiane che ammontano nel totale a 380 miliardi di euro, il che significa una batosta recessiva terrificante su una economia che faticosamente e lentamente è in ripresa; beh, questi interventi di taglio vengono fatti sulla spesa sociale. Quindi ci troviamo di fronte ad un paradosso incredibile: la crisi ha dimostrato la superiorità del modello sociale europeo su quello americano, nonostante nel ventennio neo liberista ci avessero sempre detto che la mancata crescita europea dipendeva dalla enorme spesa sociale, dall ingombro del welfare state, ma nonostante questo adesso si colpiscono quegli strumenti del welfare che sono il cuore delle politiche sociali. Io penso che bisogna armarsi di grandi ambizioni per rispondere alla grandezza della operazione ideologica compiuta dal neo liberismo e credo che nella timidezza, nella subalternità, nel conformismo che sono prevalsi anche nelle forze che si ispirano alle idealità del centro sinistra, vi siano le ragioni di fondo della crisi dell ispirazione alla idealità del centro sinistra. Nel cercare di identificare invece quali possono essere le discriminanti su cui convincerci che abbiamo una grande battaglia innanzitutto di tipo culturale da combattere (e per questa

28 RI-PRENDERE LA MISURA ragione sono assolutamente meritorie iniziative come questa di oggi che hanno questa ambizione di riprendere la misura, che significa tornare ai fondamenti), proverò a definire tre linee generali di gestazione e di produzione di risultati del neo liberismo, su cui richiamo la vostra attenzione. Una prima è quella che chiamo desocializzazione dell individuo, una seconda è quella che chiamo naturalizzazione dell economia, una terza è quella che chiamo depoliticizzazione della società. Per quanto riguarda la desocializzazione dell individuo. Il neoliberismo ha portato alle estreme conseguenze quanto già era contenuto nel paradigma del nucleo della scienza economica standard e in particolare nel paradigma neoclassico: cioè l identificazione come attore, come agente dell agire economico di un individuo concepito come atomo isolato, privo di legami e di relazioni, quindi privo di legami sociali, agente strettamente auto interessato, individualista, acquisitivo e iperpossessivo. In questa visione agisce un triplice riduzionismo che dal punto di vista concettuale è estremamente rilevante. Un primo riduzionismo agisce sulla nozione di razionalità che viene adottata. La razionalità è soltanto il perseguimento nel modo più efficiente possibile, attraverso mezzi su cui si esercita l analisi razionale, di fini che non sono invece razionalizzabili: i fini sono inintellegibili. L analisi razionale diviene perseguibile soltanto sui fatti. De valoribus non est disputandum, come se appunto i valori fossero gusti. Questo è un riduzionismo gravissimo perché viceversa noi dobbiamo lavorare tantissimo proprio per ritornare a una riflessione e quindi a una disputa sui valori. Un secondo riduzionismo si esercita sulla nozione di individuo, che diventa appunto un atomo vuoto. Un riduzionismo che non rende giustizia, ad esempio, dell articolazione e della ricchezza che c è nella nozione di persona contenuta nella Costituzione Italiana e in tutte le costituzioni

I LUOGHI COMUNI DEL NEO-LIBERISMO 29 del dopoguerra, compresa quella generazione di costituzioni a noi più vicina come quella Sudafricana. Un terzo riduzionismo si esercita sulla nozione di libertà. La libertà è soltanto strumentale. È la libertà di ricorrere ai mezzi non di realizzare i fini. È una libertà in primo luogo di possedere, una libertà di stare sul mercato, di scegliere sul mercato. Una parola chiave diventa appunto scelta che è stata applicata anche come legittimazione della possibilità di prestazioni previdenziali private, quando invece le teorie ci dicono che possono essere prestate in maniera equa ed efficiente solo all interno di una visione collettiva. È stata esaltata la nozione di scelta per costituire conti individuali e privati che hanno fatto drammatico fallimento con la crisi economica finanziaria globale, perché quando la prestazione previdenziale è affidata ai mercati finanziari, se i mercati finanziari crollano, non può che succedere quello che è accaduto: l Argentina ha dovuto nazionalizzare i 10 fondi pensione privati con cui nel 1994 aveva privatizzato la sua sicurezza sociale; Obama quando ha salvato l industria dell auto americana l ha fatto anche perché se non ci fosse stato questo salvataggio i fondi pensione aziendale privati non sarebbero stati più in grado di pagare non solo le pensioni future, ma addirittura le pensioni in essere. Quindi c è un riduzionismo che si applica sulla libertà e su questo dovremmo lavorare per costruire un alternativa ambiziosa sul piano culturale. Le libertà sono molteplici: sono libertà, oltre che di avere, di essere, di fare, di essere informati, perfino dice Sen 3, che ha coniato questo concetto di libertà sostanziale dentro il paradigma delle capacità fondamentali, libertà di giocare, libertà di avere relazioni, libertà di provare la dimensione ludica; dell essere nel rapporto con gli altri. 3 AMARTYA KUMAR SEN nato in India nel 1933, premio Nobel per l economia nel 1998.

30 RI-PRENDERE LA MISURA La seconda linea sul cui il neoliberismo ha lavorato è una naturalizzazione dell economia e delle istituzioni economiche. I fenomeni economici sono stati concepiti come fenomeni naturali. È stata generata una duplice naturalizzazione: dell economia come agire economico e dell economia come disciplina dei processi economici. Questo ha peraltro consentito quella matematizzazione estrema che è stata applicata nella costruzione dei modelli economici e che è stata una delle ragioni della crisi. Perché nella costruzione di quel mostruoso sistema finanziario ombra, lo shadow system, che la finanziarizzazione del capitalismo provocata dal neo liberismo ha generato, la matematizzazione, persino con il ricorso a modelli della fisica, ha giocato un ruolo fondamentale. Dal punto di vista della teoria e della disciplina è molto significativo che attraverso questo processo si sia preteso di trasformare la scienza economica in una scienza della natura, quando sappiamo dal nostro vivere, dalla nostra esperienza, dal nostro agire e dal nostro riflettere che è assolutamente una scienza della società. Come meravigliarsi se poi si arriva a tali collassi come quelli che stiamo vivendo, se tutto è stato guidato dal presupposto di muoverci in un ambito naturale, di scienza della natura! La terza linea è quella che ho chiamato depoliticizzazione della società. Qui noi abbiamo assistito a un singolare connubio tra depoliticizzazione di cruciali questioni pubbliche che vengono presentate come se fossero questioni tecniche riguardanti aree professionali e quindi neutre, e l installazione del discorso economico manageriale come sovraordinato a qualunque decisorio politico. Quel dominio delle multinazionali che c è anche a livello generale sulle forme democratiche fa parte di questa sorta di sovra ordinazione del discorso economico e manageriale, presunto tecnico neutrale, su ogni decisione politica. Le scelte sono state quindi

I LUOGHI COMUNI DEL NEO-LIBERISMO 31 tecnicizzate, è stato smarrito il loro carattere ambivalente, la loro tragicità, il loro essere, per definizione, ardue. Con la pretesa di trasformarle e tecnicizzarle in modo assoluto è stata smarrita una fonte immensa di orientamento dell azione. La stessa sorte hanno subito questioni valoriali che sono state poste come questioni naturali autoimpostesi su cui, all apparenza, non c è possibilità di discutere. Il governo vara una manovra da 25 miliardi di euro e all apparenza non ci sarebbe possibilità di discutere. Invece la possibilità di discutere, non solo sulla qualità delle misure e quindi sulla composizione della manovra, ma anche sulla stessa entità della manovra c è e va riconquistata. Quindi si sono molto ristretti gli spazi per il dibattito politico che è invece l unico in grado di sottomettere le questioni pubbliche ad alternativi regimi di verità. C è un aspetto molto importante che vorrei sottolineare: la politica come sostantivo, come sfera pubblica in cui viviamo, è la messa in discussione di un regime di verità; dobbiamo ragionare sui regimi di verità e dobbiamo dotarci di metodi razionali di argomentazione, per fermare il dilagare dell irrazionale, dell irresponsabile. Ma la politica, la democrazia, è il campo in cui i regimi di verità alternativi possono competere e confrontarsi: questo è il lascito più importante del liberalismo e della liberaldemocrazia che io penso vada assolutamente mantenuto. Io non credo che liberalismo e liberismo siano equivalenti. Anzi penso che il liberismo sia una corruzione, una degenerazione terribile dello stesso liberalismo; ma poi c è questa forma più avanzata di liberaldemocrazia alla quale credo ci si debba tenere molto ancorati. La depoliticizzazione della società ci consegna una libertà deprivata di valenza politica, cioè incapace di esprimere ideali, che vengono trasformati in faccende private. Questo provoca un accentuazione del privatismo che a sua

32 RI-PRENDERE LA MISURA volta accentua l opportunismo, l indifferenza verso i legami sociali, l irresponsabilità verso i beni comuni, la frammentazione, il particolarismo, il localismo. Si assiste in definitiva alla svalutazione della persona che viene recintata nel campo dell immediatezza deprivata del campo della mediazione, della relazione con gli altri e delle relazioni istituzionali. Quindi ci troviamo di fronte a un incredibile depotenziamento della stessa sfera privata, e quel depotenziamento è fortissimo per quanto riguarda quell accezione di privato nel senso di privazione della sfera pubblica su cui tanta attenzione aveva portato Hanna Arendt 4. E anche su questo tipo di costruzioni bisognerebbe ritornare. 4 HANNAH ARENDT (1906-1975) è stata una filosofa anche se non amava essere considerata tale. Si è occupata molto di politica, potere e totalitarismo. Tra i suoi libri più noti Vita Activa- La condizione umana e La Banalità del male. Eichmann a Gerusalemme.

