Proemio. box: Buona lettura! Il vostro affezionatissimo dottor Babbarabbà

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1 Il Dottor Babbarabbà Minestrone con carrube, ovvero Aracne e lo sciamano (Zibaldone di storie, leggende ed emozioni dal Salento dedicate a Florio Santini e a chi, con un sorriso, riesce a disarmare persino i più violenti) 'U Babbarabbà ve cunta li cunti e li culacchi du Salentu Il Babbarabbà vi narra aneddoti e storie divertenti del Salento terra de sule, de mare, de cuti e de (v)ientu... terra di sole, di mare, di sassi (rocce, scogli) e di vento Omaggio della Farmacia del dr. Antonio A. Camboa Cerfignano e Santa Cesarea Terme piercamb@ .it 1

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3 Proemio Per ritrovarmi in un luogo comune non ho necessità di viaggiare e nemmeno di muovermi: ci arrivo in un istante a bordo dell astronave della mia stupidità. Dedicato a tutti quelli che credono ancora che un sorriso possa riportare l amore e la pace su tutta la terra. Meglio una cena a base di un sapido minestrone salentino (con carrube) o un esotico dopo cena con uno strampalato zibaldone saraceno? Ai postumi, disse l ubriaco, l ardua sentenza A mio nipote Luigi, la mia polizzavita per l eternità box: piercamb@ .it Buona lettura! Il vostro affezionatissimo dottor Babbarabbà 3

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5 Il Dottor Babbarabbà Minestrone con carrube, ovvero Aracne e lo sciamano (Zibaldone di storie, leggende ed emozioni dal Salento dedicate a Florio Santini e a chi, con un sorriso, riesce a disarmare persino i più violenti) 'U Babbarabbà ve cunta li cunti e li culacchi du Salentu Il Babbarabbà vi narra aneddoti e storie divertenti del Salento terra de sule, de mare, de cuti e de (v)ientu... terra di sole, di mare, di sassi (rocce, scogli) e di vento 2015 Dr. P.L. (GOLECCEGO) BABBARABBÀ Tutti i diritti riservati. È vietata per legge la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo senza l autorizzazione scritta dell autore. Foto in copertina: lo Sciamano della Grotta dei Cervi di Porto Badisco. Foto in alto: Villa Sticchi, Santa Cesarea Terme. 5

6 Il dottor Babbarabbà (Località Montelavigna, Pasquetta 2014) 6

7 Breve storia della Farmacia Camboa di Cerfignano 27 novembre 2011: inaugurazione della Farmacia Camboa di Cerfignano. Alle ore 19 di domenica 27 novembre 2011, con la benedizione impartita da don Pasquale Fracasso, parroco di Cerfignano, Antonio (il farmacista) e Isa (l economista sanitaria), i due giovani germogli del dottor Babbarabbà, cominciano la loro emozionante avventura nel mondo del lavoro, senza avere ancora la percezione di trovarsi in uno stupendo paese del basso Salento, fatto di gente buona, laboriosa e timorata di Dio. Il piccolo agglomerato urbano in questione è Cerfignano, il centro più popoloso dei tre che formano il Comune di Santa Cesarea Terme. Secondo l ipotesi del prof. Arditi, il paese deve probabilmente il nome (dal latino Cervineanum) al fatto di essere stata una località popolata, nella preistoria, da numerosi esemplari di cervidi; tale ipotesi sembrerebbe poi indirettamente confermata dalla presenza, a pochi chilometri di distanza, dalle fantastiche pitture rupestri (rosse e nere) delle Grotte dei Cervi di Porto Badisco, che illustrano straordinarie scene di caccia al cervo di cavernicoli armati di arco e frecce. Antonio (Toto) Camboa Maria Luisa (Isa) Camboa La piccola, ma ridente cittadina di Cerfignano, nell esemplare bellezza delle sue curti e delle sue numerose chiese e cappelle, intende offrire a tutti i visitatori frammenti della sua storia tutt altro che anonima: già importante passaggio obbligato nel lungo viaggio da Oriente a Occidente in età romana (com è dimostrato da una strada in basolato, che fonti orali considerano la continuazione nel basso Salento della grande via Traiana Salentina che univa Taranto a Brindisi), a cavallo tra I e II millennio Cerfignano diventò un importante centro culturale in seguito all insediamento di un gruppo di monaci orientali, che pochi chilometri a nord (nell Abbazia di San Nicola di Càsole, Otranto), avevano realizzato alla prima rudimentale aggregazione di studi universitari conosciuta al mondo. Cerfignano Chiesa Madre "Visitazione di Maria Vergine" A.D Antonio e Isa, a partire dal 27 novembre 2011 siete alla vostra prima, esaltante avventura lavorativa: avete spiccato il volo dal protettivo nido genitoriale verso la vita autonoma, ma con il conforto di una comunità che vi ha accolto con grande affetto e disponibilità. Il vostro papà, ricordandosi di essere pur sempre un Babbarabbà di Uggiano (ed, in fondo, anche un inguaribile narcisista), ha deciso di cimentarsi con il difficile mestiere del poeta, proponendo questo lavoro che si propone come un allegro zibaldone salentino di racconti e versi. Vediamo un po cosa sarà riuscito a combinare Nessun commento prefabbricato ad arte, nessuna benevola e melensa presentazione del tutto di parte: al lettore, e solo a lui, giudice sommo, l ardua sentenza!... 7

8 Babbarabbaus Sciamanicus Badiscorum (III millennio a.c.) 8

9 Introduzione Questo "Aracne, lo sciamano e i misteri della Grotta dei Cervi, con il suo alias, ovvero il suo sottotitolo Minestrone con carrube" si propone come una piccola ed umile (ma, soprattutto, strampalata anzichenò) pubblicazione stampata in proprio per farne un piccolo ed umile (e tuttavia gradito, si spera) dono ai clienti della Farmacia Camboa di Cerfignano. Nulla di pretenzioso, anzi crediamo di dover chiedere scusa in partenza per la modestia (e per un po di satira politica) del lavoro, ma in pensione ormai da più di un anno, oltre a dare una mano ai miei figli, cerco di arginare la galoppante senescenza mentale con il bridge e con la lettura, che però alterno (e questa è una concessione al mio recondito e malcelato narcisismo) ad un po' di scrittura a tempo perso... Le mie radici genealogiche mi collocano a Scorrano (per il settore paterno) ed a Campi Salentina (per il versante materno), ma io sono nato, vissuto - ed, in verità, anche pasciuto assai - in quel di Uggiano La Chiesa: sono, quindi, un "Babbarabbà DOC". Un Babbarabbà a denominazione d'origine controllata è, però, uno "status" per molti aspetti privilegiato, perché sì, sarà pur vero che è da tempo immemorabile noto sinonimo di essere sempliciotto e credulone (leggi "BBB, ovvero Babbarabbà Babbeus Babbionicus"), ma anche di grande sognatore; e credo che pure l'aria che si respira, nel capoluogo e nella frazione (Casamassella), debba essere stata a suo tempo baciata, benedetta e resa fonte di grande ispirazione dalla Musa Euterpe... E non è per un mero caso, quindi, che il capoluogo e la frazione siano state la culla o, comunque, la dimora di grandissimi poeti, da Girolamo Comi a Florio Santini, passando attraverso il grande vate non vedente, Antonio Sforza... Florio Santini e (Don) Antonio Sforza ho avuto l enorme fortuna di conoscerli in modo diretto e pure il grande onore di esserne stato il medico di fiducia. Antonio Sforza mi colpiva per la straordinaria capacità di "vedere" dentro - lui, non vedente - persino ad un paesaggio; Florio, per la sua affabulante capacità di coinvolgerti nel solco fecondo e dorato della cultura e della poesia... E fu proprio lui l'untore, il colpevole di questa mia esotica, terribile, devastante ed estremamente contagiosa malattia, "il mal di scrivere", che è ancora più grave quando si associa, come nel mio caso, alla "sindrome dello scriver male"... L'introduzione ad una pubblicazione breve deve, a sua volta, essere assai breve, altrimenti si finisce per invadere gli spazi dei versi, fino a soffocarli (a parte che talora non è poi un danno)... Passiamo, perciò, a descrivere la struttura dell'opera, che si può definire un composito zibaldone (se non un minestrone), formato da versi, racconti brevi e piccoli aneddoti a prevalente ambientazione salentina, con un utilizzo, solo accennato, del dialetto uggianese. L idea dell uso del dialetto è nata - direi quasi - per necessità: purtroppo, in ogni parte d'italia, oggi si parla sempre di meno quel bel vernacolo locale "ruspante" d'una volta e pure a me, davvero innamorato del dialetto, accade spesso di non ricordare più alcuni splendidi termini che avevo imparato da bambino, primi fra tutti i poetici nomi propri di alcune stelle, che e lo ricordo proprio come se fosse ieri - mi erano stati insegnati da un anziano pescatore che tutti i pomeriggi trovavo seduto ricurvo sulla seggiola all'uscita del bar della fontana della piazza, all inizio di via Roma; peraltro, quanto alla scelta del dialetto strettamente uggianese, il discorso è connesso con due precisi elementi: uno di natura affettiva ed uno di natura più spiccatamente linguisticolessicale, che mi ha portato a ritenere il dialetto uggianese come la variante - come dire? - più elegante tra tutti i dialetti salentini. Non ci credete? E allora ve lo dimostro con un 9

10 tanto piccolo, quanto chiaro esempio. Immaginiamo di dover descrivere in dialetto un tale che stia trasportando in spalla un carico di mattoni; ebbene, in tutto il resto del Salento si direbbe: Sta (o sta ci o aci, ecc.) cariscjia mattuni (con la u di Udine), ma a Uggiano si dice Sta ci cariscjia mattoni (con la o di Otranto): vuoi mettere il suono, la classe?... Ma, tornando a noi, cosa sono riuscito a produrre, alla fine? Un sapido polpettone o un complesso minestrone? Montmorency, il simpatico fox-terrier dei "Tre uomini in barca" di Jerome K. Jerome, volle collaborare al "minestrone all'irlandese" dei suoi tre strampalati e compassati compagni di viaggio, proponendo loro di aggiungere, agli ingredienti della ricetta originaria, una paffuta pantegana del Tamigi; analogamente pare che, da parte sua, in questa sua umile opera il buon dottor Babbarabbà abbia cercato di mescolare di tutto, puntando sul fatto che il passaggio rapido ed incalzante da una poesia ad un racconto breve potesse ridurre lo sgradevole gusto della propria incapacità letteraria ; ma proprio per evitare brutte figura, è pure astutamente ricorso al prezioso contributo di autentici poeti, suoi amici (leggi Lele Mastroleo e Titti De Simeis) e di altri grandi poeti uggianesi (o vissuti a Uggiano) di cui sopra (Girolamo Comi, Antonio Sforza, Florio Santini)... E adesso basta, o rischierei di condizionare già negativamente (ed a priori) il giudizio degli impavidi lettori, con i quali mi scuso di nuovo per qualche piccolo cenno di satira politica, con i quali non fossero d accordo... Infine, e per finire, spero che la dolce Aracne e il serioso sciamano possano apprezzare, nel silenzio della loro dimora (Grotta dei Cervi o Antro di Enea, se vi par meglio), questo piccolo omaggio alla loro memoria 10

11 Ciao, Florio Con quattro ranocchi Ed un fiore di zucca, Socchiudo gli occhi E plano su Lucca. Del pentolone Sollevo il coperchio E con l aquilone Sorvolo il Serchio. Caro Scirocco, Digli soltanto: Forse è uno sciocco, Ma gli manchi tanto (Dedicata a Florio Santini) 11

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13 L altra metà del cielo Notte di luna nuova: Il faro della Punta dell Est Trafisse l albero, le vele e le sartie E filtrò la sua luce dall oblò, Disegnando il contorno Del tuo viso sulla parete Era un venerdì, Di un fine settimana D un estate morente E d un amore nascente: Un amore tardivo E la storia si spostò Sul massiccio tavolo Di noce del salotto, Quando la notte cupa Si confidò col mare. E s udì, in lontananza, Il frenetico sciamare Di garruli gabbiani. E la nube si abbracciò alla luna In un amplesso ancestrale Ma se ormai nessuno crede Al potere dei sogni, Allora è morta, questa umanità. Diamo forza all amore, Che seppellisca l odio. E sia sconfitta, la vecchiaia, Dall eterna giovinezza, E la luce del giorno. E l oscurità della notte, Siano fantasmi di luce E ombre di speranza. Il tepore dell inverno E il gelo dell estate, La storia e la magia: Tu sei, per me, L altra metà del cielo. 13

14 La società della globalizzazione L assurdo del terzo millennio è avere strade (e tangenziali) più larghe, ma punti di vista sempre più ristretti (e centinaia di ettari di splendidi olivi secolari sventrati dalle ruspe dell ennesima, inutile strada statale, come la Maglie-Otranto, che però certamente come per le tante tangenziali di cui sopra qualche tangibile senza riferimento alcuno alla onomatopeica voce tangente vantaggio lo arrecherà solo ai progettisti ed ovviamente ai loro committenti). È spendere e comprare di più (spesso al solo scopo di seguire supinamente la pubblicità), ma apprezzare sempre di meno. Avere più elementi di conoscenza, ma senza miglioramento culturale o di giudizio e, men che meno, capacità di applicazione pratica. Disporre di strumenti di comunicazione interpersonale sempre più sofisticati e veloci, ma ridurre, giorno dopo giorno, la propria capacità di trasmettere emozioni. Consumare più farmaci (ed integratori alimentari pubblicizzati su Internet, dall effetto più o meno oscuro e ignoto), ma acquisire meno benessere. Guidare sempre più veloci, ma partire dopo e continuare ad arrivare sempre in ritardo. Passare molto più tempo alla TV o su Internet fino ad intossicarci e a distorcere la realtà, fino a ribaltarne i contenuti: oh, se non avevi ragione, caro Popper!... Pregare raramente (molti lo fanno solo nei momenti di difficoltà) e persino frequentare tutti i giorni i luoghi di culto e di preghiera (la chiesa, la sinagoga o la moschea), ma senza mai fermarsi a guardare gli effetti delle proprie azioni e dei propri comportamenti. Decidere di dedicare la propria (infame) esistenza solo ad accumulare ricchezza, e non capire che, in questo modo, non si fa altro che ridurre, giorno dopo giorno, i propri valori, fino a polverizzarli, dilapidandoli. Parlare molto, troppo, ma sempre meno d amore, soppiantato e travolto dall odio... Da questo istante, cercherò di colmare, con tutte le mie forze, questa mia grande lacuna: lo devo a te, adorato nipotino Luigi, ed a tanti milioni di bimbi come te, incolpevoli di essere nati in un epoca così tremenda... 14

15 Il tuo sguardo è una lama Il tuo sguardo è una lama di luce Che precede un radioso sorriso. Il tuo sguardo è il mio faro nel buio Che mi guida nel mare in tempesta. Il tuo sguardo è un bocciolo di rosa Che si schiude sul far della sera. Il tuo sguardo è una lama che uccide I pensieri più tristi e dà vita Ai miei sogni più belli: Emozioni di vecchi ricordi Mai vissuti, ma sempre cullati. Il tuo sguardo è una lama che vive Nel mio cuore e che presto vedrò 15

16 Il condor e il lago Ai lati di un sentiero di campagna, nella magica selva d'aveiròne, in un catino scavato lentamente nella roccia dal vento nel corso dei secoli, si era formata una piccola pozza d'acqua limpida, dopo un improvviso temporale, in un torrido pomeriggio di mezza estate Anche l'acqua era un essere animato, in quella magica selva, e si rattristò vedendosi confinata sola ed immobile in quel budello scavato nella roccia, mentre tutto intorno era un festoso andirivieni di suoni, di colori e di vita: lo scoiattolo a fare capolino dall'incavo del tronco ed a sgattaiolare via per raccogliere e far lentamente rotolare verso la tana un'enorme ghianda saporita, da mettere al riparo per il freddo inverno; il pettirosso a cantare una dolce melodia dall'alto di un olmo e la volpe, furba e sospettosa, a guardarsi circospetta intorno, prima d'inoltrarsi nel folto del bosco E la piccola pozza d'acqua, che ormai da due giorni scrutava immobile tutto quel gran brulicare di piccoli esseri in movimento, si convinse che la sua pur giovane vita fosse ormai già del tutto inutile e si rivolse perciò pietosa al sole nascente, chiedendogli di potersi estinguere al calore dei suoi raggi... Ma la lieve brezza del primo mattino trasportò il suo doloroso lamento lontano lontano, fin nel deserto, al punto che il messaggio giunse ad un vecchio condor arroccato sulle montagne di pietra... E l avvoltoio, colpito e rapito da quell irresistibile richiamo di tanta malinconica dolcezza, dopo anni ed anni riprese a fare un lungo volo e raggiunse la pozza, sulla quale si chinò a dissetarsi Guardò la straordinaria limpidezza dell'acqua e le disse che, dopo quel suo lunghissimo volo, se non avesse avuto la fortuna di incontrarla, per lui sarebbe stata davvero la fine: ormai da tempo si stava lasciando morire d'inedia e sarebbe morto davvero per la sete; ed ancora: Mia piccola pozza d'acqua, sappi che hai ridato la vita a questo povero vecchio e stanco essere, scansato e odiato da tutti, che aveva smesso ormai di sperare di poter ritrovare un'emozione. Mio caro condor, ti ringrazio per quello che mi hai detto, perché mi hai fatto capire la stupidità del mio desiderio di suicidio, ma non credo di poter fare molto per risolvere la tua solitudine. Lo so, piccola mia, la vita mi ha insegnato che quando ti accorgi di essere solo, ma veramente solo, è troppo tardi: hai superato la soglia indefinita della solitudine percepita, una soglia del tutto soggettiva. Uno può sentirsi solo se gli altri si assentano anche solo per due minuti ed un altro, invece, quando torna in compagnia degli altri dopo un viaggio in solitaria. In realtà non si è mai soli completamente, perché c è sempre il contatto con il mondo, con i meravigliosi fenomeni della natura e tu sei uno dei suoi fenomeni più limpidi e belli E, allora, cosa vuol dire essere soli? Vuol dire che ci manca qualcosa, o qualcuno, che ci incoraggi, che ci freni, che ci dia stimoli, ci dia consigli O, per quello che mi riguarda, che ci ami, forse E vorrei che venissi con me Mio caro condor, mi piacerebbe tanto poter esserti d aiuto, ma a me non è data la possibilità di muovermi e perciò, sebbene anch io ne senta la necessità, non potrò mai venire con te. A quelle parole, tutti gli animali del bosco si commossero e cominciarono a piangere a dirotto, fino al punto da trasformare la piccola pozzanghera in un lago, del quale, da quel giorno, il vecchio condor assunse il compito di fedele guardiano Amici, se vi capitasse di passare dalle parti del bosco d Aveiròne, prendete il terzo sentiero a sinistra e, superata la settima quercia e una fitta barriera di felci e di rovi, vi troverete al cospetto di uno spettacolo infinitamente bello: un piccolo lago dall acqua fresca e limpida e, appollaiato su un profumato ramo di mimosa adagiata sulla riva, un vecchio condor sorridente che gli rende omaggio e compagnia. 16

17 Babbarabbaus Sportivus Aquaticus (III millennio D.C.) 17

18 Senza di te son solo Senza di te son solo, Pur nello sciamar, Confuso, delle folle, Come un brulicante stormo, E nel brusio delle genti Assorto odo il silenzio. Senza di te son solo E inadeguato Ad affrontare il giorno E la notte io attendo E il suo rintocco Ed il richiamo sordo E cupo dell'allocco. Senza di te son solo... Dall orlo del dirupo, Logoro e annichilito, Scruto cumuli cupi Il cielo presidiare, Lupi dell'orizzonte, Sopra l'incerto mare. E mille stille salse M'imperlano la fronte Come rivi di pioggia Che scendono dal monte. Senza di te son solo... E senza sogni... 18

19 Le voci delle donne Le voci delle donne sono come i suoni della natura, collegati con chi li riceve non solo dai noti nessi sensoriali, ma anche da incomprensibili elaborazioni emotive e mentali. Una voce sonora, alta, forte e decisa simula il galoppo di un cavallo selvaggio nella prateria e ci fa venire alla mente solo l immagine di una fredda marcia militare. Una voce cavernosa, bassa, scura e cupa, ricorda gli indistinti suoni degli animali del bosco nella notte e ci riporta sul tenue confine tra il sogno e la paura. Una voce acuta, stridula, metallica e pungente, ci fa sentire come una mela nel frullatore, traghettandoci con violenza nel caos della quotidianità, senza alcuna indulgenza al sogno o all incanto. Una voce garrula, chiara, trillante e squillante ci richiama al dolce verso dell usignolo e ci conduce, tendendoci per la mano, al sereno riposo della mente e dell anima. Una voce anfrattuosa, calda, profonda e roca ci riporta, invece, al tenue bagliore luminoso dell alba, allo straordinario risveglio della natura e della vita dopo il buio della notte. È una voce sensuale e penetrante, che ti percuote il corpo e ti trafigge come una spada. E, per finire, la tua sorridente, gioiosa, dolcissima voce, una voce davvero unica al mondo, preceduta dallo scintillio dei tuoi occhi e dal tuo incomparabile sorriso. È una voce che mi genera una vibrazione intensa e costante, che mi attraversa l anima quasi per osmosi e che continua a vibrarmi dentro senza sosta, inondandoti d un energia vitale che ti fa ritornare alla ribalta taluni ormai remoti e sepolti impulsi giovanili. È il suono intenso e battente d un orchestra d archi che mi entra con dolcezza nella mente e nel cuore e che mi percuote senza interruzione, ma senza mai farmi del male Sì, è questa, la tua voce, quella la cui eco mi pulsa battente nelle tempie e che mi evoca, giorno dopo giorno ed in ogni istante della giornata, antichi bellissimi sogni che credevo ormai smarriti per sempre, ma che invece vivranno, per sempre, dentro di me 19

20 Sete d amore Colate di lava Erotte dal nulla Mi bruciano dentro, Mentre da lontano ti penso. Il vermiglio cielo D un alba settembrina Mi distoglie dai sogni E mi pare d udire Lontana una nenia D un anima, la mia, In silente preghiera. Ma la sete d amore M opprime alla gola: La mia mente s invola Per strade inattese E ripide ascese Alla fonte perenne Del tuo solare sorriso. 20

21 Non è vero, ma ci credo La principale causa di deformazione (e di falsificazione) della realtà è la superstizione, soprattutto quando si associa all ignoranza ed alla rassegnazione (all ineluttabilità del fato o allo strapotere della casta). Lo straordinario potere della superstizione ispirò, a suo tempo, uno tra i più attenti osservatori della realtà, Peppino De Filippo, che mise il tema al centro di una delle sue più affermate commedie, dal titolo, appunto: Non è vero, ma ci credo. L opera, scritta nel 1942, è centrata sull ossessione quasi compulsiva del commendatore Gervasio Savastano, tormentato dalla superstizione al punto da attribuire la colpa dei suoi problemi in affari all influsso malefico di un suo impiegato, Belisario Malvurio. Tuttavia, le cose vanno male anche in famiglia, poiché la sua adorata figlia Rosina si è innamorata di un giovane impiegato, che però il commendatore ritiene assolutamente non all'altezza della ragazza All'improvviso, però, la fortuna gira decisamente a favore del commendator Savastano, quando si presenta in azienda un giovane gobbo, Alberto Sammaria, al quale Gervasio attribuisce il merito della ripresa economica della sua azienda e della ritrovata serenità della figlia, che pare aver del tutto dimenticato l antica passione per il giovane impiegato. Quando tutto sembra filare liscio, il diavolo ci mette la coda: Alberto Sammaria confessa al suo datore di lavoro di essersi innamorato di Rosina e, non ritenendosi all altezza di lei, si vede costretto a dare le dimissioni. Il commendatore è disperato, ma non si perde d animo e si adopera a cercare una soluzione che riesce alla fine a trovare: cercherà di convincere sua figlia Rosina a sposare Sammaria. Dopo un iniziale (apparente) resistenza, la ragazza si convince; ma un incubo comincia a sconvolgere i sogni del commendatore: quello che i nipotini possano ereditare il difetto fisico di Sammaria. Il matrimonio si celebra, ma il commendatore non riesce ad allontanare l ossessione dei suoi timori e comunica agli sposi la sua intenzione di invalidare le nozze In realtà, solo a questo punto, il buon Gervasio scopre di essere stato raggirato: il falso gobbo Alberto Sammaria non è altri che il giovane impiegato di cui Rosina era rimasta sempre innamorata e la gobba era solo un artificio per consentirgli di entrare nelle grazie del futuro suocero. Il commendatore cede all'amore dei due giovani, anche perché, pure se non è gobbo, Sammaria, in fondo, porta bene!... Da questa simpatica storia viene fuori l ennesimo insegnamento di Peppino De Filippo, un filosofo casereccio, ma anche un vero, autentico maestro di vita: ciascuno è artefice della propria fortuna, ma se si ha l idea che occorra un aiutino dall alto, perché rinunciarvi?... E così, decine e decine di volte, per colpa dell ottusa superstizione (o della rassegnazione), ci accade di evitare di prendere delle decisioni che potrebbero rivelarsi eccellenti ed, in tal modo, di perdere l occasione della vita 21

22 Sul finir dell estate Che ne sarà di me, Quali i miei giorni. Senza la principessa Dall ambrata pelle? Ch'io sia vivo o morto Poco in realtà mi cambia, Se sognar non mi sarà dato Mai più l'amore puro, Quello che colma L anima e lo spirito. Tornare adolescente Per un interminabile istante, Spaziando con la mente Dalla Spagna alla Turchia, Alla ricerca della donna mia, Sulle rocce scoscese sopra i flutti Con la brezza tra i capelli E il mondo nelle mani. Poi perfida interviene, Irridente, la realtà, E t accorgi che il sole Non ti scalda più, Che il suono armonico Del mare s'è fatto Un disarmonico gracchiare di palude. Il ciclo della vita si conclude: La verde primavera Fece spuntare un fiore, La fulva estate ne esaltò La forma ed il colore. Oggi, dopo i miei versi Mi resterà soltanto La memoria e il segno Del suo pensiero Intenso e raffinato E l amaro rimpianto D'un elegiaco sogno Che fu solo sfiorato. 22

23 Un sogno senza fine Il suo nome era Onyrius e viveva ai limiti estremi dell atmosfera, sulle nuvole più alte e misteriose, quelle del cielo a pecorelle. Ogni nuvoletta era un isola ed in ognuna di esse risiedeva uno spirito: era, quello, l arcipelago celeste che formava il Regno degli Spiriti dei Sogni. Onyrius era uno Spirito dei Sogni. Il suo compito era distribuire dolci emozioni sulla terra, tutte le volte che il suo unico interlocutore, l albatros Michele, lo avesse informato di una nuova missione da compiere. Michele era suo amico, il suo unico amico, e nutriva, nei suoi confronti, una grande ed istintiva simpatia. Ogni volta che volava fin lassù, prima di informarlo della missione da compiere, Michele si fermava a chiacchierare con lui, chiedendogli cosa si provasse ad essere puro spirito. Gli sembrava così strano (ma ne era tanto orgoglioso, anche) che solo a lui fosse stato concesso di conoscere un essere così simpatico. Onyrius, sorridendo, gli rispondeva che era quello il suo destino: i Sette Saggi lo avevano voluto nella schiera degli Spiriti dei Sogni, per fargli distribuire emozioni e amore sulla terra Un tempo, Onyrius era oberato dal lavoro, ma ciò non gli dispiaceva affatto: era così fiero del suo ruolo di messaggero di sogni, di emozioni, d amore! Da un po di tempo, però, Onyrius era ormai quasi del tutto disoccupato: sembrava che sulla terra nessuno riuscisse più a sognare Che desolazione! Onyrius passava il tempo a parlare con gli astri del cielo, con le tremule stelle, con la pallida luna e persino con tutte quelle impalpabili nuvole, che cercavano di tenergli su il morale, narrandogli tenere fiabe Un giorno, però, Onyrius ebbe un moto di felicità, non appena s accorse dell arrivo dell amico albatros, che gli veniva incontro con quel suo volo arabescato. Michele gli disse di avere una nuova importante missione per lui, ma poi gli chiese anche se fosse mai riuscito a condividere quelle stesse emozioni di cui era stato tante volte il latore; a tale domanda, Onyrius si rabbuiò: che grande ingiustizia, per lui, essere emozione pura e non averne mai provata una! Michele si accorse del disagio del suo amico e gli chiese cosa lo stesse turbando. Onyrius gli confessò l amara riflessione appena maturata L albatros lo ascoltò fino alla fine e poi gli sorrise, dicendogli: Mentre sono in volo, dall alto mi è dato osservare la vita sulla terra ed ho visto quanta gioia ci sia tra due persone che si amano Perché non ti innamori anche tu?. Mah, non credo di poterlo fare!. E perché mai, amico mio?. Perché considero la realtà: quale ragazza si potrebbe mai innamorare di me? Io sono uno spirito, solo uno spirito, ricordalo! Non ho un corpo, non ho sembianze umane, non ho una mia voce: come potrei comunicare mai, con una donna?. Chiacchiere, amico, solo chiacchiere! Mai dai! Quante donne non sei riuscito a far sognare, a far innamorare? Cento? Mille? Un milione?. Sì, è vero, ma quelle donne si sono innamorate sempre di esseri umani, mai di uno spirito!. E allora pensa solo a te per una volta, allora!. Ma non posso: cosa direbbero i Sette Saggi?. Non c è problema: ecco la tua missione! Dunque, Onyrius, giorni fa, attraversando il Canale d Otranto, ho intravisto una ragazza dal viso dolcissimo, seduta sulla scogliera del basso Salento ad osservare il mare; era l alba di sabato 10 agosto Mi sono avvicinato a lei con cautela, cercando di carpirne i pensieri: ho sperato che fosse una sognatrice! Non ne incontravo da tempo immemorabile, ormai. Ebbene, amico mio, sentivo il bisogno di vederti, di affidarti una missione, ma soprattutto avevo il desiderio di concedere anche a te, per una volta, di sognare. E allora, non ci crederai, ma 23

24 quando mi sono accorto che quella ragazza era una splendida sognatrice, subito pensato a te, al fatto che potesse essere lei, chi ti avrebbe fatto innamorare. E allora allora, ho voluto sapere chi fosse: so chi è, so dove vive, e so che desidera tanto vivere una dolcissima storia d amore. Ho ascoltato la sue invocazioni, la sue preghiere rivolte al placido mare e al sole nascente. L ho sentita: chiedeva di poter amare e di essere a sua volta ricambiata. Ho indugiato alquanto ad osservarla: i suoi occhi hanno il colore del cielo e del mare ed il suo sguardo potrebbe intenerire persino Barbablù; il suo sorriso radioso racchiude l energia rivitalizzante dell amore. Sì, amico mio, Aegypthya è una ragazza bella, solare, dolce, meravigliosa e ti sta aspettando Sta aspettando te, ne sono certo!. Già, ma cosa dirò, poi, ai Sette Saggi? Quelli pretendono sempre il foglio di missione, lo sai!. Eccotelo! Sono o non sono, un abile falsario? E fu così che Onyrius decise di scendere sulla terra e di planare, all alba, sulle dune d una tal spiaggia del basso Salento, seguendo le indicazioni dell amico albatros. Giunto a destinazione, si recò presso l abitazione di Aegypthya e si fermò a guardarla dalla finestra. Dormiva, Aegypthya, ed era davvero tanto bella. Onyrius attraversò il muro e si mise a sedere sul letto accanto a lei. Non riuscì a sottrarsi dall impulso di accarezzarle i capelli, gli occhi, le labbra ma lei non riusciva a percepire nulla di quei gesti: Onyrius era pur sempre solo uno spirito incorporeo. Verso le sette del mattino, Aegypthya si risvegliò e Onyrius si sentì l anima trafitta dal suo sguardo dolcissimo. Le si avvicinò, sfiorandole le labbra con un bacio. Per la prima volta, Onyrius capì di averlo anche lui, un cuore: se lo sentiva battere forte nel torace, in quel suo corpo virtuale, nel quale Aegypthya era riuscita ad accendere un emozione intensa. Cercò allora di stringerla forte a sé: riusciva persino a sentirne il profumo di muschio della pelle, ma per lei era come se non stesse accadendo nulla. Onyrius sì sentiva perso: doveva trovare l occasione per farle percepire la sua presenza, per farle capire quanto la desiderasse. Che fare, dunque? Aguzzato l ingegno, si avvolse nella tenda, spalancò la finestra e si fece proiettare dal vento addosso a lei, stringendola a sé. Aegypthya sembrò come dolcemente sorpresa dall abbraccio avvolgente della tenda e indugiò a giocare con lei, accarezzandola Poi si alzò dal letto per andare a fare una doccia. A quel punto, Onyrius ebbe un esitazione: doveva seguirla o non sarebbe stato più corretto attenderla in camera? Alla fine, travolto dalla passione, decise di seguirla e i battiti del suo cuore cominciarono a diventare autentiche scosse sismiche Tornata in camera, Aegypthya si fermò a guardarsi allo specchio. Onyrius le si accostò, accarezzandole i capelli, ma tornò a deprimersi, notando quanto inutili fossero stati tutti i suoi tentativi di contatto. Non si perse d animo, tuttavia, ed escogitò una nuova grande trovata per comunicare con lei. Chiese di nuovo l aiuto del vento, che era spirito come lui, ed accadde qualcosa di incredibile: il vento spalancò di nuovo la finestra della camera di Aegypthya, portando con sé un fascio di rose rosse che depositò mirabilmente nel vaso. I petali di altre dozzine e dozzine di rose si posarono sul letto, disponendosi a scrivere le parole: Ti amo. Aegypthya ebbe un sussulto e si guardò attorno, cercando di capire cosa fosse accaduto o chi fosse l autore di quel misterioso evento. Da parte sua, Onyrius cercava disperatamente di attirarne l attenzione, ma invano: tutto inutile! Tutto così desolatamente inutile! In genere, si dice che al danno spesso si unisce la beffa e per Onyrius fu proprio così: i Sette Saggi, che dall alto avevano osservato gli eventi, lo invitarono perentoriamente a tornare al proprio posto e, dopo un aspra rampogna, lo diffidarono dal compiere azioni diverse dai suoi compiti di Spirito dei Sogni. Gli rimproveravano il fatto di aver commesso un gravissimo abuso, tradendo la sua missione, e gli dissero che non avrebbero mai più tollerato iniziative simili. A quel punto, però, Onyrius non ce la fece più a trattenersi e chiese ai Sette Saggi di poter essere trasformato in un essere umano. Avrebbe perso l immortalità, certo, ma 24

25 avrebbe potuto anche avere una sia pur minima possibilità di far innamorare di sé la sua Aegypthya. I Sette Saggi furono sorpresi da quella richiesta: mai, prima d allora, uno Spirito dei Sogni aveva loro inoltrato una simile istanza Dopo due giorni di animati e concitati consulti, i Sette Saggi convocarono Onyrius e gli comunicarono che la sua richiesta era stata respinta. Onyrius, allora, in preda al totale sconforto, chiese di essere trasformato in un essere inanimato, purché fatto di materia, per poterle restare comunque vicino. I Sette Saggi si guardarono stupiti e, forse mossi a compassione, concessero a Onyrius il beneficio di una risposta affermativa. Fu così che Onyrius diventò acqua: l acqua fresca e gioiosa della doccia di Aegypthya E fu così che ogni mattina a Onyrius fu concesso di poterle baciarle i capelli, la fronte, le labbra, i seni, i fianchi, il ventre Ma, un bel giorno (anzi, un brutto giorno), Aegypthya non si presentò più al suo cospetto. Onyrius pensò che fosse partita per un viaggio e che sarebbe stato giusto (sebbene doloroso) attenderne il ritorno I giorni passavano lenti Onyrius li contava e li scandiva, liberando una goccia d acqua ad ogni spuntar del sole; quando s accorse che le gocce erano diventate più di cento, però, fu costretto a chiedere l aiuto del suo unico amico: l albatros Michele. Michele, ti prego: fammi sapere così è successo! Credimi, non riesco più a vivere senza di lei!. Pochi minuti dopo, Michele gli rivelò la brutta notizia: dopo aver atteso invano il ritorno di quell uomo ignoto che le aveva rapito il cuore con tutti quei petali di rose, Aegypthya, pressata dai genitori, si era sposata con il suo vecchio spasimante che pur non amava ed, alla fine delle vacanze estive, si era trasferita con il marito in un altra città: una città del nord, lontana, tanto lontana, ai piedi delle Dolomiti. A quella notizia, Onyrius si sentì come se il suo cuore fosse stato perforato da una lama arroventata Dopo interminabili giorni di lacerante ed insopportabile dolore, pregò Michele di portare ai Sette Saggi una richiesta di audizione: non poteva certo finire così! I Sette Saggi accolsero Michele con simpatia: tra tutti i messaggeri degli Spiriti dei Sogni, quell albatros così pieno di vita era certamente il più simpatico. All inizio, i Sette Saggi sembrarono indisponibili a concedergli un altra possibilità, ma ci pensò il buon Michele riuscì a convincerli, dicendo: Signori miei, la prima richiesta di Onyrius era stata quella di diventare un essere umano e non glielo avete concesso; non vi pare, quindi, che abbia almeno diritto a un altra chance? Con tutto il rispetto, s intende!. D accordo, Michele: portacelo qui!. Farò in un attimo, signori miei!. E grazie!. Onyrius giunse al cospetto dei Sette Saggi tutto fradicio, ovviamente: era ancora acqua, lui! I Sette Saggi mostrarono la disponibilità di reintegrarlo nel suo antico ruolo di Spirito dei Sogni, ma Onyrius, pur ringraziandoli, rifiutò quella favorevolissima proposta: non avrebbe mai potuto rinunciare per sempre alla sua Aegypthya, lui! Ai Sette Saggi che, ancora perplessi e dubbiosi, gli chiedevano cosa volesse fare, rispose di voler assumere le sembianze del firmamento: in fondo, anche il cielo stellato poteva essere considerato uno Spirito dei Sogni! I Sette Saggi accolsero favorevolmente compiaciuti l istanza di Onyrius, che si ritrovò così proiettato di colpo nell universo Ad ogni tramonto, nel suo abito scintillante, si offriva alla vista della sua meravigliosa Aegypthya, inondandole il cuore di dolci ed intense emozioni. Una sera, però, mentre l estate volgeva al termine, decise di osare: avendola vista seduta sul balcone ad osservare rapita le lontane cime innevate dei ghiacciai illuminate dalla luna, volle vestirsi della luce sfavillante della polvere di stelle e di scendere sulla terra. Le si sedette accanto e fu sorpreso dal fatto che Aegypthya si voltò sul suo lato, come se ne avesse avvertito la presenza. Allungò la mano per accarezzarla ed 25