L economia Civile o incivile, tertium non datur Luigino Bruni, Economista, Università Bicocca di Milano Ringrazio la Professoressa Pennacchi per le sue interessanti considerazioni sul Riprendere la misura. Dirò qualcosa sul tema dalla mia prospettiva, che è quella di un economista politico, o civile, come amo definirmi per ricollegarmi alla tradizione dell economia civile, tipica della tradizione italiana mediterranea. Grazie di cuore a tutta la Scuola Coop per questa opportunità di dialogo con voi. Io ho una grande stima della vostra realtà, della vostra storia che conosco e ho studiato. Nel paese dove abito c è una vostra cooperativa e vedo che le cooperative sono un bene comune. Non sono una faccenda privata. Dove c è una vostra presenza aumenta la temperatura media. Mi ricollego ad alcune considerazioni fatte da Aldo Soldi per dire che oggi c è una tendenza forte all isomorfismo culturale: ad esempio l idea che si possono fare corsi per manager e dirigenti, per economi e suore di comunità religiose, per top manager della Fiat, come se fossero la stessa cosa. Sono cose che vedo davvero: abbiamo in aula le suore davanti e i manager dietro e l idea di fondo è che sono tutte aziende e sono tutte uguali. In realtà il modello italiano ed europeo è plurale, vario, ricco. Come la tradizione culinaria: si mangia bene in Italia perchè c è molta varietà. Se vai in Inghilterra si mangia meno bene non solo perchè non c è il sole, ma anche perché c è una storia diversa. Questa pluralità di forme di impresa è cultura e democrazia. Come la democrazia politica è garantita dalla pluralità di partiti e soggetti politici, la democrazia economica è garantita

34 RI-PRENDERE LA MISURA dalla pluralità di forme economiche. Questa varietà di soggetti rende la democrazia sostanziale. In un mondo in cui arrivassimo ad avere soltanto imprese identiche noi perderemmo tutti ricchezza. Diventeremmo più simili all America del Nord che è interessante, ma ha solo tre secoli di storia. Noi forse ne abbiamo un po di più. E la storia è anche ricchezza economica e competitiva. La storia italiana esprime ricchezza anche dal punto di vista economico e competitivo. Per cui vi dico: attenzione ai consulenti, attenzione ai formatori, attenzione al 2%. Cosa voglio dire? Attenzione perchè la differenza tra il nostro Dna e quello degli scimpanzé è del 2%. Questo 2% fa la differenza. La bravura di un consulente sta nel guardare il 2%, non nel guardare il 98%. Il 98 è banale, riguarda i bilanci, gli strumenti, l efficienza. La difficoltà sta nel 2% che riguarda il linguaggio, la cultura, la vita in comune. In altre parole non basta affermare che siamo diversi, ma occorre dimostrarlo. Antico tema: bisogna dirlo ogni tanto che siamo diversi, ma poi bisogna anche vederlo nella pratica. Perché la vita economica è laica per eccellenza: contano i fatti e non le dichiarazioni di principio. Sono convinto che la cooperazione è diversa nella misura in cui è impresa civile. Allora vediamo cosa è l economia civile, contraddicendo il clima culturale che spinge a pensare che esista solo la tradizione economica anglosassone. L economia civile è una tradizione tipicamente italiana, antica, che risale all umanesimo civile del quattrocento toscano e in particolare all Illuminismo napoletano del settecento, e alla tradizione milanese. Elenchiamone le caratteristiche culturali. Innanzitutto l idea della fede pubblica: cioè l idea che la cultura di un popolo progredisce non solo quando c è fiducia privata,

L ECONOMIA: CIVILE O INCIVILE, TERTIUM NON DATUR 35 reputazione, ma quando c è fede pubblica, che oggi chiameremmo capitale sociale, civile. Questo era un tema tipico della scuola economica napoletana, che aveva come leader Genovesi 1. La prima cattedra di economia nasce a Napoli, non nasce in Inghilterra. Con Genovesi nasce la prima cattedra di economia civile. Genovesi si chiedeva come mai Napoli, che ha persone intelligenti, un clima meraviglioso, il mare che la circonda, è fertile e tutto, non fosse sviluppata come Milano. Domanda sempre attuale. Cosa c è che non va nel nostro modello di sviluppo? Lui risponde che manca la fede pubblica. Abbiamo l onore privato, ma non ci fidiamo del forestiero. Senza questa condizione non può esserci sviluppo, per cui lui lanciò una grande azione di riforma istituzionale e culturale. Fu il primo a insegnare filosofia in italiano e non in latino, con l idea che se non si partiva dalle scuole e dai giovani, la fede pubblica non si sarebbe mai creata. La reciprocità è un altra categoria e parola chiave di questa scuola. Reciprocità che non è altruismo o filantropia. Inoltre la pubblica felicità, questa grande parola, che amo molto, perché la felicità, dicevano questi studiosi, o è pubblica o è di nessuno. Posso essere ricco da solo contro gli altri, ma la felicità, è una dimensione pubblica, è un bene collettivo. La felicità ha molto a che fare con il bene comune; non è un caso che questa tradizione eredita la tradizione umanista del bene comune: non posso essere felice attorno ad infelici. Questa l idea fondamentale: c è una dimensione di bene pubblico nella felicità. Se è vero quello che dice Hirschman, che la storia umana alterna cicli di felicità pubblica e di felicità privata, io spero tanto che oggi inizi una stagione di felicità pubblica in cui la gente non s interessi solo della macchina, della tv al plasma o del condominio, ma si interessi di Firenze, della Toscana, 1 Antonio Genovesi, (1713-1769) fu titolare, a Napoli della prima cattedra di economia della Storia. In questa tradizione spiccano anche i nomi di Gaetano Filangieri e Giaginto Dragonetti.

36 RI-PRENDERE LA MISURA dell Italia. Spero che riprenda una stagione pubblica che oggi è molto carente. La fraternità, la terza parola della modernità, è tipicamente napoletana e Gaetano Filangeri è il teorico di riferimento. La parola poi entrerà nella rivoluzione francese, ma l idea che la fraternità sia una categoria politica e pubblica è tipicamente di tradizione napoletana. Perché in seguito la fraternità è rimasta fuori dalla modernità? La libertà l abbiamo sviluppata tantissimo, l uguaglianza anche. Dobbiamo riconoscerlo questo, anche se oggi abbiamo qualche problema con l uguaglianza. Però in alcuni momenti l uguaglianza ha avuto il suo riconoscimento almeno nelle forme giuridiche istituzionali; la fraternità no, perché la fraternità è un legame. Mentre l uguaglianza e la libertà sono stati individuali, la fraternità è un rapporto. E i rapporti fanno male perché sono un legame, e quindi possono anche essere un laccio della prigione. La fraternità essendo rapporto, bene relazionale, è più complessa. Però è una parola sempre attuale. La cooperazione la capiamo veramente se e quando la leggiamo come sviluppo di questa grande tradizione civile italiana europea precapitalistica ed extra capitalistica. Nasce prima del capitalismo e nasce parallelamente a esso. Quindi non è contro, ma è un altra cosa. Io penso che oggi una delle gravi povertà del dibattito politico italiano sia che abbiamo perso le radici e parliamo in Italia di politica ed economia come se l unico modello fosse quello sviluppatosi altrove. C è invece un made in Italy vero, che è un modo di fare economia dove c è un intreccio di cultura, di storia ecc Allora: il mercato è un pezzo di vita, non è un ambito separato e radicalmente diverso dal civile. Questa l idea di fondo dell economia civile. Non ci sono sfere dove quando io entro nel luogo di lavoro

L ECONOMIA: CIVILE O INCIVILE, TERTIUM NON DATUR 37 esco dal civile ed entro nell economico. Una delle grandi forze delle cooperative è questo: non è che quando entro nella Coop di Incisa esco dal civile e entro nell economico! C è invece un intreccio di economia, cultura civile, storia, saperi, atmosfera industriale. Questo è il modello italiano: dove c è il mercante, il campanile, l artigiano, il circolo ARCI, l operaio. Questo modello non c è in America, perché il modello americano è un altra cosa, nasce dalla riforma protestante. Il modello americano dice business is business, il dono è un altra cosa. E qui c è una nettissima separazione tra ciò che accade nell economia e ciò che accade al di fuori di essa. Bill Gates fa economia vendendo computer e poi fa il filantropo con la fondazione. Mentre produce computer non c entra nulla la dimensione sociale. Ma questo modello non è il nostro. Noi abbiamo un altra storia, una storia di imprenditoria civile. L imprenditore è civile quando innova e lo fa anche nel sociale. Qui riprendo una linea più europea, che è quella di Shumpeter, un economista austriaco importante. Dice Schumpeter che l imprenditore non è un cercatore di profitto, ma un innovatore. E qui dovremmo tenere presente una distinzione anche per quanto riguarda il dibattito italiano: la distinzione tra imprenditore e speculatore. L imprenditore è uno che sposta i paletti avanti, che innova e apre strade. Poi, dice Schumpeter, arrivano come api gli imitatori, che, attratti da quell opportunità di profitto, abbassano i costi dell economia generale e così si torna allo stato stazionario. E questo finchè un altro imprenditore non riporta avanti i paletti e il processo riparte. L idea di Schumpeter, che amo molto, è che l economia è un processo di staffetta, di rincorsa, tra innovatori e imitatori. La prima conclusione è che quando una realtà innovativa si lamenta del fatto che è imitata, è già morta. Se stanno copiando, l imprenditore dice: benissimo, e sposta avanti i paletti. L imprenditore non è uno che piange, è uno che

38 RI-PRENDERE LA MISURA innova. Chi piange è lo speculatore o l imitatore. Non è l imprenditore. Da questa prospettiva, che io chiamo civile, si supera la distinzione tra impresa for profit e non-profit. Io parlo ad esempio di impresa for project. L imprenditore è uno che sviluppa un progetto sotto un vincolo di efficienza. È il progetto che fa la differenza. Il profitto non è lo scopo, ma un effetto collaterale se il progetto funziona. Invece quando lo scopo è il profitto, come diceva Einaudi, si diventa speculatori, che è un altro mestiere: apro una scuola e domani la chiudo. Poi mi occupo di pomodori e poi di scarpe. Perché mi interessano i profitti e non l attività. L imprenditore invece, da questa prospettiva, ha un rapporto profondo con il progetto perché è legato quello che fa. E non semplicemente in modo strumentale. Vorrei parlarvi, nei minuti che ho ancora a disposizione, di un modello che ha inventato un economista inglese, David Ricardo. È forse il primo vero modello economico perché è contro intuitivo. Quello che a volte sfugge a chi si occupa di management e di consulenza infatti, è che se l economia fosse solo buon senso messo in ordine, non servirebbe a niente. L economia serve un pò quando è contro intuitiva e dice cose che non capisci da solo. Ricardo cita il caso classico di scambio tra Portogallo e Inghilterra. Immaginiamo il primo come una persona più forte e la seconda come una persona più debole. Prima di Ricardo si pensava che convenisse esportare, con il commercio internazionale, quando c era un vantaggio assoluto in un settore di un Paese. Se l Inghilterra per produrre spende cinque e il Portogallo spende otto per ogni unità di seta e il Portogallo per fare vino ha un costo di cinque e l Inghilterra di sei, Smith e gli altri mercantilisti dicevano: conviene che il Portogallo si specializzi nel vino e importi la seta e l Inghilterra faccia il contrario, produca seta e importi vino. C è un vantaggio assoluto.