26 Aegypthya sembrò accentuare con i movimenti del viso la dolcezza di quel gesto. Posò l altra mano in quella della ragazza, che la strinse a sé. La baciò sulle labbra e Aegypthya ricambiò con intensa partecipazione. Le cime innevate dei ghiacciai e il frinire incessante degli ultimi grilli furono l insolita cornice di una notte di grande passione, mentre Michele sorvegliava dall alto sull intimità dei due innamorati, tenendo lontana qualche lucciola impertinente Gli unici testimoni dell evento furono le stelle, che presero a sfavillare commosse, come remote fiammelle, e la luna, che non riuscì a trattenere l emozione, ammantandosi di rosso Si narra che quell evento si sia ripetuto più volte: non so dirvi se si potrà ripetere ancora, né quando, ma voi provate ad osservare il cielo tutte le notti Potreste vedere anche voi la luna ammantarsi di porpora e le stelle sfavillare: chissà! 26

27 Ho affidato al vento del Sud Ho affidato al vento del Sud Questo muto messaggio d amore, Mentre il sole col mare si sposa Sopra un cremisi velo di rosa, Carezzando il tuo splendido viso E il radioso, smagliante sorriso Ho affidato al vento del Sud Un profondo, silente richiamo: Non v'è certo bisogno di versi Per farti capir quanto t amo. Ho affidato al vento del Sud Solo un dolce, dolcissimo bacio: E ti sfiori le labbra, il calore, E riscaldi un istante il tuo cuore. Ho affidato al vento del Sud La mia lunga, lunghissima attesa, Che giammai diede segni di resa. Il mio intrepido viaggio invernale Spazzerà via gli spettri del male E al cospetto dei tuoi occhioni neri Non sarò più lo zero di ieri E il tuo sguardo ch è un raggio di sole Farà luce su mondi lontani E parlandomi senza parole Capirò ch è già oggi, il domani Ed insieme faremo un bel viaggio Incitandoci, in mutuo coraggio, Dopo un breve, fuggevole sguardo, Verso un dolce, comune traguardo Poi mi sveglio e la fiaba si svuota: Sono solo un patetico idiota. 27

28 L occasione (Florio Santini alla moglie franco-vietnamita Siou-Wan, 1992) Caro Pierluigi, quando mi hai chiesto un pezzo da inserire in questo tuo zibaldone, ho pensato a lungo a cosa avrei potuto scrivere per restare nel tema del tuo caleidoscopico mosaico. Ho pensato a lungo, dicevo. Pensavo e ripensavo senza trovare l idea giusta. Ero in crisi. Poi, all improvviso, uno sguardo distratto al titolo m ha fornito lo spunto, l occasione che andavo cercando. Sì, proprio il titolo ( That s Life ) m ha portato nella giusta direzione ed eccomi qui presente con queste brevi note autobiografiche, con questa cronaca delle mie esperienze, del mio continuo peregrinare di nomade intellettuale ti prego, non chiamarmi mai giramondo, per conoscere il mondo e, insieme, anche me stesso Un tempo, mascheravo i miei errori trincerandomi dietro le solite espressioni del tipo non sapevo oppure del lo sapevo diversamente, quale certezza prefabbricata, cioè ricevuta in confezione, bell e fatta non da me, bensì dall anti-cultura accademica, basata sull a priori. In una fase critica della mia esistenza, ormai stanco di ripetere a memoria le solite lezioni di vita quotidiana, decisi ch era giunto il momento di cambiar vita, di vedere, finalmente e inconfutabilmente, trionfar l empirico, ovvero tutto ciò che è veramente visto e toccato: Platone se ne usciva definitivamente dalla mia vita Tra le righe lascerò ammiccare, in chiave volutamente autoironica, l ancor oggi valida e attuale guerra baconiana degli errori ricevuti, cioè contro gli ìdola di quella Instauratio magna ab imis fundamentis, che almeno ogni tanto, per salutare igiene culturale, popoli e singoli dovrebbero sentir bisogno di ripetere. Allora, il viaggio come nuova università, non come turistica variante, giro alla fin fine sostanzialmente ozioso; al contrario, come verifica, consolidamento, il più delle volte come correzione inattesa del nostro dogmatico sapere, all insegna non più del meraviglioso, bensì del meravigliato Per anni, avevo insegnato filosofia, credendo che la Scuola Ionica di Mileto fosse in Grecia e non in Asia Minore. Per anni, avevo insegnato storia, credendo che il famoso Testamento d Augusto fosse scolpito da qualche parte nella Roma imperiale e non in Turchia (Monumentum Anciranum); ma quando finalmente fui, per così dire, sul posto, allora le scoperte anti-luogo comune furono la mia vera giovinezza culturale. Parole come Ittiti, Alicarnasso, Gordion, anacoreti, Smirne e tante altre non furono più flatus vocis senza contenuto. E, per rimanere nei dintorni della prima sede assegnatami Ankara, scoprivo che Donizetti ebbe un fratello musicista, celeberrimo a Istanbul, Don Izet Pascià; oppure che, in Anatolia, il tè lo si beve tenendo lo zucchero tra ganascia e denti. Sapienza trita? Curiosità di poco conto? Mania del nuovo? No! Era, per me, l inizio di una nuova vita, di un itinerario fecondo Era lo sbocco d un incubazione a lungo covata e, per riflesso, l inizio di quel benefico andare a vivere, di cui dicevo in principio. Era l apprendimento diretto. Avevo fretta, temevo d esser partito tardi: non era vero, per fortuna! Il Libano fu la mia seconda sede E trovai il giglio fiorentino a Beirut; conobbi studenti che avevano letto Buzzati e Tobino; andai a Efeso, a casa della Madonna; e vidi le colonne extra-terrestri di Baalbeck; comprai il vino della Bekaa; ammirai l anfiteatro rettangolare di Tiro; tradussi il pre-pasoliniano poeta arabo Giubran Kalil Giubran, che era nato vicino agli ultimi cedri del Libano; ebbi modo di comprendere perché i Kurdi sono e non potranno mai essere altro che i Kurdi. Non so come il Ministero degli Affari Esteri non mi restituisse al ruolo di provenienza: un diplomatico, per giunta operatore culturale, non può essere trasferito da una sede all altra prima di tre anni. Invece, presentavo domande 28

29 anticipate, per essere assegnato ovunque un posto risultasse libero. In realtà, m interessava l Africa, intanto che la malattia di questo nomade culturale andava però il termine è improprio peggiorando Fui accontentato: ebbi il Sènègal! Lì, per esempio, scoprii: che Kaolak è gemellata con Aosta; che la Croce del Sud sovrasta a picco il villaggio mauritano di Agadès; che a Gorée, isola in faccia a Dakar, la schiavitù fu abolita soltanto nel 1843 da un certo principe di Joinville; che Casamance vuol dire acqua tranquilla e Rufisque significa rio fresco L Africa francofona m insegnò molte cose e ancora tante altre di quelle mie congenite certezze andarono in pezzi! Mi accorsi che il baobab è un albero caduto dal cielo a conficcarsi nella sabbia del deserto circostante: i suoi rami sembrano radici! Apprezzai il naturismo non il nudismo!, che si praticava sulla splendida spiaggia atlantica di N Gaparou, dove il capo-villaggio Thiomokò mi chiamò Caro collega in una lunga lettera, scritta per chiedermi di tornare dalle ferie con un transistor per lui, che, durante i monsoni, avrebbe guardato la nostra capanna L Africa anglofona, in seguito, fu ben diversa esperienza: i locali non ci amavano; sembrava non ci vedessero. I residenti inglesi ci offrivano il whisky serale, estraendo dal panciotto una chiave d armadietto, per poi riporre la bottiglia in custodia e la chiave nel taschino perché i negri si ubriacano. Non era vero, naturalmente!... Qui l esperienza diretta si trasformava in studio comparato del colonialismo europeo, in un continente dov è esatto, più che altrove, che l ontogenesi ripete la filogenesi, e viceversa. Tutto questo era l Africa, tutto questo era ciò che avevo sempre sognato di conoscere. Ma la nostra lignea residenza si muoveva, causa sottostanti termiti; e chiesi, per questo ma era, in verità, solo l occasione che aspettavo, un altro trasferimento Fui spedito a Jakarta in Indonesia, ancor prima che potessi rendermene conto: antico porto mercantile, dal quale ci era giunto il chiodo di garofano, la Batavia degli Olandesi, non poi tanto lontana da quel luogo ma chi lo sapeva? dove Nino Bixio aveva contratto la peste, trasportando schiavi (sì, proprio così!) da una piantagione all altra sul veliero Maddaloni, ricevuto in dono dai suoi ammiratori dopo essere stato eletto senatore del Regno d Italia. E allora, quando manifestai l intenzione di tenere una conferenza sull eroe risorgimentale, l ambasciatore me lo proibì, trattandosi di personaggio assai sgradito in loco. Un altra delle famose certezze andava in pezzi Come quella che gli orientali si baciano col naso o quella che i pupi esistono solo in Sicilia o che il crisantemo è un fiore di morte. Scoprii un frutto squisito, a Giava, che si difende dalle scimmie golose con l incredibile odor di merda della buccia Raccolsi immense conchiglie di madreperla, chiamate acquasantiere. Inorridii alla vista del pesce-pietra Tradussi Pinocchio in indonesiano (Pinokio) Feci proiettare il Cristo di Zeffirelli in un Paese induista. Ampliai ulteriormente la mia capacità di dialogo interculturale multirazziale, facendo rappresentare, laggiù, per la prima volta, un opera lirica italiana, nonostante i violini fossero suonati come certi strumenti ad arco balinesi Incontrai tracce di Pigafetta, modesto diarista di bordo. E furono, anche quelli, momenti benefici di autocorrezione, a prova di suscettibilità dotte, d origine non controllata Ritornai in patria, ricco di notizie tutte e soltanto mie, tipo quella del saluto di grande cerimonia, che si presenta sbattendoti in faccia il nostro più volgare gesto mediterraneo: si trattava soltanto d un buffo equivoco di forma! Divenni, in seguito, convinto sostenitore 29

30 d un certo relativismo, nient affatto scetticheggiante. Infine, gettate le ancore ad Otranto, dove mai ero stato, decisi che dovevo ricominciare: prima cosa, a darmi uno pseudonimo, sotto al quale nascondere l edificante, educativa vergogna di quante fossero state, prima, le mie lacune; però, anche di quanto liricamente giovane fosse poi divenuto il mio concetto d ignoranza. E fu bello riconoscermi nell istrionesca buffoneria di quella strana figura del pavimento musivo della cattedrale idruntina: divenni, perciò, l Asino Arpista ; e fu, per me, un altro inizio Cominciai col rileggere due specialissimi dizionari della mia formazione giovanile, il Panzini e il Fumagalli: m immersi, ora che non emigravo più per lavoro, nelle pagine succose e stimolanti dell etimologia e della fraseologia, felice di sentirmi, non più intellettuale, ma intelligente. I miei viaggi, intesi come verifica di cultura, m avevano guarito dal dogmatismo e dalla prosopopea ereditati tanti anni prima a scapito di quel socratico so di non sapere, che rimane sempre la molla d ogni ricerca positivamente critica. Avrei, certamente, in vecchiaia sia pure, oramai, nel chiuso d una stanza, avuto tempo d accorgermi di altre mie colpevoli distrazioni, tra le quali la più boriosamente colpevole era stata il parlar senza conoscere il significato delle mie stesse parole. Avrei cercato, inoltre, tutte le radici di questa mia nuova terra. Le ho cercate tanto e tante ne ho trovate! Strada facendo e per finire, ho trovato una graditissima citazione di Cosimo De Giorgi: Il figulo di Grottaglie ha qualcosa del figurinajo lucchese: entrambi sono lavoratori e viaggiatori instancabili. L Asino Arpista colmava le sue ultime lacune Ma non sempre sappiatelo! gli asini arpisti sono di buonumore: un giorno, infatti, mentre l estate stava morendo e forse anch io con lei, senza neppure accorgermene, tanto da addormentarmi all ultimo sole, su quella spiaggia deserta, tra gli ombrelloni chiusi, un amico crudele m ha fotografato in una disastrosa posizione, ragion per cui sono distrutto. Cosicché, ho deciso di suicidarmi esteticamente, commentando la triste immagine autunnale senza rispetto alcuno verso l altrettanto triste me stesso, che per tutta la vita aveva corretto a colpi di forbice ogni propria spietata rappresentazione, la quale disgraziatamente evidenziasse un eccessivo stomaco se non ventre, ancor più quando il mettersi in apnea, sincronizzato il respiro con l istante dello scatto, non bastava ad assicurarmi una ripresa di mio gusto. Nessuno ebbe mai su di me il diritto di fotografarmi a sorpresa: volevo essere sempre di mio gradimento e preferivo, per ovvie ragioni, le istantanee a mezzo busto. A volte, curavo persino di sfoggiare il mio profilo etrusco dalla parte buona, la sinistra; altre volte, coprivo il grosso corpo dietro qualche provvidenziale personaggio del fotogenico gruppo-ricordo. Una vigliaccata del genere, invece, non mi concesse scampo: non mi rimase che torno a ripeterlo suicidarmi esteticamente. E pensare che, prima di questa dannata fotografia, così crudelmente e ferocemente frontale e oggettiva, continuavo imperterrito a piacermi, di conseguenza convintissimo di piacere Sono distrutto!... Questo colpo d obbiettivo diviene allegoria: un uomo, distinto e ignaro quanto vuoi, con barba bianca e gli occhi chiusi, lì sulla sabbia, ormai senza giocattoli di bimbo, né creme di fanciulle, né giornali mai letti, più che un povero giusto che dorme tranquillamente, sembra piuttosto un uomo morto nel sonno. È terribile: l immagine diventa denuncia! Questa volta era davvero finita: con quell estate, se n era andata anche la mia antica bellezza; lo ammetto, non posso far altro che ammetterlo, mentre subentrano rabbia e paura. Nessuno, tuttavia, potrà impedire che, ancora una volta, io possa leggermi in chiave emblematica, dentro un immagine, ma per autodistruggermi, io, che già mia madre, un tempo lontano lontano, chiamava vanesio, con toscana ironia 30

31 Pensavo d aver concluso, con questa triste immagine, la composizione del mio contributo. E invece no. Non farmene una colpa: purtroppo la mia memoria, un tempo così robusta, comincia a dar segni di cedimento. Tu che sei un medico, amico mio, dovresti cercare d aiutarmi Dunque, dicevo che, quando pensavo d aver concluso, mi resi conto di non aver parlato dell amore, aspetto preminente di questo zibaldone. Io ho avuto tanto dall amore. Il mio grande amore è mia moglie, Lydie o, in vietnamita, Siou-Wan (Piccola Nuvola). Tu la conosci bene, gli altri no. Ve ne parlo in poche righe, ma su di lei e sulle sue qualità potrei (e dovrei, in verità) scrivere interi madrigali. Bene, andiamo con ordine. Insegnavo storia e filosofia, a Lucca. Arrotondavo il bilancio familiare con le solite lezioni private. Quel tipo di vita, pur improntato alla serenità, mi stava decisamente stretto: decisi di intraprendere la carriera diplomatica, per come ti dicevo all inizio conoscere il mondo e, insieme, anche me stesso. Lasciai, quindi, un bel giorno, la natìa Lucca e, colà, i relativi affetti Addetto culturale d ambasciata italiana all estero: Libano, Sènègal, Turchia, Nigeria e tantissime altre sedi, sparse per il pianeta. In quel mio continuo peregrinare, ebbi la fortuna di incontrare la dolce Siou-Wan, mio omologo addetto culturale: lei lo era presso l ambasciata del Brasile. Una cena diplomatica, in genere, non è altro che un faticoso esercizio d etichetta. Quella con Siou-Wan, invece e per fortuna, fu cena galeotta. Era l occasione che attendevo da tempo: l accompagnai in auto e ne ero già perdutamente innamorato. Pochi mesi dopo la sposai. Ancor oggi, dopo aver peregrinato insieme per il mondo, mi è accanto, in questo sperduto villaggio del Salento, con il suo sorriso, i suoi silenzi orientali, la sua (e mia) torma di cani turbolenti e le sue (e, indirettamente, anche mie, purtroppo) tante, tantissime sigarette. Questa è la mia vita, caro amico, e sappi che con Siou-Wan è vita vera e serena E felice 31

32 Atarassia Il tempo scorre frusciando Come un ampio fiume, In un lieve, inarrestabile, declivio. Il giorno che lentamente si spegne Non mi ha portato insopportabili amarezze, Solo la grigia noia, ciclica e martellante, D una sciatta solitudine sovrana. Ma ad un tratto, come annunciato Da un timido, fulgido raggio di sole, Il suo sorriso ha invaso il vuoto del mio cuore, Riempito le mie stanze di emozioni assenti, Pervaso di gioia pura l anima mia... Non ho mai creduto a fosche profezie Di terribili, cataclismatiche sciagure, Né di vincite a iosa: non m interessa punto. Ma mentre scorgevo lontane all orizzonte Le ombre cupe dell imminente fine, Covavo nel profondo una flebile speranza E pregavo il buon Dio di scorgere, un giorno, Il volto d una bimba che mi facesse ripercorrere All indietro tutti i giorni della mia fanciullezza E riempirli di vivida luce e profumati petali di rosa, Tenuta per mano dalla protettiva mano del padre, Un angelo come lei, che le sussurrava, in sogno: Non essere impaziente, piccola mia: Verrà il tempo che torneremo insieme, Ma adesso fai crescere con il sorriso I tuoi affetti, i tuoi moti dell anima, le tue virtù Perché col tuo meraviglioso sorriso Continuerà normale la vita sulla terra. Non hai bisogno di redimerti, Perché hai fatto solo del bene: Continua a farlo, ma non ripetere mai più Quelle, pur colme di doloroso amore, Sacrileghe parole, affilate come uno stiletto: Senza alcun rimorso, né alcun pentimento Se così non fosse accaduto, un essere umile, Scagliato per caso sull arida terra del Salento, Sarebbe ancora oppresso dal peso della solitudine: Ma un giorno conobbe il suo volto E i suoi dolcissimi pensieri E tutto intorno a lui si ricoprì Del protettivo velo dell atarassia 32

33 Il dottor Babbarabbà, gli òrapi ed altri misteri ciociari Per trovarmi in un luogo comune non ho bisogno di viaggiare e nemmeno di muovermi: ci arrivo in un istante montando sull astronave della mia stupidità (Il dottor Babbarabbà, Minestrone con carrube, Proemio, settembre 2015). Mercoledì 2 luglio 2014, ore 17,00. Dopo un inizio d'estate inclemente e piovoso, nel Salento c'era un caldo assurdo, al punto che il dottor Babbarabbà si sentiva come immerso nel girone del fuoco eterno ed, in quella atmosfera da tregenda, si ritrovò a fare penose riflessioni intorno all'incipiente vecchiaia ed ai suoi relativi effetti sul fisico e sulla mente; ad una certa età ineluttabilmente accade, purtroppo, un progressivo, inarrestabile declino. Tutte le attività, fisiche e mentali, si rallentano, quasi mi muovessero alla moviola: nel suo caso, però, al pachidermico bradipsichismo si erano associati pure il bradigrafismo e il pachigrafismo (neologismi di suo conio usati per descrivere quanto lento e pesante fosse diventato per lui mettere su carta pensieri associati e intelligibili). Forse pensava sarebbe stato molto più utile dedicarsi alla stesura di aforismi ad effetto, come quello citato nel proemio del suo ultimo (e ormai da tempo incompiuto) lavoro, ma poi si sarebbe sentito oltremodo banale, stucchevole, dozzinale No, molto meglio darsi allo studio ed alla lettura dei classici per colmare le enormi lacune culturali e cercò perciò di adattarsi alla bisogna, ma fu assalito all'improvviso dall'atroce dubbio esistenziale se la cultura fosse figlia della conoscenza o se, al contrario, non fosse piuttosto la conoscenza ad esser figlia della cultura Oddio, che casino! Ci mancava pure una cacchio di domanda come quella, da un milione di Euro, che sembrava essere stata partorita dallo strampalato (ed affollatissimo) gran bazar farisaico della bacheca di Facebook; già, Facebook e, per associazione automatica, Internet: oh, come ci ha cambiato la vita, Internet! Fino a qualche anno fa, prima della sua esplosione, il dottor Babbarabbà era stato costretto tantissime volte ad usare tutta la sua abilità per così dire diplomatica per mascherare le proprie voragini culturali, improvvisando, di volta in volta, qualche avvincente storia ad effetto abilmente partorita dalla sua effervescente fantasia oppure, nei casi in cui riteneva che l interlocutore sarebbe stato molto più duro da affrontare, con una delle solite espressionisalvagente, del tipo l avevo dimenticato oppure lo sapevo, ma in modo differente, senza ammettere mai (o quasi mai) la sua abissale ignoranza su taluni (tanti, tantissimi) argomenti. Con passar del tempo pensò di poter mantenere quella sua assurda vocazione, se non vera e propria sudditanza, nei confronti dell ignoranza, riponendo totale e cieca fiducia sul prezioso ausilio di Google, al quale si rivolgeva di soppiatto, per accedere a quei tanto misteriosi quanto preziosissimi X-Files contenenti le nozioni di cui al momento avesse la necessità di sapere; ma si trattava, come diceva il suo maestro di vita Florio Santini e, prima di lui, riferendosi alla TV, il grande Karl Popper, di una realtà finta o, comunque, profondamente mistificata, manipolata con straordinaria e cinica abilità dai poteri forti (ogni giorno sempre più forti) in questa epoca della globalizzazione o dall anti-cultura accademica basata sull a priori ed abilmente spacciata in giro come certezza prefabbricata, a denominazione d origine controllata. Era, insomma, un somaro vestito a festa, che si esaltava oltremodo quando riusciva a fare una bella figura con i suoi interlocutori, tirando fuori una citazione di Erodoto o Plutarco, oppure di Plauto o Terenzio, senza però ricordare neppure se fossero vissuti prima o dopo Cristo. Gli era andata bene tante volte, ma un bel giorno, in un apprezzabile rigurgito di autocoscienza, si rese conto di quanto giusto e veritiero fosse il proverbio che dice: Chi asino è, 33

34 ma cervo si crede, al saltar della fossa se ne avvede. E la fatal fossa gli si interpose sul cammino nel corso del suo primo viaggio in Ciociaria (27 febbraio 2014), in quello splendido paese collinare di San Donato Val di Comino, proprio al confine con l Abruzzo e poco distante anche dal Molise e dalla Campania. Motivo del viaggio era l appuntamento con gli amici, nonché compagni di bridge, Emilio Cellucci e gentile consorte (Dina Cedrone) ed Angelo Stasolla (ciociaro con moglie magliese, come evidenziato dal cognome inequivocabilmente salentino, Paiano), con i quali il giorno successivo sarebbe partito verso la Garfagnana, nella splendida città bagnata dal Serchio, patria del suo grande, indimenticabile amico, Florio Santini, per disputare il I Torneo Nazionale di Bridge Città di Lucca. Emilio Cellucci, omone dall animo gentile e dal cuore d oro, lo aveva informato che, una volta arrivato a San Donato, sarebbe stato suo gradito ospite e perciò il dottor Babbarabbà si industriò a ricambiare quella gentilezza, portando in dono dal Salento qualcosa che sperava Emilio avrebbe apprezzato e, per evitare di incorrere in banali errori, andò a cercare su Google tutti i prodotti tipici ciociari, tra i quali venne fuori un'incredibile varietà di formaggi e salumi, oltre a funghi, tartufi, dolci e liquori tipici; forte di queste preziose informazioni, portò con sé una lattina di ottimo olio extravergine del Salento, ad alto contenuto in polifenoli, che riteneva una delle più alte espressioni tipiche (ed esclusive) del Salento Il prezioso dono fu accolto da Emilio con uno stentato (e del tutto malriuscito) sorriso di circostanza, che non riusciva neppure lontanamente a simulare una pur vaga espressione di giubilo E il dottor Babbarabbà capì presto il perché Angelo gli confidò, infatti, che Emilio era un grande produttore di un eccezionale olio d'oliva extravergine ad altissimo contenuto in polifenoli, che per le sue straordinarie (e davvero uniche) caratteristiche di qualità, è già da alcuni anni oggetto di studio da parte dell Università di Perugia: che autentica figura di m, ehm ehm, da m, da medico babbarabbà DOC!... In realtà, i tanti, tantissimi ragionier Ugo Fantozzi nascono in ogni tempo e in ogni luogo e in quel momento il nostro eroe si sentiva davvero tale, vittima (ma chi è causa del suo mal pianga se stesso) della sua superficialità e della sua boriosa supponenza... Il tavolo da gioco, nella magica atmosfera del centro storico quello protetto dalle grandi mura della città della dolcissima Ilaria del Carretto e del suo fedele cagnolino, riuscì a lenirgli tutto il disagio: all ottima prestazione di sabato nel torneo a squadre, seguì un ancora più lusinghiero 61,54% (ed undicesimo posto su circa 150 coppie) di domenica 2 marzo nel torneo a coppie, giocato con Emilio, con il quale, peraltro, nel corso della deliziosa cena di commiato, si accorse di avere straordinarie affinità elettive non solo al tavolo da gioco, ma anche (e soprattutto) a tavola E fu così che, su insistenza dell'amico ciociaro, si ripropose di ripetere quella sua prima esperienza di viaggio nella successiva primavera, durante la quale avrebbe dedicato un bel week end (o perché no? un'intera settimana) ad una nuova gita turistica, culturale, eno-gastronomica, ricreativa e salutistica (come si conviene ad ogni bravo pensionato di questa terra) e brigdistico nell'ancora semi-inesplorato territorio della Ciociaria... Ripartì per il Salento in un ciclico altalenarsi di soddisfazione e vergogna, ma alla fine prevalse la positiva riflessione che dagli errori si acquisisce utile esperienza e che, perciò, nel secondo viaggio non si sarebbe lasciato più prendere in castagna; partì, infatti, dal precetto socratico del So di non sapere che segna le profonde fondamenta per una solida costruzione di conoscenza utilizzabile. In altri termini, la ricerca e l'acquisizione di nuovo sapere gli avrebbe permesso di contrastare i luoghi comuni, le illusioni, le paraeidolie, la presunzione, la superstizione, il dogmatismo; tale ambizioso traguardo non avrebbe mai 34

35 potuto raggiungerlo solo attraverso un processo di trasferimento mediato di conoscenze (e men che meno con quella diavoleria di Internet), ma con l acquisizione di nuovi saperi immediati, direttamente sperimentati. I risultati di questo suo progetto di miglioramento continuo delle conoscenze sarebbero stati, per lui, di inestimabile valore pratico, dato che, in quanto fruitore privilegiato di questo sapere nuovo, avrebbe evitato di doversi ripetere, continuamente e stupidamente Fingevo di saperlo, ma non lo sapevo affatto e avrebbe invece potuto esprimermi in uno dei seguenti modi: Lo sapevo, ma non ne ero certo, Lo sapevo, ma solo in parte, Lo sapevo, ma in modo differente, oppure (e per finire in bellezza), Non lo sapevo e non sapevo di non saperlo... In quella fase critica della sua esistenza, per prevenire il fatal rincoglionimento tipico del pensionato accidioso e, stanco di ripetere ogni giorno le solite stereotipie, si era finalmente deciso a cambiar vita, a tirar via il culo dal divano e a cominciare a viaggiare per il mondo per sperimentare la realtà in modo diretto, attraverso la percezione dei suoi sensi, per vedere, sentire, toccare, annusare: era ora di farla finita con i luoghi comuni e cominciava l'era dei luoghi... propri!... Durante una pomeridiana partita a brigde sull'affollato sito Internet Bridge Base Online parlò della trascorsa esperienza e del progetto di nuovo viaggio all'amico Lucio Coppini, pensionato come lui, leccese DOC dalla battuta pronta, e l'idea di una breve gita in Ciociaria coinvolse anche l'amico che gli avrebbe fatto, quindi, da piacevole compagno di viaggio... Forte della lezione ricevuta nel corso del primo viaggio, decise, di comune accordo con Lucio, di non correre ulteriori rischi e di portare in dono ai suoi amici ciociari un po' di buon vino salentino (negramaro e malvasia nera) e i prodotti, tipicamente salentini, del cosiddetto fornu a petra, leggi friselle, in tutte le loro forme e declinazioni... Passarono i giorni e giunse, finalmente, il momento della partenza, con un paio di borsoni stipati nel piccolo portabagagli di quella ancor più angusta utilitaria sud-coreana (una I10 Hyundai ibrida, a benzina e a gas) di Lucio, nella quale il povero dottor Babbarabbà fu costretto a fare tutto il viaggio con il busto deformato in una innaturale torsione antioraria, al fine di permettere a Lucio di usare i comandi dell'auto, ma riuscì a consolarsi pensando che, in fondo, qualche sacrificio quel bel viaggio lo valesse pure... Alle 17,00 di giovedì 29 maggio giunsero finalmente all'hotel di Sora prenotato via Internet e si concessero una lunga doccia ristoratrice, per ritrovarsi freschi e preparati all'incontro con gli amici, che si sarebbe concretizzato a cena in una caratteristica osteria ciociara sulle colline a ridosso della Val di Comino. Dopo aver verificato con soddisfazione che stavolta i doni salentini avevano riscontrato il meritato successo, si recarono verso l'osteria in compagnia degli amabilissimi ospiti e durante il tragitto in auto furono informati da Dina che quella sera avrebbero fatto la conoscenza dei famosi òrapi del buon Enrico. Il buon Lucio guardò sgomento il dottor Babbarabbà, come a chiedergli: Ma chi cazzo saranno mai, questi famosissimi! Orapi? E questo Enrico, poi? Chi cazzo sarebbe, costui?, ma il nostro eroe, in un deprecabile rigurgito di asinismo creativo parossistico Internet-indotto, cercò di rasserenarlo, dicendogli che era quasi certo di ricordare che si trattava degli storici, leggendari, pittoreschi pastori della transumanza, con le greggi in partenza verso le zone collinari e montane per la stagione estiva; Enrico, invece, doveva essere certamente riferito ad Enrico VI di Svevia, al quale si faceva risalire la vera causa della prima transumanza della storia, generata dalla volontà dei pastori di salvare le proprie greggi dal timore del saccheggio, legato alla necessità di sfamare le truppe imperiali impegnate nel lungo assedio del castello di Fumone 35

36 Come volevasi dimostrare, quella che avrebbe dovuto essere la partenza in diretta della transumanza si trasformò in un ottima cena centrata su una triplice portata a base di òrapi (noti anche come erba del buon Enrico): un'ottima zuppa con legumi e cereali, una grande, sontuosa profumatissima frittata ed una caponata molto gustosa, insaporita con aglio, olio e peperoncino. Ed ecco finalmente svelato il mistero degli òrapi: una sorta di gustosissimi spinaci di montagna (il loro nome scientifico è Chenopodium Bonus Henricus), altro che i pastori della transumanza appenninica!... E fu così che il dottor Babbarabbà si beccò in pieno tutto lo schifato sguardo di disapprovazione di Lucio, accompagnato da una tipica espressione leccese: Ccè bb erane, l òrapi? Li pecurari de l'appenninu? Oh, ci cu te scoppa 'na sajietta an tra li dienti de nanti, autru ca la transumanza de zziata Narda! (Allora, cos è che erano, gli òrapi? Pastori dell'appennino? Ma che ti prendesse un fulmine in mezzo agli incisivi superiori, altro che la transumanza di tua zia Leonarda!). Tuttavia, al buon dottor Babbarabbà, per tornare tutto allegro e spensierato, fu sufficiente un ottima bottiglia di Cesanese del Piglio, un gran bel rosso rubino dal piglio deciso, e con la tendenza a un gradevole gusto amarognolo e al frizzante naturale; non a caso, Dina gli narrò la nobile storia di quel vino antichissimo, già noto in epoca etrusca ed in seguito arricchito di importanza per essere stato eletto a bevanda da pasto di eccellenza da Federico di Svevia, nel suo soggiorno ad Anagni, ospite del papa Innocenzo III E fu così che, inebriato alquanto, al termine della cena il dottor Babbarabbà citò per intero il famoso Elogio del Vino di Morando da Padova: Ave color vini clari / ave sapor sine pari / tua nos inebriari / digneris potentia. / Ergo vinum concludemus / potatores exultemus / non potantes confundemus / in eterna tristizia. Amen!. Lucio, che, essendo totalmente astemio, aveva ingurgitato solo un buon paio di litri d acqua, fu a sua volta oggetto e bersaglio di un aspro rimprovero, che si concretizzò nei seguenti versianatema: Quanto all acqua maledetta / sia bandita ed interdetta / perché chi la beve tace / e lei impregna il suo torace Lo sguardo di Lucio e il suo successivo assai colorito (e forse irripetibile) commento verbale in dialetto leccese espressero un misto di compassione e simpatia; e la piacevole serata si concluse, quindi, in allegria Il programma dell indomani prevedeva un itinerario in due tappe: al mattino, verso Isola del Liri e, nel pomeriggio, nella storica e bellissima Arpino, città natale di Cicerone, nella quale sarebbero stati ospiti di Francesco e Federica, per un bella serata di bridge (ed ovvio, gradito ed opportuno, contorno mangereccio) Isola del Liri è una bella cittadina, il cui nucleo originario fu costruito su una minuscola formata dalla biforcazione del fiume Liri, che si suddivide nella Cascata Grande e nella Cascata del Valcatoio, spettacolarmente spumeggianti proprio nel bel mezzo del centro storico della località Lasciata Isola del Liri, si diressero verso la vicina Sora per raggiungere l abitazione di Angelo, dato che la sua signora, Silvana, magliese DOC, gli aveva espresso il desiderio di conoscere i due amici salentini. Appena giunti nella quieta città natale di Marco Attilio Regolo e di Vittorio De Sica, si trovarono di fronte, proprio alla confluenza tra il piccolo fiume Fibreno con il Liri, la splendida abbazia cistercense di San Domenico di Sora, che il dottor Babbarabbà ebbe il gran piacere di vedere con i suoi occhi, trattandosi della chiesa nella quale, quasi due secoli prima, si era tenuto lo storico matrimonio tra la dolcissima Principessa Diana De Gabrieli Bruno di Pontecorvo e il prode Cavaliere Guido il Rosso dei Conti d Asburgo Lorena, citati nel suo racconto Il banchetto delle beffe, ovvero le vere origini del bosco di Balsorano ; ma la sua sorpresa si trasformò in stupore ed incredulità quando Angelo gli indicò, sul muro contiguo alla facciata della chiesa, una lapide intestata 36