L ECONOMIA: CIVILE O INCIVILE, TERTIUM NON DATUR 39 Ricardo dimostrò che anche in un mondo in cui l Inghilterra è più forte del Portogallo sia nella seta sia nel vino, conviene all Inghilterra produrre seta e questa scelta non è un atto d amore per il Portogallo, ma avvantaggia anche l Inghilterra (teoria dei vantaggi comparati). Questa secondo me è la prima vera idea geniale della scienza economica: il mercato quando funziona includendo, avvantaggia tutti, avvantaggia anche chi è svantaggiato. Certo è molto difficile fare queste cose. Innovare veramente, includendo chi è fuori, portandolo dentro in modo tale che questa persona avvantaggi se stesso e l altro, è difficile oggi. Il rapporto che abbiamo illustrato è valido entro certi limiti, ma in certe regioni è vero. È il concetto di costo/opportunità. La cooperativa sociale che include un soggetto svantaggiato, se lo fa bene si arricchisce, non fa semplicemente beneficenza. Innovazione non è il fatto di aiutare i ragazzi svantaggiati, questo si faceva anche prima. Quando io includo un ragazzo down nell impresa, e sono capace di innovare trovando un lavoro adatto per lui, includendo la persona svantaggiata arricchisco lui e me stesso. Questo è il mercato civile. Altrimenti c è l assistenzialismo, c è la beneficenza, che dal mio punto di vista non sono interessanti. La cooperazione è cresciuta quando ha dato dignità alle persone crescendo come impresa. La cooperazione ha avuto una funzione sociale immensa, e ce l ha ancora: perché ha portato dentro chi era fuori, ha fatto diventare socie persone escluse, ha dato dignità al socio, ma si è arricchita anche essa. E questa è la natura vera dell innovazione. Vi racconto un episodio di un mio amico, cooperatore sardo. Da ragazzo era stato in prigione in Inghilterra, in un carcere minorile, per errore, e ha pensato, da grande, di fare qualcosa per i ragazzi che sono in carcere. Diventa cooperatore, va nel carcere di Cagliari e trova che i ragazzi erano intrattenuti a verniciare il muro tutto il giorno, per tenerli buoni. Lui pensa

40 RI-PRENDERE LA MISURA questi ragazzi devono fare un lavoro vero. Devono essere utili a Cagliari, non devono essere assistiti. Così cerca l innovazione: prima alla mensa, ma la mensa non andava bene perché sputavano nel piatto delle guardie (pensavano che lo facessero ). Alla fine nasce la lavanderia e oggi è la migliore lavanderia di Cagliari. Quei ragazzi non sono soltanto degli assistiti: questa è innovazione. Io includo chi è fuori e faccio affari insieme a lui. Chiudo il mio intervento con un gioco sulla fiducia, un gioco che si usa anche in laboratorio con gli studenti. Anna trova su Internet un francobollo e vuole comprarlo da Bruno, che si trova in Cina. Il francobollo costa 200 e di fatto questo contratto non ha garanzie. Bruno dice: bene, io ti mando il francobollo ma prima tu mi mandi bonifico. Se A non si fida di B chiude il rapporto e finisce zero zero: niente francobollo, niente soldi. Se A si fida di B e B, corretto e onesto, manda il francobollo ad A passano insieme ad 1 a 1. Se B fa all opportunista e si tiene i soldi passa a 2 però A passa a -1, perché non ha il francobollo. Quale è l idea di fondo: il modo civile di leggere il mercato è: passiamo insieme da 0 a 0 a 1 a 1. A una sola condizione: vinci la tentazione quando ti capita perché se non la vinci la prossima volta non gioco più. Il modo civile di leggere il mercato è la freccia che porta da 0 a 0 a 1 a 1 e non il leggere il mercato come il furbo e il fesso. La grande differenza fra i paesi che crescono e quelli che decrescono è che nei primi vedo il mercato come che bello, facciamo insieme un affare e nei secondi vedo il mercato come un luogo dove dare pacchi e riceverli. L altro giorno ho preso un taxi e non sono riuscito a pagare con il tassametro. C è l idea che esiste il furbo ed esiste il fesso. Genovesi in una lettera antica, alla fine del suo libro, lo diceva molto bene. Sto ora a far imprimere le mie Lezioni di commercio in due

L ECONOMIA: CIVILE O INCIVILE, TERTIUM NON DATUR 41 tometti. Raccomando l opera alla Divina Provvidenza. Io sono oramai vecchio, né spero o pretendo nulla più dalla terra. Il mio fine sarebbe di vedere se potessi lasciare i miei Italiani un poco più illuminati che non gli ho trovati venendovi, e anche un poco meglio affetti alla virtù, la quale sola può essere la vera madre d ogni bene. È inutile di pensare ad arte, commercio, a governo, se non si pensa di riformar la morale. Finché gli uomini troveranno il lor conto ad essere birbi, non bisogna aspettar gran cosa dalle fatiche metodiche. N ho troppo esperienza (Genovesi, lettera del 1765). E cosa hanno da dire queste cose alla cooperazione? Anche la cooperazione può essere letta come mutuo vantaggio. Non è buonismo, non è filantropia. Ad esempio andare nel sud d Italia, non per amore, nessuno ci crede, ma aprire una nuova sede per un mutuo vantaggio. Forse si possono sfruttare nuove opportunità di mutuo vantaggio in molti campi. Ad esempio amo citare l esperienza che ha fatto Yunus con la Danone: l esperienza dello yogurt low cost. Tu sei Danone, multinazionale, io sono Grameen Bank. Qui c è bisogno di yogurt perché i bambini non hanno calcio. Lo yogurt costa troppo. Facciamo allora insieme lo yogurt low cost: tu entri in un mercato nuovo e i bambini non muoiono. È nata una joint-venture tra la Danone e la Grameen Bank. Non ne posso più del sociale che va a chiedere l elemosina nelle banche. Oggi la cooperazione crescerà se saprà innovare, se saprà vedere prima degli altri nuove opportunità per crescere insieme. Grazie.

I numeri della felicità Dal PIL alla misura del benessere Donato Speroni, Giornalista, saggista Vorrei cominciare fissando un paio di paletti. Sapete che l economia si distingue in micro e macro. La macro è attenta ai dati che riguardano l intero sistema. Direi che anche questa nuova economia, attenta al sociale, si può distinguere in micro e macro. Il vostro rapporto sociale è un tipico esempio di microeconomia sociale. Tutta questa ricerca in corso sugli indicatori del benessere invece, è macro economia sociale. Il secondo paletto che vorrei fissare è che io sono un divulgatore. Ci sono libri molto interessanti su come cambiare l economia. Per esempio è uscito questo libro di Stefano Bartolini Manifesto per la felicità, un libro a tesi. Uscito quasi contemporaneamente al mio che s intitola I numeri della felicità, in cui racconto, come giornalista, un esperienza di ricerca che è in corso in tutto il mondo. Da ragazzo io ero rimasto affascinato da un libro che si chiamava Cacciatori di microbi. Direi che il mio è un po un libro da cacciatore di numeri. Racconto come il mondo della statistica si sta evolvendo e sta cercando di rispondere meglio alle esigenze della società contemporanea. Infatti parlo di statistica del 21º secolo. Statistica che si pone degli obiettivi in parte diversi da quelli classici in quanto non riguarda solo i dati che servono al Principe per governare lo Stato, ma anche dati che servono sempre meglio per il controllo democratico e devono, per poter avere questa funzione, avere una base di condivisione. Devono cioè consentire confronti internazionali ma, e questo

44 RI-PRENDERE LA MISURA direi è l aspetto nuovo, devono saper rispecchiare meglio le specificità locali; devono essere più attenti all individuo, al sociale, all ambiente, sulla linea di quello che viene chiamato il paradosso di Easterlin, cioè il fatto che già da trent anni si è scoperto che fino ad una certa soglia di reddito più si hanno soldi più si è felici, ma arrivati a un certo punto il livello di felicità e benessere individuale non seguono più l incremento del reddito e si basano maggiormente su altri fattori. Alcune cose importanti sono cambiate negli ultimi anni. La prima, significativa, è stata l introduzione dei millenium development goals, varati da un assemblea dell Onu del 2000: otto obiettivi, da raggiungere entro il 2015, che per la prima volta non riguardavano soltanto il reddito, ma anzi riguardavano il campo della parità di genere, dell eliminazione della povertà o della riduzione della fame nel mondo. Questi obiettivi in alcune aree sono stati raggiunti, in altre no; entro quest anno, con l assemblea dell Onu del settembre prossimo, verrà introdotta la revisione e lo spostamento degli obiettivi nel tempo. In parallelo, e forse a volte anche in antagonismo con quanto ha fatto l Onu, è stato varato il progetto Measuring progress dell Ocse, un progetto diretto da Enrico Giovannini, attuale responsabile dell Istat, che praticamente si è articolato in vari incontri per vedere come si misura al meglio il progresso. L ultimo grosso incontro di rilievo è avvenuto in Corea nell ottobre scorso con la partecipazione di 1700 tra politici, statistici, economisti e organizzazioni non governative. In parallelo abbiamo avuto il varo della commissione voluta da Sarkozy e presieduta da Stiglitz, Fitoussi, Sen, che ha offerto proposte tecniche con il suggerimento anche di varare tavoli nazionali per realizzarle. Tutto questo lavoro si è accompagnato a una attenzione politica che in passato non c era. Tutti citano in questo campo della

I NUMERI DELLA FELICITÀ 45 ricerca sul superamento del Pil il discorso che fece Bob Kennedy poche settimane prima di essere assassinato, quando disse che il Pil misura tutto tranne quello per cui vale la pena di vivere; in realtà poi la politica per molti anni si è occupata molto poco di tutto ciò. Sarkozy è stato forse tra i primi a capire che esiste una contraddizione tra il fatto che c è bisogno di crescere per uscire dalla crisi economica e al tempo stesso crescere non può significare tornare al vecchio modello di sviluppo. Questa è la ragione per cui ha dato mandato alla Commissione Stiglitz, Sen, Fitoussi di iniziare questo lavoro. In questo senso la crisi economica ha stimolato ulteriormente la ricerca sui nuovi indicatori e non soltanto sul Pil. Un ulteriore investitura si è avuta con il G20 di Pittsburgh dell anno scorso che ha sottolineato quest esigenza di metriche nuove. L unione europea ha lanciato il progetto Oltre il Pil. Tutto questo si è verificato nel giro di pochissimi mesi. C è stato un salto di attenzione degli economisti e degli statistici verso una dimensione politica. Attenzione che si sta verificando anche in Italia, testimoniata da diversi convegni. Anche il Cnel sta puntando ad avere un ruolo nella ricerca di nuovi indicatori. Le linee di ricerca sui nuovi indicatori sono fondamentalmente tre: 1. migliorare le informazioni diffuse dalla contabilità nazionale; 2. misurare la felicità individuale e le sue correlazioni con i dati oggettivi di benessere; 3. valutare la sostenibilità per le generazioni future; Tutta questa ricerca si basa su una domanda di fondo: è possibile sostituire il Pil con un altro indicatore unico, che abbia lo stesso valore, lo stesso impatto? Oppure è meglio un

46 RI-PRENDERE LA MISURA dashboard (una sorta di cruscotto) quindi non uno strumento unico? Vediamo di approfondire le tre linee di ricerca. La prima prevede di non abbandonare la misura del Pil, ma di migliorare la sua qualità. Non dimentichiamo che il calcolo del Pil ha il pregio di seguire criteri definiti internazionalmente, aggiornati periodicamente, che favoriscono la confrontabilità tra i Paesi. Non dimentichiamo che comprende anche l economia sommersa, (non quella criminale), ma ha anche dei difetti. Il primo difetto è che era molto più facile calcolare il Pil quando era soprattutto in termini di auto prodotte o tondini di ferro; è molto più difficile calcolarlo in una società di servizi ed è molto più difficile valutare la pubblica amministrazione che normalmente viene valutata sui costi, cioè praticamente gli stipendi, quando in realtà andrebbe valutato l output. Ad esempio nel campo della sanità quante giornate di degenza ecc.. o addirittura l outcome, cioè qual è l effetto della azione pubblica sul livello di salute generale. L altro difetto è che si parla di Pil pro capite, mentre invece sarebbe più interessante correggere questo dato tenendo conto del reddito effettivamente disponibile. Per esempio se le famiglie ricevono o non ricevono servizi pubblici adeguati, questo modifica l effettiva disponibilità di reddito; sarebbe giusto calcolare anche l incidenza del lavoro domestico. Ricordiamo il paradosso della cuoca: se la sposo diminuisce il Pil. Oggi ad esempio c è il paradosso della badante: man mano che si esternalizzano determinate attività fatte fino ad oggi in famiglia questo fa aumentare il Pil, ma non è detto che sia effettivamente un vantaggio. Ci sono poi le attività legate alla sicurezza. Ad esempio ci sono più porte blindate, il PIL aumenta, ma non sta migliorando la qualità della vita. E poi c è chi dice che sarebbe bene anche valutare il tempo libero. L altro aspetto interessante è che sarebbe molto utile, quando