37 a Marco Tullio Cicerone, in ricordo del luogo natale del poliedrico oratore e filosofo ciociaro, nato nella villa che il padre aveva fatto edificare in quella terra da sempre soggetta a disastrosi terremoti e sulla quale, alcuni secoli dopo, San Domenico costruì il suo monastero... Incredulità e stupore si alternavano nella ormai confusa ed obnubilata mente del dottor Babbarabbà, che tuttavia, scuotendosi dal torpore, non smentì la sua tipica natura fantozziana, poiché ebbe lo spudorato coraggio di rivolgersi ad Angelo, chiedendogli se non ci fosse un errore, dato che a lui risultava che Cicerone fosse nato ad Arpino: ignorava, il nostro eroe, che i confini comunali del 2014 non erano rimasti gli stessi del 106 avanti Cristo; ed in effetti, gli disse Angelo, anche l altro grande arpinate, Gaio Mario, era nato in quella parte dell antico agro di Arpino, nella quale insiste la splendida Abbazia di Casamari (non a caso, in un latino maccheronico o forse, per meglio dire, in italiano arcaico, Casa Marii ) e che fa parte, oggi, del comune di Veroli Tante di quelle che un tempo erano grandi città, oggi si sono ridotte a piccoli paesi: paesi piccoli, sì, ma pieni di storia Bene, dopo quella ennesima fantozziana figuraccia, il dottor Babbarabbà si ripropose di utilizzare maggiore prudenza, che si sarebbe dovuta concretizzare in un sapiente silenzio in caso di ulteriori situazioni del genere e fu così che, per tutto il tragitto fino alla splendida Arpino, si mantenne tutto assorto nei suoi meditabondi pensieri; tuttavia, il passaggio dell auto nei pressi del Centro Studi Umanistici Marco Tullio Cicerone lo indusse a prendere di nuovo la parola per esaltare l'eccellenza degli istituti scolastici del Salento. Ricordava, infatti, di aver letto sui giornali, alcuni giorni prima, che una studentessa salentina, proprio del suo glorioso Liceo Classico Capece di Maglie, si era classificata al quarto posto nell'ultima edizione del prestigioso Certamen Ciceronianum Arpinas, grande concorso aperto agli studenti di tutto il mondo e consistente nella traduzione e nel commento di un passo tratto da un'opera di Cicerone. Ebbene, certamente aveva rotto in modo incauto il suo patto di prudenza con il silenzio, ma ditemi! come avrebbe mai potuto soffocare quell impulso di inarrestabile entusiasmo che gli era esploso dentro all'improvviso, nel profondo dell anima, come il magma incandescente di un imponente ed incoercibile eruzione vulcanica?... Dato che il sole era ancora abbastanza alto nel cielo, Angelo disse agli ospiti salentini che li avrebbe portati a vedere civitavecchia e a quel punto il dottor Babbarabbà, ricadendo nell'ennesimo errore di imprudenza, gli obiettò se il percorso non gli paresse un po' troppo lungo. In realtà la meta proposta da Angelo non era la città di Civitavecchia (con la C maiuscola), ma l antica acropoli di Arpino, non a caso nota come civitavecchia (con la c minuscola) ed arroccata su un aspro poggio al quale si accedeva con estrema cautela, dato che, via via che si procedeva verso la vetta, la già angusta stradina si restringeva fino ad un unica carreggiata; dall alto della splendida acropoli, Angelo fece notare agli amici come il sottostante centro abitato avesse la tipica forma di un arpa, dando così conferma a coloro che associano il toponimo Arpino (Arpinum, in latino) allo strumento musicale... Tornati nel centro storico di Arpino, il gruppo ciociaro-salentino di amatori del bridge si diresse, tra mille vicoli e scalinate, verso la splendida dimora di Francesco e Federica, che si dimostrarono ospiti davvero squisiti ed affabili, associando al duplicato bridgistico una altrettanto impegnativa ed agonistica gara gastronomica, a base di formaggi, salumi, dolci, dolcetti, vini, spumanti e amari di ogni tipo. Non sorprenderà nessuno il fatto che questa seconda gara, squisitamente mangereccia, fu vinta con amplissimo margine dalla coppia extralarge (circa 250 kg in due) Babbarabbà-Cellucci, che però furono costretti ad 37

38 accontentarsi della piazza d'onore nel bridge, preceduti dall'aggressiva coppia formata da Roberto ed Anna, ragazzi davvero simpatici e di bell'aspetto, compagni anche nella vita... Il ritorno a Sora fu preceduto da una rapida e breve escursione a San Donato, perché Dina intendeva donare ai due strampalati amici salentini alcune confetture di frutta prodotte il giorno precedente con le sue mani, ma non appena l'auto fece sosta nel cortile della villetta dei Cellucci, immersa nella penombra ed in aperta campagna, si levarono alte le urla di raccapriccio e le disperate invocazione d aiuto del dottor Babbarabbà, che si era ritrovato a meno di un metro da un orso bianco... Quelle urla disperate suscitarono però l'ilarità generale, sia perché l'orso bianco è ben diverso dall'orso marsicano ed è chiamato anche orso polare, perché vive attorno al Polo Nord nel Mar Glaciale Artico, sia perché ci voleva davvero molta immaginazione (o, probabilmente, tanta gradazione alcolica in circolo) a scambiare uno splendido esemplare di pastore maremmano per un orso polare... La conoscenza di San Donato Val di Comino proseguì il mattino successivo, perché Emilio volle mostrare ai suoi amici tutte le bellezze e tutte le curiosità del suo paese e li sottopose, perciò, ad un lungo e faticoso percorso a piedi, che si iniziò dall'abitazione della madre, donna anziana ma dai lineamenti ancora giovanili e dalla muscolatura assai tonica, che fu spiegata come merito dell'attività fisica quotidiana, dati gli spostamenti senza mezzi di locomozione; al termine di quella lunga e faticosa camminata, il dottor Babbarabbà fece riposare le sue stanchissime membra sedendosi su un comodo masso piatto circolare accanto a tre gradini, all'incrocio tra Via Maggiore e Via Rua, ma anche questo suo ultimo atto, apparentemente del tutto innocente, fu oggetto di una nuova sonora risata da parte di Emilio. Il povero dottor Babbarabbà si era seduto, infatti, sulla famosa pietra di San Bernardino o pietra dello scandalo, luogo dove era costretto a sedere, per un numero di ore direttamente proporzionale alla quantità di denaro da restituire, il debitore insolvente che in tal modo ammetteva pubblicamente il proprio fallimento, esposto al pubblico ludibrio... E pensare che il dottor Babbarabbà era convinto che la tanto citata pietra dello scandalo fosse probabilmente un sasso lanciato contro qualche personaggio importante chissà da chi e perché; in altri termini, non lo sapeva, ma era convinto (o supponeva) di saperlo E questo è il secondo corollario alla Legge dell'ignoranza incosciente... Il dottor Babbarabbà mi ha pregato di glissare sulla cronaca delle tante piacevoli partite di bridge pomeridiane e delle mattutine passeggiate nei campi e nei boschi della montagna a mangiare decine e decine di viscioli, deliziose ciliegine selvatiche raccolte direttamente dall albero: è convinto, infatti che, a furia di parlare di pranzi, di cene e di merende, gli affibbiereste una poco simpatica e poco onorevole patente di smodato crapulone Passo, perciò, a descrivere la giornata prima della partenza, che si incentrò soprattutto nella visita al misterioso Castello di Fumone, testimone di macabre vicende storiche e di fosche e fiabesche leggende, al punto sono in molti a giurare di aver più volte udito le urla strazianti dei fantasmi, che ancor oggi ospitano le sue buie stanze, con le pareti tinteggiate in un truce color rosso sangue. Il castello-fortezza di Fumone è stato da sempre avvolto nel mistero ed ancor oggi l epoca della sua costruzione è oggetto di un accesa disputa tra gli studiosi; infatti, in base ad un antichissima tradizione tramandata verbalmente di generazione in generazione, la costruzione della fortezza andrebbe fatta risalire addirittura in epoca ante-cristiana, come presidio contro le sanguinose scorribande dei feroci Volsci, ma c è pure chi afferma che il castello sarebbe stato edificato proprio dai Volsci; secondo altri storici, invece, la fortezza sarebbe stata eretta nel 244 d.c. da Tarquinio il Superbo, dopo che l ultimo Re di Roma era stato detronizzato e costretto all esilio. Altri ancora ritengono che la costruzione del 38

39 castello sia avvenuta in epoca successiva, in coincidenza con l inizio delle grandi invasioni barbariche (i Goti di Alarico nel 410 o i terribili Vandali di Genserico nel 455) o in seguito, durante il periodo delle prime invasioni dei Saraceni, provenienti dalla Sicilia e della Calabria (anno 846) Ben poche certezze si hanno, quindi, sulle sue origini, ma di certo il castello-fortezza fu a lungo posseduto dalla Chiesa per la sua straordinaria posizione strategica, per essere poi trasferita, terminata l'era delle minacce barbariche e saracene, nel 1588, con regolare atto notarile, alla proprietà della nobile famiglia Longhi De Paolis, da sempre legata alla Chiesa e, per questo motivo, notevolmente agevolata nell acquisto Il misterioso castello-fortezza troneggia sull aspra rocca che si staglia sul delizioso borgo di Fumone ed è incredibilmente, magicamente sovrastato da un enorme giardino pensile strutturato su più livelli, interconnessi da piccole scalinate. In origine, il castello era il palazzo del governatore, che amministrava il potere civile in nome e per conto del Papato; in realtà, sin dall epoca della sua costruzione il castello fu oggetto di macabre vicende storiche, poiché le sue tetre stanze furono adibite a celle della prigione dello Stato della Chiesa. Tale prigione fu da sempre tristemente nota a tutti per le condizioni disumane e le terribili torture che venivano inferte ai prigionieri, al punto che, si diceva, una condanna da scontare rinchiusi nella Rocca di Fumone equivaleva ad una vera e propria condanna a morte E la tetra nomea della fortezza fu confermata dal primo impatto; infatti, già non appena superata la soglia d ingresso del castello, il buon dottor Babbarabbà provò una profonda sensazione d angoscia, resa ancor più intensa dallo sforzo fisico legato al superamento degli stretti cunicoli e delle anguste e accidentate scalinate che separavano le stanze, tutte di superficie assai ristretta, ad eccezione di un ampio vano destinato a cucina-pranzo. La giovane e preparatissima guida decise di far iniziare la visita del castello all incontrario, partendo dall alto, dai giardini pensili, ed il piccolo gruppo nel quale era inserito il team salentino-ciociaro di amatori del bridge fu subito costretto a fermarsi qualche minuto per riprendere fiato, dopo l'intenso sforzo fisico sostenuto per giungere alla sommità della fortezza. Il bel parco alberato del castello, che tra l altro gode dell invidiabile primato di costituire i giardini pensili più alti d'europa (collocati a circa 800 metri d'altezza), fu fatto realizzare dai proprietari intorno al Seicento ed è formato da una serie di terrazze a balzo, che furono ricavate dalle antiche torri, dai camminamenti di ronda e dai fossati, uniti tra loro da enormi volte ricoperte da alcuni metri di terriccio di bosco. Ripreso finalmente fiato, il dottor Babbarabbà si rese conto di trovarsi proprio sull apice di un fantastico osservatorio naturale, che gli permetteva di ammirare un autentico panorama da fiaba, perché spaziava su un territorio immenso, prevalentemente pianeggiante, delimitato, ai quattro punti cardinali, dai grossi centri abitati di Anagni ad Ovest, Fiuggi (con ai piedi il bel Lago di Canterno) a Nord, Alatri ad Est e Ferentino a Sud, oltre ad innumerevoli altri paesi e villaggi, valli, fiumi, laghi, colline, monti, castelli, strade, sentieri e camminamenti vari; nessun segno all orizzonte, invece, del cupolone della Basilica di San Pietro e del Vesuvio, evidentemente frutto della fantasia che qualche buontempone aveva dichiarato di aver visto nelle giornate particolarmente nitide (e quella era una giornata dal cielo terso e nitido) E da quell osservazione immediata, diretta, aristotelica, il dottor Babbarabbà capì il significato del misterioso detto Quando Fumone fuma, tutta la Campania trema ; si narra, infatti, che all apparire all orizzonte dei nemici, dal culmine di un'alta torre del castello (oggi scomparsa e probabilmente sovrastata da una parte dei giardini pensili) si levasse un enorme colonna di fumo che, alla stessa maniera di quanto praticato dei nativi americani, fungeva da vitale segnalazione-messaggio che, con una trasmissione a catena, 39

40 da torre a torre, si estendeva a tutti i paesi limitrofi della grande campagna pianeggiante (questo il significato di Campania ), fino a giungere all interno delle mura capitoline... La spiegazione data della giovane guida al significato delle tantissime torri d avvistamento ciociare fece venire in mente al dottor Babbarabbà un parallelismo in verità, tutt altro che peregrino con le torri d avvistamento della costa salentina, strategicamente disposte in modo da risultare visibili in coppia tra di loro, come accade tra la Torre di Sant Emiliano e la Torre di Minervino, al fine di comunicare e di trasferire per tempo alla città di Otranto la notizia dell imminente minaccia dei Turchi Saraceni Ma tutto quel grande lavoro fu vano: che tu sia maledetto, Acmet Pascià!... La poderosa Rocca di Fumone, invece, non fu mai espugnata ed esposta a saccheggio e mentre tutta la campagna intorno tremava, se ne restava lì tutta tranquilla ed imperterrita, perché la sua posizione e la sua struttura la rendevano assolutamente inespugnabile; per questo motivo, sin dai cupi e caotici anni del Medioevo, assolse alla funzione di fondamentale presidio per la sicurezza di Roma contro le incursioni barbariche prima e saracene poi. In tanti tentarono, ma invano, di espugnare la fortezza ed, infatti, oltre ai barbari ed ai saraceni, non ci riuscirono neppure Federico Barbarossa (1155), né Enrico VI (1186), che pur la sottoposero a due lunghi e stringenti assedi; poi, come spesso ancor oggi accade, la Rocca di Fumone fu forzata e sottomessa dall unica arma alla quale nemmeno il poderoso Castrum Fumonis poteva resistere: il denaro E così il Papato, dopo aver miseramente fallito con la violenza delle armi, riuscì ad acquisire il maniero con l irresistibile lusinga del vil metallo (che, in fondo, visti i tanti risultati ottenuti, così vile non poi dovrebbe essere) Nel suo lungo periodo di proprietà del Papato, il castello-fortezza di Fumone divenne ancor più misterioso e tetro, circondato da un'aura di torbide leggende a fosche tinte e noir, per tornare ad una certa normalità solo dopo il 1588, anno in cui fu acquistato (ma, in realtà, le fu quasi donato) dalla nobile famiglia Longhi Dopo l iniziale straordinaria osservazione panoramica da quella che non a caso è nota come la terrazza della Ciociaria, la visita ai giardini pensili cominciò (o, se vi par meglio, riprese) con la sosta davanti ad un importante colonna romana in marmo, contenente un bel bassorilievo che raffigura l'albero della Vita (altro parallelismo con Otranto, cioè con l ancor più famoso Albero della Vita del pavimento musivo della navata centrale della Cattedrale); in seguito, il gruppo transitò, non senza una qualche esitazione, su un grosso blocco di pietra, che ricopriva il cosiddetto pozzo dei desideri, un enorme cavità sostando per alcuni secondi sulla quale ognuno avrebbe potuto esprimere un desiderio con buone prospettive di successo. Infine, prima di riprendere le scale per la visita al castello vero e proprio, il gruppo si fermò di fronte al cosiddetto Albero dell'amore, che consiste nella fusione in un unico tronco di due giganteschi esemplari di cipressus funebris E, come al solito, il dottor Babbarabbà non si fece sfuggire l occasione per un nuovo commento, un esplicita, amara ed in fondo anche pessimistica riflessione sul fatto che, a suo avviso, in quanto albero simboleggiante una chiara tradizione funeraria, quel cipresso dell enorme tronco avrebbe dovuto essere chiamato, piuttosto che Albero dell Amore, Albero della Morte dell Amore La discesa dalla ripida serie di scale a spirale sembrò a tutti molto più rischiosa della precedente e corrispondente salita e fu affrontata con grande cautela e circospezione dal gruppo dei visitatori del castello E si iniziò, finalmente, la parte più interessante della visita dalla fortezza di Fumone, in quei piccoli locali con le pareti tinteggiati di un orrendo color rosso sangue e così tetri e pieni di mistero da incutere paura 40

41 La prima tappa della visita fu il terribile Pozzo delle Vergini, una stretta e profondissima fossa in pietra, sul cui fondo si dice fosse anticamente disposta una fitta trama di lame affilatissime con la punta aguzza rivolta verso l alto; questa cavità rappresentava la morte certa per tutte le ragazze che vi venivano buttate dentro a testa in giù, perché trovate già deflorate dal potente signorotto locale nella prima notte di nozze, in base all orribile legge medievale dello Ius Primae Noctis La visita progredì in una sorta di crescendo rossiniano di terrore, perché la guida rivelò al gruppo di visitatori tutti i tetri segreti di ognuna delle piccole stanze, nelle intercapedini delle pareti delle quali si narra siano stati murati vivi tanti, tantissimi nemici del signore del castello; pare, infatti, che tutti i nemici del castellano, una volta sconfitti, venissero fatti sparire per sempre, affinché non ne rimanesse né traccia, né ricordo E tenuto conto che per secoli la fortezza fu, di fatto, un possedimento del Papato, essa svolse la funzione di ferale prigione (e tomba) per tanti ecclesiastici, tra i quali l Antipapa francese Gregorio VIII, che si oppose ai Pontefici Pasquale II, Gelasio II e Callisto II, l ultimo dei quali lo sconfisse definitivamente e lo fece condurre prigioniero, nel 1124, nella fortezza, ove si ritiene abbia incontrato la morte, sebbene il suo corpo non sia stato mai rinvenuto. Altro "ospite" illustre delle segrete del castello fu Papa Celestino V, il Papa che oppose il gran rifiuto perché nel 1295, stanco e disgustato dalle tante pressioni e giochi di potere che infestavano la Chiesa (corsi e ricorsi storici: a proposito, in bocca al lupo, Papa Francesco!), rinunciò alla tiara, ritirandosi a vita ascetica e monastica, ma che, per ordine del suo successore, il perfido Bonifacio VIII, vi fu rinchiuso, con la cinica giustificazione di volergli mettergli a disposizione un sicuro rifugio nel quale pregare, in una minuscola, angusta cella, nella quale trovò la morte il 19 maggio 1296; tuttavia, la giovane guida riferì al gruppo del visitatori che, contro la teoria della morte naturale, molti storici affermano che l anziano Celestino V fu assassinato, dato che il suo teschio presenta un foro tondeggiante come se un chiodo l'avesse trapassato; tale ipotesi è stata peraltro confermata da indagini di tipo medico legale e da uno studio radiologico del 1988 che ha messo in evidenza la perforazione cranica attribuibile ad un oggetto appuntito e compatibile appunto con un grosso chiodo. Le cronache narrano che, poco prima della sua morte, accadde un grande prodigio: una croce di una luminosità accecante apparve dinnanzi alla sua cella; in seguito a quel miracoloso evento, molti proposero la canonizzazione del papa del gran rifiuto e, a tal fine, intervennero a fornire la loro testimonianza del prodigio persino i due cavalieri che erano stati messi a guardia della sua cella. In tanti ritennero che l apparizione di quella croce luminosa fosse un segno divino, intervenuto per riparare alle terribili ingiustizie subite da questo piccolo grande Papa, la cui vita, per molti aspetti, rimane ancora avvolta nel mistero. Si narra, tuttavia che, a partire dal giorno della sua morte, di tanto in tanto si sentano battere colpi misteriosi alle pareti e, quindi, il primo dei tanti potenziali fantasmi del castello sarebbe riconducibile alla triste vicenda del papa del gran rifiuto Procedendo attraverso gli angusti corridoi di intercomunicazione tra le stanze del castello, la guida informò i presenti che, ogni notte, da qualche parte, negli inaccessibili sotterranei del castello, si ode distintamente un misto di grida, di lamenti e di urla angoscianti delle anime dei prigionieri morti nei sotterranei del castello, che, dopo la loro tormentata vita terrena, non riescono a trovare ancora l eterno riposo, raggelando, così, il sangue di chi ha la fortuna (o la sfortuna) di udirle. Altri affermano di aver udito uno sferragliare d armi, che si pensa sia da mettere in relazione alla feroce determinazione guerriera dei barbari o, forse, alla ferocia dei condottieri volsci 41

42 Ma la testimonianza diretta e visibile della vicenda più macabra ed inquietante del castello la si riscontra nella Sala dell Archivio, all interno della quale, pietosamente e teneramente risposto in una teca, contenente i suoi giocattoli e gli altri oggetti della sua infanzia, giace il corpicino imbalsamato (e tuttora straordinariamente ben conservato, quasi che fosse un bambolotto di cera) di un bambino, il Marchesino Francesco Longhi, morto alla tenera età di 3 (o, forse, 5) anni. La superficie superiore della teca riporta inciso il numero 17, numero fortemente collegato, sin dall antichità, alla sfortuna. I più ritengono che la superstizione fosse nata ai tempi dell'antica Roma, per la consuetudine di incidere sulle pietre funerarie la parola "VIXI" (che vuol dire vissi, sono vissuto), il cui anagramma "XVII" equivale a 17 nel sistema di numerazione romano; quindi, quel 17 inciso sulla teca starebbe a significare che il povero marchesino visse (e vive ancora) Un altro mistero riguarda la stessa tecnica di imbalsamazione utilizzata, un oscuro metodo di mummificazione ottenuta con l utilizzo di sostanze cerose, metodica ancora oggi ignota, dato che l imbalsamatore che la realizzò morì in circostanze misteriose pochi giorni dopo la conclusione del lavoro, senza lasciare alcuna nota che consentisse di conoscerne la tecnica e le sostanze utilizzate. Tuttavia, la parte più lugubre della vicenda riguarda le cause della morte del bambino e al proposito la guida espose la storia lentamente e con tono drammatico e solenne: il piccolo Francesco era il settimo (o, più probabilmente, l ottavo) figlio del Marchese Longhi, quel figlio maschio così desiderato, dopo tante femmine. La sua nascita aveva, perciò, riempito di grande gioia il cuore dei genitori, che tanto lo avevano desiderato, ma aveva generato anche una marea montante di rancore e di autentico odio nell animo delle sorelle, che vedevano in lui un potenziale nemico; infatti, come unico figlio maschio, egli avrebbe ereditato tutti i beni di famiglia, costringendo tutte le sorelle a matrimoni combinati o, peggio ancora, a prendere i voti. L odio verso l ultimogenito montò a tal punto, che le sorelle più grandi ordirono un terribile e sottile piano per ucciderlo, senza lasciare alcuna prova del loro misfatto; infatti, fingendo di voler amorevolmente assistere il fratellino, giorno dopo giorno inserivano minuscoli frammenti di vetro nel suo pasto, così che comparvero i primi, apparentemente inspiegabili, dolori addominali che, con il passar del tempo divennero sempre più atroci, sino a trasformarsi in una lenta e penosa agonia che condusse il marchesino a morte. La madre, allora, straziata dal dolore per la perdita di quel figlio tanto atteso e amato, ordinò, come impazzita, di far ridipingere tutte le pareti interne del palazzo con quell angosciante color rosso sangue e di rimuovere e sostituire tutti i quadri di famiglia che esprimevano scene di felicità e di serenità; dispose, inoltre, che il corpo dell adorato figlioletto fosse imbalsamato con un innovativa tecnica a base di sostanze cerose, affinché la sua memoria non potesse mai cadere nell oblio E pare proprio che sia l anima del fanciullo sia quella della madre non abbiano mai abbandonato le sale del castello; infatti, capita spesso che piccoli oggetti della sala vengano nascosti o spostati dallo spirito giocoso ed infantile del marchesino. Ma accanto a questa, in fondo, simpatica e gioiosa presenza, in talune notti, ed in particolare in quelle di plenilunio e di luna nuova, si odono distintamente lamenti, nenie e pianti strazianti, che sono l espressione del dolore infinito dello spirito della madre, la Marchesa Emilia Caietani Longhi, la quale, dopo il terribile lutto subito, non riuscì mai più a trovare pace, né in vita, né in morte, e che, per questo, di notte viene a cullare amorevolmente l amato figlioletto Alla fine, il bel viaggio ricreativo-culturale in Ciociaria terminò e alle ore 8,30 di martedì 3 giugno Lucio ed il dottor Babbarabbà ripresero la via del ritorno, allungando il tragitto per una tappa intermedia a San Giovanni Rotondo, dove il dottor Babbarabbà avrebbe rivolto una preghiera a San Pio E fu così che la piccola I10 di Lucio si mise ad imboccare a fatica 42

43 le tortuose strade degli Appennini, via Venafro ed Isernia, per raggiungere, dopo tre ore e mezza abbondanti, la meta Il dottor Babbarabbà uscì dal santuario pieno di gioia e di serenità e gli parve quasi un segno divino poter aiutare un bimbetto di 4-5 anni al quale era sfuggita la palla dalle mani sul piazzale della chiesa: si chinò quindi a raccogliere la palla e crack! Il colpo della strega! E fu così che rimase immobile, piegato in due con la palla tra le mani e allora il bimbo gli corse incontro, gli strappò con decisione la palla e gli assestò un gran bel calcione negli stinchi, accompagnando queste sue azioni con un bel: Così impari a rubare la palla mia, scemo! Ebbene, sei proprio un grandissimo sfigato, caro il mio povero dottor Babbarabbà! La tipica ciocia della Ciociaria 43

44 Cavalcando il cielo A briglia sciolta, Cavalcando il cielo, Attraverso umide Nuvole d alpaca, Descrivo larghe spirali D una luce opaca, Colmo d un incoercibile Disperazione immensa. Perché i dolci frustoli D un adolescenziale sogno Mi si sbriciolano fra le dita Presenza costante, Battente nella mente, Martellante nel petto, Evanescente nella carne: Penosa percezione Dell infinito nulla. Di quel sorriso triste Mi si è riempito il cuore. Cavalcando il cielo, Tra i pianeti e le stelle, Testimoni silenti Della mia solitudine, Ho scorto da lontano, Guardando sulla terra, Rotolante tra i venti, Ai limiti dell orizzonte L autentica ragione Quella unica e vera Di questa vita stanca: Il tuo sguardo mi manca, Sul venir della sera 44

45 Il senso della vita Migliaia di filosofi e scienziati hanno cercato, nel corso della storia, di spiegare l universo, di darne un senso compiuto, di comprenderne il significato recondito Migliaia di filosofi e scienziati hanno, sin dall età della pietra, elaborato teorie, dalle più illuminate alle più strampalate, assimilando, di volta in volta, l universo ad un immensa entità pulsante e pensante o ad uno spazio infinito o, ancora, ad un immenso contenitore vuoto, costellato qua e là da milioni e milioni di galassie puntiformi, che solo la piccola e insulsa mente dell uomo non riesce a capire di dimensioni infinite La verità vera è che l universo è la trasfigurazione di Dio, che ha voluto lasciarci intuire la sua esistenza, donandoci la vita sulla terra, al punto che, come le migliaia di specie viventi, ogni galassia è formata da tanti, tantissimi piccoli e grandi sistemi solari, l uno diverso dall altro, ma con un unica struttura comune: quella di tanti corpi celesti (pianeti, satelliti, frammenti e meteoriti), privi di luce propria e d energia, che per darsi una forma, un colore ed una propria dignità e parvenza di vita, ruotano intorno ad una stella Nel nostro sperduto sistema solare io non sono certo il sommo Giove e neppure il piccolo Mercurio, ma solo un minuscolo, infinitesimale frammento di una grigia, gelida meteorite, che però s è infiammato e riempito di colore nel sentirsi, per un interminabile momento, davvero importante, al semplice pensiero di giungere al cospetto del tuo accattivante sorriso, così avvolto di sogno e così pervaso d armonia Allora, sappilo, il senso dell universo è il tuo sorriso; perciò, non smettere mai di sorridere, perché, da lassù, qualcuno ti osserva, ti protegge e ti invita a non smettere di sorridere, perché tutto il creato ne ha bisogno per continuare ad esistere e a credere nel bene sommo della vita 45

46 Vorrei Vorrei, vorrei davvero tanto che, Per un impulso improvviso, In uno slancio, il tuo sorriso Si legasse a me Vorrei che le tue labbra, Fiore carnoso D inconfessabili sogni, Avvinte le tue braccia Al collo mio, Potessero dischiudersi Per sussurrarmi Tremanti inattese frementi Parole d amore Vorrei che quell abbraccio Potesse trasfonderti le mie Timide e tenere emozioni, Ma che sanno di fuoco, Di baci non più trattenuti, Di sospiri affannosi In un crescendo, rapito, Di gemiti indistinti Di due corpi avvinti In un amplesso infinito Vorrei che la voce della ragione Muta restasse in eterno, E lasciasse parlare il mio cuore E il mio sentimento, e la voglia di te, Che nel mio petto cresce Come marea montante Vorrei strapparti dal calpestato suolo E portarti in volo con me, Tenendoti per mano, In questo cielo azzurro, Superando le vette innevate, I brulicanti termitai delle città, La quiete dei deserti, E planare in un prato fiorito Ed insieme giacersi In un umido talamo, A lungo bramato, Composto di steli flessuosi E di immense distese Di morbido maggese, Ben oltre il tramonto, Al chiaror della luna 46

47 A Marianna, dal suo Costantino (Una storia vera) Venerdì, 31 gennaio Oggi è una malinconica e mesta giornata di pioggia: anche il cielo sembra essere triste. Ho appena ricevuto una terribile notizia: Costantino non c è più! Voglio onorare quel piccolo grande uomo Un giorno di cinque anni fa era un piovoso venerdì di novembre tenni una lezione sul tema dell assistenza alla persona anziana in una splendida (strano aggettivo, ma è proprio quello calzante) casa di riposo di una regione dell Italia centrale; tra gli uditori c era anche un piccolo gruppo di anziani, adeguatamente selezionati tra gli ospiti della residenza con disabilità grave solo fisica, ma con ancora dentro tanta voglia di vivere e di sognare. Credo che fu proprio l insolita presenza di quegli strani allievi a stimolarmi positivamente, al punto che, al termine della lunga lezione, mi sentivo particolarmente soddisfatto, anche per il gran numero di richieste di chiarimenti e per l evidente interesse suscitato, fino alla conclusione, tra chi mi aveva ascoltato. Al termine della lezione, mi venne incontro, con andatura incerta, lenta e falciante, uno degli anziani presenti, con un bel sorriso a tre denti (credo che gli altri 29 li avesse persi ormai da tempo), mentre una suora si batteva il capo con l indice, come per farmi capire che quel vecchietto era un po tocco. Mi tese sorridente la mano sinistra (l altra era flessa e immobile, quasi ancorata al torace) e si presentò: Costantino, 81 anni, da circa 20 emiparetico e parzialmente afasico in seguito ad ictus cerebrale. Il simpatico vecchietto volle innanzitutto complimentarsi con me, poiché avevo trattato il tema a lui assai caro delle emozioni e dei sogni delle persone anziane e disabili; poi mi raccontò la sua bella e malinconica storia, quella di un impiegato postale trasferito all età di 50 anni nell ufficio di un tanto piccolo, quanto delizioso e fertile villaggio della pianura, dissetato dalle sorgenti di un piccolo corso d acqua (poco più che un rigagnolo, in verità), che un tal giorno, sollevando il capo al suono di una voce soave, fu colto da un emozione intensa. Mi disse: Ebbi forte l impressione di trovarmi al cospetto della Madonna e di vedere, come per incanto, in quel giorno uggioso e triste, tutti i mandorli in fiore. Mi disse anche che l unica gioia per il suo malinconico e solitario cuore era di poter rivedere quel volto dolcissimo tornare, circa una volta al mese, nel suo ufficio: Sai, non ho alcun rimpianto per non averle detto mai quello che provavo (e provo) per lei, perché non credo alle favole e so che una principessa non avrebbe mai potuto provare interesse per un essere anonimo come me; ma credimi! soffro ancora sempre tanto al risveglio, tutte le mattine, dopo aver sognato di essere stato in auto con lei a guardare i nuvoloni gonfi di pioggia sulla riva del mare e di averla baciata con tanta dolcezza, stringendole la piccola mano nella mia Ricordo anche che in un gelido venerdì di gennaio, incontrandola in un bar, le sfiorai le labbra con un bacio, ma credo si sia trattato solo di un sogno. A quel punto, tirò fuori una logora foto di gruppo in bianco e nero, dicendomi che era quello tutto ciò che gli era rimasto di quella bellissima donna, della quale era riuscito a sapere che d estate andava a lavorare (da maggio a settembre) in un delizioso resort del Sud immerso nella quiete di un grande bosco ed a conoscere solo il nome (ma non il cognome); mi sfidò, poi, sorridendo, ad indovinare chi, tra quella abbondante dozzina di donne della foto, fosse la sua amata, ed io gli indicai subito, e senza indugio alcuno, la seconda in alto a sinistra, quella magrolina con i capelli a caschetto e con gli occhiali. Ma come hai fatto ad indovinare?. 47

48 Vedi, Costantino, non è stato difficile. Il mio ragionamento è stato semplice, elementare, direi: mi è bastato pensare che se io fossi un pittore sacro non avrei avuto alcun dubbio a scegliere quella giovane donna come modella per il ritratto della Madonna, e poi, in fondo, mi è sembrato del tutto naturale aver individuato l unica donna che sembra sprizzare vita e colore, come un grande sorridente arcobaleno tra nuvoloni grigi e gonfi di pioggia, in quella tua vecchia foto in bianco e nero. Costantino mi ringraziò soddisfatto e tirò fuori lentamente un altro vecchio logoro foglio ripiegato in quattro e ormai mezzo sfilacciato. Conteneva i versi che aveva scritto per lei: Sono più di trent anni. Mi chiese, quasi implorandomi, di fare di tutto perché lei li potesse leggerli: Promettimelo! Vorrei davvero tanto, prima di morire, che lei sapesse cosa provo per lei da tanto tempo. Il suo nome è Marianna e vive in quella piccola frazione nella quale l ho conosciuta, quella del mio vecchio ufficio postale, che oggi non c è più. Te lo prometto, Costantino!. Non riuscii mai a scoprire chi fosse, quella donna Oggi sono passati più di cinque anni dal giorno in cui lo conobbi e credo sia giunto il momento di mantenere quella promessa. Conto di pubblicarla online su Cultura Salentina, Costantino, e spero proprio che la tua splendida ragazza la legga e sappia che l hai scritta per lei. La storia finisce qui, ma solo quella terrena; le vele spiegate di questo amore grande solcheranno per sempre, invece, il mare all orizzonte Addio, Costantino! 48

49 Sono più di trent anni Sono un vecchio barcone abbandonato Sulla deserta spiaggia e sporco di catrame; Per unici compagni solo la sabbia e il vento, Mi sento vinto e stanco: inutile fasciame! Solcavo il mare aperto, di notte e sotto il sole, E i frutti frangevo come una tenera carezza, Pensando e ripensando, negli attimi di quiete, A quel sorriso magico, di infinita dolcezza, Quello che vidi un giorno nel piccolo villaggio, Dove vivevi e vivi, dolce dono del Cielo, E mentre i coleotteri corrodono il mio legno Ti penso come un fiore proteso sul suo stelo. Tu m hai donato un sogno e vivida speranza Da tempo immemorabile, colori e dolci suoni. Il tramonto è vicino: sarò arso sul rogo, Ma mi par di volare più in alto degli aironi. La mia vista s offusca: tutto grigio m appare, Ma se appena ti penso, rivedo i prati in fiore. Come un faro nel buio, sei la donna che amo: Sono più di trent anni che ti porto nel cuore... 49

50 Ettore Majorana, tra genio e mistero, ovvero lo strano caso del signor Bini Premessa Premetto che questa piccola ricerca (alla quale ho aggiunto solo l'inizio della premessa e la seconda parte del titolo) è stata scritta prima delle ultime sensazionali notizie che hanno fatto luce sul mistero del fisico catanese, dato che le indagini del RIS dei Carabinieri, ordinate da Pierfilippo Laviani, procuratore aggiunto della Procura della Repubblica di Roma, hanno documentato accertato la presenza (in vita) di Ettore Majorana nella città venezuelana di Valencia fra il 1955 e il 1959; infatti, i RIS hanno accertato, attraverso sofisticate tecniche antropometriche, la sua identità in una foto scattata in Venezuela nel 1955 in compagnia dell'emigrato italiano Francesco Fasani. Ettore Majorana si faceva chiamare signor Bini. Nella sua richiesta di archiviazione il PM Laviani ha scritto: "I risultati della comparazione hanno portato alla perfetta sovrapponibilità dei particolari anatomici di Majorana (fronte, naso, zigomi, mento ed orecchio) con quelle del padre". Il Fasani inoltre ha fornito una cartolina che Quirino Majorana, fratello del padre di Ettore e anch'egli fisico di fama mondiale, spedì nel 1920 all'americano W.G. Conklin, e ritrovata dallo stesso Fasani nella vettura di Bini-Majorana. Ma passiamo alla nostra ricerca A rigor di norma, il racconto dell inquietante e insoluto mistero della scomparsa nel nulla del più brillante dei sette ragazzi di via Panisperna, non è, certamente, una storia di cultura salentina; meridionale lo è senza dubbio, ma non salentina Tuttavia, ci sono tre elementi logici che mi hanno spinto a scrivere queste righe ed a proporle ai lettori di Cultura Salentina : 50

51 Il primo elemento è strettamente personale e riguarda, fatte le debite proporzioni e sgombrando il campo da qualsiasi idea di narcisismo patologico o di proiezione freudiana, un affinità tra la sofferenza psicologica di Ettore Majorana e quella che personalmente sto vivendo da qualche tempo in qua per l incapacità di riuscire a portare a compimento e realizzazione alcune idee di revisione sostanziale dei processi assistenziali: ma la mia insulsa vicenda, in fondo, a chi volete che importi? Avete perfettamente ragione: vi chiedo scusa e passo agli altri due, più importanti, elementi. Il parallelismo della vicenda di Ettore Majorana con quella di un grande matematico salentino, Ennio De Giorgi, i cui studi ed, in particolare la soluzione del XIX problema di Hilbert (1957), posero le basi per lo sviluppo di una ricerca innovativa in molti settori dello scibile umano, ma senza mai il riscontro del riconoscimento del giusto merito e dei dovuti onori al nostro grande conterraneo Non a caso, il valore delle scoperte di Ennio De Giorgi fu pubblicamente riconosciuto dal premio Nobel per l economia John Nash, noto per aver ispirato il best seller The Beautiful Mind. Nel ricevere l ambito premio nel 1994, Nash dichiarò, infatti, di essere riuscito a formulare la sua Teoria dei Giochi proprio grazie al lavoro di Ennio De Giorgi. La scomparsa di Ettore Majorana, probabilmente il più grande genio di tutti i tempi nel campo della fisica, potrebbe aver avuto a che fare con i (tanti) suoi dubbi sull energia nucleare e la causa della sua morte, forse non auto-indotta, fu invece la sua feroce avversione verso una ricerca finalizzata (anche) alla costruzione di una terribile e devastante arma di distruzione di massa E allora, in questi giorni di dolore cosmico, in cui è stato dimostrato, ancora una volta (e stavolta non nella derelitta Ucraina, ma in un Paese dalla tecnologia avanzatissima), il rischio assolutamente non sostenibile legato all uso sia pur pacifico dell energia atomica, ho scritto di getto queste righe, affinché possano leggerle coloro i quali insistono nell affermare dogmi improponibili, fino ad individuare (e c è, fra costoro, una agguerritissima conterranea di Majorana) nella penisola salentina due potenziali siti ritenuti idonei ad ospitare una centrale nucleare Lascio ai lettori ampia libertà di commenti e riflessioni. Ettore Maiorana, il genio misantropo Quella di Ettore Majorana è la storia di un giovanissimo e brillantissimo scienziato che sparì nel nulla. E che ci fa chiedere: esiste una terza dimensione, oltre alla vita e alla morte? Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno lontano. C è però anche gente di primissimo rango, che arriva a fare scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Infine, ci sono anche i geni come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso (Enrico Fermi). Pur a distanza di oltre 70 anni, l interesse che ruota attorno alla figura del grande Ettore Majorana è ancora molto forte; d altronde il mistero che avvolge la sua scomparsa nel nulla in un epoca di poco anteriore alla realizzazione della bomba atomica da un lato e l insopprimibile richiamo verso una mente geniale dall altro, convergono nel rendere il fisico siciliano una figura di grande fascino e attualità. Bastano comuni artifici di laboratorio per preparare una catena comunque complessa e vistosa di fenomeni che sia comandata dalla disintegrazione accidentale di un solo atomo radioattivo. Non vi è nulla dal punto di vista strettamente scientifico che impedisca di considerare come plausibile che all origine degli avvenimenti umani possa trovarsi un fatto vitale ed egualmente semplice, invisibile e imprevedibile. 51

52 Questo è il racconto sintetico dell esistenza inquieta e solitaria di un genio, dilaniato da un intensa sofferenza psicologica e tormentato dall atroce e tremendo dubbio delle possibili implicazioni ad uso bellico delle scoperte scientifiche in campo atomico. L esistenza breve di una mente brillante, capace di avere in pugno il mondo intero, di risolvere in pochi istanti problemi di complessità estrema con il solo aiuto del calcolo mentale: un autentico genio, insomma, per dirla come il suo grande maestro Enrico Fermi. Andiamo a conoscerlo Nell eterna manichea dicotomia tra l essere e il non essere, tra la vita e la morte, Ettore Majorana trovò forse una terza via e così il 26 marzo 1938 sparì nel nulla, lasciando il mondo intero sospeso nell incertezza L esistenza di un anima inquieta, ancor oggi avvolta nel mistero, quasi protetta dalla densa, aspra e grigia cortina delle tante, innumerevoli sigarette, delle quali usava l involucro per eseguir calcoli di incredibile difficoltà. Una figura unica, difficilmente inquadrabile in uno schema fisso: da un lato, il giovane ricercatore impertinente, capace di criticare persino i suoi docenti; dall altro, il fratello premuroso, che aiutava la sorellina Maria nei compiti di matematica e le insegnava i nomi delle stelle. In una parola, l altra faccia dello scienziato: l uomo! Ecco come lo descrive Laura Fermi: Ettore Majorana aveva un carattere davvero strano: era eccessivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell andare in tram all Istituto, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all Istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea. Ettore Majorana era nato a Catania il 5 agosto 1906, in via Etnea 251, dal valente e poliedrico ingegnere, fisico e matematico Fabio Massimo Majorana e dalla rigida e autoritaria Dorina Corso. Penultimo di 5 fratelli, Ettore aveva manifestato una spiccata e precocissima attitudine per la matematica, svolgendo a memoria e in pochissimi istanti calcoli assai complicati fin dall età di 5 anni. Ragazzo incredibilmente introverso, timido e schivo, fino a sembrare persino pigro, Ettore era pervaso da una misantropia radicata, che lo portava ad isolarsi completamente, non appena possibile; inoltre, aveva un carattere perennemente ombroso e spigoloso. Nemmeno la sua carriera universitaria fu del tutto lineare. Dopo un approccio con ingegneria, passò alla facoltà di fisica, su suggerimento dell amico Emilio Segrè e del giovanissimo docente Enrico Fermi, che ne aveva intuito le straordinarie qualità e che lo accolse come allievo prediletto; proprio il Fermi fu il relatore della sua tesi di laurea sulla teoria quantistica dei nuclei radioattivi, discutendo la quale Majorana ottenne la laurea in fisica con il massimo dei voti il 6 luglio Emilio Segrè riuscì a convincere Majorana a trasferirsi alla facoltà di Fisica, facendogli conoscere il giovane e brillante professor Enrico Fermi. Questo è il resoconto che Edoardo Amaldi fa di quell incontro: Egli venne all Istituto di via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi, nel quale si trovava anche Rasetti. Fu in quella occasione che lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un andatura timida, quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell insieme, l aspetto di un saraceno. A quel tempo Fermi lavorava al modello statistico dell atomo che prese in seguito il nome di Thomas-Fermi. Il discorso con Majorana cadde subito sulle ricerche in corso all Istituto 52

53 e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello, mostrando al suo allievo gli estratti dei suoi recenti lavori sull argomento ed, in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi. Majorana ascoltò con interesse e, dopo aver chiesto alcuni chiarimenti, se ne andò senza manifestare i suoi pensieri e le sue intenzioni. Il giorno dopo, nella tarda mattinata, Majorana si presentò all Istituto, entrò diretto nello studio di Fermi e gli chiese, senza alcun preambolo, di vedere la tabella che gli era stata posta sotto gli occhi per pochissimi istanti il giorno prima. Avutala in mano, estrasse di tasca un foglio con un analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime ventiquattro ore; poi confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno e perfetto accordo fra loro, si complimentò con uno stupefatto Fermi per l esattezza dei suoi calcoli e se ne andò soddisfatto dall Istituto; in effetti, il Majorana era tornato non già per verificare se andava bene la tabella da lui calcolata in poche ore, bensì per controllare se fosse esatta quella fatta da Fermi in svariati mesi di lavoro! Il sorriso di Majorana stava a significare che si era convinto di poter cambiare corso di laurea da ingegneria a fisica e la sua convinzione lo portò ad una scelta, come al solito, immediata. Le sue straordinarie capacità, apprezzate da Enrico Fermi al punto da paragonarlo ai più grandi geni della storia, lo fecero presto inserire nel ristrettissimo gruppo dei cosiddetti Ragazzi di via Panisperna, fortemente voluto da Orso Mario Corbino, direttore dell istituto di Fisica, senatore e ministro della pubblica istruzione, per mettere insieme le più brillanti giovani menti nel campo della fisica e della chimica Il fenomenale e, già all epoca, leggendario gruppo dei Ragazzi di via Panisperna era formato da Enrico Fermi, Oscar D Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Bruno Pontecorvo ed Ettore Majorana, ma in realtà il saraceno partecipò solo ai lavori di interesse teorico, mantenendo fede alla sua natura solitaria. I Ragazzi di via Panisperna è anche un film del 1988, per la regia di Gianni Amelio. Film colmo di rimandi impliciti (non a caso i ragazzi si chiamano soltanto con il nome proprio Enrico, Ettore, Franco, Emilio, Edoardo), il nucleo della messa in scena è nel bel rapporto di Ettore (Majorana), ribelle genio della matematica, con il fisico Enrico (Fermi), in cui cerca un padre ideale e/o un fratello maggiore. Majorana era una persona dotata di un intelligenza esplosiva, che gli consentiva di formulare in brevissimo tempo le diagnosi più complicate, ma anche di un carattere sempre molto diretto e frontale, che lo portava a chiosare, con innocente ironia, lo stupore di molti colleghi di fronte alla difficoltà nell interpretazione dei fenomeni; in particolare, Majorana non esitò a commentare, con ironico stupore, la sorpresa dei coniugi Juliot-Curie di fronte all eccezionale produzione di energia ottenuta bombardando campioni di boro e di berillio con particelle α o elioni (nuclei di elio), altamente ionizzanti e con un basso potere di penetrazione dovuto all elevata velocità e sezione d urto; infatti, quando seppe dell esperimento dei coniugi francesi, Majorana esplose in una fragorosa risata, esclamando: Che stupidi, si sono visti passare sotto il naso il neutrone e non se ne sono accorti!. Subito dopo, però, analizzando l esperimento dei due coniugi francesi, Majorana tornò serio e commentò con grande preoccupazione le possibili catastrofiche conseguenze della fissione nucleare Ma chi fu, veramente, Ettore Majorana? L essere umano, da sempre in bilico tra ordine e disordine, è la copia vivente di una delle più importanti (e, insieme, delle più inquietanti) divinità latina, quel Giano bifronte, 53

54 simbolo dell ambivalenza universale, che contempla insieme il bene e il male, il giorno e la notte, la guerra e la pace Majorana fu, probabilmente, uno degli esempi più eclatanti di questa che definiremo dualità pitagorica, piuttosto che dualismo manicheo : una doppia valenza, che ha bisogno di essere studiata in profondità, per farla uscire dall oscurità e per renderla comprensibile nella sua interezza Premesso che tutti concordano sul suo indiscusso genio, chi era, in realtà, Ettore Majorana? Solo uno strano miscuglio tra uno scostante misantropo e un irritante spaccone, che godeva a beffarsi degli scienziati più accreditati, oppure solo un timido ragazzo del Sud, costituzionalmente incapace di legare con gli altri? Era davvero quello squallido sostenitore della necessità storica della rivoluzione nazionalsocialista che aveva fatto indispettire Fermi e Segrè, o non, piuttosto, l esatto contrario, visti i contenuti della lettera spedita il 7 giugno 1933 all amico Giovanni Gentile jr., nella quale parla di sciocca ideologia della razza? Era uno spirito arido ed asociale, assolutamente incapace di stabilire solidi legami relazionali con l esterno, ad eccezione delle sue inseparabili sigarette, o un timido e tenero sognatore, segretamente e perdutamente innamorato della sua giovane e bellissima allieva salernitana Gilda Senatore? Era un uomo affetto da grave depressione che aveva davvero deciso di suicidarsi, al punto da respingere al mittente tutta la corrispondenza, scrivendoci di proprio pugno Si respinge per morte del destinatario!, oppure un simpatico burlone, che prendeva in giro persino il grande Niels Bohr, che definì umoristicamente Il maggior ispiratore della fisica moderna, oggi un po invecchiato e sensibilmente rimbambito? Era, infine, un gelido e gretto uomo di scienza in grado di elaborare solo aridi calcoli e sterili teorie, oppure, al contrario, un animo buono e una persona timorata di Dio, capace di contestare e di contrastare aspramente persino i suoi amici di via Panisperna, poiché riteneva che le loro ricerche sull atomo stessero portando l umanità ad un passo dalla costruzione di una terribile arma di distruzione di massa? Sulle tracce di Ettore Majorana scomparso nel nulla All inizio della primavera del 1938, si verificò la scomparsa nel nulla di un anima complessa ed inquieta, che già nel 1927 scriveva all amico G. Piqué queste frasi tanto ermetiche quanto inquietanti: Ma benché vasto ed insondabile sia il mare del mio disprezzo per tutto il mondo sublunare non è senza giubilo che mi appresto a varcare la soglia della rinomata saletta in via Montecatini, né senza trepidazione berrò il calice amaro, sino all ultima goccia. Ettore Majorana ha attraversato la fisica teorica rapido e fugace come una meteora, però di incomparabile lucentezza. I lavori a lui ascrivibili sono soltanto nove, tutti prodotti tra il 1928 ed il 1933, più lo scritto postumo curato da G. Gentile Jr. su Il valore delle leggi statistiche in fisica e nelle scienze sociali. A causa della sua straordinaria funzione di faro e di nocchiero per l innovazione nella ricerca, la sua misteriosa scomparsa nel nulla lasciò un vuoto incolmabile in campo scientifico ed accelerò la fine del gruppo dei ragazzi di via Panisperna. Figura complessa e misteriosa nella vita, Majorana non si smentisce neppure nella sua scomparsa nel nulla, nei confronti della quale sono nate 7 principali ipotesi (7 come i componenti del gruppo dei ragazzi di via Panisperna e 7 come i lati del poligono più instabile e misterioso): il suicidio in mare (ipotesi accreditata da due lettere scritte, nei giorni immediatamente precedenti la scomparsa, all amico Carrelli ed ai familiari, ma 54

55 smentita seccamente da un telegramma), la fuga esule in Argentina, la fuga in Germania, il delitto di Stato, il ritiro in convento, la sordida congiura dei colleghi, la vita da eccentrico clochard a Mazara del Vallo 1. Ipotesi n. 1, il suicidio in mare: resta l ipotesi più accreditata, a causa di due lettere scritte nei giorni precedenti la scomparsa, rispettivamente all amico Carrelli e ai familiari; nella seconda, il suo terribile disegno appare chiaro: Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi. Il 26 marzo, però, Carrelli ricevette da Majorana un telegramma in cui gli diceva di non preoccuparsi di quanto scritto nella lettera che gli aveva inviato in precedenza. L ipotesi del suicidio è smentita, inoltre, dal fatto che è inverosimile che un aspirante suicida si faccia il passaporto e corra in banca a prelevare una somma ingente, pari all ammontare delle prime mensilità di stipendio; infine, talune testimonianze lo portano avvistato a Napoli giorni dopo la scomparsa. 2. Ipotesi n. 2, la fuga da esule in Argentina: è la prima delle tante ipotesi di fuga tutte degne del miglior Mattia Pascal Chissà quanti sono come me, nelle mie stesse condizioni, fratelli miei. Si lascia il cappello e la giacca, con una lettera in tasca, sul parapetto d un ponte, su un fiume; e poi, invece di buttarsi giù, si va via tranquillamente: in America o altrove. Ed è proprio in America, nella splendida Buenos Aires, che lo studioso Erasmo Recami scopre numerose tracce della sua probabile presenza, soprattutto nel periodo degli anni sessanta la presenza di Majorana in Argentina è legata a varie testimonianza. La madre di Tullio Magliotti disse che il figlio le aveva parlato di esserne diventato amico; la moglie di Carlos Rivera raccontò di un cameriere dell Hotel Continental che parlava di un tale con le caratteristiche di Majorana che prendeva appunti sull involucro di un pacchetto di sigarette in una conversazione con amici a Taormina nel 1974, la signora Blanca de Mora, vedova dello scrittore guatemalteco Asturias, dice: Ma come mai vi ponete dei problemi su Majorana? A Buenos Aires lo conoscevamo in tanti: fino a che vi ho vissuto, lo incontravo a volte in casa delle sorelle Manzoni, discendenti del grande romanziere. Recami annota: La signora Blanca Asturias era stata a Buenos Aires fino ai primi anni 60. Le sorelle Eleonora (matematica) e Lilò (letterata) Cometta-Manzoni, pare discendenti del grande scrittore, vi tenevano un salotto culturale: Ettore era un amico di Eleonora. 3. Ipotesi n. 3, la fuga in Germania e la bomba tedesca: questa ipotesi è una delle meno accreditate in termini di fonti e di testimonianze e si basa sul fantasioso assunto di un Majorana tornato in Germania (dopo un prima permanenza a Lipsia) per mettere a disposizione del regime nazional-socialista le sue conoscenze e le sue intuizioni, al fine di facilitare la costruzione di una terribile arma di distruzione di massa. 4. Ipotesi n. 4, il delitto di Stato: neanche questa ipotesi gode di grande credito storico e si fonda solo sull assunto, peraltro di significato opposto rispetto al precedente, che il giovane Majorana sarebbe stato eliminato a causa del suo totale e deciso dissenso non tanto contro l energia nucleare in sé, quanto contro un certo tipo di ricerca scientifica (oggi la definiremmo non sostenibile ), fortemente proiettata verso la costruzione di una terribile arma di distruzione di massa. 5. Ipotesi n. 5, il ritiro spirituale in una comunità monastica: questa ipotesi è stata fortemente caldeggiata da Leonardo Sciascia, che nel suo libro La scomparsa di Majorana assume che egli si sarebbe rinchiuso in un monastero, per sfuggire 55

56 all odiata vita sociale nonché alla presenza opprimente della madre. Su questa pista si erano già indirizzate le ricerche dei familiari, che avevano scritto a Papa Pacelli (Pio XII), promettendo di non voler affatto interferire sulle scelte eventualmente maturate da Ettore, ma di voler sapere dal Vaticano soltanto se egli fosse vivo: ma nessuna risposta, di alcun segno, venne mai fornita. 6. Ipotesi n. 6, la sordida cospirazione dei colleghi: nel 1999 lo storico Umberto Bartocci avanzò l ipotesi che Majorana potesse essere stato vittima di un piano maturato nell ambiente dei fisici da lui frequentato, teso ad eliminare un pericoloso rivale in vista dell imminente conflitto mondiale. Le argomentazioni di Bartocci, di tipo logico, psicologico e indiziario, sono state accolte da grande scetticismo (se non con assoluta ripugnanza) nell ambiente dei fisici, ma hanno anche attirato l attenzione di un gran numero di studiosi (storici e non). 7. Ipotesi n. 7, la vita da barbone errante per le strade della Sicilia: un clochard, tale Tommaso Lipari, detto l omu cani, vagava per le strade di Mazara del Vallo, dove trovò la morte il 9 luglio Era uno strano tipo di barbone, dotato di una straordinaria conoscenza delle materie scientifiche tale da fargli risolvere i compiti degli scolari che incontrava. Un abitante del paese, Armando Romeo, disse che il Lipari gli aveva mostrato una cicatrice sulla mano destra, tipica del Majorana; inoltre usava un bastone con incisa la data del 5 agosto 1906, ovvero la data di nascita del fisico. La scomparsa misteriosa di un uomo misterioso, in una ridda di ipotesi estreme, persino bipolari, manichee Ma esiste una logica più semplice? Don Tonino Bello ci viene in aiuto con le sue riflessioni sull incapacità di con-dividere le sofferenze altrui, perché il muro di incomunicabilità che ci separa dagli altri deforma la realtà fino a non farci cogliere le disperate richieste d aiuto di chi soffre La condivisione dice don Tonino è avere occhi aperti per accorgersi dei poveri e dei sofferenti; non so se ricordate Il muro di Sartre o Il mito di Sisifo di Camus Il Muro ci parla di storture interpretative e ipocrisie sociali. È la storia di un commesso viaggiatore che gira per lavoro da una città all altra; quando arriva la sera in una città nuova, va a dormire in un albergo, poi il giorno dopo riprende a viaggiare. Una sera arriva in una grande città, si reca in un albergo e chiede una camera. È un uomo triste, perché dalla vita non ha avuto nulla; è solo, senza moglie, senza figli, senza affetti Ormai del tutto abulico, attende solo la fine A un certo punto, mentre, chinato sul bancone della reception, sta per fornire la carta di identità, arriva una coppia di giovani sposi felici e sorridenti Si vede che si tratta di sposi freschi, perché sono vestiti tutti e due in jeans, si scambiano sorrisi e coccole in continuazione e si trascinano dietro a fatica un enorme valigia Anche loro chiedono una stanza per dormire. L albergatore ritira i documenti e consegna loro le rispettive chiavi. All anziano commesso viaggiatore, che nel frattempo non si stanca di contemplare quei due giovani felici, consegna la chiave n. 23; ai due sposi la n. 24 Se ne vanno a dormire. Il commesso viaggiatore non riesce a chiuder occhio, si gira e si rigira nel letto, prima di tutto per il caldo, poi perché pensa in continuazione alla sua sorte così triste e malinconica ed infine perché, in effetti, al di là della parete, si ode un gran rumore di sedie, di pianto, di lamenti Alla sua fantasia accesa non è difficile immaginare quale grande festa d amore si stia celebrando al di là della parete Poi riesce, finalmente, a prender sonno, ma per poco tempo, perché è svegliato di soprassalto da un gran via vai nel corridoio, un clamore in 56

57 tutto l albergo. Allora si alza, apre la porta, tira fuori il capo e ad una domestica che passa chiede cosa sia successo. La donna gli risponde con un gesto come per dire: Lascia stare, possibile che tu non ti sia accorto di nulla? e se ne scappa via Subito dopo passa un secondo cameriere e chiede anche a lui cosa fosse successo. Come, ma davvero non sa niente? È morto un uomo stanotte, qui nell albergo, nella camera n. 24. C era un vecchio, si è sentito male nella notte e non è riuscito a chiedere aiuto, ha cercato di muovere un tavolino, si è lamentato, ha pianto, abbiamo visto il lume per terra, sedie rovesciate Quel poveretto ha fatto di tutto per far giungere i segnali della sua sofferenza, ma non gli è riuscito a farli intendere a nessuno ed è morto. Un vecchio? Dove?. Qui accanto, nella stanza n. 24. Ma non c era una coppia di sposi? Il cameriere Sì, alla n. 24, ma del piano di sopra! La conclusione, nell amarezza dell esistenzialismo francese dell epoca, è che quando vogliamo giudicare una persona in genere ci sbagliamo sempre di un piano; pensiamo che nella stanza accanto ci sia una festa d amore e invece c è un uomo che sta morendo. Così anche noi spesso passiamo davanti alla gente, la vediamo sorridere, ma ci sbagliamo di un piano, perché ci fidiamo delle apparenze, ma non comunichiamo È vero commenta don Tonino che si tratta di un tipo di letteratura sorta in un ambiente particolare, quando anche nel cinema andava di moda l incomunicabilità Come non pensare alla canzone di Modugno L uomo in frac : il vecchio che cammina lungo il fiume e saluta tutti quanti, dice addio alla vita, vestito con il frac, un candido gilè, un papillon di seta blu e dice addio al mondo Al mattino, sul pelo dell acqua si vedono galleggiare un cilindro, un fiore e un frac Un uomo che ha finito di vivere perché non ha trovato la possibilità di comunicare con nessuno Indipendentemente dalle ipotesi, anche Ettore Majorana fu vittima dell incomunicabilità umana Un genio triste e solitario Un uomo alla ricerca di una ragione per vivere, che la vita (e la gente) gli negarono sempre Forse solo la profondità degli abissi, o una terra straniera, o la ritrovata serenità dello spirito nella quiete della solitudine monastica o una vita libera e libertaria da eccentrico nomade errante tra le polverose contrade dell amata sua terra natia riuscirono e sottolineo forse, a fargli compagnia Bibliografia Edoardo Amaldi. La Vita e l Opera di E. Majorana. Roma, Accademia dei Lincei, Carlo Artemi, Il Piano Majorana. Una fuga perfetta, Di Rocco Editore. Umberto Bartocci, La scomparsa di Ettore Majorana: un affare di stato?, Ed. Andromeda, Bologna, Salvo Bella, Rivelazioni sulla scomparsa di uno scienziato: Ettore Majorana, Ed. Italia Letteraria, Milano, Luisa Bonolis. Majorana. Il genio scomparso. Le Scienze, Chi l ha visto: Ho conosciuto Ettore Majorana, La Repubblica: Majorana vivo tra il 55 e il 59, Camboa P., Teseleanu G, Camboa M.L., Stefanucci F., Micello T, Le fantastiche (dis)avventure del dottor Babbarabbà. Vademecum semiserio italo-rumeno a dodici mani per il manager sanitario (e non solo) del terzo millennio. Edizioni Panorama della Sanità Roma, Leandro Castellani. Dossier Majorana. Milano, Fratelli Fabbri Editori,

58 Paolo Cortesi. Lo scienziato che sparì nel nulla, Ettore Majorana Foschi editore, Roberto Finzi. Ettore Majorana. Un indagine storica, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Alessandro Maurizi. Il destino di Majorana. Macerata, Simple edizioni, 2009 Oreste Mottola. I paesi delle ombre. Edizioni Magna Graecia Erasmo Recami. Il Caso Majorana. Di Renzo Editore, 1987 (nuova ed. 2000) Erasmo Recami. Ricordo di E. Majorana a sessant anni dalla sua scomparsa: l opera edita ed inedita. Quaderni di Storia della Fisica (del Giornale di Fisica), Bologna, S.I.F., 5, Bruno Russo. Ettore Majorana. Un giorno di marzo. Palermo, Flaccovio, Leonardo Sciascia. La scomparsa di Majorana. Einaudi, Valerio Tonini, Il taccuino incompiuto Vita segreta di Ettore Majorana, Armando Ed., Roma,

59 Pensieri sul divano I porosi muri giallastri Dei tufi di Uggiano Separano, unendoli, Il bene dal male, Che convivono lieti, Senza acredine alcuna, Nell umido mordace Sapore salmastro. I duri ed aguzzi scogli Di Porto Badisco, Sotto lo sguardo incredulo Del mitico sciamano, Segnano il confine, Netto e insuperabile, Tra l'angoscia quotidiana E la sognante atarassia... La sfuggente arenicola, Regina della sabbia, Nella sua friabile tana Riceve la visita ostile D un famelico brachiuro, Mentre intorno lievita Il mormorio del mare 59

60 Aracne, lo sciamano e le vere origini del miele di manuka (Dalle Waitomo Caves alle Grotte dei Cervi) Nella notte dei tempi, in quelle oscure e sottovalutate epoche che si continua a classificare ingenuamente e rigidamente come preistoria e protostoria, presero forma e contorni, al contrario, i destini dell umanità. Circa anni or sono, infatti, un popolo molto evoluto di extraterrestri, provenienti da un remoto pianeta della Costellazione di Orione, dopo un interminabile viaggio astrale, decise di colonizzare la Terra, lasciandovi un migliaio di esseri di livello inferiore, i quali, sotto la guida di una dozzina di supervisori, che si erano proposti come volontari tra gli individui di livello superiore, si diffusero nei sette continenti del pianeta, discretamente ma continuamente controllati dai supervisori, che si mantenevano in costante contatto tra loro attraverso le loro avanzatissime tecnologie. Purtroppo, una terribile glaciazione, provocata dalla caduta di un enorme meteorite nella gelida steppa mongolica, sconvolse completamente l armonia e la pace del pianeta ed i pochi sopravvissuti, che nel frattempo avevano assunto la denominazione di uomini, si riunirono in piccoli gruppi sparsi nelle più disparate lande del globo, senza il prezioso aiuto dei supervisori, che nel frattempo si erano trasformati in divinità lontane, invisibili ed intangibili, animati solo dalla voglia di affermare la propria schiacciante supremazia sugli esseri umani: da quel momento ebbe inizio una durissima lotta per la sopravvivenza e gli uomini, in quanto esseri inferiori, rimasti senza la provvida guida dei supervisori, diedero prova della loro violenza e della loro crudeltà. Per un lungo periodo non si ebbe notizia alcuna sulle attività umane e le prime tracce del percorso dell umanità apparvero verso la fine del VI millennio avanti Cristo, attraverso l analisi degli ideogrammi e dei pittogrammi incisi nelle grotte degli Urali, del Caucaso e dell imponente e misterioso Monte Taranaki, il grande vulcano attivo sacro agli Huruaroa, primi abitanti della Nuova Zelanda, antecedenti ai maori e diretti eredi degli extraterrestri, che avevano utilizzato quei posti come stazione spaziale d'arrivo ed iniziale dimora. La nostra ricerca, inquadrata nel tempo e nello spazio, ci riporta agli inizi del V millennio avanti Cristo e a due luoghi posti agli antipodi del pianeta: le magiche Grotte di Waitomo in Nuova Zelanda e le Grotte dei Cervi, poco a sud di Otranto. Le Waitomo Caves sono stupende grotte di origine carsica, ricoperte da miriadi di stalattiti e stalagmiti ed attraversate da un fiume sotterraneo, uniche al mondo per la presenza di una colonia di glowing worms, una specie particolare di lucciole che tappezzano le pareti delle grotte e che emettono una debole luce di colore verde smeraldo, che crea effetti scenici stupefacenti. Nelle vicinanze delle grotte, c è il magico territorio del Taupo Lake, caratterizzato dallo splendore di uno specchio d acqua davvero da fiaba, circondato da centinaia di ribollenti polle di tonificanti sorgenti geotermali. Le Grotte dei Cervi, nel meraviglioso territorio della Porta d Oriente, che oggi coincide con il Basso Salento, erano all epoca collocate in una terra lussureggiante, ricca di acqua e di vita, di immense foreste con enormi alberi ad alto fusto e un fertile sottobosco popolato da scoiattoli, cinghiali e cervi ed alci dagli imponenti palchi. Una flora ed una fauna davvero ricca e composita, che gli dei del luogo avevano messo a disposizione dei propri sudditi, per garantire il loro benessere (e per facilitare il loro rispetto). Le Grotte dei Cervi avevano, inizialmente, una incredibile tentacolare ramificazione estesa verso sud, che le portava fino nella profondità delle sorgenti sulfuree di quella che oggi è Santa Cesarea e che si arrestavano nella grande, principesca sala della fantastica Grotta Zinzulusa, quasi un inno alla creazione dell universo, con il soffitto all'epoca però ancora privo dei caratteristici e 60

61 tipici zinzuli (sottilissime e lunghissime stalattiti dalla forma di stracci magicamente appesi alla sommità della grotta). Il consesso planetario secolare degli dei si riuniva alternativamente nelle grotte termali del Lago Taupo e delle sorgenti sulfuree del Basso Salento, generate dal lento disfacimento dei corpi dei Titani, orrendamente massacrati da Eracle con l aiuto di Zeus. Ogni cento anni, un'enorme moltitudine di pittoresche divinità, progenie dei supervisori, dalle lande più disparate e remote del pianeta si recavano ai piedi delle splendide Cascate Aratiatia e, cento anni dopo, nelle magnifiche terre del Basso Salento, dove, immersi, avvolti e resi quasi invisibili dagli acri e pungenti effluvi giallastri delle ribollenti solfatare, discutevano sui problemi e sui destini dell umanità. Il risultato di ciascuna riunione delle divinità planetarie veniva registrato su ideogrammi e pittogrammi impressi sulle pareti delle principali grotte disposte alle spalle delle cascate della Nuova Zelanda e lungo la costa salentina. Nel primo consesso del quinto millennio a.c., tenutesi nel Salento, si decisero le sorti della tessitrice Aracne e di Kaumatua, lo Sciamano di Roaroa, dell Isola del Nord della Nuova Zelanda, i quali, colpevoli di aver avversato il potere degli dei, furono confinati nel lungo budello che, attraversando le incandescenti viscere del pianeta, univano le Waitomo Caves con le Grotte dei Cervi, che molti conoscono anche come Antro di Enea, perché luogo di prima ospitalità dell esule eroe. Aracne, giovane straordinaria tessitrice di Colofone, aveva avuto l ardire di dichiarare di aver insegnato la nobile arte della tessitura alla dea Atena e, decisa a dimostrare la propria superiorità, aveva osato sfidarla in una gara di abilità, nella quale scelse come tema del suo lavoro l argomento tabù degli amori degli dei; il risultato ottenuto dalla fanciulla fu così perfetto, ma anche così marcatamente dissacrante verso le astuzie usate dagli dei per raggiungere i propri fini che l astiosa Atena fu colta da un impeto d ira, che la portò a distruggere la tela ed colpire ripetutamente il capo della giovane tessitrice con la sua spola, fortemente determinata a massacrarla; tuttavia, ritenendo che in fondo la morte sarebbe stata, per l impertinente Aracne, una sorta di liberazione, sospese l esecuzione e trasformò la bellissima fanciulla in un orrendo ragno, costringendola a tessere, per tutta la vita, con la seta prodotta dalle ghiandole salivari, per punirla in eterno per l arroganza dimostrata nell aver osato sfidarla. Il Kaumatua Roaroa, invece, era un uomo bellissimo ed intelligentissimo, che ebbe l ardire di sfidare le due divinità maggiori, Papa e Rangi, e di confutare i metodi del dio Asclepio, al quale era stata delegata la guarigione dalle malattie e la resurrezione dalla morte, che la divinità si proponeva di ottenere con l aiuto dei fedeli serpenti e del sangue della Medusa, la Gorgone, che aveva scambiato con il proprio con l aiuto della truce Atena, non a caso la dea persecutrice di Aracne; per contrastare la popolarità di Asclepio, lo sciamano aveva percorso il pianeta in lungo e in largo ed appreso le tecniche delle medicine ayurvedica e tibetana, le ricette dei filtri esotici e le sequenze dei riti esoterici delle Ande Peruviane, del bacino pluviale amazzonico, del deserto del Kalahari e dei fertili Altipiani del Kenya. Attraverso anni ed anni di studi e di ricerche, lo sciamano si rese conto che dal manuka, una composita famiglia di arbusti infestanti delle foreste neozelandesi, le laboriose api erano riuscite a produrre un miele curativo in grado di guarire da centinaia di malattie; distribuendo poche once di quel miele ai malati delle terre del Pacifico Meridionale ed, in seguito, del mondo intero, lo sciamano acquisì ben presto una straordinaria fama tra le più disparate tribù della Terra, al punto da mettere in ridicolo il truce Asclepio, il quale, per vendicarsi dell'affronto, lo fece murare vivo addirittura nella parte opposta del pianeta, in 61

62 quella Grotta dei Cervi, che per millenni rimase dedicata ad Orione, per far ricordare agli umani (ed alle stesse divinità) le loro origini. Nel lunghissimo budello che univa le Waitomo Caves alle Grotta dei Cervi, il bellissimo sciamano fu accolto con tutti gli onori da Aracne, che gli offrì in dono un enorme tela poligonale, che gli sarebbe servita per ripararsi dall umidità del luogo; l amorevole gesto di Aracne commosse sia Afrodite che Papatuanuku, la dea maori della Madre Terra, ed insieme decisero di consentire ad Aracne di riprendere le sembianze umane, al fine di permetterle di giacere nel talamo con lo sciamano. Quando Asclepio fu informato del fatto, montò su tutte le furie e giunse nella grotta come un uragano, deformando orribilmente le sembianze dello sciamano, che fu trasformato in un ottopode dalla lunga capigliatura e fissato alle pareti come un pittogramma, sia nelle Grotte dei Cervi che nelle Waitomo Caves; inoltre, la furente divinità ridusse in mille pezzi la tela amorevolmente intessuta da Aracne e ne buttò via con violenza i suoi stracci (zinzuli) contro il soffitto di una grotta a sud, che da quel momento prese il nome di Grotta Zinzulusa. Il pianto dirotto di Aracne indusse la dolce dea Afrodite, peraltro acerrima rivale di Atena, a ridare sembianze umane ai due innamorati, sebbene nelle sole ore notturne, durante le quali il perfido dio dall'orrendo caduceo sarebbe rimasto totalmente avvolto in un sonno profondo, per intercessione di Morfeo. Per secoli e secoli, Aracne e lo sciamano vissero felicemente la loro intensa storia d amore, venendo di tanto in tanto in soccorso dei pochi umani che dimostravano, con il loro agire, di meritare il loro aiuto; in particolare, un giorno giunse, nella Grotta dei Cervi, il giovane Telemaco, che chiese aiuto ad Aracne, per rinviare sine die l insidia portata dai Proci alla madre Penelope e la saggia tessitrice gli suggerì lo stratagemma della tela: Penelope avrebbe dovuto promettere ai Proci che avrebbe scelto il futuro marito al termine del lavoro di tessitura di un sudario per il povero Laerte, padre del suo esule sposo Ulisse; in realtà, la dolce Penelope avrebbe dovuto tessere la tela nelle ore diurne, mentre durante la notte avrebbe completamente disfatto il lavoro eseguito di giorno, rinviando all infinito il momento della scelta. Alcuni giorni dopo, guidato dalla madre Afrodite, giunse nella grotta il prode Enea con il vecchio padre Anchise, il figlioletto Ascanio (Iulo) ed i suoi fidi compagni, stremati dal lunghissimo viaggio e da una terribile febbre infettiva; in pochissimi giorni, lo sciamano, con le sue scorte di miele di manuka, riuscì a risolvere i loro problemi di salute, mentre Aracne risollevò l umore e lo spirito del piccolo Ascanio, ancora sconvolto dalla recente morte dell adorata madre Creusa, facendola apparire nella grotta e permettendo al figlio ed al marito Enea di poterla abbracciare per un ultima volta. Subito dopo, prima della partenza, Aracne predisse all eroe il suo matrimonio con Lavinia, figlia del re Latino, e ad Ascanio un fulgido futuro di successi (glissando, tuttavia, sull argomento della terribile decadenza morale ed economica dell'italia dell inizio del terzo millennio)... Passarono i secoli e nessuno mai turbò la quiete e la serenità di Aracne e dello sciamano, finché, il 1 febbraio del 1970, un gruppo di ardimentosi speleologi magliesi "profanò" la silente dimora dei due innamorati, informando i media della scoperta dell importante sito archeologico della Grotta dei Cervi. In realtà, solo gli speleologi salentini del gruppo "Pasquale de Lorentiis" e, subito dopo, il grande archeologo fiorentino Paolo Graziosi, riuscirono a capire, incontrando di notte i due abitanti della grotta, che quella loro grande scoperta archeologica era stata, in realtà, una vera e propria violazione di domicilio dei protetti di Afrodite e per questo motivo vollero riparare all affronto, facendo dichiarare il 62