I NUMERI DELLA FELICITÀ 47 la contabilità nazionale diffonde i suoi dati, che desse subito anche i dati sulle mediane e non sulle medie. Cosa significa la mediana? Stiglitz fa un esempio: se noi negli Stati Uniti ci fossimo soffermati sulla mediana degli ultimi anni, cioè su quello che è il reddito pro capite di chi sta in mezzo, ci saremmo accorti che, mentre eravamo tranquilli perché la media saliva in quanto c era gente ricca che stava diventando sempre più ricca grazie alla finanziarizzazione, l americano medio si stava impoverendo. Non dimentichiamo che dal Pil derivano anche i calcoli che riguardano la povertà. Ci sono due modi di calcolare la povertà: una relativa, che calcola il numero di famiglie che stanno sotto la metà della media (un dato che però spesso diventa opinabile) e poi c è la povertà assoluta che si calcola prendendo un paniere di beni essenziali e guardando quante famiglie se lo possono permettere e quante no. Veniamo al campo più controverso: come misurare il benessere e la felicità. C è una scuola anglosassone che si basa sulla misura del benessere soggettivo e una scuola nord europea che si basa sul benessere oggettivo. Il benessere soggettivo si misura con la scala di Cantril 1, uno psicologo. L Istituto Gallup lo sta adottando oggi in oltre 140 paesi, chiedendo a circa 1000 persone ogni due anni, su una scala da uno a 10, quanto sei felice e quanto pensi che sarai felice il prossimo anno?. Ci sono una serie di domande che sono basate su questa scala. È una misura con molti difetti. Per esempio gli australiani la applicano ampiamente, anche a livello locale, e hanno scoperto che le comunità dove ci sono 1 Cantril, nel 1965 sviluppò una ricerca che riguardò 15 paesi nel mondo con l intenzione di misurare felicità e speranza chiedendosi se una persona che ha più risorse economiche automaticamente sta meglio. Idea eretica per gli economisti del tempo.

48 RI-PRENDERE LA MISURA molti asiatici danno abitualmente un voto più basso perché gli asiatici tengono a non dare mai un voto superiore all otto. Forse anche gli italiani per scaramanzia non direbbero mai che la loro felicità è dieci. Però quello che è interessante è che nel confronto nel tempo, nella serie storica, se quella stessa comunità con quella composizione, ha un crollo nella felicità questo vuol dire che qualcosa sta succedendo. E quindi può essere strumento di intervento politico. Comunque nella media australiana la variazione nell arco di 10/15 anni, mi sembra sia di 0,3-0,4%. Quindi è un dato abbastanza attendibile nonostante si tratti di un indice soggettivo. Veniamo alla misurazione dei dati oggettivi. Un esempio classico di come anche il benessere oggettivo pone problemi di misurazione è il tasso di divorzio. Qual è il tasso ottimale di divorzio di una società? Non è 0%, perché questo significherebbe che tutti sono obbligati a rimanere all interno di un vincolo in cui sono infelici. Ma chiaramente non è neanche 100%. Quindi è difficile determinare, anche su dati oggettivi, cosa sia la felicità. Quello che è molto interessante è la correlazione tra i dati sul benessere oggettivo e i campi che lo influenzano, cioè i soldi, la percezione della salute, i rapporti familiari, i rapporti di amicizia, e quindi una grossa parte del lavoro di ricerca che si sta svolgendo in questo campo è quello di porre in correlazione il benessere complessivo con i più diversi settori. Io ho l impressione che in italiano felicità e benessere abbiano un significato un po diverso dall inglese: per noi felicità è più istantanea rispetto all happiness inglese e quando parliamo di benessere abbiamo in mente soprattutto il campo economico, mentre mi sembra che nel linguaggio statistico anglosassone happiness e well-being siano molto più collegati; vanno ricordate queste distinzioni culturali altrimenti non ci si capisce. Il terzo campo di indagine è la misura della sostenibilità.

I NUMERI DELLA FELICITÀ 49 Quello che noi stiamo facendo avvantaggia o no le generazioni future? Perché noi potremmo anche fare una politica che crei il massimo della felicità oggi però danneggiando le prospettive future; ad esempio se abbassiamo le tasse aumentiamo la felicità, oggi, ma notoriamente creiamo dei problemi per il futuro. Oggi chi cerca di misurare lo stato patrimoniale, lo stock di ogni paese, lavora soprattutto su quattro campi: il capitale economico, il capitale ambientale, il capitale umano (livelli di educazione e formazione), il capitale sociale (lo stato delle reti di relazioni, l adesione ai valori collettivi, cioè tutto ciò che fa parte del patrimonio di un paese, e che funziona da collante). In questi anni abbiamo visto moltiplicarsi gli indicatori ambientali. L obiettivo di questi indicatori è capire cosa danneggia il futuro. Ad esempio a un certo punto il Pil della Mauritania si è impennato perché avevano aumentato molto la pesca, solo che hanno depauperato le loro riserve ittiche. Quindi mettere insieme cosa succede all andamento economico e allo stock di risorse è molto importante. C è una domanda di fondo e cioè quanto valgono in negativo le emissioni di CO2. Si discute quanto siano generate dall uomo. Ma aldilà di queste cose la domanda di fondo è quanto incide sul futuro dell umanità l incremento di CO2? A questa domanda non siamo in grado di dare una risposta. Arriviamo quindi alla domanda finale. Alla domanda complessiva: è possibile sostituire l indicatore Pil con un indicatore composito più ampio? Un tentativo importante in questo campo è già stato fatto: lo human development index, proposto dall agenzia dell Onu che si occupa di sviluppo e che viene prodotto da ormai quasi vent anni. È un indice che mette insieme tre dati: il Pil pro capite, la speranza di vita, l alfabetizzazione e partecipazione alla vita

50 RI-PRENDERE LA MISURA scolastica, in definitiva il livello culturale di un paese. Questo dato viene diffuso tutti gli anni, ma riceve un attenzione relativa. Oggi è criticato perché, per esempio, è totalmente privo di contenuti ambientali, tanto che è in corso una revisione che probabilmente porterà al lancio di un nuovo indice. Poi ci sono altri esperimenti interessanti. Ogni tanto si legge che il Butan, questo Stato himalayano, non misura il Pil ma la felicità interna (in realtà misura anche il Pil). Se si va sul sito dell istituto che misura questa cosa si scopre che in effetti è una elaborazione rigorosamente statistico matematica, ma la hanno fatta una volta sola, e solo su due distretti. Inoltre contiene domande che sono molto specifiche di quella cultura. Ad esempio: quante ore dedichi al giorno alla meditazione?. Questo ci segnala che più ci spostiamo da un discorso di Pil a un discorso di benessere, più prevalgono gli aspetti culturali locali che rendono più difficile la comparazione internazionale. Ci sono poi i due istituti di statistica secondo me tra i più avanzati nel mondo. Quello australiano e quello canadese che hanno scelto strade totalmente diverse. I canadesi stanno tentando di fare un sostituto del Pil. Hanno cominciato mettendo insieme due settori, per il prossimo anno si propongono di metterne insieme otto, e stanno scoprendo però una cosa un po preoccupante: più si sommano dati di settori diversi, più il dato si appiattisce e più è difficile andare a riscontrare delle variazioni. Gli australiani hanno scelto invece la strada del dashboard, del cruscotto annuale, che fotografa la situazione nei diversi settori. In conclusione va detto che la partita è politica. Nel senso che i millenium development goals sono stati una reale svolta anche per la qualità del dato statistico, perché hanno indotto a investire anche nei paesi in via di sviluppo per avere dati credibili, attendibili. Però sono stati calati dall alto, cioè non sono stati condivisi dalle comunità. Oggi quindi il problema è come coinvolgere maggiormente le culture locali.

I NUMERI DELLA FELICITÀ 51 Però, più si specificano gli obiettivi più diventa difficile confrontare i dati tra un paese e l altro. Non solo, ci sono paesi che non sono particolarmente contenti dello spostamento dell attenzione dal Pil al benessere. Per la Cina ad esempio il fatto di andare a misurare il benessere, e magari disaggregato a livello di comunità locali, non è una cosa molto gradita. C è quindi resistenza in questi paesi. C è poi chi cerca di fare un po il furbo, cioè di usare i dati per far fare bella figura al proprio Paese. Ad un certo punto c è stata la polemica di Alesina, un economista, che accusava un po Sarkozy di questo, nel senso che diceva che in fondo questa elaborazione della commissione Stiglitz tiene conto del tempo libero e del lavoro domestico per far fare bella figura alla Francia, rispetto al solo dato del Pil. Altre cose di questo genere sono successe anche in Italia. Quando c è stato il convegno dell Aspen Institute abbiamo avuto una presentazione dell economista Fortis che dimostrava come l Italia in realtà stia molto meglio di quanto non sembri dal Pil, contrastato da Boeri che dice che si tratta di una presa in giro fatta per fare un favore al ministro Tremonti. C è sempre questo sospetto quando si introducono altri indicatori. Però quello che è importante è che si è capito che il Pil non basta più. Non va rottamato, ma questo grosso processo di revisione e ricerca in corso nel mondo va seguito e realizzato anche in Italia.

Tavola rotonda Conduce il giornalista Donato Speroni. Partecipano: Francesco Berardini, Luigino Bruni, Marco Lami, Marco Pedroni, Laura Pennacchi. Donato Speroni Nei vostri documenti 1 interni parlate di degrado, un termine più pesante rispetto a quello di declino, perché se il degrado deteriora le istituzioni possiamo considerarlo irreversibile. Vorrei fare riferimento a due film, Il caimano e Videocracy. Soprattutto quest ultimo mette in luce una società permeata da una cultura televisiva estremamente superficiale. Se pensiamo che tra il 60 e l 80% della popolazione italiana ricava le sue informazioni politico-sociali dalla televisione, si può intuire quanto profonda sia questa situazione, che va oltre il problema di una maggioranza politica o dell altra. La prima domanda che allora vorrei porre è la seguente: voi siete un organizzazione che ha relazioni con milioni di persone. C è un modo di fare cultura contro questo degrado? Un modo in cui voi siate protagonisti? Seconda domanda: allargando il discorso alla crisi economica, l impressione è che sia tutt altro che risolta perché le misure prese, sia italiane sia europee, sembrano dei palliativi. A livello europeo, e più drammaticamente ancora in Italia, abbiamo una difficilissima struttura demografica da gestire con poca crescita economica e molto debito. Che significa fare socialità in tempo di crisi? Cosa può significare per voi? Terza questione. Diciamo che stiamo andando verso un nuovo modello di sviluppo. La ricerca di nuovi indicatori e strumenti di misura ne è un sintomo preciso. Che significa fare cooperazione con un nuovo modello di sviluppo? 1 Si riferisce alla nota di presentazione del Convegno.

54 RI-PRENDERE LA MISURA Francesco Berardini, Presidente di Coop Liguria. Lo spessore delle domande è notevole. Provo a partire dalla prima. Giampaolo Fabris ci raccontava di una dimensione sociale che si ritirava nel privato e mostrava un apertura culturale non troppo marcata. È vero, c è stato un restringimento degli orizzonti: il locale, se stessi, il breve periodo. È diventato dominante l aspetto privato. C è però da chiedersi cosa significhi privato, perché esiste una dimensione di ragionevole interesse per sé, come già rilevava Adam Smith che distingueva tra interesse per sé ed egoismo individualistico aggressivo. Bisogna che noi cooperatori, per fare cultura, siamo in grado di cogliere questa evoluzione. La società oggi trasmette ad onde corte e per entrarci in sintonia bisogna saper comunicare ad onde corte. Questo non significa con meno valori, meno cultura, ma significa entrare in sintonia con la capacità di comprensione di questa società. Lo si fa soprattutto attraverso le azioni concrete, che significa messaggi chiari e comportamenti coerenti. Questa è la dimensione che possiamo e dobbiamo dare alla società. Per ciò che concerne la seconda domanda: nella versione economica della crisi abbiamo avuto una prima fase di statalismo, addirittura si è riparlato di nazionalizzazioni, ora invece, nella seconda fase, c è un ritorno di liberismo. Che futuro abbiamo di fronte? Io credo un futuro con meno capacità e volontà del pubblico di incidere nella domanda; se ciò è vero, allora c è più spazio per l economia sociale di mercato che riprenda anche alcuni principi del pensiero liberale: la responsabilità dell individuo, un principio di solidarietà e un principio di sussidiarietà. Quindi un ordine istituzionale molto radicato nel territorio che possa rispondere alle diverse pulsioni della società. Si tratta di creare domanda e offerta coinvolgendo in questo ambito anche settori di privato. Terza domanda qual è il ruolo di Coop e della cooperazione nella Welfare Society, nel welfare market che sto delineando?

TAVOLA ROTONDA 55 Coop deve avere il suo ruolo nei consumi. Anche gli ultimi dati mostrano che ci sono cadute nei consumi alimentari. Noi possiamo dare risposte a questi nuovi stili di vita e a queste esigenze; non sappiamo se saranno durature nel tempo, ma ora ci sono. Con gli stili di vita, rivolti per scelta o per costrizione a una maggiore sobrietà, noi possiamo entrare in empatia e non trovarci spiazzati da questo tipo di evoluzione. Marco Lami, Presidente di Unicoop Tirreno. Avverto come cittadino prima, e cooperatore poi, una forte mancanza di senso: questo individualismo, questi orizzonti limitati, questi valori deboli, cui faceva riferimento Berardini, producono un mondo che vive schiacciato in un presente con poche dimensioni e poche prospettive. Per Coop questo contesto è rischiosissimo. La tendenza all omologazione per noi è mortale. Il nostro tentativo di distinzione non è solo culturale. È anche un arma di competizione sul mercato. Se il degrado è anche perdita di senso, allora noi, come Coop, dobbiamo batterci per rendere più manifesto ciò che facciamo tutti giorni e proiettarlo nel futuro. Intanto dobbiamo fare un forte richiamo all economia reale, dare un valore al lavoro, alle imprese, ma credo che questo ritorno di senso non possa che passare dal concetto di bene comune. Dobbiamo rimettere al centro della nostra attività i valori e non subire la prospettiva che ci illustrava la professoressa Pennacchi di valoribus non est disputandum. Questo per noi è assolutamente vitale: abbiamo 7 milioni di soci che vogliono certo prodotti buoni e convenienti, e qui già abbiamo buone risposte, ma vogliono anche relazionarsi con un impresa in cui i valori che si hanno nella normale vita quotidiana, nelle famiglie, trovino una corrispondenza tangibile. I valori hanno il difetto che se ne può parlare tanto, ma poi farne poco. È chiaro che qui ci deve essere il nostro sforzo di tradurli in azioni concrete.

56 RI-PRENDERE LA MISURA Quando stamattina Bruni parlava di giochi a somma positiva, io pensavo alle nostre attività con Libera Terra, con le carceri, con il commercio equo e solidale, e tante altre cose che facciamo non per filantropia, ma perché tra l altro ne ricaviamo il guadagno di vivificare la nostra identità stando in maniera civile nel mercato. Dando credibilità alla nostra distintività. Come usciremo dalla crisi? Noi dobbiamo contribuire a costruire un nuovo modello di consumo. Non possiamo essere più convinti che i consumi sostenuti dalla pubblicità, consumi ad obsolescenza ravvicinata e programmata, possano perdurare. Noi dobbiamo provare a tornare a consumi che abbiano senso. È paradossale dire questo per noi che facciamo grande distribuzione? Direi di no: un modello rigoroso di consumo può riguardare tante nuove tipologie di domanda che abbiano, come costante, i reali bisogni delle persone. Marco Pedroni, Presidente di Coop Consumatori Nordest Per vivacizzare il dibattito vorrei dire che non condivido alcuni significati impliciti nelle domande. Provo a spiegarmi. Ciò che effettivamente vediamo deriva dal modo con cui lo guardiamo, dai nostri occhiali che spesso valutano solo in termini negativi fenomeni complessi. È un approccio che richiamandosi a valori condivisi li usa per contrastare una società che va altrove. Mi chiedo se sia il taglio giusto. Non sono per caso i nostri occhiali ideologici che non ci fanno leggere i processi nuovi? La situazione del nostro paese è pesante e grave, ma sbaglieremmo se considerassimo che il degrado è ovunque e generalizzato. Io non sono pessimista e provo a dire perché. Vorrei fare tre considerazioni. 1) Sulla natura della crisi. Ci sono diversi squilibri. Uno è tra finanza e industria totalmente a vantaggio della prima. Pochi investono nello sviluppo industriale, molti hanno lavorato per alimentare la metastasi finanziaria. Poi c è uno squilibrio tra paesi industrializzati e paesi emergenti, diverso da come ce lo siamo sempre immaginato: oggi gran parte dei

TAVOLA ROTONDA 57 paesi emergenti come Brasile, India, Cina, Russia e Paesi Arabi, finanziano i consumi dei paesi ricchi. È una situazione inversa rispetto a quello che potremmo aspettarci, perlomeno contro intuitiva. Il terzo squilibrio è determinato da una dinamica di redistribuzione del reddito diversa tra i diversi paesi; in Brasile, dove le diseguaglianze sono molto forti, la dinamica redistributiva tende a restringere le differenze mentre nei paesi più avanzati la dinamica di polarizzazione è più forte. Anche l Italia sta andando verso un effetto clessidra, dove soffre relativamente di più la classe media (lo vediamo anche nella composizione dei nostri consumi dove vanno bene i primi prezzi e i premium price). Questi squilibri fotografano le cause di una crisi, subita fortemente anche dai paesi a forte Welfare. L Europa non uscirà meglio dalla crisi degli altri Paesi. La classica risposta dello Stato Sociale, più economia sociale di mercato, è in crisi come gli altri modelli. Quindi non mi convince una risposta consolatoria del tipo è in crisi il modello liberista e torneranno di moda i modelli storici alternativi. Purtroppo non credo che basti indicare il colpevole per trovare la strada nuova. Ma allora perché non mi professo pessimista? Provo a dirlo, seppur in modo molto approssimativo e parziale. 2) Se i nostri valori cooperativi non sono di facciata, ma forti e liberi da ideologie del passato, e se questi valori alimentano concretamente le nostre azioni quotidiane, possiamo coagulare forze che si richiamano a uguaglianza, libertà e giustizia sociale. Non è un riferimento solo alla sinistra, ma a pezzi molto più ampi di società liberale e cattolica; si tratta di grumi sociali e culturali importanti, spesso senza più riferimenti politici e culturali a cui ci si può ancorare per una politica di nuovo sviluppo. Non sono d accordo con le posizioni di studiosi francesi come Latouche, teorici della decrescita, ne riconosco il valore quando affermano che di più non è uguale a meglio, ma non li seguo quando sfociano nelle economie locali e rurali, nella consolazione dei micro-sistemi. Non a caso Amartia Sen critica

58 RI-PRENDERE LA MISURA questo tipo di approccio. Il globale è senza ritorno. Paradossalmente anche i movimenti che contestano la globalizzazione sono figli di questo globale e della sua comunicazione. Non mi sembra praticabile neanche la proposta di Coldiretti del cosiddetto Km zero; è uno slogan utile per andare sui giornali; nel merito è una sciocchezza sia per i contadini dei paesi in via di sviluppo che per i nostri agricoltori. Il locale ha una straordinaria importanza, merita un grande impegno politico e progettuale, ma in una strategia più generale. Non basta il ragionamento sulle macropolitiche economiche; si deve riflettere anche sul micro, su come funzionano le organizzazioni economiche, su come agiscono gli attori economici. C è da esprimere una forte critica agli approcci di massimizzazione dei risultati economici di breve periodo, incluse le tecniche per valorizzare i titoli in borsa. Questa crisi ci dice che imprese con un orizzonte più ampio, che hanno assunto come impegno, per esempio, il tema della responsabilità sociale, hanno spesso retto meglio la crisi: la cooperazione ne è un esempio. In particolare penso che il modus operandi dei cooperatori abbia qualcosa di utile da dire anche alle imprese che assumono, legittimamente, come prima esigenza la creazione di valore per gli azionisti. La creazione di valore, infatti, va valutata e perseguita su orizzonti e tempi più lunghi e commisurata al contesto sociale in cui viene realizzata. Le stesse finalità di Welfare non possono essere un compito solo dello Stato; se non verranno assunte in modo organizzato anche dagli attori economici (imprese e sindacati), con le dinamiche demografiche e immigratorie in corso e future, le vecchie garanzie sociali salteranno e non per pochi. Il sistema fiscale non potrà reggere questi compiti, tendenzialmente crescenti. 3) Fare cooperazione al tempo della crisi è porsi questi temi. Discutere il concetto di valore oltre la codifica del prodotto interno lordo è giustissimo. Se il valore non è solo misurato in termini economici, sarà il caso di farci sopra una riflessione seria e di provare a dire qualcosa di più su come si compone e

TAVOLA ROTONDA 59 soprattutto su come incentivare e premiare chi agisce in questa logica più completa. Noi siamo tra questi? Se offriamo prodotti a marchio Coop portatori di attenzioni ambientali ed etiche abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza di chi acquista. Senza informazione e consapevolezza dei cittadini avremo solo i costi di un approccio al valore più ampio, ma non ne avremo i vantaggi. Dobbiamo ancora vincere la sfida con chi ci definiva accidenti della storia ; possiamo essere grandi imprese che operano su mercati molto competitivi, grandi imprese cooperative con tutto quello che questo comporta. Anche per intercettare tante persone che non hanno mai avuto i nostri occhiali, ma che cercano un nuovo riferimento. Donato Speroni: anch io non credo alle ipotesi delle economie rurali soprattutto tenendo presente che fra non più di trent anni circa 4,5 miliardi di persone vivranno in sistemi urbani. Solo questo dato è sufficiente per inficiare ogni nostalgico tentativo di autosufficienza. Laura Pennacchi: accolgo l appello all ottimismo fatto da Pedroni. Un analisi lucida sul degrado può consentire spazi di ottimismo: ad esempio se guardiamo le nostre società, italiane ed europee, il desiderio di socialità, di apprendimento collettivo esiste fortissimo. Noi, come anche in questa occasione di dibattito mi sembra stia emergendo, siamo depositari di uno spessore che ci può dare fiducia. Vengo alla crisi. La crisi greca era ed è di entità minima, la vera questione è l Europa: se l euro rimane uno scudo e non diventa una lancia è un problema. Manca una politica economica europea. Vorrei sottolineare, perché mi sembra che si sottovaluti, l intervento quantitativo degli Stati nella crisi. Sono stati gli Stati nazionali, troppe volte dati per morti, che hanno salvato il mondo dalla crisi perfetta. I deficit pubblici che ci sono ora