63 complesso ipogeo inaccessibile al pubblico ed evitando persino di consentire agli umani la visita virtuale della grotta, a motivo dell estrema fotosensibilità dei pittogrammi. Nessun altro essere umano al mondo ha voluto (o potuto) fruire dei preziosi consigli di Aracne e dello sciamano e non a caso l umanità si è avviata verso un assurda, inarrestabile spirale di sangue, di violenza e di crudeltà, invano esorcizzata dai canti dionisiaci e dalle danze orgiastiche della Notte della Taranta, nel giovanile, assordante clamore della piana di Melpignano, sul finir dell estate. E mentre armonici suoni di luce S'insinuano, flettendosi sinuosi, Nella mia logora mente, Aracne cosparge di frammenti di rugiada La sua geometrica trappola di seta 63

64 Clandestino (Lele Mastroleo) Clandestino in una notte abusata, Recito le ultime preghiere al sonno. E sulle note della dolcezza Spengo la luce sulle quinte E improvviso un tango Dal golfo mistico dei tuoi occhi. Chissà cosa cercano, Mentre dormi, le tue mani? Chissà cosa disegnano, Nel buio, le tue carezze? E, clandestino di questa notte assurda, Mi chino per rubarti un respiro, E rimango lì per mille anni ancora... 64

65 In viaggio (Lele Mastroleo) Le nuvole accatastate a coprire il sole alto, tra mezzogiorno e il vespro, minacciavano divertite un temporale. Nei flipper dei bar la notizia rimbalzò tremenda mentre le biglie minacciavano felici il prossimo tilt. La gente uscì per la strada e si rifugiò nei supermercati. Mio nonno, esule e partigiano, stava per morire. Le istituzioni spariscono sempre all ombra di un terremoto. Decisi perciò di partire per andare a trovarlo, a rendergli visita, spaventata dalle voci sulle sue condizioni che si dicevano molto gravi. Era ad un giorno e più di cammino e per noi lumache, è risaputo, che diventa molto dura,quando si tratta di accelerare. Mi levai di buon ora che era ancora notte, nutrendo la speranza di arrivare dal nonno prima dell imbrunire. Intrapresi il viaggio di buon passo promettendomi di non fermarmi a nessun incontro che mi poteva capitare. Ma come mi spingevo lungo il cammino capivo che sarebbe stato tremendamente difficile proseguire. Una continua pioggia tamburellava inquieta sulla mia corazza mentre il sole indeciso tentennava a sorgere. Le immagini del verde prato scorrevano lente e monotone al mio sguardo. Il fardello di viveri che portavo con me rimbalzava leggero tra le spalle e le corna. A parte il nonno e la pioggia non era effettivamente una gran brutta giornata. Avevo da poco superato il centesimo filo d erba, quando vidi pararmi di fronte un ombra sempre più vicina sempre più di fronte. Rimanevo tranquilla, perché a parte quegli animali alti dritti sulle zampe e con le altre due che gli scivolano sui fianchi,nessuno si sognerebbe mai di far male ad una lumachina. Forse solo qualche uccello costretto dalla fame. Quell ombra oramai attaccata alla mia faccia altro non era che una lumachina spaventata dal terremoto. Era misera stremata nelle forze per i due giorni di cammino. Spossata nel dover scappare il più lontano possibile dalla tragedia. Scappare dalle macerie del passato per cercare di essere migliori è una delle poche spinte che ci rende vivi. Ricordai il mio intento a non fermarmi mai. La salutai velocemente (scusate la presunzione) e ripresi a strisciare di buona lena. All improvviso il sole spuntò dalle nubi e riflesse nello stagno tutto il parco circostante. All improvviso queste immagini mi spinsero a cantare. A farmi l eco mille foglie sudate per la pioggia, piegate sui frutti a proteggere l invernale lavoro. E tra di loro una meravigliosa composizione di fiori, con tutti i colori che la natura ci rende degne di scoprire, ornava i robusti rami. Umili servi del gioco finale. E il vento capriccioso passava a lambire i rami melodiando una musica originale che accompagnava la mia esile voce. Un vento che muoveva le foglie i fiori e i frutti fin da farli sembrare partecipi di una danza. E il sole che faceva l occhiolino alla quercia, risplendente di quel sempreverde secolare, albero tra gli alberi,meraviglia tra le meraviglie ed io piccolo essere a contentare i piccoli occhietti di fronte a questa magnificenza. Camminavo spedita (si fa per dire) con ancora in bocca quelle melodiose parole di quella vecchia canzone di Cornamusa Jackson, la lumaca nera dell Illinois,che le maestre ancora 65

66 in alcune scuole elementari inseriscono nel programma e fanno passare a memoria alle lumachine. Ricordavo i miei passati scolastici, la signora maestra Cornusia, i compagni di classe, la festa del diploma, il primo ballo scolastico. Già il primo ballo della scuola. Eravamo,noi maschietti tutti tirati dalle corna alla coda, vestiti con le prime cravatte tessutaci per l occasione da messer Baco, le lumachine sedute sui sassolini ai margini della sala da ballo, il complesso di Don Cicala sulla sinistra e l entrata sulla destra da dove ad un certo punto della serata entrò con un armonioso strisciare Cornelia, la più bella lumachina del mondo, la più bella di tutto l universo, la più bella di tutte le belle, mio unico e grande e segreto amore dal tempo dell asilo. Ricordavo quello specchio di lato la sala che rifletteva una faccia paonazza per la timidezza appena mi avvicinavo ad essa. Ricordavo il mio primo esitante approccio, quell accennata richiesta di ballare, il nostro primo incerto bacio, la nostra fuga a bordo di un airone, quella notte d amore infinita. Poi lei dovette partire (ma questa è già tutta un altra storia). Mi scorrevano quei ricordi come se fosse successo tutto da un minuto. Poi iniziavo adesso a sentirmi un peso enorme sulla corazza, un peso farsi sempre più intenso,uno scricchiolio tremendo del mio guscio, un dolore lancinante Poi non sentii più nulla e non ricordai più nulla. 66

67 Maggio Maggio è un privilegio Che sfuma il cobalto Nei cerulei bagliori del mattino. Maggio ha il profumo D un abbraccio non concesso. Maggio è il bacio riconoscente D una mamma non tua Ed è il quadro che vedrai... Maggio è una confidenza Avvolta dal prematuro buio E suona, al pianoforte, Un inedito pezzo di jazz. Maggio è il mese prescelto Ed un nuovo proposito Maggio è un privilegio Che dubito di meritare Maggio è un sabato mattina Durante il quale ho avuto Il privilegio arcano, divino, D incrociare da lontano Il tuo radioso, soave sorriso E per un interminabile istante Ho ripreso a sognare 67

68 Inferno e Paradiso Riflessioni su Facebook del 3 aprile 2011 Una novella amica di Facebook mi ha inviato dal Friuli Venezia Giulia un messaggio intitolato: "Immagina". Il suo breve, spartano contenuto, che a mio avviso esprime una tutt'altro che criptica richiesta d'aiuto, ma anche la ricerca di una testimonianza sul fatto che esista ancora qualcosa di buono in questo mondo, a prima vista sembra però quasi il titolo di un tema scolastico assegnato come compito da svolgere a casa e dice: "Immagina per un momento che il Paradiso non esista...". Ho svolto il tema in questo modo: "Il Paradiso c'è e lo ritrovo nell'affetto o anche nel sol pensiero delle persone che amo: nel sorriso dei miei figli, prima di tutto, e poi di tanti altri, come in quello di tutti i bambini del mondo, incolpevoli per nascita, ma inesorabilmente corrotti poi dall'educazione dei grandi, quella che diseduca... Ed ancora: i poeti e, tra questi, una straordinaria fanciulla salentina, che riesce (devo per forza usare un ossimoro) a pastellare incisivamente i ricordi della sua infanzia: leggendoli non puoi non provare un misto di nostalgica dolcezza, ma sarebbe meglio dire di dolcissima e struggente nostalgia, quasi come una voglia insopprimibile di ritorno all'infanzia (chi può dire di non averla mai provata?)... E poi, ancora, le (pochissime) persone che fanno volontariato puro, quello che non fa mostra di sé, negandosi alle telecamere, e che non si imbastardisce nella volgare ipocrisia dei cosiddetti "rimborsi-spesa"... milionari (e parlo di milioni di, non di Lire)... Ma c'è anche l'inferno, purtroppo, e le prove quotidiane della sua esistenza sono di gran lunga più evidenti: la malvagità umana è riuscita persino a creare un orribile dio (con la "d" minuscola, anzi microscopica) antropomorfico, in nome del quale si combattono le guerre cosiddette di religione (sic!), la barbarie della pedofilia, il settarismo esasperato, direi quasi tribale, spacciato per (udite, udite!)... principi (e postulati) di politica sociale (Homo Homini Lupus: a titolo d'esempio, a Lupus Humbertus è succeduto l altrettanto volgare Lupus Salvinius) e, per finire in bellezza, l'insopportabile e, purtroppo, del tutto insopprimibile odio interetnico (altro che, caro Seneca, il tuo "Homo Sacra Res Homini": siamo una società formata da tanti Nerone, che fuggono e sfuggono dai tuoi precetti)... Pertanto, mia novella amica, prova per un attimo ad immaginare che non esista, invece, l'inferno... Prova a farlo. Vedrai che non ci riuscirai. Un abbraccio"... Pierluigi Camboa. 68

69 Dove andrò a cercare il tuo volto Dove andrò a cercare il tuo volto e il tuo sorriso Quando la settimana lentamente muore E mentre i fanciulli schiamazzano per strada Qualsiasi luogo per me si fa deserto e muto E nel silenzio del mio dolore greve Si fa strada lo Zefiro, tra i rami dell ulivo: Frondose lacrime d una solitudine immensa, Dove io piango la mia composta pena, Sol che l umida terra d un imminente ottobre mantenga oscuro agli altri il mio segreto: Mi manchi, mi manchi tanto, amore, e giorno e sera Dove andrò a cercare il tuo volto e il tuo sorriso Se non nel caotico moto dei cumulo-nembi, Nelle spume spaventose del mare in tempesta, Nell orizzonte indistinto, dove comincia il cielo? Dove andrò a cercare il tuo volto e il tuo sorriso Se non nei suoni lievi della campagna, Nel calpestio frusciante dell erba del selciato, Nei mulinelli delle prime foglie che avvisano l autunno, Nei vitigni rossicci che volgono al gelido letargo? Andrò vagando per cercare ovunque, tra i ginepri O nell oscurità del buio, come una fiamma accesa, Quel tuo antico rossore che precede le parole, E mi prende nell anima, fino a scaldarmi il cuore Andrò vagando per cercarti ovunque, in ogni angolo dell universo, Sol che i pianeti e le stelle, insieme, mi siano complici silenti. Mi manchi, mi manchi tanto, amore, e giorno e sera Dove andrò a cercare il tuo volto e il tuo sorriso? Non cercherò mai più, perché tu mi vivi dentro il cuore E per quanto tu possa persino sbigottire, Sei sempre accanto a me e illumini di gioia la mia vita E mentre s avvicina l ora dell aurora, avverto già, nel cielo, Un volo arabescato di gabbiani che annunciano festosi il tuo ritorno 69

70 Babbarabbaus Calceptophylus Furiosus (III millennio D.C.) Bambinellus Natalitius Cambogianicus (III millennio D.C.) 70

71 Era scritto negli astri Forse era solo un illusione, ma quel volto riflesso dalla superficie dorata del lago Alimini Grande era tutto ciò che Linceo aveva sempre sperato di vedere: gli aruspici gli avevano predetto che presto avrebbe incontrato la dolce Ipermnestra, figlia di Danao, già cantata da Eschilo. Linceo l aveva attesa, pur sapendo che tutte le Danaidi, per ordine del padre, avrebbero prima o poi dovuto uccidere i rispettivi amanti. L aveva attesa con grande dedizione e costanza, cullando per anni per anni la flebile fiammella d un timido sogno, da quando la sua Alia se n era fuggita via con Poseidone, relegandolo ad una misera esistenza di penosa solitudine. Solo Ipermnestra avrebbe potuto lenirgli il dolore che l oblio gli aveva ormai scolpito nell anima Il gelido vento di febbraio accarezzava la superficie del lago muovendole ritmicamente la lunga chioma, al punto che gli sembrava che Ipermnestra danzasse al dolce suono d un invisibile flauto. Linceo capì che qualcosa stava per accadere, qualcosa di mitico, di magico, di fantastico Il vago chiarore del tramonto cedette il passo all oscurità della notte e la superficie del placido lago si tinse degli argentati riflessi della luna I dolci lineamenti di Ipermnestra furono così rapiti dalle tenebre. Linceo era disperato, affranto ma qualcosa laggiù, al largo, lo rasserenò, gli rapì l attenzione. Uno scintillio, un bagliore palpitante, come un cuore acceso dalla passione d amore. Linceo si tuffò nelle gelide acque e giunse al centro del lago, dove venne investito da un fascio di luce turchese che scendeva giù dalla sommità del cielo. Volse lo sguardo verso l alto e s accorse che, accanto al Carro, un semicerchio di piccole stelle faceva contorno ad un astro vezzoso, sfavillante, intensamente luminoso: Linceo capì che si trattava di lei, della sua dolcissima Ipermnestra, in mezzo alle sorelle Danaidi. La invocò in silenzio con la voce del cuore e lei discese lenta e regale dal cielo, ammantata di blu. Un velo turchese gli lasciava scoperta solo una ciocca di capelli, rigati da riflessi d un vago rosso rubino ed una voce dolce e suadente trafisse il cuore del nostro eroe: Mio dolce Linceo, non posso restare con te: il mio posto è lassù, nella settima galassia. A nessuno è concesso turbare gli equilibri dell universo, men che meno a me, che sulla terra ho vissuto passioni travolgenti, dissoltesi in cenere e spazzate via dal vento. Il mio posto è lassù e devo assolvere al mio compito di simbolo d amore. Linceo le prese la mano, la strinse tra le sue e pensò di chiederle di restare con lui, il tempo sufficiente per trasferirle nel cuore il puro distillato dei suoi sentimenti; però, come spesso accade, purtroppo, non riuscì a profferire parola e sentì la piccola mano di Ipermnestra sfilarsi dalle sue Prima di prendere il volo verso il centro dell Universo, però, la dolce Danaide gli lasciò tra le mani un antica pergamena arrotolata Il tremulo sole dell alba filtrò dall unica finestra della capanna nel mezzo del bosco e colpì Linceo in pieno volto. Aperti gli occhi, pensò di aver solo sognato e sorrise amaro ma poi s accorse di stringere in mano qualcosa. Era un antica pergamena: allora non era stato solo tutto un sogno!... Tutti i giorni, al tramonto, Linceo tornò al lago e tutti i giorni vide riflesso sulla placida superficie del piccolo lago il volto della sua amata ma mai, mai più Ipermnestra discese dal cielo Atroce destino: appena trovata la sua principessa, l aveva già persa per sempre!... 71

72 Si era alla fine di febbraio e Linceo provò ad escogitare qualcosa: l idea giusta gli venne analizzando a fondo, per la prima volta, il contenuto dell antica pergamena. In un primo momento, gli era sembrato solo il dipinto di un cielo stellato, un dono, un ricordo della dolce principessa; quel giorno s avvide, invece, che era una carta astronomica, una mappa che segnava il tragitto verso di lei, attraverso sei buchi neri e sterminate falangi di temibili meteoriti Era l occasione che attendeva! Si recò così dall amico Dedalo, ancora alla ricerca del progetto giusto per spiccare il volo, e lo pregò di prestargli le alate appendici, che pur erano costate la vita al figlio Icaro. Dedalo non riuscì a scoraggiarlo, sebbene lo avesse avvisato che il calore delle stelle avrebbe di certo provocato la fusione della cera che teneva insieme le penne delle ali Alle Idi di marzo, Linceo partì per la sua impresa e, seguendo le indicazioni della mappa, riuscì a trovarsi al cospetto della principessa, che si mostrò tutt altro che stupita Quel che accadde da quel giorno non è dato agli umani di sapere: il manoscritto dal quale abbiamo attinto questa leggenda s interrompe al punto dell incontro vi si legge solo di un timido bacio e questo, in verità, sarebbe già un gran bel finale In giro si sussurra che ci siano stati stupendi sviluppi: ma, ditemi, chi di voi avrebbe mai il coraggio di andare a raggiungerli lassù?... 72

73 La leggenda di Artemide e Gaia Questa è una storia di fantascienza; meglio, di fantasia. Come tutte le storie di fantasia, non è, quindi, cronaca di eventi vissuti, non ha un corrispondente nella realtà Non è altro, come ci ricorda il titolo, che pura leggenda; vorremmo che lo fosse, almeno Un mondo basato solo sul saper fare, sul primato della tecnologia (e del calcolo opportunistico) sui sentimenti, è lontano anni luce da quello che vorremmo: una società fondata sulla solidarietà e sospinta dall amore Buona lettura! Buongiorno, terrestri. Mi chiamo Pigijx Boadog Sr. e vivo su Ombrosa II, un pianeta del Sistema Solare della dimensione antiparallela alla vostra. Sono appena arrivato sulla Terra, il pianeta omologo al mio, dopo un lungo viaggio trans dimensionale, per trovare la risposta al tremendo quesito: Il bene e il male sono due entità davvero inseparabili? Ognuno di noi ha dentro di sé sempre presenti le due entità? I nostri pianeti sono omologhi, ma antiparalleli; in altri termini, la vita scorre allo stesso modo e sono uguali anche i valori di base, ma le regole, le norme, le consuetudini sono diverse: la nostra organizzazione sociale è assai più avanzata e tecnologica, abbiamo razionalizzato tutti i percorsi e tutti i processi, soprattutto in campo sociale e sanitario, dove abbiamo proceduto a definire persino gli standard di empatia e di umanizzazione dell assistenza Abbiamo, però, ancora bisogno di approfondire le conoscenze sulla psiche, per riuscire a comprendere i motivi dell ambivalente comportamento di Artemide e Gaia, le migliori 'agenti di salute' di tutto Ombrosa II E sono venuto da voi per prendere visione di qualcuna tra le tante testimonianze sui comportamenti che la vostra civiltà (pur altrettanto ambigua) ha metodicamente accumulato e preziosamente custodito nel corso della storia. Ti ringrazio di esserti offerta di accompagnarmi, graziosa fanciulla: come ti chiami?. Il mio nome è Eco e attendevo da tempo qualcuno che fosse disponibile ad ascoltarmi. Qui da noi nessuno ormai è disposto a prestare ascolto agli altri: tutti vivono confabulando con se stessi, in perenne contrasto con il proprio Super-Io, ormai confinato in una posizione del tutto marginale, come se si trattasse solo di un ingombrante rifiuto Ciò significa, quindi, che gli esseri umani sono finalmente riusciti a superare il dualismo tra il Bene e il Male?. Al contrario, Pigijx: l essere umano è stato creato da Dio con amore genitoriale. L uomo è stato messo in condizione di scegliere tra il Bene e il Male ma, per rendere la scelta più agevole, Dio ha messo accanto ad ogni suo figlio, fin dalla nascita, un Angelo Custode, quel Super-Io, il cui compito è guidarlo e indirizzarlo sempre verso il Bene. Vuoi dire che l uomo è stato così stupido da scacciar via il proprio Angelo Custode?. Ebbene sì! Nella maggior parte dei casi è successo proprio questo: superata l infanzia, l uomo ha creduto di essere autosufficiente, di poter volare da solo, dimenticando che, come ci ha insegnato don Tonino Bello, l uomo è un angelo dotato di una sola ala e, per volare, ha bisogno di restare abbracciato ad un suo simile. Vuoi davvero darmi ad intendere che hanno stupidamente scacciato via il proprio Angelo Custode per dare spazio al demone del Male?. Proprio così!... In questa immensa biblioteca potrai trovare migliaia di testimonianze descrittive della follia umana Ma ora vorrei essere io a sapere qualcosa da te: che cosa intendevi, quando parlavi del comportamento ambivalente di Artemide e Gaia, i due migliori 'agenti di salute' del tuo pianeta?. Come ti dicevo, il sistema sanitario di Ombrosa II è più o meno simile al vostro, ma molto più rapido nel dare risposte ai bisogni di salute delle persone. Non esistono quelle odiose 73

74 liste d attesa per gli ospedali né per gli ambulatori specialistici e tutte le richieste di assistenza domiciliare vengono subito prese in esame da Artemide e Gaia che, torno a ripetere, sono ritenute i migliori 'agenti di salute' del pianeta. E allora, dov è il problema?. Aspetta che ci arrivo Allora, ti stavo dicendo che Artemide e Gaia sono ritenute i migliori 'agenti di salute' del pianeta, poiché hanno uno straordinario affiatamento e riscontrano un notevole gradimento tra i malati e i loro familiari; ma. Ma? lo incalza la splendida fanciulla dagli occhi verdi. Ecco, il problema è che Artemide e Gaia hanno un comportamento oserei dire ipocrita, del tutto incoerente con quelli che sono i loro sentimenti Ti cito, a titolo d esempio, due casi nei quali hanno manifestato tale ambiguità Il primo riguarda Tom, un ragazzo di Ozan, affetto da una terribile malattia neurologica progressiva, per la quale il governo ombrosiano prevede la possibilità di un aiuto economico nei casi in cui sia stata rilevata una perdita delle capacità di autonomia e/o di lavoro (perdita permanente delle capacità di guadagno). Ricevuta l istanza del ragazzo, Artemide e Gaia si recarono in casa di Tom e gli manifestarono un esplicita ostilità, non appena saputo che il giovane riusciva ancora a spostarsi, sebbene solo con l aiuto di un sofisticato ausilio elettronico; inoltre, la presenza dei due splendidi bimbi di Tom, ordinati e ben vestiti, fece aumentare in Artemide e Gaia l orientamento negativo, sebbene un illustre medico, presente alla valutazione, avesse sottolineato che quella terribile malattia entro paio d anni al massimo avrebbe portato a morte lo sfortunato ragazzo. Nulla da fare: il giudizio restò negativo e le due, dopo essersi lamentate per la perdita di tempo, si diressero verso il servizio per la formalizzazione e la successiva ratifica del giudizio Non appena arrivate, trovarono ad attenderle un alto dirigente del ministero, che aveva portato loro in visione una circolare su quella terribile malattia; nel documento si sottolineava la necessità di concedere i benefici economici ai malati ancora in vita e non ai loro eredi Tra Artemide e Gaia bastò uno sguardo d intesa per apporre, sull istanza di Tom, la rituale crocetta sulla voce "si autorizza", che concesse loro di ricevere un solenne encomio da parte del ministro. Terribile, mostruoso!... E il secondo caso?. Vedi, il secondo caso è qualcosa di ancora più atroce; si tratta della vicenda di Sim, un giovane immigrato magrebino (anche da noi ci sono paesi ricchi e paesi poveri), mezzo stritolato da una macchina agricola e rimasto per lunghi mesi in coma Quando fu il momento di procedere alla dimissione, furono inviate in ospedale Artemide e Gaia, che confabularono sulle risorse sprecate per assistere quell inutile essere dalla pelle nerastra e decisero così di rispedirlo al paese di provenienza; ma si scontrarono con l ostinata resistenza da parte di Conchita e Joanna, due caritatevoli sorelle (due angeli, forse), che si erano dedicate a prestare assistenza al povero Sim, oltre che alla loro nonna Le ragazze capivano che quella dimissione selvaggia di Sim lo avrebbe portato a morte certa e minacciarono di informare del fatto i mass media Di fronte a tale inatteso ostacolo, Artemide e Gaia decisero di prendere tempo Alcuni giorni dopo, una troupe televisiva del più importante network ombrosiano venne a riprendere Sim in ospedale e, come per incanto, Artemide e Gaia cambiarono radicalmente atteggiamento Sospinte via, quasi a gomitate, Conchita e Joanna, con faccia contrita e pietosa si posero ai lati del letto di Sim e, accarezzandogli dolcemente le mani, 'bucarono' lo schermo dichiarando la volontà di far proseguire la degenza del ragazzo per tutto il tempo necessario alla sua stabilizzazione E così, il giorno successivo tutti i giornali riportarono la notizia della grande abnegazione e spirito di sacrificio di Artemide e Gaia, in onore delle quali furono realizzati grandiosi 74

75 festeggiamenti Nessun cenno, invece, a Conchita e Joanna, peraltro felici e contente per essere riuscite a salvare l amico Sim, al quale continuarono a prestare assistenza per anni ed anni, senza mai fargli mancare nulla. Che straordinario connubio tra capacità mimetiche ed opportunismo! Credo che quelle due tue agenti siano il risultato di un incrocio tra un camaleonte e un avvoltoio!. Proprio così, mia cara, ed ecco il motivo per il quale sono stato inviato dal governo del nostro pianeta ad approfondire le conoscenze sulla psiche Imparare a conoscere i meccanismi reconditi dell animo umano, per evitare che tutto il nostro sistema sociale si fondi solo sulla ricerca dell interesse soggettivo anziché del benessere collettivo Bene, credo proprio che nei 12 piani della nostra biblioteca ordinaria e in quello della biblioteca multimediale avrai modo di trovare quello che cerchi. Buon lavoro, Pigijx!. Grazie di tutto, Eco: ci rivediamo tra qualche giorno Dieci giorni dopo, Pigijx si accinge a varcare la soglia d uscita della biblioteca. Si stropiccia gli occhi per riabituarsi alla luce del sole che filtra dalla vetrata Ha un aspetto orribile, il volto scavato dalla fatica, ma riesce a ritrovare il sorriso non appena si accorge della presenza di Eco dietro i vetri inumiditi dalla pioggia Com è andata, Pigijx? gli chiede Eco. C erano tante cose che non conoscevo e tante altre che non conosco e che forse non conoscerò mai Ma qualcosa d importante l ho imparato, dai tuoi libri Ho imparato che il sapere è cosa diversa rispetto al saper fare; che il sapere umano è ben poca cosa rispetto al sapere universale, ma che non esiste alcun limite all acquisizione di nuove conoscenze, soprattutto per le persone dotate di grande volontà e passione Ho imparato poi che l essere umano è fragile, sempre attanagliato da mille dubbi, tra i quali quello fondamentale dell essere o non essere, che si traduce in un angosciosa scelta tra la volontà di essere il protagonista della propria vita o il destinatario passivo della volontà del destino Ho imparato, ancora, che la vita è un eterna sfida del Male contro il Bene, sin dai tempi di Pitagora, poi di Mani, per arrivare agli antichi Cinesi ed alle loro 'strane' religioni pervase di spiritualità e di simbolismi arcani, come quelli dello Yin e dello Yang, che sono alla base del Taoismo e del Confucianesimo L essere umano, da sempre in bilico tra ordine e disordine, è una sorta di copia vivente di un importante (ed inquietante) divinità latina, Giano bifronte, simbolo dell'ambivalenza universale, che contempla insieme il bene e il male, il giorno e la notte, la guerra e la pace Ho imparato, quindi, che in fondo in ognuno di noi si combatte ogni giorno l eterna sfida tra il Bene e il Male, come ci ha splendidamente illustrato Robert L. Stevenson nel suo capolavoro 'La strana storia del dr. Jekyll e Mr. Hyde : non uno sdoppiamento della personalità, ma una vera e propria dicotomia dell anima. Questo concetto ce lo fa capire direttamente l autore, quando afferma che: "Era una maledizione del genere umano che questo eteroclito guazzabuglio dovesse così tenacemente tenersi avviluppato, che fin nel grembo tormentoso della coscienza questi gemelli antitetici dovessero essere in perenne tenzone" Ma i lavori dai quali ho imparato di più sono stati i tre romanzi che compongono la 'Trilogia araldica' di Italo Calvino, un autentico genio, profondo nelle sue riflessioni, mai banale, mai pesante, sempre lievemente ironico Nel primo, il 'Visconte dimezzato', Calvino riesce a separare persino 'fisicamente' il Bene dal Male, poiché il Visconte Medardo di Terralba viene 'affettato' in due parti complementari, il Gramo e il Buono, che solo il buon dottor Trelawney riuscirà a ricucire, donando il così 'ricomposto' visconte all amata Pamela e all intera società Nel secondo, il 'Barone rampante', ambientato nella cittadina di Ombrosa (nome a me familiare), il protagonista, Cosimo Piovasco di Rondò, vive sulla cima di un albero, assai più vicino al 75

76 cielo rispetto ai suoi simili Mente geniale e sensibile, fucina di grandi idee e di profonde emozioni, ma fondamentalmente incapace di metterle in atto, un bel giorno Cosimo decide di volare via aggrappato ad una mongolfiera Nel terzo, il 'Cavaliere inesistente', pare di assistere ad una rincorsa affannosa e vana al miraggio di una realtà del tutto immaginaria, nella quale continua a perdersi Bradamante, fino a farsi suora dopo l ennesima delusione amorosa, senza accorgersi che non era la sferragliante armatura vuota di Agilulfo, ma Rambaldo, il soggetto da amare Cosa hai appreso, dunque, dalla trilogia di Calvino?. Molto, moltissimo: che la società contemporanea tende a portare l anima verso la completa disintegrazione; che occorre tener sempre alti i valori dello spirito. Infine (ed è l insegnamento più importante), che non ci si può (e non ci si deve) basare solo sugli automatismi tecnici. Credi, quindi, con quel che hai appreso da noi, di poter risolvere il problema dell ipocrisia dilagante sul tuo pianeta?. Credo proprio di sì, dato che faremo in modo di correggere gli errori degli automatismi tecnici, spostando più in avanti gli standard emozionali, cioè innalzando i livelli di umanizzazione e di empatia. Se farai così avrai solo una cocente delusione, amico mio!. Come fai a dirlo? Io sono uno scienziato, tu solo una fanciulla e per giunta di un pianeta molto più arretrato del mio. Su quali criteri basi questa tua previsione?. Sul fatto che, come spesso accade a chi tende a semplificare troppo un analisi, hai dimenticato un elemento di fondamentale importanza Eppure, i nomi delle tue agenti di salute ti avrebbero dovuto aiutare. Non capisco come e poi, cos è che avrei dimenticato?. Artemide rappresenta la Luna, Gaia la Terra: cosa manca, allora, a queste due entità?. Non saprei non riesco a capire dove tu voglia arrivare, ma non credo possa trattarsi di qualcosa di razionale. Ebbene, né Artemide né Gaia sono dotate di luce propria ed hanno perciò bisogno del Sole; in altri termini, hanno bisogno d amore, senza il quale ogni cosa perde lucentezza, colore, calore, energia, vita. Ma ma chi sei veramente, tu? Il mio nome è Eco, te lo ripeto Ma lo sai che mi sembra di conoscerti da sempre? Ho la sensazione, l impressione di averti già incontrata Mi pare di ricordare che tu fossi un angelo, in una delle mie vite precedenti No, si vive una volta sola, almeno sulla terra Tu non mi hai incontrata in una vita precedente, anche se la tua sensazione non è campata in aria; in realtà, infatti, tu mi conosci da sempre, per il semplice fatto che io sono un prodotto dei tuoi pensieri, il riflesso della tua anima, la voce di ritorno delle tue ansie, delle tue domande, delle tue emozioni. Ma se allora sei solo puro spirito, come mai i tuoi occhi mi sembrano così vivi, di quel colore verde così intenso?. Non è esatto dire che i miei occhi sembrano vivi: lo sono davvero, vivi, e il loro colore è quello della speranza, di quel sacro fuoco che non si estingue mai e che ti ha indotto a fare il tuo lungo viaggio trans dimensionale per trovare le risposte alle tue domande Allora, quando tu mi parli, in realtà sono io che parlo con me stesso! Tu non sei altro che la manifestazione dei miei pensieri, delle mie emozioni, che si esprimono attraverso la tua voce. È incredibile: tutto mi è chiaro, adesso! 76

77 Sì, ma lascia che ti dica. Artemide e Gaia hanno bisogno di conoscere e di sperimentare l amore. L amore è dare senza chiedere né attendersi nulla in cambio. Aiutare, incitare, sorreggere, prendere per mano chi si è perso. Abbracciarlo, per volare assieme a lui L amore è luce, quella luce che ci mostra il percorso da seguire, il più breve, piano e rettilineo Ma se Artemide e Gaia chiuderanno gli occhi alla luce, dimostrando di preferire l oscurità delle tenebre e la vita da cavernicoli o da animali da fogna, allora non potrai far altro che sostituirle con persone più degne Dovrai, farlo! Dovrei, quindi, sostituire i miei agenti più bravi e preparati con due persone del tutto inesperte? Scusami, Eco, ma questa tua idea mi sembra del tutto irrazionale e, comunque, priva di qualsiasi supporto tecnico-scientifico Mio caro, finché i ruoli nevralgici della società saranno svolti da persone persino brave e preparate, ma prive di sentimenti, la società di Ombrosa II continuerà a peggiorare, a perdere energia, fino ad inaridirsi del tutto ed a giacere esanime, priva di vita Finché le persone meritevoli come Conchita e Joanna resteranno confinate nel limbo e tutti i meriti e le onorificenze saranno assegnati solo agli opportunisti di turno, la tua pur avanzatissima ed ipertecnologica civiltà continuerà a restare arida e vuota, con le persone trasformate in freddi calcolatori privi di sentimenti e di emozioni Ognuno di noi ha bisogno di un po di luce e nessuno può averne più bisogno delle persone fragili Allora, in questi casi non è possibile pensare alle conoscenze tecniche: serve l amore, senza il quale tutto resta vuoto e freddo Ognuno di noi ha bisogno di un po di luce E se anche te ne giungesse tanta da abbagliarti, non andare subito a rifugiarti nel buio, ma attendi solo qualche istante e capirai che, una volta fatta l abitudine, non potrai farne a meno Ombrosa II ha bisogno di un po di luce, ma anche la Terra ne ha tanto bisogno C è davvero tanto bisogno d amore, ma in questa società edonistica ed ipercompetitiva in molti, in troppi, ormai, hanno dimenticato che l amore non è merce che si possa trovare tra gli scaffali di un centro commerciale, nemmeno in quello più grande della terra L amore è un sentimento che nasce dal profondo, come l acqua pura e fresca di una sorgente che sprizza fuori dal ventre della montagna a dissetare il corpo e lo spirito L amore è l energia vitale che si sprigiona dal cuore, centro dell anima; l amore è il volano della vita. Preghiamo, quindi, perché l amore torni a trionfare sui nostri pianeti Ritorna in pace sul tuo mondo, amico mio, ma non dimenticare mai che il motore inesauribile della vita è l amore, quella forza che unisce gli esseri umani e raddoppia le loro energie: quell ala di riserva che ti permetterà di volare se solo riuscirai a restare abbracciato con un tuo simile Ora ti lascio consegnandoti una delle più belle preghiere che siano mai state scritte; con questa preghiera dovrai rivolgerti ogni giorno al Signore perché ti aiuti a far tornare l amore sul tuo pianeta; ma non dimenticare mai che l amore è un sentimento presente in ciascuno di noi e dobbiamo solo liberarlo e farlo diffondere. Addio, amico mio! 77

78 L ala di riserva (don Tonino Bello) Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita. Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati. A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche tu abbia un ala soltanto. L altra la tieni nascosta: forse per farmi capire che anche Tu non vuoi volare senza di me. Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi Tuo compagno di volo. Insegnami, allora, a librarmi con te. Perché vivere non è trascinare la vita, non è strappare la vita, non è rosicchiare la vita. Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all ebbrezza del vento. Vivere è amare le cose che non piacciono per poterle cambiare. Vivere è assaporare l avventura della libertà. Vivere è stendere l ala, l unica ala, con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te! Ma non basta saper volare con Te, Signore tu mi hai dato il compito di abbracciare anche il mio fratello e di aiutarlo a volare. Ti chiedo perdono per ogni peccato contro la vita e per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi. Non farmi lasciare il prossimo nel vestibolo malinconico della vita dove si tira a campare, dove si vegeta solo. Non farmi passare indifferente vicino al fratello che è rimasto con l ala, l unica ala, inesorabilmente impigliata nella rete della miseria e della solitudine e si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con Te. Soprattutto per questo fratello sfortunato dammi, o Signore, un ala di riserva. Non tutti riusciremo ad esprimerci, ma tentare sarebbe già essere sulla strada per divenire uomini. 78

79 Oltre Oltre l'orizzonte, al riparo Dagli sguardi indiscreti. Oltre i tempi che furono E che non torneranno più. Oltre il confine fiorito delle emozioni E l'impalpabile carezza dei sogni. Oltre il volo elicoidale dei gabbiani Ed i colori tenui dell'iride, In quegli spazi ci sei solo tu. Oltre la follia d'un uomo vano Che da una vita rincorre il tuo sorriso, Di certo il più bello della storia, Quello che spalancava l'uscio Del mio cuore, sempre assetato d'amore. Oltre gli oceani e gli spazi dell'universo Navigo solitario in un guscio di noce Chiamato "Speranza di rivederti presto". Oltre le nuvole fitte c'è un raggio di sole E quel raggio di sole per me sei solo tu! 79