60 RI-PRENDERE LA MISURA sono frutto della trasformazione di un enorme debito privato in debito pubblico. Siamo di fronte a questo tipo di situazione non ce ne dimentichiamo. Inoltre il liberismo non è mai esistito in forma pura, si è sempre accompagnato con più o meno grande soppressione della libertà. È stato il Cile di Pinochet a fare da cavia di laboratorio; in particolare se guardiamo all evoluzione nei paesi anglosassoni, notiamo un enorme intervento pubblico, o nella forma dello Stato predatore di cui parla James Galbraith, o nella forma del neoliberismo privatizzato di cui parla Colin Crouch, o ancora nella forma di stato sviluppista analizzata da studiosi americani per mettere in luce il ruolo dello Stato nello sviluppo tecnologico (la creazione di Internet ne è un esempio paradigmatico). Quindi quelle forme da Stato predatore rimarranno ancora se non le contrastiamo. Dobbiamo lavorare per altre forme di intervento pubblico. Per la CGIL abbiamo prodotto un rapporto intitolato Privato. Pubblico. Comune. Lezioni dalla crisi globale, dove questo tipo di analisi è stato approfondito da un gruppo di studiosi. Io non farei derivare dalla riduzione dell intervento statuale spazi maggiori per l economia sociale. Questi sono spazi che sono nei fatti e nelle cose, e tanto più praticabili tanto più supportati da un serio intervento pubblico, responsabile. La crisi strutturale di un intero modello di sviluppo deve lasciare spazio a un modello di sviluppo modellato, finalizzato dai beni comuni, dalla Green Economy; gli spazi saranno imposti dal fatto che le crisi sono sempre grandi trasformazioni. Polany lo ha capito studiando il periodo tra le due grandi guerre. Oggi c è una certa analogia. Abbiamo in Europa eccessi di capacità produttiva micro e macro fino addirittura al 70%: immaginate che rivoluzione bisognerà fare sui sistemi produttivi e sulle strutture sociali! C è un ritorno all economia reale assolutamente necessario che richiede un grande sforzo progettuale. Se le cose stanno così, l intervento pubblico non può essere solo regolatorio, intanto

TAVOLA ROTONDA 61 perché la regolazione non può essere solo della finanza, che va democratizzata, regolata. Dobbiamo modellare un nuovo intervento pubblico. Evitando una Scilla e Cariddi tra l intervento di uno Stato predatore, corrotto, affaristico, e il ritorno al neoliberalismo che nega il ruolo del pubblico. Dobbiamo far uscire dal cassetto parole tabù come programmazione che deve avere grande dignità, certo accompagnata dalla pluralità degli attori. Se potessimo disegnare una contro finanziaria dovremmo partire dai soggetti più colpiti dalla crisi e dalle politiche dell attuale governo: donne e giovani; per le prime proporrei maggiori detrazioni fiscali per le politiche di lavoro, per i secondi lavorerei sugli ammortizzatori sociali e sulle prospettive pensionistiche future. Donato Speroni Sul discorso che riguarda il bilancio generazionale c è una notizia drammatica che parla di un numero elevatissimo di giovani che non studia, non fa formazione, non lavora: galleggia. Luigino Bruni Io direi innanzitutto che la gente è migliore di come viene teorizzata dagli economisti: non si va al supermercato per ottimizzare una funzione di utilità da soli, ci si va per tessere relazioni, per vedere altri ecc L idea di questo modello di egoisti massimizzatori, non regge all evidenza delle cose. La gente non è così, e anche le teorie più avvedute, aggiornate, lo tengono presente e sono cambiate negli ultimi anni. L economia ordinaria non è tutta da buttare, ha cose buone, a patto che venga utilizzata dove può essere utile, non ovunque. Venendo a noi: a mio avviso la cooperazione ha un grande futuro se è capace di lavorare su quel 2% di differenza che la distingue dagli altri modelli di impresa; se è capace di innovare senza rigurgiti di nostalgia di un mondo che in realtà non c è

62 RI-PRENDERE LA MISURA mai stato. Possiamo e dobbiamo essere critici oggi verso il mercato, e io lo sono, ma sempre avendo presente a quale alternativa facciamo riferimento; nel criticare questi mercati dobbiamo sempre chiederci cosa c è fuori. Una critica seria al mercato parte da qui: come è e come potrebbe essere. Anche i sistemi di misurazione risentono di questa prospettiva. Il problema del prodotto interno lordo è che è obsoleto; in un mondo dominato dalla scarsità di beni materiali, il Pil è uno strumento validissimo di misurazione ed è stata una fortuna che sia stato creato, nascendo all interno di un dibattito nel mondo anglosassone. I fisiocratici francesi però dissero una cosa importante valida ancora oggi: la ricchezza non è uno stock è un flusso. Il problema allora è che oggi il Pil non misura niente, è uno strumento incapace di leggere cosa succede davvero. La produzione materiale è importante non dimentichiamolo. Questo è un dibattito molto occidentale. Ma in larghissima parte nel mondo c è fame di beni materiali; da noi l elemento scarso non sono i beni materiali, ma l ambiente e le relazioni. E il Pil queste cose non riesce a misurarle. Stamattina ho parlato di economia civile. Le parole sono importanti. Stiamo usando dei termini vuoti, come ad esempio economia sociale che spesso, troppo spesso, viene associata a piccolo è bello, all artigianato, ai prodotti locali. Tutti settori di un mercato su cui non possiamo basare il futuro, visto che rappresentano una minima parte dell economia. Detto che sono settori che mi interessano non solo scientificamente, ma anche come impegno personale (per es. la finanza etica e l economia di comunione), come studioso é il 100% dell economia che mi deve attrarre. Non posso dire che facciamo le anime belle, i luoghi delle eccellenze e poi quel che succede nel resto stramaggioritario dell economia non mi interessa. Perché non è un modo serio di fare economia. Allora cos è l economia civile, al di là delle parole? È l economia che ha un senso, un progetto, anche quando è grande. Non

TAVOLA ROTONDA 63 possiamo accettare il messaggio della vita buona da cercare altrove rispetto all impresa dove vivo e opero tutti giorni: non può e non deve essere così. L economia civile non è quindi connessa alla forma giuridica o alla dimensione: è un progetto più complesso. Oggi la sfida è innovare sulle cose difficili. L impressione è che il movimento cooperativo stia consumando un patrimonio costruito nei decenni passati, una cultura cooperativa che abbiamo ereditato e che oggi dovremmo rinnovare verso i giovani, verso gli immigrati. Oggi l innovazione va fatta lì. Diceva Paolo VI: il mondo soffre per mancanza di pensiero, perché non si pensa abbastanza e in profondità alle cose. Io oggi vedo che la formazione del pensiero avviene attraverso i talk show televisivi. Ma non si fa lì la vera cultura, perché manca la relazione al di là dei contenuti. È un acquisizione passiva. La cooperazione oggi dovrebbe poter lanciare una stagione culturale di formazione vera, rigorosa. Ultima battuta sul modello di consumo: cosa è che sta andando in crisi davvero? A me sembra il modello che faceva del grande, lontano e anonimo i suoi capisaldi. Ma come facciamo a trovare dei luoghi di consumo piccoli, vicini e caldi se li abbiamo abbandonati? La tradizione comunitaria da cui derivate non dovete perderla. Dovete riuscire a coniugarla con l efficienza del grande. Innovazione è come riuscire a trovare dimensioni che salvino la vostra storia in maniera non nostalgica e allo stesso tempo che possa immaginare il futuro. Innovazioni difficili che abbiano a che fare con civiltà, gente, rapporti.

Serie di domande provenienti dal pubblico attraverso SMS Sarebbe il caso di porre fine a banali e pericolosi individualismi tra cooperative; Globalità produttiva e italianità di Coop; Politica del personale: quali possibili distintività da parte di Coop? Siamo diversi nelle relazioni interne alle nostre organizzazioni? Sviluppiamo meritocrazia e talenti? Stiamo parlando sempre dell incubo della disoccupazione e mai del sogno di non far niente Felicità e benessere sono due concetti diversi, noi come Coop dobbiamo occuparci del benessere Francesco Berardini: non credo che le difficoltà nelle relazioni tra le cooperative derivino dall atteggiamento miope di chi ci lavora. Sono in gran parte frutto della diversità delle loro storie. Nella verifica del possibile processo di integrazione tra le Coop liguri, piemontesi e lombarde ci accorgiamo che le difficoltà derivano proprio dalle storie delle singole organizzazioni. Credo che oggi la consapevolezza che siamo in un mercato che non tollera più inefficienze è palese: noi dobbiamo abbassare i costi interni e probabilmente l assetto odierno non ci aiuta più. Dobbiamo andare verso ulteriori fasi di integrazione. Sono ottimista, è un lavoro di integrazione difficile, ma che perseguiamo in maniera tenace e consapevole. Torno ad affrontare il discorso della finanza. La finanza serve per allocare le risorse. Uno dei segnali fondamentali per capire se ci avvieremo sulla via della ripresa, sarà una finanza sana. Finanza che è necessaria: un conto è denunciare gli eccessi

66 RI-PRENDERE LA MISURA pensate che i derivati in circolazione erano circa 12 volte il PIL mondiale un conto è utilizzarla come strumento necessario per la crescita economica. La finanza è importante anche per il movimento cooperativo. E non da oggi. Pensiamo a una figura storica del nostro movimento come Luigi Luzzati; anche il movimento cooperativo basco, realtà di estremo successo, si basa su due capisaldi: formazione e banca, che hanno supportato la crescita delle cooperative nei diversi settori. Marco Lami: ho un po l impressione che anche l idea dell individualismo tra cooperative sia un abitudine mentale. Bisogna che lo guardiamo bene questo tema, che pure si pone. Le Coop sono figlie dei legami con i propri territori, con le proprie culture e storie. Mi sembra che la situazione stia evolvendo positivamente. Occorre trovare ogni volta la propria strada. Le fusioni sono difficili e complesse. Dobbiamo mantenere le nostre storie. Il ruolo di rinnovata importanza che le Coop hanno voluto dare a Coop Italia mi sembra emblematico, da questo punto di vista. Sulla finanza, il rischio è che da strumento la facciamo diventare qualcos altro. Non dimentichiamo che il prestito sociale è un pezzo di finanza. Come siamo davvero come organizzazioni: certo è che se noi, giustamente, facciamo dichiarazioni molto nette sul nostro posizionamento etico poi siamo chiamati a rispondere delle coerenze e dobbiamo farlo ogni giorno. Però questa è una corsa che va praticata se vogliamo così forte il nostro posizionamento valoriale. Penso di poter dire che sulla tutela e valorizzazione del lavoro, qualcosa di interessante lo rappresentiamo. Io sono convinto che la situazione di oggi per noi può essere un opportunità: c è una domanda di senso, di ascolto forte che ci arriva quotidianamente. Avverto però il bisogno di uno stacco, di una opinione forte, diversa, che si faccia sentire. Altrimenti il flusso dell attività quotidiana ci porta da un altra

SERIE DI DOMANDE ATTRAVERSO SMS 67 parte: dobbiamo cercare una soluzione di continuità. La giornata di oggi mi conforta da questo punto di vista. Esiste un pensiero teorico forte che ci può aiutare. Io avverto l esigenza di schierare Coop tra chi propone questo stacco, questa alternativa, altrimenti ho il timore che la storia ci porti in una direzione che non mi piace. Marco Pedroni: anche secondo me bisogna schierarsi, in un senso diverso rispetto a quello che normalmente si assegna a questo termine. Intanto so come non dobbiamo schierarci: non a destra, ma neanche necessariamente a sinistra; con quella o con quell altra forza politica. Schierarci può significare andare magari controcorrente; portare fino in fondo alcuni nostri tratti caratteristici per farli essere fattori competitivi: ad esempio ciò che abbiamo fatto con il latte in polvere per i bambini o magari quello che faremo tra poco sull acqua. A volte le nostre scelte possono farci vendere meno nell immediato, ma l intento è di accrescere il livello di fiducia dei nostri soci e quindi vendere di più dopo. Non vogliamo più soldi dai nostri soci, ma vogliamo aiutarli a spendere meglio: è così che la Coop si deve schierare. A noi non serve, sarebbe esiziale, una Coop sempre più simile agli altri. Vorrei anche tornare sul commento che riguarda il non-lavoro. A me capita spesso di sognare di non fare niente, soprattutto in quei momenti in cui sono strapieno di impegni; ma noi tutti sappiamo che è un desiderio passeggero. Sappiamo che non siamo fatti così. Cosa può significare, allora, questa richiesta? Beh che abbiamo poco tempo per parlare; parafrasando il titolo del nostro incontro per prenderci le misure; poco tempo per riflettere; poco tempo per le nostre relazioni affettive; poco tempo per studiare. Il tema che viene sollevato allora è il modello di lavoro e di impegno cui siamo sottoposti: ci sono culture e approcci (anche europei) che teorizzano cicli diversi di impegno

68 RI-PRENDERE LA MISURA nella vita di ognuno. Noi invece non ne teniamo conto e non operiamo per diversificare. La voglia di non fare niente, implicita nella domanda, è forse il desiderio di avere un tempo diverso. Tra l altro non sono così convinto che abbatteremmo la produttività in cooperativa. Anzi credo che potremmo avere una migliore qualità dell impegno e dei risultati. Sul tema dell integrazione tra cooperative: non credo sia necessario fondersi e crescere sempre di più, anche se nella grande distribuzione organizzata la dimensione è importante. Noi abbiamo bisogno di immaginare una Coop che fa di più insieme. C è comunque un pericolo: il pericolo che mettere insieme ciò che è necessario (acquisti, logistica, ricerca) porti ad accentrare tutti i processi decisionali. Anche quelli che oggi ci permettono uno scambio vitale e forte con i nostri territori, con le realtà locali. È un rischio che abbiamo corso anche nel passato. Dobbiamo diventare più grandi, ma abbiamo bisogno di mantenere radici forti e differenziate non solo per la relazione con i soci, ma anche con i produttori e con i diversi interlocutori del territorio. Nel progettare integrazione fra le cooperative questo è il punto difficile da garantire. È un punto che merita un pensiero innovativo. Va evitato il rischio di creare posti sempre più piccoli e chiusi che prendono decisioni importanti per organizzazioni sempre più grandi. Per fare integrazione bisogna affrontare in modo esplicito le culture dalle quali proveniamo e gli assetti di governo oggi presenti. Altrimenti non si va lontano. Ci vuole coraggio e grande generosità da parte dei gruppi dirigenti. Di questi gruppi dirigenti! Sul funzionamento delle nostre organizzazioni, ritengo che siamo bravi nella tutela e sicurezza delle persone, un po meno nella loro valorizzazione; mentre stiamo andando nella giusta direzione sulla convenienza e sulla qualità dell offerta, non siamo altrettanto bravi nell organizzazione interna, nel valorizzare i meriti e nel sanzionare e correggere comportamenti inadeguati.

SERIE DI DOMANDE ATTRAVERSO SMS 69 Infine: c era una domanda che ci chiedeva di passare dai massimi sistemi alle cose concrete. Credo che ci sia un rapporto diretto tra questi diversi livelli, un rapporto complesso da declinare, ma inevitabile e necessario. Non penso che questo rapporto sia programmabile dall alto verso il basso; forse, come diceva Bateson 2, tra le intuizioni teoriche e le cose pratiche quotidiane c è una relazione stretta e le nostre azioni migliori sono guidate proprio da queste intuizioni (o valori). Laura Pennacchi: vorrei concentrarmi sul senso del lavoro, portando due esempi autobiografici. Il primo mi riguarda personalmente, nel senso che oggi lavoro senza vincoli di costrizione e posso scegliere cosa fare. Mi ritrovo così a lavorare tantissimo, ma è un lavoro gratificante che dice come un buon lavoro sia, almeno per me, parte fondamentale di una buona vita. Il secondo riguarda i miei figli, ormai più che quarantenni e che nonostante un altissima scolarizzazione, si ritrovano a lavorare per progetti sempre temporanei che non permettono una minima stabilità e vivono con ansia e preoccupazione questa realtà. Credo che una buona e piena occupazione sia una stella polare da seguire nei nostri ragionamenti: da questo punto di vista l articolo 1 della nostra Costituzione rimane una pietra miliare. Ho sempre creduto che la liberazione emancipatrice non fosse dal lavoro ma nel lavoro. Proprio per questo sono favorevole al dibattito che si sta svolgendo in Europa sul fatto che gli Stati si possano dotare di redditi minimi per combattere la povertà, ma sarei assolutamente contraria a una prospettiva di reddito incondizionato, senza nessun riferimento alla condizione materiale e al lavoro, proprio perché sarebbe una prospettiva di liberazione dal lavoro. Penso che invece si debba avere un lavoro di cittadinanza, un lavoro che realizzi la dignità umana e sociale. Un lavoro che si 2 Gregory Bateson, scienziato, è considerato uno dei più grandi pensatori del 900. Uno dei suoi libri più famosi è Verso una ecologia della mente, edito da Adelphi, che riunisce brevi saggi e conferenze. La scienza ecologica, la psicologia e la teoria della complessità devono molto alla sua ricerca e al suo approccio.

70 RI-PRENDERE LA MISURA affianchi a quelle politiche strutturali di trasformazione dell economia e della società di cui abbiamo bisogno e di cui abbiamo parlato oggi anche in relazione alla crisi e al nuovo modello di sviluppo che è necessario per superarla. Luigino Bruni: storicamente c è una contrapposizione tra chi ritiene il lavoro una punizione e chi una liberazione. Dai miti babilonesi ai greci si pensava che dal lavoro bisognasse liberarsi, mentre la cultura biblica lo rivaluta. Lavorare è una cosa importante, ma non è la sola cosa importante nella vita. È stato fondamentale nel liberarci dall idea che la vita dipendesse dalla sola fortuna e che invece dipendesse dalla voglia e dalla capacità di fare. Oggi c è un neo paganesimo: il gratta e vinci e il lotto, riportano al centro la fortuna e non la virtù e le capacità. Oggi il vero nichilismo è il gratta e vinci. Ricordare oggi che senza lavoro la vita non è buona, è fondamentale. La ricchezza deve derivare dal lavoro e non dalla fortuna esterna, o dalla speculazione finanziaria che molto le assomiglia. È vero altresì che non per tutti il daimon socratico sboccia nel mondo del lavoro (perché esistono lavori che non lo permettono) ed è giusto che a volte il lavoro sia percepito solo come strumento necessario, mentre il bello della vita lo trovo altrove. Una domanda poneva il tema di cosa può fare Coop per essere distintiva nelle politiche del personale: se fossi un dirigente di cooperativa, investirei un sacco di tempo ad ascoltare i giovani, per scoprire i loro daimon e usarli nelle loro eccellenze, non per tappare i buchi organizzativi che si presentano. Altra questione: ci capita di dire che l economia funziona quando risponde a dei bisogni. Ma questo è vero fino a un certo punto. Il mondo è bello perché esistono le sorprese, dei fatti che ci lasciano senza fiato, persone di cui ti innamori ecc L I-pad non è un bisogno, è forse un sogno Mi rendo conto che si va verso un terreno molto scivoloso. I bisogni chi li decide? Spesso sono indotti, sono manipolatori, paternalistici. È troppo poco pensare al consumo come risposta ai bisogni dei consumatori.

SERIE DI DOMANDE ATTRAVERSO SMS 71 Sennò cos è l arte, cos è la cultura, cos è la voglia di sapere? La faccenda è molto più complessa del parlare di economia-bisogni. Così si ripropone una visione ottocentesca che oggi non è più sufficiente, almeno in Occidente. Coop deve lavorare alla costruzione di segni, sogni, simboli, a cui lavorare insieme. Donato Speroni: mi sembra che oggi abbiate detto che come organizzazione non volete essere marginali, ma attori protagonisti nel percorso di costruzione di un nuovo modello di sviluppo dotandovi di tutti gli strumenti utili e necessari per questo. Mi sembra che il riferimento concettuale forte sia quello dei beni comuni e del trovare opportunità e spazi nuovi per la vostra azione. Globali, ma anche attenti alle specificità locali. Essere centri di pensiero. E se è possibile riuscire a prendere la misura a tutto ciò.