80 Le (dis)avventure di Maddalo Questa storia è dedicata al mio amico Maddalo, nel ricordo di una memorabile cena (si era davvero giovani e forti, a quei tempi!), durante la quale, in tre (il terzo era il mitico Totò) divorammo quattro chili di bucatini all amatriciana (con tanto di scarpetta finale) A dire il vero a tavola eravamo in quattro, ma il povero Fernando si limitò a guardarci sbigottito, fino ad avvertire, al termine della cena, indiscutibili sintomi di indigestione, rivelandomi l esistenza di malattie contratte con la fino a quel momento del tutto ignota modalità della trasmissione come definirla? per proprietà transitiva Un giorno, il mio amico Maddalo, esperto agricoltore di Uggiano La Chiesa, disse alla moglie: Ada, sai cce aggiu pinzatu? Ca ttrova cra mmane era bonu va aru u fore de sutta a turre de Santu Milianu cu lu mezzu nou. Ce dici, ici ca nun è bonu cu vau de veru, pocca? (Sai cosa ho pensato, Ada? Credo che sarebbe bene che domattina io vada ad arare il campo sotto la Torre di Sant Emiliano con il trattore nuovo. Che ne pensi? Non credi che sia una buona idea?). Ottenuta l approvazione della saggia moglie, l indomani, dopo una robusta colazione, tipicamente contadina, Maddalo s incamminò tutto contento verso la cascina per mettere in moto il suo nuovo, stupendo, fiammante trattore, comprato da appena 5 giorni, ma si ricordò, smozzicando alcune robuste imprecazioni, anche queste tipicamente contadine, che nel serbatoio il concessionario aveva immesso solo pochi litri di gasolio, assolutamente insufficienti per (arrivare a e tornare da) la zona di Sant Emiliano. Mentre si avviava verso il deposito del gasolio, notò che non era stato dato da mangiare alle vacche e si recò, bofonchiando e smoccolando, a prendere il foraggio; nel recarsi verso il fienile, notò, sotto la tettoia, una pila di sacchi accatastati, che gli fece ricordare esserci l urgente bisogno di mettere le patate a germogliare. Si avviò, perciò, verso la zona delle patate, ma scorgendo, sul percorso, il deposito della legna, fu colto da sgomento e il terrore gli si dipinse in volto. Si era ricordato, infatti, che Ada altro non gli aveva raccomandato se non di portarne un po a casa; allora pensò: Focu meu beddru mpizzicatu! E ci la sente, quira, ci nu li portu l asche? (Mamma mia! E chi la sente, quella, se non le porto la legna?). Prima, però, doveva tagliarla in pezzi più minuti e si fermò a pensare e a ripensare su dove potesse aver messo l ascia; per fortuna, ricordò di averla usata alcuni giorni prima per riparare il recinto del mulo. Recuperata l ascia, si mise a spaccar legna e, dopo averne accatastata una quantità ritenuta più che sufficiente, pensò, finalmente soddisfatto, che l avrebbe portata a casa alla fine della giornata, passando con il trattore al ritorno dall aratura. Prima di recarsi a svolgere, a ritroso, tutti i compiti individuati, si rese conto di aver dimenticato a casa il cestino del pranzo. Orrore! Non volendo correre il rischio di dimenticarsi definitivamente del fatto durante l esecuzione delle diverse incombenze, decise di incamminarsi verso casa, dove, lo attendeva qualcosa alla quale non avrebbe mai rinunciato: il suo cestino del pranzo, contenente un bel panino robusto, tipicamente contadino, fatto di un intera forma di pane de cranu (di grano) ben cotto nel forno a legna, stracolmo di pezzetti (spezzatino) di cavallo e di cunserva mara (salsa di peperoncino piccante sottolio); il bottiglione d acqua e quello, ben più gustoso, di vino rosso paesano, di quello ca te pitta lu vitru de nìuru, tantu cullu sacci. E nu boiu te icu autru, pocca! ( che colora il vetro di nero, tanto perché tu lo sappia. E non voglio aggiunger altro!) 80

81 Nel procedere verso casa, decise di passare dal pollaio, per vedere di recuperare per il pranzo anche un buon uovo fresco di giornata da mandar giù al bisogno Nel pollaio incontrò la moglie intenta a dare il mangime alle galline. La donna lo guardò sorpresa e gli chiese: Be? E tie? Nu su mancu e unnici e stai ntorna a qquai? Comu furmine ha fattu cu ari tuttu u fore, pocca? (Non sono ancora le undici e sei già tornato? Ma dimmi come diavolo hai fatto ad arare tutto il campo?). Il nostro eroe, non riuscendo a celare l evidente imbarazzo, abbassò lo sguardo e con un fil di voce le rispose: Ci oi te icu u veru, Ada mia, nu aggiu mancu ncignatu, pocca! (A dire il vero, Ada mia, non ho nemmeno cominciato!) 81

82 Una fiamma nuda Una fiamma nuda arde beffarda Su lastre di ghiaccio fondente, Che sommano danno a danno: Un dolore urente che mi brucia dentro. Una gelida mano mi si posa sul cuore: È la solita, solida, sapida Presenza della solitudine, Fedele compagna della vita mia... Ma stasera mi sono ribellato: Voglio deciderlo io, il mio destino! Giro e rigiro il mio spiedo acuminato Nella fiamma e lo arrovento. Lo brandisco, roteandolo nell aria: Vai via... sparisci... lungi da me!... Ma quella avanza, avanza: Mi si accosta, irridente... Allora chiudo gli occhi E le trafiggo il seno: Mi guarda sbigottita, Sciogliendosi anche lei, Nel ghiaccio che gorgoglia Sono rimasto solo, non mi è compagna, Ormai, nemmeno la fedele solitudine... Ma ripeto, con gli occhi socchiusi, L antico gesto d un impulso improvviso... Il tuo dolce sorriso E la tua mano affusolata nella mia Saranno il tenero ricordo che mi terrà, Per sempre, compagnia... 82

83 Il decalogo del politico di professione (Principi semiseri di management) Viviamo in una società in crisi e praticamente a pezzi; ma questo sembra non interessare a tanti manager, soprattutto ai super-tecnici prestati alla politica, i quali, richiamandosi a Sir Winston Churchill, continuano a dichiarare a destra e a manca (e, fatto ancor più grave, ne sono convinti) di aver ottenuto grandi successi, passando da insuccesso in insuccesso, senza mai perdere l entusiasmo (con la sola, unica eccezione, forse, di qualche lacrimuccia abilmente secreta nei momenti topici). Viviamo in una società in crisi e sostanzialmente a pezzi ed esiste, perciò, la necessità assoluta di renderla più giusta e a misura d uomo Ma con quali strumenti? Bene, qualcuno da tempo ricorre alle serie, serissime, ma fosche, profezie di qualche interessante (o interessato?) vate (o guru) del III millennio dal volto ascetico, che preconizza (per pochi eletti, scelti, magari, tra i simpatizzanti di qualche noto movimento) l imminente avvento di una nuova splendida era per l umanità, ridotta a un solo miliardo di abitanti sull intero pianeta, dopo una catastrofica, ma a suo dire salvifica, III Guerra Mondiale. Mamma mia! Posso toccar ferro a modo mio? Noi, per fortuna, non la pensiamo come lui e preferiamo ricorrere a riflessioni semiserie, espresse con il sorriso sulle labbra e senza reconditi fini di tornaconti personali, sia pur abilmente truccati e mascherati; perciò, partendo da queste solide premesse, siamo riusciti a confezionare un assiomatica elencazione di semiseri principi di riferimento culturale, da diffondere come patrimonio fondamentale di tutti gli aspiranti imprenditori, leader e/o manager e/o politici e/o capitribù di qualsiasi etnia, latitudine, ceppo linguistico e credo religioso (se dovessi aver omesso qualche ulteriore importante carattere distintivo vi prego di scusarmi: si tratta dei primi evidenti segni di involuzione presenile, dato che l 8 aprile 2013 ho raggiunto la veneranda età di 60 anni) Tuttavia, nello stesso momento in cui le riflessioni si generavano dal nulla (tale è il contenuto della mia teca cranica) in modo naturale, maturava, in me, la convinzione che tali prodotti del mio (spesso insulso e incomprensibile, ma a volte, però, persino sublime ) pensiero avessero improvvisamente cambiato abito, dismettendo l abusato semi- per tramutarsi mirabilmente in riflessioni solo ed esclusivamente serie E quei famosi semi? Bene, quelli gli avremmo affidati al vento perché andassero a germogliare, diffondendo il nostro salutare verbo, fin nelle terre più remote del pianeta Bando alle ciance, il fatto che questo decalogo manageriale rappresenti un elencazione solo per metà seria (questo, infatti, è il significato di semiseria ) è documentato dall aggettivo di sostegno ; infatti, per quanto attiene la terminologia ascrivibile a Camboa, esistono due varianti: cambogicus, che è la variante nobile e seria e cambogianus, che è, invece, quella scherzosa, auto-ironica, insomma semiseria Ma poi, in fondo, crediamo che sia solo il lettore a dover giudicare il valore e l importanza di tali pensieri e allora snoccioliamolo, finalmente, questo benedetto elenco! Prima riflessione: l economia e il management non sono scienze esatte (o esercitate sempre da persone intelligenti); se così fosse, oggi non saremmo in piena recessione. Seconda riflessione: l economia e il management non sono discipline etiche (o esercitate solo da persone virtuose); se così fosse, oggi nel mondo non avremmo disuguaglianze. Terza riflessione: la globalizzazione é lo strumento per far aumentare le disuguaglianze già esistenti e per crearne di nuove. 83

84 Quarta riflessione: credere di non essere diventato ancora manager solo per mera sfortuna, non ti farà diventare mai un top manager, ma uno sfigato cronico di chiara fama. Quinta riflessione: credere fermamente di essere un predestinato al top management non ti farà quasi mai diventare un manager, ma ti farà vivere bene, pervaso dall ottimistica illusione di poterlo diventare da un momento all altro. Sesta riflessione: il manager che abbia commesso errori molto gravi e/o molto numerosi, si troverà come di fronte a un bivio manicheo : il fortunato (il manager pubblico) si vedrà rinnovare la fiducia ( perché gli va riconosciuto di aver operato in una situazione di eccezionale complessità e gravità ); il meno fortunato (il manager del privato), sarà invece caldamente invitato a cambiare mestiere. Settima riflessione: il manager trombato dal privato si troverà anche lui di fronte a un bivio manicheo : tornare a fare il manager nel settore pubblico ( perché trattasi di persona che ha brillantemente operato nel settore privato in una situazione di eccezionale complessità e gravità ) o diventare, occupazione a mio avviso molto più proficua, giocatore professionista di tressette a perdere o di ciapanò, giochi nei quali gli errori (di presa) portano alla vittoria PS: è chiaro che il tizio non dovrà essere informato delle regole, altrimenti farà flop anche qui! Ottava riflessione: per il manager trombato dal privato, che non se la sentisse di tornare a fare il manager nel settore pubblico né di diventare giocatore professionista di tressette a perdere o di ciapanò, esiste una terza e molto più comoda via, quella della formazione manageriale, ambito nel quale sparare immense cazzate (pardon, dire originali frasi ad effetto) riesce quasi sempre a prendere per il c (ri-pardon riesce molto spesso a suscitare l interesse degli ascoltatori). Nona riflessione: manager è solo colui che è stato chiamato a svolgere quel ruolo e non (anche) chi crede di averne le competenze e le capacità. Tale secondo personaggio è definito invece povero illuso o, con tipico termine salentino, mucculone (stupido irrecuperabile). Decima riflessione: il manager non ha bisogno di rifugiarsi in bagno per chiedere Specchio, mio specchio cortese, chi è il direttore più bravo di tutto il Paese?. Ci pensano ogni mattina i suoi collaboratori di staff ad infondergli in bolo endovena il massiccio convincimento del suo indiscutibile valore, dilatandone a dismisura le dimensioni della sua già manifesta Sindrome da onnipotenza narcisistica manageriale. La principale argomentazione portata a sostegno delle riflessioni cambogiane è data dalla più nota delle dichiarazioni storiche dell'indimenticabile, mitico Vujadin Boskov e dal suo corollario applicativo: Assioma di Boskov: rigore è quando arbitro fischia. Corollario all assioma di Boskov: manager sei quando il potere (ti) nomina. Le conclusioni che emergono dalle riflessioni cambogiane sono le seguenti: anche lo stupido, se ben istruito, educato e addestrato, può rivelarsi un buon manager o un buon leader, allo stesso modo di come, al contrario, una persona molto dotata sul piano intellettivo, può non essere in grado di gestire nemmeno l ordinaria quotidianità. E, per finire in bellezza, poche righe di sublime poesia a rima baciata e ribaciata, abilmente condita con piccoli, preziosi, maccheronici richiami alla splendida lingua del grande Federico del Sagrado Corazòn de Jesùs Garcìa Lorca, in arte Federico Garcia Lorca: Larga la hoja, estrecha la estrada, el doctor Babbarabbà ha aquì desparada, hoy tambien, la sua enésima minchiada!. 84

85 Il narcisismo manageriale nella sanità (e non solo)... Guardate come resta davvero attuale il contenuto di un mio post del Lo sapevate che, in taluni distretti sanitari di Papua Nuova Guinea basta farsi aggiungere sulla ricetta la dicitura "Visita Urgente" (utilizzando abilmente talune "parole-chiave") per riuscire ad effettuarla subito, anche se quella visita serviva solo per la cessione del quinto dello stipendio?... Lo sapevate che, magari, in quel modo, quell'astuto cittadino del Sud- Est asiatico equatoriale avrà furbescamente sottratto il posto a qualcuno che, con quella visita, probabilmente avrebbe salvato la propria vita?... Ma credo che lo sapevate già, perché sono certo che da qualche parte, su uno dei tanti murales o dei graffiti dei treni delle Ferrovie Sud-Est (non asiatiche, ma pugliesi) avrete letto il pensiero di un tale scribacchino fiorentino, che così recita: "Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare", ripreso poi da un ben più noto donnabondiano parroco di Lucugnano, che al termine di tutte le sue omelie così si rivolgeva a Dio onnipotente: "Signore meu beddhu, provvedi alli provveduti, tantu 'i sprovveduti aci suntu bbituvati de quannu su nati, pocca!". Per la serie (aderente al concetto dei RAO così cari al mio amico Giuliano Mariotti): "Se questa è una priorità (legata all'accertamento della sussistenza del binomio clinico "importanza + urgenza"), la devo garantire subito!", orribilmente (tra)sfigurata in "Se questa cosa l'ho fatta fare subito, vuol dire che, se anche non lo era, adesso è diventata (per MIO decreto!) una priorità!", che si coniuga anche come: "Quella persona possiede eccezionali capacità ed una straordinaria abilità di governance e perciò è giusto averlo messo a fare il manager", mirabilmente manipolata e trasformata, attraverso l'adozione del principio legato ad una sofistica proprietà transitiva, in: "Se sono stato scelto fra tanti per fare il manager, vuol dire che, senza ombra di dubbio, sono dotato di eccezionali capacità e abilità"... Ma per nostra fortuna (e grazie a Dio), queste cose avvengono solo nelle remote terre di Papua Nuova Guinea... 85

86 Confabulazioni estive Una cosa è fare il sindaco, un'altra il presidente Una cosa è saper manovrare dal basso un aquilone, un'altra è pilotare dalla cabina un Airbus A 380; una cosa è saper manovrare gli scambi del trenino elettrico, un'altra pianificare gli orari di una rete ferroviaria reale... In altre parole, una cosa è saper fare lo sceriffo a Bari o a Firenze, un'altra saper ben governare la Puglia o l'italia (... e ricordarsi di rispettare sempre la volontà popolare...). La salute non è un bene monetizzabile Perdere la salute per errore medico non potrà mai essere rimborsato con una equivalente (?) somma in denaro, per quanto cospicua essa possa essere. Allo stesso modo, in un Paese che si consideri evoluto, vedere il pagamento di salatissime parcelle ad un "luminare" della medicina per un consulto o per una prestazione medica (a meno che non si tratti di medicina o chirurgia estetica) mi ha allontanato dalla disciplina che scelsi convinto. PS: fiero di non aver preso mai nemmeno un centesimo da un paziente in 40 anni di carriera, invito tutti ad evitare le cliniche private (che hanno livelli di rischio clinico molto più elevati rispetto ai servizi pubblici), ma, soprattutto, invito molto caldamente il Governo (nazionale e regionale) ad evitare di sostenere economicamente il sistema privato. Declinazione cromatico-clinica delle fasi lunari Luna bianca: fase anemica. Luna gialla: fase itterica. Luna rossa: fase pletorica (e con il mal di mare). Luna nera: fase di iracondia pantoclastica. Luna verde: fase di colica biliare. Luna blu: fase cianotico-asfittica.... Altro che romanticherie!... Pensierino del mattino Vedere su SKY programmi demenziali dove nutriti gruppi di stupidi americani (di quelli a stelle e strisce) spendono una montagna di dollari per acquistare sofisticatissimi congegni elettronici per la ricerca dei mostri delle montagne o addirittura dell'abominevole uomo delle nevi nelle foreste degli Appalachi ci fa comprendere come costoro abbiano potuto pensare di portare la pace del mondo (... e il petrolio in patria) attraverso plurime preventive (!) aggressioni belliche in tutte le lande del pianeta. La crisi profonda del meridione Non ricordo i dati esatti, ma nel corso del 2014 a Uggiano La Chiesa credo siano nati 14 o 15 bambini (compreso il mio fantastico nipotino), a fronte di 45 o 50 decessi. Abbiamo ormai da tempo abbandonato la fatale "crescita 0" e siamo transitati in una terribile, nefasta (ed apparentemente inarrestabile) fase di crescita negativa della popolazione; in altri termini, fra una ventina d'anni ciascuno di questi bimbi, ammesso che riescano tutti a trovare una proficua occupazione, dovrà provvedere a "mantenere" almeno 4 anziani e questa è una cosa davvero terribile. Mi meraviglia il fatto che si continui a parlare tanto delle famiglie gay (cosa che, sia chiaro, in linea di principio non mi sconvolge) e poco o nulla, invece, del drammatico calo delle nascite, per il quale il palliativo degli 80 al mese per ogni nuovo nato è una cosa assolutamente ridicola! A mio avviso, è necessario attivare una politica della famiglia rivoluzionaria, con una formula premiante che preveda (in relazione al reddito) un sussidio erogato in progressione algebrica, se non geometrica ( 86

87 2.500,00 per il primogenito, 5.000,00 per il secondo nato, dal terzo in poi). Il costo del progetto è da ritenere assolutamente sostenibile con opportuni (piccoli) tagli al costo della politica; infatti, considerato che nel 2014 in Italia sono state registrate circa nascite e che è necessario portarle ad almeno all'anno, con una stima attendibile di primogeniti, secondogeniti e di figli successivi (ed ammettendo che fossero tutti figli di famiglie con reddito basso o comunque all'interno del livello di soglia fissato), la spesa annuale per lo Stato italiano sarebbe pari a ( x 2.500) + ( x 5.000) + ( x ) = Una spesa statale che potremmo definire davvero "santa e benedetta", un vero e proprio benefico investimento sociale: è necessario capire, infatti, che la crisi demografica è legata a filo doppio con la crisi economica, al punto che ci si pone la sofistica ed, in fondo, sterile ed inutile domanda se sia nato prima l'uovo o la gallina (intesi come - a vostra scelta - calo demografico e crisi economica); in realtà, se davvero vogliamo risollevare il PIL (e limitare il rischio di una fatale III Guerra Mondiale), abbiamo il dovere di creare le condizioni per generare più bambini (e di tutelare la crescita sana ed equilibrata di quelli che nascono), ma, finché ci sarà una classe di politici stupidi che hanno il culto narcisistico della propria persona oppure che inneggiano alle ruspe (pensando che il rimpatrio degli extracomunitari possa realizzarsi con l'annegamento in un mare o con lo schianto al suolo del "clandestino" nascosto nel carrello dell'aereo), oppure, ancora, che diffondono, con una facies da mefistofelico pifferaio magico (o da gufo intristito assai), il profetico, messianico annuncio dell'imminente avvento di un mondo migliore (il mondo di Gaia), tale da trasformare l'intera umanità in un esercito di cloni di tante Alice (femmine) e di tanti Alici (maschi) delle meraviglie, la cosa si fa, francamente, molto, ma molto difficile. Autoironia (in omnia specula speculorum) - Specchio, mio specchio cortese, chi è il più sfigato in questo paese? - Caro il mio stupidotto bello, sei fino a ieri eri tu, oggi - puoi starne certo - lo sei ancora di più! Proverbio salentino Quando non si ha il coraggio di dire la verità (o la si dice solo in parte), allora si usa con grande destrezza e abilità (a volte anche senza dolo) la finzione, con il risultato però che, a forza di fingere, ci si convince che quello che si è detto è vero, fino a diventare una becera macchina infernale in grado di trasformare in realtà virtuale qualsiasi istinto, desiderio o proiezione dell'animo (Anonimo Salentino). Politici da esaltare (e da prendere ad esempio) Caro José Mujica, visto che ormai sei un "ex" come Presidente dell'uruguay, perché non te ne vieni a fare il Presidente del Consiglio in Italia, dove siamo davvero pieni di tanti, tantissimi... "guay"? Vogliamo Lucia Borsellino Presidente della Regione Sicilia Penso di interpretare il pensiero di milioni di cittadini italiani nel proporre la candidatura di Lucia Borsellino alla Presidenza della Regione Sicilia. Per tutti coloro che vogliono un vero simbolo dell'antimafia in una Regione-simbolo; per tutti coloro che vogliono una persona che - al di fuori di ogni ragionevole dubbio - agisca davvero contro il malaffare; per tutti coloro che credono ancora nell'etica della politica, non c'è che una sola, unica, reale, concreta possibilità: la candidatura di Lucia Borsellino alla Presidenza della Regione Sicilia! Lo vogliono i parenti dei tanti martiri delle forze dell'ordine, del giornalismo, della politica e della magistratura trucidati dalla mafia; lo vuole il nostro degno Presidente della Repubblica (in nome del fratello Piersanti); lo vogliono (e mi scuso se parto dagli anni '80 e 87

88 se cito solo una minima parte delle vittime) i parenti di Giulio Costa, di Pio La Torre, di Rocco Chinnici, di Giuseppe Fava, di Mauro Rostagno, di Antonino Scopelliti, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino; lo vogliono le migliaia di "anonimi" cittadini segnati dal lutto nelle loro famiglie per colpa dalla spietata crudeltà della mafia; lo vuole il mio caro amico Brizio Montinaro, fratello di Antonio, capo scorta di Falcone, massacrato nella strage di Capaci... E dovresti volerlo anche tu, caro il mio presidente Crocetta, se davvero vuoi fare qualcosa (che finora non sei riuscito ad esprimere) contro la mafia; infatti, indipendentemente dal fatto se il tuo amico, il chirurgo estetico Tutino (e ricordo che la chirurgia estetica non a caso è esclusa dai Livelli Essenziali di Assistenza, perché trattasi di un "valore" formale e non sostanziale, per la salute umana), abbia proferito o meno quella abominevole frase di cui si parla, sarebbe tuo preciso dovere, dopo aver di gran lunga peggiorato la situazione economica, sanitaria e sociale della Sicilia, farti da parte e metterti (finalmente e senza indugi) al fianco dell'unica rappresentante della tua giunta, che ha dato l'anima per cambiare le cose. PS: prego tutti gli amici di Facebook di condividere e di diffondere questo mio post, con effetto moltiplicatore, per una progressione geometrica del messaggio, che deve arrivare forte e chiaro, perché, finalmente, dopo alcuni recenti, sconfortanti episodi di disprezzo e di spregio della volontà popolare, si affermi il principio della democrazia che parte dal basso e che non venga imposta, come sempre, dall'alto, dai poteri forti o da personalità narcisistiche. Il formaggio di latte in polvere e la lezione della Norvegia La Norvegia è uno dei pochi paesi europei, a parte, ovviamente, la Russia (che altrimenti sarebbe affetta dalla Sindrome di Stoccolma) e dalla Svizzera (patria delle oscure alchimie bancarie), che ha sempre rifiutato di far parte dell'unione Europea. L'adesione alla UE comporterebbe infatti un danno enorme per le principali industrie del Paese (la pesca e l agricoltura) e un indebolimento dello stato sociale... E noi, invece, pavidi sudditi della diarchia (odio le diarchie, sin da Sparta e per finire dalle stelle alle - vuote - stalle, tanto il latte non serve, per il formaggio), che governa l'unione (?) Europea, ci facciamo passare addosso l'eccidio degli ulivi e la libera circolazione di pseudo-formaggi derivati da derivati di derivati di derivati (forse) del latte. A quando la Carta Costituzionale dell'unione Europea? L'Unione Europea è una mera unione monetaria (costruita ad hoc solo per moltiplicare il valore del Marco tedesco), contratta tra tanti Stati sovrani a "peso specifico" (politico ed economico) assai differente, il cui comune denominatore (corollario) politico è dato dalla (negativa e frustrante) appartenenza alla NATO. In altri termini, siamo di fronte ad una nuova macrocolonia degli USA (sulla cui bandiera potrebbe e dovrebbe perciò aumentare di molto il numero delle strisce), rispetto alla quale godono di una certa autonomia solo il Regno Unito, la Germania e la Francia. E allora, si potrà parlare di vera ed autentica Unione Europea (cosiddetta "Europa dei Popoli") solo quando si avrà il coraggio di uscire dal giogo della NATO, di livellare il "peso specifico" (politico ed economico) di tutti i suoi componenti in una sorta di Stati Federati (invece di mantenersi passivi di fronte allo schiacciante predominio dei Galli e dei Sassoni) e, soprattutto, quando si darà vita ad una comune Carta Costituzionale, che rappresenterà la mission e la vision di quella che, allo stato attuale, è solo un vero e proprio scarabocchio istituzionale, un coacervo politico, una malsana e mefitica palude, entro la quale i membri più deboli sono destinati ad affogare (vedi la povera Grecia); a questo punto, vista anche l eccelsa qualità dei tuoi governanti, permettimi un piccolo consiglio: Cerca di fornirti anche tu di un buon salvagente, mia cara, bella e dolce Italia!. 88

89 Il record mondiale della rottura di coglioni (a Poggiardo) Ieri mattina, 12 agosto 2015, alle ore 11,00 circa, tentavo di immettermi sulla tangenziale di Poggiardo, in direzione Castro, provenendo da Specchia Gallone. Riuscivo ad eseguire l'operazione (e non senza rischi) dopo 7 (ripeto, sette) lunghissimi minuti. Allora mi domando e dico: a meno che non sussista un vincolo archeologico (messapico o jurassico), per quale arcano motivo l'amministrazione Comunale di Poggiardo, dopo aver fatto decine di rotatorie (alcune delle quale assolutamente inutili, a parziale ristoro di quel mostruoso insediamento inquinante, costruito a ridosso della pineta ed i cui miasmi sono stati fatti colpevolmente subire ai polmoni ed agli organi interni dei propri concittadini) non si decide a realizzarne una in un sito storicamente sede di decine di incidenti anche gravi? Ai postumi (disse l'ubriaco) l'ardua sentenza. Vergogna, Grillo! Vergogna! La naturale simpatia che nutro nei confronti dei simpatizzanti del M5S è totalmente cancellata dalle immonde schifezze portate avanti da Grillo ed, ancor più, dal suo sodale Casaleggio, che ha "promesso" ai suoi proseliti una imminente società nuova, con una umanità ridotta a meno di un miliardo di persone... Gli chiedo: per gli altri 6 miliardi, che morte ha previsto? Una guerra atomica, chimica, batteriologica o cosa? Ad un paio di bifolchi (taluni cosiddetti politici che lo avevano preteso) Ecco che Papa Francesco ha richiesto che ogni parrocchia si faccia carico di almeno una famiglia di profughi. Non si tratta di perfidi clandestini, come li chiamate voi, ma di poveri esseri umani, miei cari amici bifolchi, di bimbi che devono riacquistare il sorriso, di genitori che vogliono solo vivere in pace... E se i profughi non sono di pelle bianca come i siriani, ma neri, come quelli, assai sfortunati, che vivono nel Corno d'africa o nell'africa Sub-Sahariana, sappiate in modo chiaro ed inequivocabile che sono esseri umani anche costoro, anche se, certamente, con la possibile presenza di un 5-10% di "inquinanti", fatto questo che però che non deve e non può permettervi di ribaltare l'amara, tragica realtà... Una preghiera per tutti i bimbi vittime della guerra Ho osservato più volte, sgomento, la terribile foto del cadavere del piccolo Aylan disteso sulla spiaggia di Bodrum e mi è sorta spontanea una preghiera: Miei piccoli cari fratellini siriani, Aylan e Galip, piccoli dolcissimi angeli, sono certo che Dio vi renderà, lassù nel Cielo, tutta la naturale gioia della fanciullezza che la follia e la perfidia umana ha negato a voi (come purtroppo è accaduto e continua ad accadere a tanti altri bimbi di tutte le parti del mondo, in Asia, in America, in Africa e persino in Europa, leggi Bosnia ed Ucraina), spegnendo per sempre, in modo atroce e disumano, il vostro innocente sorriso e la vostra tenera esistenza. Sillogismi e sofismi sui giovani del XXI secolo (in occasione delle morti in discoteca e dello sfogo degli adulti ): non solo sfigati, pure coglioni! Chi non ha mai peccato, scagli la prima pietra; chi non si è mai preso, da giovane, una sbornia memorabile, chiami pure coglione chi ci è cascato. Ricordo una serata di tanti anni fa, a Badisco, durante la quale un attuale grande manager, di straordinarie e riconosciute capacità, prese una ciucca colossale, l'unica della sua vita. Avremmo dovuto definire quel tale, che è un'autorità di chiara fama internazionale e che, tra l'altro, è pure un mio grande amico (attualmente infortunato: rimettiti presto, Pippi!), un coglione? Mah, fate voi! Bene, con un volo pindarico plano sui comportamenti umani e sui relativi costi per la sanità e per la società. Qualcosa conosco sul COI (Cost of Illness) e qualcosa ho persino pubblicato a livello nazionale. Mi chiedete cosa sia il COI? E' il calcolo analitico dei costi 89

90 medi sostenuti dalla società a causa di una specifica malattia; nell'analisi sono presi in considerazione sia i costi diretti (strettamente sanitari) che le perdite di produttività, adottando così anche il punto di vista della società e non solo quello del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Ed è notorio che le patologie croniche hanno un costo (sanitario e sociale) di gran lunga superiore rispetto ad un evento acuto, che assorbe risorse in modo quasi del tutto inapparente, se non irrisorio. Ma andiamo a vedere: Esempio numero 1. Lo vedete quel tale che sta per fumare la cinquantesima delle sue ottanta sigarette giornaliere? Lo sentite il suo respiro affannoso? Lo sapete che quel tale sta galoppando verso la BPCO e, forse, verso il carcinoma polmonare (e che costerà centinaia di migliaia di al SSN ed alla società)?... Coglione pure lui! Esempio numero 2. Lo vedete quell'altro tizio, dal fisico bello rotondetto che, dopo "essersi scofanato" (leggi: aver divorato) una enorme guantiera di pasticciotti (straordinario dolce tipico del Salento), monta sulla sua auto per andare a sorbire il caffè al bar (distante meno di 50 metri da casa sua)? Lo sapete che si è avviato sulla buona strada per la sindrome metabolica e per il diabete (e che costerà, come il primo, centinaia di migliaia di al SSN ed alla società)?... Coglione, ovviamente, anche lui! Esempio numero 3. Lo vedete, infine, quel bel tipo che ogni giorno lavorativo pranza e cena al McDonald's, infarcendo i suoi untuosissimi sandwich con misteriose, coloratissime salsine di ignota composizione? Lo sapete che il calibro delle sue arterie si è ridotto a tal punto che ci passa appena un ago (e che costerà, pure lui, centinaia di migliaia di al SSN ed alla società)?... Coglione pure lui, cazzo!... Faccio un altro volo pindarico e con la memoria ritorno a quella orribile notte di Natale, durante la quale in un tragico incidente stradale persero la vita tre giovani uggianesi: Armando, Antonio, Alberto. Tre ragazzi educati, positivi, esemplari. Chi fu testimone delle loro ultime ore giura sul loro stato di sobrietà: forse un colpo di sonno, forse un eccesso di confidenza con la velocità. Chi può dirlo?... Ma tutti a pensare alla sbronza, all'alcol, magari alla droga... L'ultimo volo pindarico mi riporta ai giorni nostri, ad uno dei primi sermoni dell'anno da parte di don Enzo Vergine: "Nell'anno 2014 i nuovi nati in anagrafe a Uggiano sono stati 15; i morti, 45" e subito la deformazione professionale mi porta a pensare che fra una ventina d'anni, per bene che gli vada, ad ognuno di quei quindici nati del 2014 (compreso il mio nipotino) toccherà farsi il mazzo a lavorare per mantenere, oltre alla propria famiglia, almeno 3 anziani... Ed allora tutti i discorsi sul "glorioso" ragionamento degno del miglior Zenone di Elea, che ci conduce inevitabilmente al risultato di una equivalenza "giovane = coglione", mutuata sulla falsariga dei principi esposti del miglior Solone o del "Delenda Carthago" di Marco Porcio Catone, dovrebbero lasciare il posto ad un grande incitamento a questi nostri giovani, per evitare che, oltre ad essere obbiettivamente sfigati (per lo stato di perdurante crisi socio-economica mondiale) vengano ad essere definiti, pure, paradossalmente, dei grandi coglioni... La zanzara che si credeva un'aquila La minuscola zanzara della palude aveva sempre desiderato di diventare una splendida aquila imperiale e cominciò ad ipernutrirsi, per assumere le dimensioni del grande rapace, ma riuscì solo a rendere ipertrofici il suo ventre (fino a diventare obesa) e la sua stupidità; un giorno, però, si accorse che, al suo cospetto, tutti gli animali si allontanavano in gran fretta impauriti, se non assolutamente terrorizzati. Questo fatto la inorgoglì oltremisura e la convinse di essere diventata davvero quella magnifica, maestosa aquila imperiale che aveva sognato di essere; da quel giorno, quindi, si impelagò in raid sempre più arditi, 90

91 sempre più rischiosi. Ma pur sempre una zanzara era e così i suoi grandi sogni di gloria (e la sua stessa vita), si infransero, sul finir dell'estate, miseramente schiacciati da una insulsa schiacciamosche di plastica... Sergio Blasi, un uomo con le palle Sergio Blasi è un Consigliere Regionale della Puglia, attualmente al suo secondo mandato, primo assoluto degli eletti in puglia, in entrambe le consultazioni. Molti lo conoscono come il padre della Notte della Taranta, ma tantissimi sono i meriti politici (fatto molto strano, per i politici moderni) su tematiche di tutela ambientale, di promozione culturale e di politiche sociali, esercitate anche nel comportamento quotidiano nell esercizio del suo mandato politico; a titolo d esempio, un articolo di Repubblica.it del 3 aprile 2015 riporta la sua rinuncia al vitalizio, così commentata: Regione Puglia, consigliere Pd rinuncia a vitalizio: "È ingiusto: un privilegio che non meritiamo". Addio a al mese. L'ex segretario pugliese del Pd Sergio Blasi comunica per iscritto la sua rinuncia al vitalizio, caso unico nella storia politica della regione Puglia. Purtroppo, alla grande considerazione nell opinione pubblica, non sempre ha fatti seguito il riconoscimento dei suoi meriti in ambito istituzionale, comprese anche le tante assurde critiche per la straordinaria Notte della Taranta, al punto che il 15 settembre 2015 (alle ore 14,21), Sergio ha postato su Facebook questo amaro messaggio: Fondazione la Notte della Taranta: io mi fermo qui Il 30 novembre del 2013 ho preso l aereo, come sempre a mie spese, per raggiungere Palma de Maiorca. Lì ho incontrato l entourage di Brian Eno per parlare dell edizione 2015 della Notte della Taranta. Raccontando quello che abbiamo realizzato a Melpignano e nei comuni della Grecìa a partire dal Ho visto gli occhi dei miei interlocutori accendersi di interesse. Quell incontro è stato proficuo. Grazie a quell incontro ho conosciuto Phil Manzanera, il quale ha accettato la proposta di trascorrere parte del proprio tempo nel Salento, prima per conoscere l orchestra, poi per impostare il progetto artistico che tante persone hanno potuto godersi lo scorso 22 agosto. Dall entusiasmo di Phil, un entusiasmo autentico, intriso di voglia di conoscere e di mettersi alla prova, è nato il coinvolgimento di Paul Simonon, Tony Allen, Anna Phoebe, Ligabue. Uno straordinario supergruppo che ha regalato momenti di eccezionale qualità al Concertone, interpretando, come sempre, i brani della nostra tradizione musicale. Questo è stato il mio ultimo contributo alla Fondazione La Notte della Taranta, di cui ho lasciato il Consiglio di Amministrazione. Fin dall inizio la Notte della Taranta ha assunto un carattere di forte impatto economico e turistico oltre che culturale. In questi diciotto anni, in un crescendo che ha avuto come apice la nascita della Fondazione, è diventata un punto di riferimento a livello mondiale sulle modalità con cui il patrimonio culturale immateriale può diventare leva di sviluppo per un territorio. Abbiamo dimostrato con i fatti che la cultura e l incontro tra culture musicali a volte diversissime tra loro possono diventare crescita economica e contribuire a garantire un futuro migliore a questa terra. Considero questo risultato uno dei più importanti raggiunti nella mia vita pubblica. Per questo lasciare la Fondazione, come potete immaginare, è una decisione sofferta, lungamente meditata, ma che arriva all esito di anni nei quali ho sollecitato un dibattito sul ruolo e la funzione di questo Festival per il Salento e la Puglia. Un dibattito che però gli attuali vertici non hanno mai ritenuto di cominciare, concentrandosi esclusivamente sull evento. Allora voglio gettare una pietra nello stagno, suggerendo una riflessione che riguarda non ciò che accade sul palcoscenico, la parte visibile, ma quello che accade dietro al palco, nel 91

92 sempre più politicamente affollato backstage, nelle decisioni sull organizzazione e la gestione dell evento, che sempre meno vengono assunte in maniera collegiale, e sempre più invece in solitaria, da un vertice autoreferenziale. Il rischio concreto che intravedo, e che mi convince della necessità di un passo indietro, è che questo progetto possa essere sminuito nelle sue ambizioni alte, smettendo di esistere al servizio del recupero e la diffusione della musica e della cultura tradizionale salentina per servire più misere ambizioni. Porto un esempio, semplice ma eclatante: quest anno ricorrevano i cinquant anni della scomparsa di Ernesto De Martino. Non si è ritenuto di organizzare non dico un convegno ma neanche un ricordo. Non ho ascoltato una citazione in nemmeno una delle innumerevoli interviste ai vertici della Fondazione. Lo spettacolo e la necessità di lanciare numeri come fuochi d artificio hanno avuto la meglio su tutto, in una ansia da prestazione che non ha nulla a che vedere con la missione della Fondazione. Per quanto mi riguarda, dunque, mi fermo qui. Ringraziando quanti, in particolare i musicisti, fin dal 1998, hanno contribuito a realizzare questo sogno, che è il sogno di tutti i Sud: mostrare con orgoglio ciò che lungamente è stato considerato qualcosa di cui vergognarsi perché, fino a non molti anni fa, erano percepiti come vergogna il passato contadino, i dialetti, la cultura orale e scoprire invece di possedere un tesoro, da mettere a frutto per il bene di tutti. Esprimo un unico rammarico: non essere riuscito a fare della Fondazione ciò che avevo immaginato. Non solo il luogo dove si organizza il Festival ma una vera e propria scuola in cui giovani ricercatori, studiosi, appassionati, approfondiscono e ricercano, scavando nella nostra cultura immateriale, nel folklore (il sapere del popolo ) del Salento, della Puglia, dei tanti Sud del mondo, del Mediterraneo. Purtroppo non tutti i sogni diventano realtà, anche quelli che, dopo diciotto anni, pensavo fossero a portata di mano. 92

93 U babbarabbà (Il babbarabbà) L abitante di Uggiano La Chiesa: sempre generoso, assai spesso narcisista, talvolta persino geniale, ma tanto, tanto credulone. In sintesi: un asino arpista! Arretu allu scjardinu di Babbarabbài arunca puntu scusu nu ba cuardi mai (ca nun bo te minti certu a menzu i cuai) nc ede na beddra (de veru, propiu beddra) signurina vistuta tuttu puntu cu na licante villutina: è fiju de nu re ci l ha nduvina! Cerca te spicci e cu rispunni moi, ca (sorte mia) ede ncora uttiscjiana, maniscjate nduvinala, sta cazzu de maranciana! Dietro al giardino dei Babbarabbà Dove spazio nascosto Non vai a guardare mai (Che non vuoi certo metterti nei guai) C è una bella (Davvero tanto bella) signorina Vestita tutto punto d un elegante pettorina: Sarà figlio di un re chi la indovina Cerca di sbrigarti e di rispondere, presto, Che non ci vuole (e dai!) una settimana. Sbrigati ad indovinarla, forza, sii lesto, Questa benedetta melanzana! Aloisius, babbarabbaus recentior 93

94 Il gufo e la gattina C era una volta una gattina. Una gattina mora. Il suo nome era Maria Luisa. Era fiera, la piccolina, di avere un nome da donna. Di un grande personaggio del passato, il cui nome era rimasto impresso nelle pagine dei libri di storia. Viveva felice, la micetta, sgambettando per i prati, lungo gli alberi di noce, a gareggiare festosa con le lucertoline sui muri a secco della campagna di Pietrasanta. Un bel giorno, dopo il tramonto, Maria Luisa conobbe un gufo, un vecchio allocco triste, con gli occhioni grossi grossi e tondi tondi. Lo vide vagare, il capoccione reclinato, tra gli uliveti di Messer Testavuota. La piccola gli si avvicinò. Lui le sorrise. Sai, micetta? È la prima volta che qualcuno mi si avvicina. Tutti mi sfuggono. Sarà per il mio aspetto orripilante, credo. Sei proprio sicura di vederci bene, piccolina?. Ma certo che ci vedo bene. Hai un aspetto così buffo e simpatico! Perché ti meravigli? Solo, hai lo sguardo un po troppo malinconico. Perché sei così triste? Vuoi dirmelo?. Eh, piccina mia, non riesco a trovar casa. I noci e gli ulivi mi sopportano malvolentieri. Laggiù, in paese, avevo avuto la fortuna di trovare una vecchia casupola diroccata, ma i proprietari hanno deciso di ristrutturarla e mi hanno scacciato via. Sono disperato. Non so più davvero cosa fare!. La piccola sorrise e gli tese la zampina: Su, vieni con me, il tuo problema è già risolto. Dici davvero? Davvero? Non sai quanto ne sarei felice!. Guarda, guarda laggiù: la vedi quella costruzione? Quella tutta bianca, grande grande, con tutti quegli archi?. Ahimè, la mia vista non è così buona come la tua. Lascia che metta le lenti. Sono molto miope ed anche per questo la mia ricerca si fa sempre più difficile. Ma dove li ho messi, questi benedetti occhialini? Oh, eccoli qua! Sì, sì che la vedo: però, è ancora in fase di costruzione, mi pare. Sì, è vero: è una masseria. Una grande, nuovissima e bellissima masseria. Da quella parte ci abiteranno gli umani. Sull altro lato, invece, i nostri amici bovini. Quella laggiù in fondo sarà la mia casetta. In alto, la tua tana, tra le travi del soffitto. Che ne pensi?. Ma è meraviglioso, fantastico! Oh, oh! C è solo un piccolo problemino. Credi che mi ci faranno restare, i proprietari?. Ma certo che sì! Tutte le masserie e le fattorie che si rispettino devono pur averlo, il loro buon gufo: è un classico, amico mio. Non lo sapevi?. Wow! Andiamo, su: non perdiamo altro tempo. Incamminiamoci; anzi, monta in groppa. Ti ci porterò in volo! Da quel giorno, la gattina mora ed il gufo ah, a proposito: il suo nome è Ciccio, sapete? vivono sereni nella masseria. La gattina sgambetta ancora festosa tra i prati ed il vecchio Ciccio ogni sera inforca i suoi occhialini, apre il librone delle fiabe e ne racconta una alla micetta per farla addormentare dolcemente. Molte tra le fiabe, le novelle e le poesie di questo strampalato zibaldone/minestrone sono tratte proprio dal librone di Gufo Ciccio 94

95 Isabela: la maschera e il volto Mi chiamo Neil, Neil Best. Faccio il bancario a Portrush, ridente cittadina a una ventina di miglia da Belfast. Cittadella universitaria, frequentata da centinaia di studenti di tutte le razze, Portrush è uno splendido esempio di perfetta civile convivenza e non di obbligata coesistenza, badate bene! multirazziale. Il suo poetico fascino, comunque, è dovuto soprattutto al panorama creato dagli immensi spazi verdi dei prati e dall azzurro intenso dell oceano. È autunno inoltrato. Comincia a far freddo, ma qui in banca si sta bene. Sì, il mio lavoro mi piace. Strano, vero? Dicono che i bancari siano inevitabilmente e inesorabilmente destinati a una penosa vita di ansie di varie tonalità, di grigia angoscia e di depressione nera e cupa. Per me, francamente, è tutto il contrario. In questa mia piccola banca si lavora bene e si ha modo di conoscere tanta gente. Be, a dire il vero, io sono un po un orso, un tipo solitario, e non è che qui ci siano grandi possibilità di fare vere amicizie, oppure eh, magari è già successo, ma ve ne parlerò in seguito d incontrare il grande amore, la donna della vita Dicevo che si ha modo di conoscere tanta gente, in banca, ma in realtà non si tratta di vere conoscenze, ma di riconoscimenti, che comportano come risultano una sorta di conoscenze anonime, se non di vere e proprie paracusie psicogene, una percezione uditiva abnorme (timbro, altezza e intensità dei suoni); e tuttavia vi posso garantire di saper riconoscere tutti i clienti della banca dalla sola voce: mi separa dal pubblico una spessa vetrata opaca, che non mi consente di vedere nessuno in volto. Il nostro direttore ha sempre voluto che il contatto con i clienti fosse esclusivamente verbale, con la sola esclusione dei casi in cui l entità dell operazione non sia davvero molto consistente. Ciao, Neil, buongiorno!. Buongiorno, Mr. James!. Visto? Per me riconoscere un cliente è facile come bere una pinta di birra fresca (scusatemi se ho stravolto il detto, ma la birra la preferisco di gran lunga all acqua). Sì, è vero, qui in banca si ha modo di conoscere (con le limitazioni di cui sopra) tanta gente, di tutti i tipi e per tutti i gusti; ma veniamo al punto: circa un mese fa ho avuto la fortuna di conoscere una persona speciale. Una ragazza spagnola, di Altamira, una piccola località sperduta tra i monti Cantabrici, ma famosa in tutto il mondo per le sue grotte popolate da un eccezionale complesso di pitture rupestri del periodo magdaleniano (paleolitico superiore). No, non sono un esperto; fino a un mese fa non avevo mai sentito parlare di questa microscopica località della Spagna settentrionale. Tutta la mia apparente erudizione la devo solo a lei, a Isabela Isabela. In giro si fa chiamare Artemide. Chissà perché, poi! In verità, purtroppo, non ho ancora avuto la fortuna di vederla in volto, ma con quel suo tono di voce così gioviale la immagino bella e dolce e faccio fatica ad associarla all austera e feroce figura di Artemide. Il primo impatto non fu dei più sereni. Venne in banca per cambiare un assegno. Una cosa da niente, in genere; solo che l assegno era stato emesso dalla banca di Santillana del Mar; da una ignota, sconosciuta banca spagnola, capite? Ma come si fa? Cazzo, non fare lo stronzo, bancario! Io ho bisogno di quei soldi. Ne ho bisogno, lo vuoi capire o no? mi aggredì. I m so sorry, ma non ci posso far nulla, signorina. E fa qualcosa, cazzo! Vai dal direttore, telefona al consolato, ma muoviti, muoviti, cazzo!. A chiunque altro, avrei reagito molto male. A lei no. Non potevo. Mi recai dal direttore. Con Internet si risolve tutto Ebbe i suoi soldi. Mi ringraziò, scusandosi mille volte, con 95

96 quel suo delizioso accento castigliano. Ne rimasi affascinato e pensai con rammarico che non l avrei incontrata mai più. Un paio di giorni dopo, invece: Hi, bancario del mio cuore!. Hola, señorita Isabelita. Artemide, caro. Io sono Artemide, ricordalo sempre!. L operazione bancaria richiesta comportava una complessa elaborazione al computer. In verità, decisi di renderla ancora più lenta per aver modo di conoscere qualcosa in più di quella deliziosa ragazza. Mi parlo di sé, dei suoi studi universitari in materia di marketing turistico, del suo tempo libero e alla fine mi diede persino il suo numero di cell, nel caso avessi avuto piacere di continuare la conversazione Non passa giorno senza che io non la chiami e sono lunghe, lunghissime telefonate. L orario è fisso, ormai, dalle 7 alle 8 della sera. Mi rinchiudo nello studio e stacco solo dopo la decima chiamata di mia madre per il dinner. Ogni telefonata è una sorpresa. Isabela ama definirsi irrazionale, ma non lo è affatto: a mio avviso, Isabela è una ragazza davvero brillante e poliedrica come un diamante, dai mille magici riflessi. Un giorno è dolce e delicata come un fiore di campo e il giorno dopo trasgressiva e rapace come un animale selvatico. Comincio a credere che quello pseudonimo abbia il malizioso ruolo di maschera occasionale: Isabela è il suo vero volto, quello di una fanciulla dolce e delicata; Artemide, la sua maschera, donna trasgressiva e selvaggia. Sembrerebbe un ennesimo, tipico esempio di sdoppiamento di personalità, di quel manicheismo che gli esseri umani si portano dietro da sempre; ma in questo caso non è così, sarebbe un analisi troppo semplicistica, quasi dozzinale. Non è da me ed infatti il mio direttore mi ripete sempre che sono un fine conoscitore della psiche umana. Proviamo allora a tracciare seriamente il profilo psicologico di questa straordinaria ragazza. Bene! Allora, cominciamo col dire che Isabela è una persona straordinaria: questo lo so, lo sento, lo percepisco a pelle. Passiamo ad approfondire con calma il concetto: Isabela è la manifestazione vivente dell amore cosmico, universale, onirico, metafisico, una moderna Didone, se non proprio una novella Saffo (nell alto significato storico e letterario del termine e non già nella sua volgare accezione da strada ). Artemide, invece, è il suo corrispondente opposto pitagorico: una corifea dell amore fisico e carnale, pervaso di passionalità, di sensualità e di contatto corporeo. Una figura a metà strada tra Cleopatra e Messalina. Nella realtà quotidiana, le due metà si fondono in un unica persona alla continua ma finora vana ricerca di emozioni sublimi. Le sue pose estetizzanti, che i benpensanti non esiterebbero a giudicare volgari o morbose, la inquadrano perfettamente in questa sua dimensione eterea. Più che una seduttrice o una vorace cacciatrice di uomini, dovrebbe essere definita, al contrario, una sorta di simbolo di quei modelli comportamentali ai quali la nuova generazione tende, nel suo sterile desiderio di fusione tra sogno e realtà. Un modello di vita che si propone come codice di norme ideali di comportamento suscitate da una particolare concezione filosofica e che invade anche e soprattutto inevitabilmente, direi il campo dell amore. Isabela percepisce l amore come uno stato di perenne innamoramento, la cui suprema espressione carnale è il bacio, unico momento in cui le due nature, maschile e femminile, non cercano di sopraffarsi l un l altra. La bella fanciulla di Altamira mi ha ripetuto tante e tante volte che adora baciare ed essere baciata. Il suo è un ideale di amore platonico, sebbene l intento erotico e seducente emerga molto chiaramente, ma si tratta, a mio avviso, di un erotismo e di una sensualità prettamente cerebrali, in una persona che, in realtà, ha 96

97 paura dell amore con la A maiuscola. Quando le ho detto come la pensavo in merito, all inizio si è ribellata, ma poi anche lei ha dovuto riconoscere che le cose stanno davvero così. Artemide è molto più esplicita. Mi parla degli atti amorosi con grande trasporto e passione e si rammarica di non aver ancora mai conosciuto il piacere di un orgasmo vaginale, né un uomo in grado di tenerle testa a letto. Ascoltare queste sue vicende boccaccesche non m imbarazza, né sono portato a modificare il mio giudizio, che rimane, nei suoi confronti, straordinariamente positivo. Se queste sue frasi forti fossero pronunciate da una persona qualsiasi, ma di sesso maschile, a nessuno verrebbe in mente di trovarci dei contenuti pornografici. Ma lei è una donna, cazzo!. E allora? Che cambia? Ma che viviamo ancora in una società fallocratica? Smettiamola, una buona volta! La donna vive le proprie emozioni esattamente come l uomo. No, mi correggo, le vive in modo molto più intenso: non a caso la donna e la fisicità sessuale sono entità inscindibili Andiamo avanti. Artemide mi ha parlato anche di alcune sue abitudini comportamentali non allineate. Vediamo di analizzarne i contenuti, le cause e le motivazioni. Le sigarette, l alcool e qualche canna sparata in casa o al pub, mi svelano la sua voglia (e la sua ansia) di dimenticare in fretta le non-esperienze della sua adolescenza negata. L abbigliamento casual, così come l arredamento irrituale, lo definirei quasi punk, della sua cameretta, le consentono di aggirare il pregiudizio sessista, di proteggersi dagli sguardi ammiccanti e torbidi della massa. Il prezzo che Artemide addebita sul conto di Isabela è l androginia, che spesso rivela le contraddizioni in cui si dibatte, al punto da evitare spesso di ascoltare la ragione, lasciandosi guidare da repentini moti d animo, partoriti da improvvise fratture e si tratta quasi sempre di fratture esposte della coscienza e del pensiero. Il ricordo di sé fanciulla e preadolescente le riporta alla memoria esperienze assai dolorose: tutte le sue coetanee a passeggiare per il parco, corteggiate da frotte di ragazzi sorridenti ed entusiasti e lei, al contrario, travolta dal mesto e sommesso vociare degli insignificanti commensali delle rituali, lussuose, ma sempre vuote cene del fine settimana. In realtà, a soli quindici anni, Isabela si sentiva già vecchia, una non-persona, un oggetto dal fine (e dalla fine) già segnati, pianificati, programmati. A quel punto, la dolce fanciulla si ribellò ed era tempo! all autorità genitoriale e decise di andare a vivere in tutta pienezza il resto della sua adolescenza, buttando a mare l inutile, opprimente e deprimente fardello dell ideale di vita borghese. Voleva, poteva (e doveva) colmare quel suo enorme vuoto affettivo. La sua vita cambiò radicalmente; in meglio, of course. La voglia di recuperare il tempo perduto l ha indotta spesso in atteggiamenti manifestamente trasgressivi, utilizzati però solo come strumento di protezione e di difesa. Ama sostare in mezzo alla gente comune, per non sentirsi sola. Rifugge il modello di vita borghese, perché lo giudica responsabile delle tante sofferenze giovanili. Vuole sentirsi viva, vera, solare! A volte, il triste passato ritorna sotto le spoglie d un orribile cartomante, che le appare in sogno, dicendole, con un ghigno malvagio disegnato sul volto: Il tuo destino è di essere solitaria, poiché tale è la tua anima. Sì, tu sei sola, sola, sola, sola! Come potrai diffondere la tua parola? Perché tu non riesci ad aprire nemmeno per un istante l uscio della tua anima, e non la mostri così com è a nessuno. Resterai sola per tutta la vita, Isabela!. Che incubo, povera piccola! Isabela è una persona meravigliosa, una creatura in perenne lotta con se stessa e con il suo ambiente per un futuro migliore, per una vita vera, a misura di donna. In un certo senso, però, è stata anche fortunata, sapete? Strano, ma vero perché, se fosse rimasta impigliata più a lungo nelle reti dorate dei rigidi canoni della vita borghese, a questo punto altro non 97

98 sarebbe che un fossile, un essere inanimato, un fossile di ammonite o una pittura rupestre come quelle delle grotte della sua Altamira. Oggi, al contrario (e per fortuna), dopo aver tanto lottato, è riuscita ad essere una persona viva e vera, sebbene ancora alla ricerca degli strumenti giusti per far prevalere, finalmente e definitivamente, il divenire sulla staticità, le verità sulle illusioni, l affettività sull ipocrisia e sul perbenismo di facciata E tuttavia, in questa nostra epoca dominata dal consumismo e dal conformismo, deve ancora lottare e stringere forte i denti per far trionfare i suoi ideali. La felicità non può essere comprata su ordinazione come se si trattasse di un abito di una lussuosa boutique Parigi. Isabela sta lottando duramente per il suo presente e per il suo avvenire, ma nello stesso tempo riesce a dare agli altri sempre qualcosa di sé: è una ragazza buona e generosa. Un cuore caldo in un animo ribelle e selvaggio: il risvolto della maschera replica sempre, in fondo, la forma del volto che copre Ieri sera le ho detto però che quando sentirà suonare le campane, dovrà fermarsi ad ascoltarle. Non può e non deve avere paura dell amore vero. Non può fare come quel tale che, in una giornata di pioggia, fermò l auto sul ciglio della stradina di campagna, scese a raccogliere un pugno di fango molliccio e lo strinse nelle mani, per osservare come ne venisse fuori, scivolando via tra le dita. In realtà, quel tale sono io: le telefono da un mese, ne sono innamorato e non le ancora chiesto di uscire insieme. Ma di quali campane sto parlando, cazzo? Sono proprio una bestia!... Venerdì mattina, ultimo giorno di lavoro della settimana e c è subito, sin dall apertura, qualcuno che mi cerca allo sportello. Hi, bancario del mio cuore!. Ehi, piccola, che sorpresa! Finito di nuovo i soldi?. No, piccolo mio, visto che non ti decidevi, ho deciso di farlo io, il primo passo. Allora, Neil, che ne dici di andare al cinema insieme, stasera? 98

99 Vita da single (Judith Host) Il mio reggiseno come la marsina stretta di un racconto di Pirandello, come i tre sorsi di whisky che ho appena trangugiato e che mi fanno star meglio, mi fanno vincere il timore del foglio bianco. Sono uscita per non pensare a nulla. La solitudine è il frigo vuoto: andare al supermercato e comprare petti di pollo cotti sulla padella con un po di sale. La solitudine è non avere nessuno con cui parlare. La solitudine è uscire per non pensare. Andare, andare, per non pensare di essere soli, lavorare senza sosta, senza avere una vita propria. Frequentare luoghi non-luoghi vuoti e pieni di persone che si sfiorano gomito a gomito e non sanno chi sono, né si scambieranno mai una parola. Strade, piazze, stazioni, fermate di autobus, parcheggi, aeroporti. Non-luoghi ricolmi di gente che non c è. Un bar in cui si ride e si scherza e si parla del vuoto della pubblicità. Ballo: voglio lasciarmi trasportare dal ritmo frenetico, almeno quello, almeno il ballo che mi fa sfogare. No, nemmeno. Ci sono quelle ragazze che dieci anni fa invidiavo perché erano libere e io no: essere libera significava uscire quando mi pareva, andare dove mi pareva e frequentare le discoteche per poi scopare nei bagni ed io sapevo di non esserne capace. Oggi le vedo e mi sembrano così volgari. Eppure io sono sola, sola! E loro no e anche se lo fossero non soffrirebbero così come me. Spero che l effetto dell alcol duri ancora un po. Gente ammassata, carne allo sbaraglio, in vista, da mangiare. Gente più giovane di me: che ci faccio, io, in mezzo a costoro, carne esposta, donne brutte o volgari? Che differenza con Roma! E mi stupisco di me, abituata alle serate romane. Alla bellezza costosa. All accessibilità degli abiti, dei profumi e degli oggetti preziosi, che da lungo tempo si sono impadroniti di me, anche se non miei. Una coppia ballava vicino a me. Lei con la borsa mi toccava. Non ballava a tempo: io odio le persone che non seguono il tempo. E lei che mi urtava con la borsa: era molto meglio quando pomiciava col suo lui abbracciata, in procinto di scopare. Andate, andate, fatelo! Non lasciate passare del tempo. Non sprecatelo: è così poco! Circondata ad un tratto da uomini, uno di loro con la scusa della ressa mi sfiorava col corpo: che schifo! Mi scanso, lo scanso con il gomito, circondata da quattro uomini tutti più giovani di me. Ehi, belli, lo sapete che se non siete almeno laureati io non vi cago? E guardatevi allo specchio, prima di avvicinarvi a me. Io ho un cervello oltre che un corpo e vorrei avere solo quello, solo il cervello, per non soffrire. Lasciatemi, lasciatemi in pace, tutti! E il dolore del ricordo m assale, mi fa soffrire. Non vorrei piangere, no! Perché c è il ragazzetto che aveva provato a farmi il filo e che invece stasera s è vendicato, visto che io non ci sono mai: ha trovato la sua bella e se la spupazza in giro. Ed io che volevo divertirmi! Prendo una sigaretta, ma non ho da accendere: mi spunta da dietro le spalle un accendino acceso. Nemmeno mi volto: grazie e me ne vado. 99

100 Ballo sensuale della coppia in procinto di scopare: sono molto più belli quando sono presi dal desiderio che quando ballano fuori tempo. La borsa di lei mi urta infastidendomi e il terzo incomodo mi vede e s avvicina. Per fortuna arrivano gli altri. Gli altri miei amici: discorsi vuoti. Uno di loro, appena lasciato dalla ragazza. Vorrei parlargli, offrirgli una spalla: ne ho viste tante, io! Potrei se non altro ascoltarlo; ma è inutile. Il mio aspetto non infonde fiducia, forse perché soffro così tanto o forse perché sono bella o forse perché sono disperatamente sola. Al ritorno, il silenzio prima dell alba. Pensieri cupi mi attanagliano le ossa, le gambe, le braccia. E il mio cervello che vorrebbe non pensare, ma che non ci riesce; vorrebbe essere ubriaco come non avrebbe dovuto essere allora, allora! Vado a bere altri due sorsi: devo! Spero di addormentarmi subito e domani agire come un automa: fare, fare, per non pensare. Un unica frase: Sei bellissima: sei una bellissima donna. mi rimbomba nel cervello, mi frastorna, mi fa male, mi ferisce. Era l addio. Un orribile addio. Ho perso! 100

101 L isola felice (Judith Host) Esisteva un isola, nell oceano dei Mille Mari. Coperta di vegetazione lussureggiante, era ricca di frutti tropicali e di fiori meravigliosi. I suoi laboriosi abitanti animali convivevano pacificamente, senza il timore di predatori. Si favoleggiava di quest isola negli atlanti geografici dei secoli a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo, e si diceva anche che qualcuno ci fosse stato. Dove si trovasse di preciso e ancor oggi un mistero. Io so che è visibile dall alto d un vulcano dell Oceano Pacifico. È bellissima. Ho visto come lì sia sempre estate. Come le acque che la circondano siano sempre calme e tiepide. Come i suoi frutti siano dolci e succosi, i suoi fiori splendenti di colori meravigliosi. Come il suo esistere sia al di là del tempo e dello spazio: una luce di pietra. Io non vi dirò il suo nome, né dove si trova. Non capireste la mia lingua, perché VIVO DI NOTTE E SONO UNA FALENA. 101

102 Propusk (Judith Host) Sono nella mia stanza. Fuori ci sono almeno quindici gradi sotto zero. Ieri, all arrivo, ho riprovato il piacere della neve che scricchiola sotto i piedi. Oggi ho invece provato il dispiacere di scivolare sul ghiaccio. Però ho vinto: non sono caduta. Uno per me, zero per l inverno moscovita. Sono andata a registrare il visto d entrata. Vicino all uscita della metropolitana, circa un chilometro a piedi tra i lavori in corso. L odore pungente dello scarico dei camion che, unito al freddo, prende il naso e attanaglia la gola. La gente costretta a camminare a zigzag tra squarci fatti nel terreno da enormi martelli pneumatici (la terra è ghiacciata), camion maleodoranti e urla d operai. All entrata, il sistema dei pass. Propusk, in russo. Alla mia destra, dopo la prima porta, c è uno specchio oltre il quale è tutto invisibile; alla mia sinistra, un buttafuori. Mostro il passaporto: allo specchio da una fessura mi rilasciano un talloncino che poi dovrò restituire. Può andare, signorina!. Vado oltre. Non vedo alcun ascensore e salgo a piedi fino al quarto piano. Arrivo ansimante e sudata. Come per magia, l unica porta del pianerottolo si apre da sola. Persone gentilissime con me (strano!), mi fanno accomodare in una stanza spoglia. Aspetto circa dieci minuti. Arriva una ragazza, Julia, che ritira il mio passaporto e me lo riconsegna subito dopo già pronto. In genere ci vogliono almeno tre giorni. Ivan ieri mi ha fatto avere una stanza nel suo convitto. Tre dollari al giorno e in più sono vicina a lui. La sua ragazza aspetta un figlio e lui si sente mancare la terra sotto i piedi. Vuole finire il dottorato al più presto: non ne può più della Russia e della gente che vuole da lui solo denaro. In camera oggi ho fotografato uno scarafaggio, molto furbo e veloce, in russo lo chiamano tarakàn. Foto di scarafaggio sullo sfondo di una porta. La stanza è calda e luminosa, ma chi ci ha abitato prima doveva essere uno sporcaccione. Il linoleum incrostato di sporco e capelli dappertutto. E non poi parliamo del bagno, per carità! Oggi volevo comprare da mangiare, ma come al solito i negozi sono lontani e io non avevo la forza di cercare. Ho comprato invece la crema per le mani, un elastico per i capelli, non so quante banane. E quattro mele. Cenerò con quelle. D ora in poi, la sera me ne andrò a mangiare fuori da qualche parte. Ieri sono stata in un ristorantino niente male, dove per poco più di quattro dollari si mangia molto bene Ho ancora freddo, forse è la stanchezza. Ieri sera mi sono addormentata davanti alla tele di Ivan Il giorno prima della partenza. Apatica, al mattino ho pianto. Le tensioni degli ultimi giorni che mi si riversano addosso. Il senso d umiliazione e d offesa e l incapacità di difendermi. Nel pomeriggio, mi sono fatta forza. Leonardo mi telefona. Gli dico che non sono più come prima. Lui mi dice di no, dice che la bellezza interiore è eterna e indistruttibile. E le ingiustizie subite, le ingiurie, le cattiverie, le offese, si lavano via con un doccia. Penso che Leonardo sia una specie di medium, di guaritore. Sentiva che ero triste e mi ha salvata. Nel pomeriggio comincio a riordinare le idee. Butto nel borsone quello che mi sarebbe servito. Un numero imprecisato di mutande, calze, calzini. Tre asciugamani. I regali per i bimbi dei miei amici. Regali per i miei amici. Di mio c è poco, solo un maglione pesante e 102

103 le preziose magliette di ricambio. Cioccolatini, tanti. Borsa preparata, c è da recuperare il mio enorme cappello caldo che ho lasciato nell auto di Marco. Gli telefono e gli dico se posso andare a riprendermelo. Certo. Solo che stasera c è anche da vedere un film di fantascienza. E così ho visto anche il film (la solita patriottata americana) insieme con ben quattro maschietti, tutti allegri e simpatici. A casa, faccio gli ultimi preparativi e finisco alle quattro di notte: un ora e mezza di sonno! Partenza per l aeroporto alle 6,30. Arrivo a Mosca alle 18 ora locale. In aereo spesso mi capita d incontrare la gente più varia. L ultimo incontro è stato Singh: ve ne parlerò dopo. Ora voglio concentrarmi a pensare al mio futuro. Il passato è passato Se dovessi pensare solo al passato, mi verrebbe addosso un gran magone Eppure, eppure Già, mi torna alla mente quel giorno in cui avevo quaranta di febbre. E lui non c era. Non potevo chiamarlo. I patti erano chiari: poteva essere solo lui a chiamare me e non viceversa. Chiamarmi, mi chiamava. Quando gli veniva in mente, quando ne aveva voglia. Era gentile, però, delicato, un vero autentico gentiluomo moscovita, così colto, così raffinato. Tranne che a letto. A letto con mezzo litro abbondante di vodka. Il quarto restante l avevo trangugiato io. Notti di fuoco. Notti di passione. Notti di dolore, fisico e morale. Io, la bella, la bellissima donna italiana, immolata al sacro fuoco della passione moscovita. E mi ritrovavo a passeggiare sul selciato dei parchi della Moscova, senza pormi domande sul futuro. Mi ero lasciata andare in modo vergognoso. Però, però Ebbene sì, anch io, in un certo senso, mi ero vendicata di lui. Sì, con il biondo, tenero ragazzo norvegese, per il quale tutte le mie amiche sbavavano. E lui invece era mio, solo mio! Ma ero io, io stessa, a non essere mia, purtroppo! Il mio piccolo, biondissimo norvegese faceva l amore da dio! Poi, anche lui mi aveva lasciata sola: era tornato a Oslo, promettendomi che sarebbe tornato l estate successiva. Lunghe, struggenti, costosissime telefonate, me lo avevano tenuto vicino, per due-tre mesi, non di più. Già! Anche il mio piccolo tenero biondo ragazzo norvegese, anche lui era diventato solo un ricordo. Un dolce ricordo? No, tutt altro: un ricordo amaro. Altra storia finita. Altra delusione Basta! Basta col passato! Si torna in Italia, a casa mia. Devo devo! ricostruire la mia esistenza. Devo farlo! E lo farò, potete scommetterci! Certo che lo farò: lo giuro! 103

104 Mio nome è Singh (Judith Host) Volo Mosca-Roma. Ore 11,30. Febbraio Sono seduta nella mia comoda poltrona proprio sopra l ala sinistra e mi accingo a sfogliare i preziosi libri di letteratura russa pre-rivoluzionaria, che ho avuto la fortuna di acquistare da una bancarella lungo la Moscova. Non ho ancora letto nemmeno una mezza pagina, che vengo assalita dalla voce stridula del mio vicino di posto. Mio nome è Singh. Sono di India, nato vicino a New Delhi. Faccio il fruttivendolo a Roma e guadagno più di un milione al mese. Odoro di verdura perché la verdura è mio lavoro, registrato come part-time: tre ore al giorno e invece ne lavoro nove. Vivo con mio zio. Mio zio viaggiato molto. Lui stato in Francia e in Germania, e lui mandato a casa tante foto. Le foto più belle dei posti più belli erano quelle di Italia, e per questo io deciso venire in Italia. Io pure sono stato in giro, però stranieri più bravi con Indiani sono Italiani. Indiani non sono arabi, no! Indiani sono come Italiani, buoni e gentili. Ho fatto scommessa con zio: che non tornerò in India se non con una moglie italiana Mio zio non bravo, no. Lui vissuto otto anni con donna polacca, da cui avuto anche un bambino. Ora però donna polacca non gli piace più e allora preso un ucraina. Ma questo è male, perché lui deciso di lasciare sua moglie (anche se non erano sposati) così, solo perché lui incontrato un altra. E ucraine non mi piacciono. Cercano solo uomini, tanti uomini, oggi uno, domani un altro. Sono solo grandi bocchinare. Io per donne speso trenta milioni. Vestiti, cene, regali. Perché io sono indiano, tutto mi viene dal cuore. Però le italiane no, le italiane sono bravissime donne. Sono oneste. E con italiana per moglie non devi avere paura di cose che non comprendi, perché lei aiuta te e spiega tutto a te. Dovunque vai, con donna italiana sei rispettato. Lei ti dona la cittadinanza e allora tu non più bisogno permesso di soggiorno. Tu italiana, vero? Io bravo. Io dico a mia donna: tu fai quello che vuoi a casa. Tu dormi, esci, vai con tua macchina dove vuoi, fai quello che vuoi, ma lavorare no. Donna non deve lavorare. Io non sono più indiano: io sono quasi italiano. Uomo indiano è stronzo con donne. Appena conosciuta donna, comincia a toccare e ci provare subito. E poi italiane hanno forme, sono formose. Francesi no, non sono così, giusto? Indiane nemmeno, giusto? Però mio padre è stato male: era grave e io andato a trovare lui. Lui doveva fare operazione. Operazione difficile e molto costosa. A New Delhi ho portato poco denaro, solo cinque milioni, perché speso tutto il resto per donne. Una volta c era una ragazza napoletana, io lavoravo a luna park. Lei veniva a giostre e guardava me, veniva e guardava me. Un giorno mi manda un biglietto, con scritto: 'Mi chiamo Maria Gennari e ti voglio tanto bene'. Quattro mesi con questa ragazza italiana. Però una volta lei telefona. Io non c ero e mio zio detto a lei cose brutte e false di me, e io persa lei. Lo zio non voleva perdere scommessa. Io non posso tornare in India senza moglie italiana, dopo cinque anni in Italia passati con una bulgara, una brasiliana e un ucraina. Per ora, ho perso scommessa. Io odoro di frutta e verdura, mica di pesce. Io bravo. Io stato adesso a Mosca a trovare mio cugino per fare importexport di frutta con Russia. Io volere (e dovere) migliorare mia vita, ma mia vita è legata a donna italiana. Devo trovare e sposare donna italiana. Donna italiana, vuoi venire con me a New Delhi? Io farò te vedere tutta India. E non perderò mia scommessa. Attraverseremo tutta India coast to coast. Da noi, a est, sole sorge prima di Italia. Se nel mio viaggio verso ovest parto al mattino, quando sole non ancora sorge, mi lascio alba alle spalle. È come se allungassi mia vita, anticipo di qualche minuto l arrivo del sole e quindi la fine del sonno notturno di natura. Da ovest vado ad est, verso l alba sul mare, verso il monsone. Vado 104

105 incontro al sole, e lui viene verso me. Incontrare a metà strada Mi manca una donna: la mia stanza a Roma non bella, forse proprio squallida. Carta da parati che tu forse non usare nemmeno come carta da imballaggio. Tende di plastica a finestre, vento che soffia e attraversa vetri. D estate, caldo asfissiante: sole entrare in casa da finestre senza tapparelle, solo tende di stoffa plastificata. Ma io per te cambiare tutto: cambiare arredamento o anche casa, se tu desiderare questo. Tu sei mio sogno di donna italiana: tu donna italiana brava e bella, bellissima e bravissima. Dai, fammi vincere scommessa, donna italiana!. 105