Postfazione Ri-prendere la misura ovvero dal P.I.L. al B.I.L. ovvero Coop conviene per l Italia Mauro Bruzzone, Vice Presidente Coop Liguria, Vice Presidente Scuola Coop L a lettura degli atti del convegno conferma e rafforza i giudizi positivi raccolti in quell occasione e ribaditi da più parti nel periodo successivo. Così come evidenzia l utilità e l importanza della nostra Scuola nazionale che nulla ha da invidiare all efficacia ed ai successi della sua prima versione degli anni 70. La positività dei giudizi non deriva soltanto dall indubbio interesse suscitato dall evento sotto il profilo puramente culturale. Essa attiene in primo luogo alla reale capacità dell insieme delle metodologie illustrate di rappresentare in modo completo, equilibrato e in tutte le sue sfaccettature la natura e la portata delle strategie e delle politiche della cooperazione di consumatori nel nostro Paese. A mio avviso, infatti, il convegno apre interessanti prospettive di utilizzo e sviluppo di questo approccio culturale e delle sue pur implicite - proposte di lavoro per le cooperative di consumatori italiane a mutualità prevalente e per l intero Sistema che le organizza e supporta nel campo imprenditoriale e in quello della rappresentanza e tutela istituzionale. Ho già avuto modo di ricordare in altre occasioni come accada troppo spesso che alcuni nostri importanti interlocutori e alcuni altrettanto rilevanti mezzi di comunicazione - molti in buona fede, qualcuno in malafede - propongano confronti sulla convenienza dei diversi retailer, basandosi esclusivamente sul raffronto meccanico ed esclusivo dei prezzi a scaffale costruendo panieri più o meno ampi di merci di marca individuate nei rispettivi formati confrontabili. Ne scaturiscono frequentemente articoli, studi, commenti e qualche volta proclami malevoli, che rilevano o addirittura denunciano più o meno strumentalmente una presunta minore convenienza della proposta commerciale di questa o quella cooperativa o, all interno

74 RI-PRENDERE LA MISURA di esse, di questo o quel canale o territorio, rispetto alla proposta dell uno o dell altro nostro concorrente. Ho anche già avuto modo di ricordare che altrettanto spesso i gruppi dirigenti delle nostre cooperative sono alle prese con l assillante obiettivo in effetti non trascurabile - di migliorare e vincere anche quel diretto e meccanico confronto competitivo, attraverso l elaborazione e l attuazione di politiche di convenienza distintiva ieri, selettiva oggi. Sappiamo anche che non tutti riusciamo a farlo in maniera netta, continuativa, generalizzata e, soprattutto, fortemente percepita e valorizzata. Guai a noi però se ci lasciassimo sopraffare dal senso di inadeguatezza che si potrebbe generare da simili confronti, quando non fossero a noi pienamente favorevoli! Dovremmo sentire invece il forte bisogno di conoscere, interpretare correttamente e soprattutto comunicare con convinzione e intensità crescenti tutto quell enorme valore aggiunto che il nostro stesso esistere rappresenta per le comunità nelle quali e verso le quali operiamo quotidianamente. Basti pensare al rapporto qualità-prezzo del nostro prodotto a marchio, così come ai vantaggi esclusivi riservati ai nostri soci su acquisti e servizi. Oppure all organica azione che sviluppiamo sul fronte della solidarietà interna e internazionale e della cultura e agli innumerevoli supporti che promuoviamo, realizziamo e gestiamo a favore delle comunità locali. E ancora possiamo pensare all opzione ambientalista, al rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori in tutte le parti del mondo, all applicazione nei confronti dei nostri lavoratori, di condizioni di lavoro e trattamenti ben al di sopra dei minimi di legge e di quelli previsti nel contratto nazionale, e così via! Ma se qui non posso, per brevità, fare la lista della spesa, credo che dobbiamo interrogarci se vi sia piena conoscenza e consapevole valutazione, appena usciti fuori dalla importante, ma ristretta cerchia dei gruppi dirigenti e dei Soci attivi, dell intima, organica, imprescindibile connessione che vi è nelle nostre coo-

POSTFAZIONE 75 perative tra i posizionamenti commerciali e i posizionamenti sociali che abbiamo appena sommariamente richiamato. La risposta a mio avviso è negativa. E dunque si impone una grande mobilitazione per affermare la verità intorno al nostro ruolo nella società italiana. Si pone, in altri termini, il problema di come rappresentare, far riconoscere e comunicare oggettivamente questo nostro plus, fatto di vantaggi diretti ed indiretti per le persone, le famiglie, le comunità, le istituzioni. Ecco, allora, venirci in aiuto quell approccio, fortemente innovativo, nella misurazione del nostro complessivo vantaggio competitivo, che è stato ben rappresentato e motivato dagli studiosi, dai divulgatori e dai conferenzieri che abbiamo ascoltato nel convegno Ri-prendere la Misura. Se è vero infatti come credo sia sacrosanto che la ricchezza delle nazioni non può più essere rappresentata adeguatamente dalle tradizionali componenti del P.I.L., ma ha bisogno di essere misurata dal B.I.L. (acronimo di Benessere Interno Lordo ), vale a dire dall insieme delle utilità di cui beneficia la collettività nazionale, altrettanto dovremmo sforzarci di fare in relazione alla rappresentazione dei benefici dei quali godono i nostri Soci e le intere comunità nelle quali e verso le quali operiamo. Questo sforzo dovrebbe permetterci di misurare e far misurare puntualmente ed inequivocabilmente le diverse dimensioni, oltre quella strettamente economicistica, della nostra missione e delle conseguenti nostre politiche. E dovrebbe permetterci di comunicarle ed affermarle con crescente convinzione ed efficacia. Questo sforzo potrà essere agevolato dall affermarsi, a livello accademico, delle istituzioni e dell opinione pubblica, di tale nuovo approccio alla rappresentazione e misurazione della ricchezza delle nazioni e conseguentemente della ricchezza delle imprese. E proprio sotto questi diversi profili il convegno ha rappresentato un significativo contributo a conoscere, assimilare, sviluppare, divulgare tale nuovo approccio nella defini-

76 RI-PRENDERE LA MISURA zione dei criteri di misurazione della ricchezza e del benessere. Auspico, dunque, che le nostre cooperative, così come gli strumenti associativi ed imprenditoriali di sistema, diano un forte contributo a tale processo, assumendosi puntualmente l onere di valutare, rappresentare, certificare il proprio peso nelle rispettive comunità, così come il nostro peso complessivo nella società italiana. Di grande valore, a tal fine, sarebbe l impegno a rappresentare le nostre Cooperative ed il nostro sistema con tali nuovi criteri metodologici e di misurazione, sperimentandoli già in occasione dei prossimi e più significativi appuntamenti: l elaborazione del Quadro Fedele della cooperazione di consumatori italiana e gli ormai tradizionali Rapporto Consumi e Distribuzione e Rapporto Sociale. L esperienza concreta che annualmente compiamo nelle nostre cooperative, in particolare attraverso le diverse fasi dell elaborazione e divulgazione dei bilanci sociali o bilanci di sostenibilità, e che sinteticamente rappresenterei con lo slogan Coop conviene per l Italia, ci conforta proprio rispetto alle potenzialità comunicative di tale approccio innovativo e distintivo alla misurazione dei benefici offerti alle comunità di cui siamo parte integrante.

Note biografiche degli studiosi ospiti al convegno Donato Speroni, giornalista è stato condirettore di Mondo Economico e vicedirettore del Mondo nonché dirigente dell Istat. Attualmente scrive per la rivista EAST e insegna economia e statistica all Istituto per la Formazione al Giornalismo di Urbino. Fa parte del Club dell Economia che riunisce docenti e giornalisti che scrivono e studiano sui temi economici. Ulteriori informazioni sul sito http://www.donatosperoni.it Laura Pennacchi, Direttrice della Scuola di Democrazia della Fondazione Basso. Studiosa e saggista nei campi delle scienze economiche e sociali è stata parlamentare per tre legislature e sottosegretario, con Ciampi, al Tesoro nel primo governo Prodi. http://www.fondazionebasso.it Luigino Bruni, Professore Associato di Economia Politica, presso la Facoltà di Economia, Università di Milano-Bicocca. Vicedirettore del centro interuniversitario di ricerca sull etica d impresa Econometica (www.econometica.it). Membro del comitato etico di Banca Etica.

Bibliografia Bruni, L., La ferita dell altro. Economia e relazioni umane, Il Margine, Trento, 2007. Un titolo certamente originale per un libro di economia. Pubblicato nel 2007 questo testo di Bruni anticipa alcune delle domande che si pongono in questo periodo di crisi economica, oramai esplosa in tutta la sua virulenza. Si tratta di un testo assai interessante che offre un respiro storico, e per certi versi antropologico, alla teoria economica. Originale anche nell impianto, questo saggio è anche molto stimolante nell affrontare il tema del ben-essere e della felicità e di farne criteri di analisi all interno della prospettiva economica invece che confinarli in un ipotetico mondo individuale separato da tutto il resto. Bruni, L., L impresa civile. Una via italiana all economia di mercato. Università Bocconi Editore, Milano, 2009. Un libro prezioso, denso di riflessioni e proposte. Una ottima introduzione ad una tradizione di pensiero che non è solo pensiero. Luigino Bruni ci invita a riflessioni originali. Mette in luce come anche la tradizione cooperativa possa essere interpretata secondo criteri inusuali. Ma non si parla solo di mercato. Il libro chiarisce il significato e le possibili contraddizioni legate al concetto di responsabilità sociale di impresa e costringe a riflettere sul significato e il valore della gerarchia nel mercato e nelle organizzazioni. Pennacchi, L., La moralità del welfare. Contro il neopopulismo liberista, Donzelli Editore, Roma 2008. Si tratta di un libro rigoroso, ma in totale controtendenza rispetto agli slogan e alle semplificazioni con cui da anni il mondo po-

80 RI-PRENDERE LA MISURA litico ed economico si caratterizza. Si smontano uno ad uno attraverso dovizia di dati e confronti con altri paesi tutti quegli assunti che giustificano un mondo senza regole, con poco Stato, pochissimo welfare e molto privato. Un saggio di economia che è anche un invito a ragionare in modo complesso considerando che welfare, sviluppo, democrazia e benessere non possono essere tenuti separati. Donato Speroni, I numeri della felicità. Dal pil alla misura del benessere, Editore Cooper, Como, 2010. Un bel libro di divulgazione che affronta in termini chiari il tema della misurazione della economia e del benessere, orientandoci alla comprensione della posta in gioco. Donato Speroni ci accompagna in un viaggio attraverso i vari indici di misurazione che è anche un viaggio tra diverse filosofie, non solo economiche in senso stretto, ma anche sociali e antropologiche. Se ne ricava che le questioni non sono facili da affrontare, ma che ne vale davvero la pena.

Indice Premessa... 3 INTRODUZIONE AL CONVEGNO... 9 Enrico Parsi, Direttore Scuola Coop IL RAPPORTO SOCIALE NAZIONALE: APPROCCIO, METODOLOGIA E NUMERI...13 Marisa Parmigiani, Responsabile Politiche Sociali ANCC RIPRENDERE LA MISURA. UNA NECESSITÀ PER IL PAESE E UN IMPEGNO PER COOP... 21 Aldo Soldi, Presidente ANCC I LUOGHI COMUNI DEL NEO LIBERISMO: CONSEGUENZE SOCIALI, POLITICHE ED ECONOMICHE... 25 Laura Pennacchi, Economista, Direttrice Scuola di Democrazia Fondazione Basso L ECONOMIA: CIVILE O INCIVILE, TERTIUM NON DATUR... 33 Luigino Bruni, Economista, Università Bicocca di Milano I NUMERI DELLA FELICITÀ. DAL PIL ALLA MISURA DEL BENESSERE... 43 Donato Speroni, Giornalista, saggista TAVOLA ROTONDA conduce Donato Speroni Francesco Berardini, Luigino Bruni, Marco Lami, Marco Pedroni, Laura Pennacchi... 53 SERIE DI DOMANDE PROVENIENTI DAL PUBBLICO ATTRAVERSO SMS... 65 POSTFAZIONE. RI-PRENDERE LA MISURA OVVERO DAL P.I.L. AL B.I.L. OVVERO COOP CONVIENE PER L ITALIA Mauro Bruzzone, Vice Presidente Coop Liguria, Vice Presidente Scuola Coop... 73

FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI APRILE 2011 DALLA TIPOGRAFIA ABC SESTO FIORENTINO (FI)