106 Russian Pulp (Judith Host) Ilià è il nome di un santo ortodosso, erede di un dio pagano slavo, che lancia lampi, fulmini e saette a partire dalla fine di luglio: segna l inizio delle piogge, la fine dell estate e della raccolta dei suoi frutti. Ilià è anche il nome di un mio collega con cui siamo in buoni rapporti. La prima volta che l ho visto è stato al settimo piano dell università, facoltà di lettere, palazzo 1, corpo B, dove insegnavamo insieme. Il mio capo, chiarissimo prof. Pavlov, gli aveva tanto parlato bene di me. Purtroppo! Sento tuonare dal fondo del corridoio il mio nome. Tremo. E Pavlov che mi chiama. Ilià è con lui. Bassetto, bruttino, affascinato, imbarazzato, imbarazzante. Mi raggiungono, Pavlov me lo presenta e ci pianta in asso. Ilià comincia subito a farmi una corte spietata, che consiste nel dimostrarmi la sua noiosissima erudizione, raccontarmi barzellette e nell invitarmi in una sottospecie di pub-ristorante puzzolente e costoso, frequentato dal boss locale (gran pancione, aria vissuta, sigaro, bretellone e immancabile biliardo con giovani prostitute come contorno ai suoi scagnozzi). Di tanto in tanto usciamo. Mi dice che mi vuole sposare, ma nessun tentativo di seduzione: mah! Comunque, non mi interessa. Un bel giorno, mi telefona e mi dice: Mari, Mari, mi sono innamorato. Io contenta per lui mi congratulo e m invita l ultima volta ad ubriacarci nel solito bar puzzolente. Una specie di addio al celibato. Mi sposo! mi dice. Benissimo! M invita al matrimonio. Il giorno fatidico, vado all indirizzo, ma sbaglio e non riesco ad entrare Torno a casa. Meglio così. Insopportabili le sue barzellette, il suo vuoto, il suo parlare senza dire. La sua pretesa di sapere l italiano meglio di me: ma pensa te! E i soldi che si è fregato! Sul lavoro ebbene, sapete, doveva sposarsi, ha chiesto un anticipo che logicamente è stato scalato dal mio compenso, senza che mi venisse poi restituito. Cose russe. Ah, m è venuto in mente un altro episodio! Scusatemi, ma devo fare un piccolo passo indietro: a una festa di facoltà, siamo riuniti tutti intorno a un tavolo imbandito. Vodka, cognac, spumante, liquori, vini, cibo, professori, figli di papà, galoppini, preside, direttori di dipartimento, l editore di fiducia della facoltà. Io me ne resto vicina alla mia carissima amica direttrice dalla biblioteca. Mi sento protetta dalla sua solida presenza. Tranquilla, mi faccio i fatti miei. Converso solo se interpellata: meglio non esporsi troppo! Borìs, l editore. Bassetto, tataro (anche lui, penso, vittima del complesso napoleonico). Ilià gli dice: Ora devo andare: le affido la mia amica. Me? Affida me? Ma non si deve sposare? Mi raccomando, Boris, si comporti bene, ok?. La ringrazio per la fiducia, Ilià, ma non le posso garantire di riuscire a controllarmi. La sua amica è molto bella, troppo bella!. Come, come? Come sarebbe? Ma come si permette?. Dal lei passano al tu, alle parolacce, alle mani. Io sono mortificata e penso che l unica cosa giusta da fare sia di andar via da questi pazzi Intervengono gli studenti (maschi) che li separano Giorno dell inaugurazione del dipartimento di lingua italiana. 106

107 Ci siamo tutti. Traduttore di Baricco, traduttrice di Eco, giornalisti della RAI e di Mediaset, gente dell ambasciata invitata per l occasione, il gran capo in fibrillazione, studentesse elegantissime (seminude, in abiti attillatissimi e molto sexi), studenti in giacca e cravatta. Scorrono fiumi di vodka e di spumante: tutti ubriachi, soprattutto lui. Per le scale mi dichiara il suo amore davanti alla fidanzata (futura moglie) che se ne va via offesa. Agli studenti (maschi) impartisco immediatamente disposizioni di spedirlo a casa in taxi. Passa qualche tempo. Ilià divorzia dalla moglie (bellissima studentessa 22enne) perché è sempre ubriaco; lei dice che è impotente e lui me lo conferma: Mi riesce meglio fare lo storico. Oh, mio Dio! Cerco di consolarlo, in fondo gli voglio bene Passa ancora del tempo. Mi telefona da Mosca, mi annuncia che viene in Italia a Forlì per un convegno. Posso venire a trovarti?. Ma certo, sì, mi farà piacere. Vado a prenderlo alla stazione. Non è da nessuna parte. Lui mi cerca, io lo cerco, ci cerchiamo invano. Lo trovo nel piccolo bar della stazione che beve un bicchiere di vino. È già ubriaco. Oddio! Lo chiamo: sembra felice di vedermi. Lo sono anch io, in verità. Saliamo in macchina. Ehi, che bella macchina! E sai anche guidare molto bene! Sei fantastica, Maria!. Poggiamo la borsa nel portabagagli e ce ne andiamo a passeggiare per il corso. Parla con la sua voce da baritono, in un bar ordina un altro bicchiere di vino, parla ad alta voce, ci guardano tutti. Incrocio anche l elegantissima e bellissima supersegretaria del superpreside, donna molto importante, che mi riconosce e mi guarda stupita. Mi diverto da matti. Io, con Ilià, così pittoresco, panciuto, ubriaco, un tantino puzzolente. Andiamo a casa. In macchina, le colline autunnali, variopinte. Così diverse dalle immense pianure boscose russe. Arriviamo. A casa, cena preparata dalla mamma, corposo vino locale adeguatamente apprezzato. Mia madre che mi chiede perché lui racconti sempre barzellette. Francamente, non lo so. La sera, usciamo a passeggiare per il centro. Ponte del III sec. d.c. Lui che mi dice: Ma non capisci? Tu vivi qui e puoi toccare queste cose che sono così antiche: sono la Storia, la Storia del mondo!. Certo che capisco. Andiamo al bar dei portici: cocktail, fortemente alcolico, ovviamente! Mi dice che vuole vedere il Gran Sesso d Italia (una volta, una studentessa, tra l altro molto brava e anche miss università, all esame di geografia chiamò così il Gran Sasso). La mattina dopo, sveglia alle otto meno un quarto: gran mal di testa. Colazione? No, no: solo un buon bicchiere di latte. Partiamo. In autostrada, lavori in corso. Si procede a 80 all ora, tutti in composta fila indiana. Ilià rinuncia all italiano. Parla in russo. Brutto segno. Maria, Maria, fermati, fermati!. Non posso, qui siamo in curva: non mi posso fermare. Hai una busta?. La cerco: no, niente busta. Aiuto, Maria!. Sono le 8,30 del mattino. Guardo dallo specchietto. Il furgone dietro di me rallenta. Ilià ha abbassato il finestrino. La testa fuori. Il suo vomito sulla mia macchina nuova (non è escluso che qualche spruzzo se lo siano beccato anche le altre). Calma, calma! Guardo di 107

108 nuovo nello specchietto. Il vuoto, dietro di me. Rientriamo in carreggiata, mi fermo a una stazione di servizio, chiedo un secchio con dell acqua e una spugna. Meno male che sono gentili. Lui pulisce. Io non guardo Lui però ripulisce tutto. Ripartiamo. Gli dico: Iliuscia, guarda che ci sono ancora 150 km, forse è meglio che torniamo indietro, facciamo qualcos altro. No, no, no: meglio il Gran Sesso. Tanto ho già vomitato. Il resto del viaggio è stato una continua sosta. Tra le mucche e i cavalli, e nei paesini disabitati di montagna che abbiamo attraversato, Ilià ha dovuto fermarsi spesso, per fare pipì o per vomitare. Un panino, unico pasto solido, espulso anche quello Curve. Panino. Acqua. Mucche. Curve. Cavalli. Chilometri e chilometri senza scorgere anima viva. Di tanto in tanto, dormicchiava d un sonno tormentato. Sulla via del ritorno, complice il buio, ha dormito beato. A casa mi dice di aver subito, probabilmente, le conseguenze del salto di fuso orario. E del percorso accidentato sui tornanti delle montagne abruzzesi. Ma tu resti davvero un ottima guidatrice, Maria. Non preoccuparti: non è stata colpa tua. Addirittura! Figuriamoci! Passano alcuni mesi. Mi telefona, da Mosca. Maria, mi sposo! La mia nuova ragazza è incinta!. Auguri, Ilià! 108

109 La notte (Judith Host) La notte è il luogo del silenzio. Di notte i pensieri riposano, si nascondono, vivendo di vita propria, e al mattino si vestono di abiti chiari, puliti. La notte è il tempo dei sospiri, dell unirsi dei corpi in respiri soffocati per non far rumore. I sospiri di piacere che giungono da una qualche parte, lì a destra del soffitto, dove qualcuno sta facendo l amore. Di notte non si parla, si vive. Di notte non si interviene sulla vita altrui. Si vive per sé. Le cellule si moltiplicano, sognando. Di notte le cose si spostano, cambiando di prospettiva. Di notte si ascolta la musica della vita che riposa, che si rigenera, ego-ista, in un armonia di corpi e di pensieri silenziosi. Quella notte lui la chiamò a sé. Lei danzò per lui, al suono di una musica meravigliosa. E LE FU DOLCE ADDORMENTARSI, AVVOLTA E PROTETTA DA SPIRALATI PENSIERI DI FORZA E DI DOLCEZZA. 109

110 Lettera a un minatore siberiano (Judith Host) Mosca, 12 maggio Ciao Dimitri, scusa il ritardo, ma scrivere mi costa ormai tanta fatica. Ho persino lasciato l'università perché non era un peso insostenibile e non abbastanza gratificante per me: ti sembrerà paradossale, ma è così. Sono sempre stanca, forse è l'età, oppure sarà che come dice mia madre "non puoi andare sempre a cento all'ora". Ho preso carta e penna per comunicare con te, perché i social network non riesco proprio a metabolizzarli: mi sembrano un modo subdolo di subornare la realtà e, come al solito, non riesco a seguire la corrente, la moda, le tendenze, i luoghi comuni; per questo credo che mi allontanerò anche dalla posta elettronica. Non so se sia una buona idea, ma è quello che sento di dover fare. Mi irritano i luoghi comuni e il comunismo che esisteva come idea, ma messo in pratica ha portato solo catastrofi ovunque... E continua a mietere vittime. Non fraintendermi. Io vivo qui ogni giorno i risultati della rivoluzione ancora oggi, una massa immensa di gente anonima, milioni e milioni di persone incapaci di pensare e di usare l'intelletto in modo autonomo, che eseguono passivamente e supinamente gli ordini di qualcuno. Escludono l esercizio del cervello e delegano in modo totale la responsabilità a chi li comanda: dal piccolo caposquadra al direttore e poi via via verso l'alto. Un esercito sterminato di persone che ritiene di avere solo mani e piedi e tanta fame, di tutto, ma soprattutto di denaro. Niente ideali, solo soldi: tutti quanti, dal grande dirigente d azienda all ultimo operaio qui da noi l'operaio non ha alcun tipo di preparazione e nemmeno un briciolo di buon senso e lavora compiendo dei gesti, ma il più delle volte lo fa senza capire nulla di quello che sta facendo. Per esperienza so che se bisogna cambiare qualcosa bisogna prima preparare bene ciò che si deve sostituire e solo dopo effettuare la sostituzione, per cui la rivoluzione è uno sbaglio enorme, perché prevede la distruzione di qualcosa (o di tutto), a prescindere... E dopo?... Odio la mia istruzione basata sul "siamo tutti uguali", perché è una mera ipocrisia, una grande menzogna... Lo siamo solo davanti a Dio e comunque è lui che decide ed è l'unico ad avere ragione. Credo in Dio perché non c'è niente di male. Non ci perdo niente. Non ci rimetto. Perdona sempre tutto, anche la peggiore delle azioni. Ti accetta così come sei. è l'unica entità che accetta tutto e tutti in egual modo, senza differenze di razza, di religione e di livello sociale: può aiutare me, ma anche un barbone. Questo nessun altro lo fa. Non c'è nulla di equivalente (nel panorama di entità, esseri o valori) che possa sostituirlo Passiamo ad altro. La felicità assoluta non esiste, esiste la resistenza (vivere è resistere) e le fonti di gioia quotidiane. Gioisco per tutto allo scopo di tenere a bada il dolore. Come in passato so con un po' di anticipo cosa succederà e come sempre nessuno mi crede. Mi sono rassegnata perché ho capito che mi succede per la mia eccessiva sensibilità come anche spesso agli artisti ed ai poeti. Sembro presuntuosa, ma non lo sono, credimi! Essere sensibile e sapere che i nostri fratelli stanno combattendo una guerra sanguinosa dalle parti di Doneck mi fa male; percepire l angoscia di milioni di bambini che muoiono di fame in un mondo che sta anche lui morendo mi provoca un immenso dolore. Sono tante le cose che mi danno dolore. Scusami per questo mio modo altalenante di scrivere, per questi miei voli pindarici, ma sai che sono fatta così e allora torno ai miei grandi ideali della gioventù, quando cullavo il sogno rivoluzionario di un mondo giusto e felice, dove tutti potessero godere dei diritti 110

111 fondamentali; col tempo mi sono accorta che si trattava di una mera utopia: la realtà è molto diversa dai sogni e l uomo trascorre la sua vita per prevaricare gli altri, a danno degli altri, senza praticare (né curarsi de) gli insegnamenti del suo credo religioso, anzi mistificando l essenza di Dio, plasmandolo con il suo astio personale, con la sua totale incapacità di vivere in modo solidale, da autentico Homo homini lupus Il passato, i ricordi. Provo nostalgia del passato, ma è tanto dolce, il pensiero Mio caro Dimitri, cerca di star bene e ricorda che i sacrifici che stai facendo in miniera sono necessari, perché i rubli che riuscirai a mettere da parte potrai utilizzarli per assicurare un futuro degno a tuo figlio, al tuo piccolino Perché, sappilo, i figli sono un assicurazione stipulata per garantirsi l eternità, così una parte di te vivrà per sempre nei tuoi figli, poi nei figli dei tuoi figli e così via; anch io, se avessi avuto la fortuna di avere dei figli, avrei fatto così. Per non esistere invano. Anzi, lo faccio sempre, tutte le volte che posso: cerco di spargere piccoli semi di bontà e di conoscenza in giro per il mondo, convinta che prima o poi daranno vita ad un filo d'erba. Cerca di star bene. Marià. 111

112 Sulle strade di Santiago (Gianfranco Budano) Viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un altra (da L infinito viaggiare, di Claudio Gianfranco Budano: Spagna, luglio 2014 sul Cammino di Santiago Credo che ognuno di noi sia il prodotto di quei mille piccoli o grandi cortocircuiti che rappresentano gli eventi importanti della propria vita; ci si forma, si cresce, si forgia il proprio carattere attraversando i sentieri del nostro vissuto. E quello che diventiamo da adulti altro non è che il risultato di quel lungo, lento, faticoso cammino. Capita a molti di sentirsi costretti nelle pastoie imposte dalla società; ed è solo il sapere che esiste sempre un modo per liberarsi e scappare che ci restituisce il piacere di assaporare l ebbrezza del vivere. Ho scoperto in Spagna, turista perso sui millenari sentieri di antichi pellegrini, di non essere stato l unico a cui è stata rivolta la fatidica frase: Sei pazzo?. E mi ha fatto particolarmente piacere ascoltare dalla viva voce di Francis Hang Dong, vescovo protestante di Boston, e amico per una sera, che anche a lui era stata rivolta la stessa domanda. È questa quindi la prima riflessione che mi viene da proporre quando il mio interlocutore mi chiede di raccontare l esperienza del cammino di Santiago. Chi di noi decide di affrontare un viaggio di questo tipo lo fa per ritrovare se stesso, libero nel mondo, e lontano da ogni luogo che in qualche modo lo possa ricondurre a regole e costrizioni imposte dalla società in cui ha vissuto. Un desiderio di libertà assoluta che riporta l uomo al suo più antico mezzo di locomozione, le proprie gambe, libero di vagare fra montagne, colline e pianure sconfinate, e di trascorrere la propria giornata con quel poco che riesce a trasportare con sé. 112

113 Entrare nella comunità dei pellegrini apre le porte a una grande famiglia di persone che quotidianamente percorrono, ognuno con i propri ritmi, la stessa strada; e che a sera si ritrovano nella stessa città a compiere gli stessi rituali, vestiti di quel poco che hanno. In quella borsa che ti porti dietro le spalle c è tutto quello che ti può servire: medicine, abiti, cibo, letto, qualcuno porta anche la casa. Succede così che nel limite imposto dal peso che si può trasportare, si evidenziano magicamente i contrasti con quel quotidiano che si è abbandonato. Nessun viandante si chiederà mai cosa indossare per uscire; una volta giunti a destinazione si ha poco tempo per lavarsi, lavare e mettere ad asciugare quello che si è portato addosso durante la giornata, e, nel frattempo, vestirsi di quell unico cambio che rimane. All interno del bozzolo che ogni pellegrino si porta addosso c è una semplicità perduta e il ridimensionamento a un ideale politico di essenzialità dimenticata, cancellata dalla futile foga dell ingordigia imperante. Tutti noi dovremmo, prima o poi, provare a entrare in questa famiglia, diventarne parte, condividerne le consuetudini e imparare che, sentirsi uguali al prossimo, aiuta a essere più sereni con se stessi. In questa grande famiglia di strani individui, che vagano di città in città, non esiste forma di competizione: non ve n è necessità. Si impara che vivere senza competere è più rilassante; ognuno fa quel che può, quel che sente di poter fare per raggiungere il proprio personale obiettivo, ma nessuno, in alcun modo, può mortificare gli obiettivi di altri. Si è liberi di scegliere la propria meta senza per questo scoraggiare l impegno di qualcun altro. Non è così nel nostro quotidiano, dove il livello di responsabilità delle proprie scelte è sempre legato a una qualche forma di misurazione delle performance di quel che si fa: dalla velocità con cui ci si muove per le strade, a quella con cui si mette in produzione il proprio operato sul lavoro. Il modello di vita che emerge da questa esperienza di viaggio consente di affrontare con serenità i rapporti con gli altri e di approcciarsi a loro in forma di sincera, libera e spassionata amicizia. Quando il potere dell amore supererà l amore per il potere si avrà la pace, lo ha detto Jimi Hendrix. Entrare in questa comunità dona la gioia di chi si sente parte di un gruppo in cui tutti sono in pace gli uni con gli altri. Ogni incontro è sottolineato da un saluto e da un sorriso, da un augurio di buon cammino. L assoluta assenza di motivi di scontro, il rispetto imposto dal dover condividere spesso il sonno e la veglia, il pasto e le pulizie personali, rende paradossalmente impossibile alimentare occasioni di conflitto. Un proverbio arabo recita:...chi non viaggia non conosce il valore degli uomini. Viaggiare insieme ad altri individui offre quotidianamente la possibilità di stringere nuove amicizie, ed è semplicemente incredibile con quale velocità quelle donne e quegli uomini riescano, in un tempo così breve, a diventare i tuoi migliori amici di sempre, nonostante e al di là delle differenze linguistiche. Amicizie brevi, di uno o pochi giorni, che rimarranno indelebili per tutta la vita. Ho conosciuto persone provenienti da tutto il mondo e tutti, a loro modo, hanno lasciato un piacevole ricordo: Jose e Andre, gli indimenticabili marsigliesi; Daniele, l amico della prima ora; Celia la neozelandese, insegnante di giapponese a Londra e di inglese in Norvegia; Michael, austriaco, terapista psicologo nelle scuole; Julie dal Belgio ed Erika da Bayonne; Tomer e Courtney, studiosi di botanica dal Vermont; Christine dall Inghilterra; Ran la piccola giramondo giapponese; Antonio dalla Spagna e Anna Margarida dal Portogallo, amici per troppo poco tempo di appassionate discussioni sulla filosofia, la storia, la psicologia, la musica, alimentate in tutte le lingue possibili pur di capirsi; Arsenio il serafico professore di matematica; Pedro, il giovanissimo amico dell ultimo giorno, da Ceuta, minuscola enclave spagnola in terra d Africa; Claudio, il conterraneo barese che ti 113

114 fa sentire a casa, e infine Christian, l infaticabile, giovane, insegnante di storia austriaco, capace di marciare per 50 km al giorno. Sono questi solo alcuni dei tanti incontri, il vero regalo di questa indimenticabile esperienza. Per dire la verità ero andato a cercare loro con la certezza di chi si muove sulle tracce di antiche, perdute amicizie; molto spesso, magicamente, sono loro che hanno trovato me. C è comunque un prezzo da pagare sull altare della fatica, enorme, epica di alcuni momenti, nulla rispetto a ciò che ci verrà restituito, con gli interessi, nella valuta della serenità. Un uomo ha bisogno di fare la sua provvista di sogni. José Saramago. 114

115 Qualche palora su Nicola De Donno (Vincenzo D Aurelio) Nicola De Donno Tanti sono i nomi dei figli illustri di Maglie ma tra essi, non è esagerato dirlo, primeggia quello del professor Nicola De Donno (Maglie, 21/3/1920 7/3/2004). Studioso di memorie patrie, letterato e poeta, docente prima e preside poi del Liceo F. Capece di Maglie, fu nel secondo Novecento protagonista indiscusso dei fermenti culturali salentini distinguendosi, in particolare, nell ambito del componimento poetico in lingua dialettale. Donato Valli, professore di Letteratura Italiana moderna e contemporanea presso l ateneo leccese, scrisse che Nicola De Donno, con i suoi oltre millecinquecento componimenti, fu uno dei più densi e prolifici poeti dialettali del Novecento italiano. Laureato in Filosofia presso la Normale di Pisa, col grado di sottotenente del Regio Esercito, fu gravemente ferito durante il ritiro delle truppe impiegate nella disastrosa Campagna italiana in Russia ( ). Rinunciò alla carriera universitaria e, subito dopo la guerra, ritornò nella sua amata Maglie dove applicò tutto il suo ingegno al recupero della memoria storica (fondò a Maglie la sezione della Società di Storia Patria per la Puglia) e alla rinascita, anche letteraria, del dialetto parlato nell area di Maglie. Fino al 1945 Nicola De Donno aveva composto poesie in italiano e purtroppo oggi, riferisce Valli, sono disperse eccetto qualcuna recuperata nella corrispondenza con un amico. In seguito alla tragica esperienza della guerra il suo stimolo a produrre poesia venne meno ma quando iniziò nuovamente a comporre, attorno al 1953, mostrò tutta la potenza della sua arte che, al contrario di prima, trovò magnifica espressione attraverso l uso del dialetto magliese. La scelta della lingua popolare fu il risultato di una lunga riflessione maturata nell ambito del valore culturale che essa rappresenta e, probabilmente, anche per la volontà di mostrare una lingua capace di accordarsi in seria poesia alla stessa stregua dell italiano. De Donno, pertanto, dissolse il pregiudizio di parlata popolare ed elevò il dialetto alla dignità di lingua letteraria perché capace di esprimere sapientemente le sue tensioni 115

116 intellettuali e i concetti notevoli. La poesia di Nicola De Donno ruotò intorno all insolubile problema dell essere e alla ricerca di un senso da dare alla vita, il suo animo è stato costantemente teso a evidenziare l ingiustizia sociale procurata alla povera gente e, perciò, nettissima è stata la sua amarezza verso l abuso di potere perpetrato, indistintamente, dagli uomini attraverso l uso personalistico della politica e della religione. In tal senso, riferendosi alla Chiesa quale centro di potere che ha dimenticato la Parola per gestirsi come organizzazione, la sua poesia, scrive Valli, diventa il rimpianto di ciò che poteva essere il mondo per opera di Cristo e invece non è stato. Non da meno è la sua critica nei confronti della Città dove egli vedeva, rammaricandosene, l inscindibile connubio politica-potere saldamente ancorato all indigenza delle classi popolari o, come lui scriveva, di quella ggente ca la cagniscia a natura. La ricerca di un cristianesimo puro e di una fede saldamente ancorata al suo speculare razionale fu la riflessione di tutta una vita durante la quale da un iniziale visione laicissima del vivere cristiano approdò, poi, alla fede verso quel Cristo storico che, figlio di lavoratore, coll esempio e con la parola promosse il riscatto umano dalle sofferenze e dalle ingiustizie. Come fra Luigi, suo figlio, aveva scelto San Francesco quale compagno di viaggio, così Nicola De Donno scoprì il suo nel Cristo, maturando una religiosità che trovava alimento nella sacralità della famiglia e nel disprezzo verso ogni forma di ingiustizia. Il 2 giugno del 1986 il Ministero della Pubblica Istruzione, quale riconoscimento ai benemeriti che si sono distinti nell ambito della scuola, della cultura e dell arte, gli conferì la Medaglia d Oro. Tra le sue tredici raccolte di poesie interamente edite si citano: Crònache e pàrabbule (1972), Mumenti e ttrumenti (1986), La guerra guerra (1987), La guerra de Utràntu (1988), Lu senzu de la vita (1992), Lu Nicola va a lla guerra (1994), Palore (1999), La mia parabola. Sonetti scelti (2004). Ha pubblicato saggi di microstoria locale, particolarmente importante è lo studio intitolato Della Carboneria a Maglie e nel Salento (1967), oltre a una raccolta di racconti dal titolo Li cunti te la nonna. Sessantacinque racconti in dialetto salentino (2000) e di proverbi dialettali come il Dizionario dei proverbi salentini (1995) che raccoglie oltre dodicimila voci. La sua vasta produzione poetica sarà pubblicata prossimamente in un opera omnia. 116

117 La farfalla turchina C era una volta una splendida farfalla dalle ali turchine, cerchiate di blu. Il suo nome era Leyla, ma era a tutti nota come la Principessa del Bosco di Rivascura, per la grazia del volo e la dolcezza del carattere. Leyla destava l ammirazione e l invidia di tutte le creature del bosco e volava danzando sui fiori, per sorbirne il dolce nettare. Un brutto giorno, però, Leyla venne sorpresa da un terribile temporale. Invano cercò riparo sotto le fronde di una betulla: un enorme chicco di grandine la colpì in pieno, perforandole un ala. La piccola, splendida farfallina cominciò a precipitare: convinta di essere in punto di morte, si mise a pregare. Il buon Dio la volle ascoltare: quando riaprì gli occhi, Leyla si rese conto di essere ancora viva; ma si accorse anche, in preda al terrore, di essere rimasta intrappolata nella rete del terribile mostro del Bosco di Rivascura: era al cospetto dell orribile ragno peloso! Alla comparsa dell orrenda bestia, la piccola deliziosa farfallina riprese a pregare: anche questa volta il buon Dio le venne in soccorso. Il mostro, in realtà, era stato creduto tale solo per l aspetto: aveva un cuore d oro, invece, un animo buono e gentile. Con la sua seta, riuscì a ricucirle l ala rimasta ferita nel tremendo impatto e a ridarle il colore blu e turchino d una volta, utilizzando, allo scopo, l acqua cristallina del vicino lago. La dolce farfallina, che si era ormai affezionata, fortemente legata alla dolce creatura del bosco, fingeva di non aver ancora recuperato le forze per riprendere il volo. Il buon ragno, allora, commosso dal suo sacrificio, finse di volerne fare un unico boccone e Leyla, in preda al terrore, si librò, finalmente, nel cielo. Il ragno sorrise felice, ma due calde lacrime gli rigarono il volto 117

118 In un corpo piccolo Un animo grande In un corpo piccolo (e perfetto): Questa è la definizione Che ho scelto per te E i tutti i sogni miei, Inutili e vani (forse), Dilagano, spettrali, In esilio dalla mente, E vagano confusi, Smarriti nello spazio E si dilatano nel vuoto, Riempiendo l'infinito. Quand anche avessi pensato Che qualcosa smuovere potesse La melmosa palude Che avevo nel cuore, Mai avrei immaginato Che avesse i lineamenti D un angelo caduto, Per caso, sulla terra 118

119 Il vulcano Modena, settembre 1977: preparazione degli ultimi tre esami, prima della sospirata laurea. Due cliniche e, per concludere, la solita Medicina Legale: dovevo tornare a casa, a Natale, col titolo di Dottore in Medicina e Chirurgia. Dovevo farcela, a tutti i costi! Non sono stato mai un mostro di volontà, io, e quello stress mi aveva reso uno straccio: quel traguardo, così agognato per quasi sei anni, mi sembrava ancora irraggiungibile. Dovevo farcela e (detto tra noi) ce la feci. Il 21 dicembre 1977, relatore il brillante Prof. Giampaolo Trentini, discussi la tesi, dall orribile titolo La diagnostica istopatologica dei linfomi gastrici Ma torniamo a settembre. Ero ripartito da casa, dopo l estate, con qualche preoccupazione per la salute di mio nonno, quello materno; l altro ci aveva lasciato qualche anno prima: prostata e cuore ne avevano resi difficili prima, e penosi poi, gli ultimi anni di vita. I nonni, è noto a tutti, hanno una grande importanza nella formazione del carattere di una persona: la loro funzione fabulatrice aiuta i nipoti a conoscere la vita in modo fantastico, ad accettarla senza riserve. Se non ci fossero queste lezioni di vita, la conoscenza diretta dei problemi, più tardi, provocherebbe un impatto assai traumatico con la realtà. Il nonno paterno, Luigi, mi aveva fatto conoscere (ed amare) il mondo della natura, la vita all aria aperta, il lavoro nei campi, pieno di fatica e di sudore anche per un agiato possidente come lui. L altro nonno, Luigi pure lui (anzi, Gino), viveva in una famiglia numerosa, figlio di un capostazione, aveva tanti fratelli ed un unica sorella (la Zietta), la più piccola ed amata della nidiata, aveva affrontato con successo la facoltà di medicina. Dopo la laurea, con due figlie già a carico (Anna e Lilli, mia madre), trovò il suo primo lavoro a Firenze: per questa pur breve parentesi fiorentina, era noto a tutti i nipoti come babbo Gino Durante la guerra, prestò servizio in Africa, nelle assolate colonie italiane, come ufficiale medico. In Eritrea lo raggiunse la ferale notizia della morte dell adorato terzogenito, Lucio. Tornato in patria, trovò lavoro a Uggiano La Chiesa, dove videro la luce Dino (l artista) e Daria (genio e sregolatezza). Il sottoscritto era (e, grazie a Dio, continua ad esserlo) il più grande di un vero e proprio esercito di nipoti, per i quali la maestosa figura di babbo Gino era uno scudo protettivo; i racconti delle sue avventure in Africa, un momento di grande emozione per tutti Un bel giorno, la rivista Tempo Medico indusse un concorso di scrittura riservato ai medici: il tema era un esperienza lavorativa realmente vissuta. Gli vidi gli occhi brillare dalla gioia: non ci aveva mai celato la sua passione per la scrittura. Prese la sua polverosa Olivetti e si mise a scrivere la vicenda del coraggio e della forza d animo della giovane somala, operata all addome senza anestesia, che non si lasciò scappare un lamento e che tornò, grata, a trovarlo tutti i giorni, vispa (diceva lui) come una cutrettola. Ero certo del suo successo. Mi sbagliavo, purtroppo! Il primo premio fu assegnato ad un giovane medico ospedaliero di Legnano; tra i premiati, il nome di mio nonno non c era: che terribile ingiustizia! Mi consolò una sua preziosa considerazione: Non te la prendere, Pigi mio! Sappi che chi lotta per una giusta causa non sarà mai un perdente, nella vita! Dispensò gli stessi insegnamenti a tutti gli altri nipoti, anche se, purtroppo, le condizioni di salute si facevano via via più precarie: il suo respiro ansimante e la sua fame d aria erano un motivo di costante sofferenza per tutta la famiglia. 119

120 Mi trovavo a Modena, in quel triste settembre, quando il suo cuore si fermò per sempre. Prima di spirare, volle parlarmi al telefono: ansimando, mi fece giurare che, in caso di suo decesso, sarei rimasto a Modena a studiare, per laurearmi prima di Natale. Fui l unico familiare stretto assente ai suoi funerali Ma il suo ricordo e i suoi insegnamenti sono rimasti eterni: sono parte integrante e fondamentale di quello che io stesso sono. Spero di non averti deluso, babbo Gino! E questi versi sono tutti per te, grande vulcano... Ode al vulcano Mormorava, il suo ventre cavo, nell evasione d un canto innaturale; sfugge, oggi, fallace una memoria, eretta solo per lenirmi il dolo. Lapilli incandescenti, come i fuochi d artificio della festa patronale, giù in paese, a luglio, con il naso all insù, per timore o diletto, aggrottando la fronte ad ogni botto. Contrastare l essenza del nulla non ha senso, perché quel vuoto che ti porti dentro non ha peso, non ha forma: è niente! Brontolava la terra: <<Lotta, difenditi, osa!>>. Fiumi di fuoco scendevano sul fianco Di quella spaventosa altura: anime dannate a fare il bagno ignude. Crepitava l erba, travolta da sua madre. Vincere o morire: che differenza c è? Quel rutilante mostro non perdeva la voglia di scorrere e travolgere le strade designate: E tu? Che facevi, tu? Ma chi sei, tu? Credi, forse, nell incoercibile destino? Be, tu sei già morto, allora, amico mio! Credi all amore? Lotterai per lui? Esploderai, lanciando le tue tesi al mondo? Devi, farlo, perché ognun poi possa ricordare che la voglia di successo ha un solo fine: il sorriso suadente d una madre e gli occhini accattivanti dei suoi figli. Il percorso della vera eternità è una lunga e faticosa corsa a tappe: dovrai passare il testimone alla tua prole, raccontare le fiabe ai nipotini. Poi, all improvviso, il ventre della terra si fece silente, in quell atollo sperduto in mezzo a un mare calmo e trasparente; 120

121 ma in lontananza qualcuno riprese a lottare E un bel giorno, un altro ventre cavo prese a sbuffare, incandescente, con quella sua energia, che si trasforma, sì, ma che non muore Mai! Vincere o morire: che differenza c è? Morire non è perdere, non è tornare al nulla! Voce corale dell universo, a sorvegliar la vita, tu, vecchio atollo, oggi deserto, tra cumuli di cenere e stalagmiti grigie, ove l erba non cresce e il vento passa via, fischiando inorgoglito tra le gole, le stesse che scansava, un tempo assai lontano. Tra gli infiniti atolli d un infinito oceano ti aggirerai, volando tra i gabbiani; dall alto capirai che il tempo che temevi un dì, non ha più un senso, ormai. Vedrai la vita e la morte intrecciate in modo incomprensibile agli umani, disegno divino, ignoto sulla terra, che ritroverai nel sorriso dei bambini; e poi degli altri, degli altri ancora sempre! Il tempo non ha senso, te l ho detto! Non lo pensavi, un giorno: avevi fretta Di completare il compito assegnato. Ti troverai sul parco, nel week-end, ad osservare le famiglie liete, con il sorriso dalla luce pura, trascorrere momenti di letizia. E ti verrà la voglia di guardare tutta la gente sui campi a lavorare, o sui cantieri, negli ospedali, a lenire il dolore degli infermi. E capirai che nel film della storia non hai fatto la comparsa, ma l attore: la tua foto in copertina è ancora adesso, nel ricordo sempiterno dei tuo figli, per i momenti di serenità e coraggio, che dispensavi, paziente, tutti i giorni. Il magma incandescente d una volta è solo cenere, ormai, polvere grigia: non c è posto per tutti, sulla terra, ma il tuo spirito aleggia alto nel cielo. Dimensioni parallele, metafisiche, come le matematiche non euclidee, figlie del relativismo assoluto, madri d un assolutismo relativo, 121

122 che vive, ancora, nel ricordo confuso dei bei tempi andati, che non hanno fine, perché pervasi da un amore intenso, quello che non muore mai, perché trasfuso nell oscuro mistero dell eternità dell uomo. Arrivederci, nonno! 122

123 Una spartizione davvero difficile (Ovvero, il trionfo della semplicità) Si narra che 3 giovani ed ambiziosi cugini di città avessero fondato una società finanziaria (molto sui generis ), con l intenzione di fare grossi investimenti in campo immobiliare. Il sui generis è legato al fatto che, per rispettare la volontà del nonno, avevano ammesso nella loro società anche il cugino di campagna, grande lavoratore e grande saggio; peraltro, Daniele (il cugino di campagna) aveva un carattere assai accomodante e delegò completamente ai cugini (che riteneva più esperti nel campo) la gestione della società. I 3 rampanti giovani manager rampanti avevano fissato in 1 milione di Euro il capitale sociale e vi avevano contribuito in forma diseguale, in base alle rispettive ambizioni e possibilità. Aldo aveva investito Bruno aveva investito Claudio aveva investito Daniele partecipava con Nel regolamento della società fu stabilito che: Aldo avrebbe avuto 1/2 degli utili. Bruno ne avrebbe avuto 1/3. Claudio ne avrebbe avuto 1/8. Daniele avrebbe fatto il giardiniere. I 3 giovani manager rampanti (ma sarebbe meglio definirli falchi, se non avvoltoi), cercarono di esplorare il mercato per fiutare l affare, che si concretizzò dopo poche settimane di ricerca; infatti, la frequentazione di loschi faccendieri ben informati sui più reconditi segreti e sui traffici più o meno inconfessabili del mercato immobiliare consentì loro di sapere di un imprenditore alle prese con gravissime difficoltà finanziarie. Il terzetto di giovani speculatori impegnò nell operazione l intero capitale sociale, ma in cambio di ben 23 dei 24 appartamenti di un elegante complesso residenziale. L affare era di dimensioni colossali, dato che il costo medio di ciascuno degli appartamenti era inferiore a , rispetto ad un valore di mercato di almeno ,00. Tutti felici, in particolare Aldo, soddisfatto e fiero di avere investito più degli altri cugini ed, in fondo, anche Daniele era contento per aver trovato un lavoro stabile e decoroso come giardiniere di un grande complesso; tuttavia, sul contratto sottoscritto c era una clausola piccola piccola alla quale non era stata data l importanza che invece avrebbe meritato La clausola prevedeva che, mentre Daniele avrebbe avuto assicurato, in ogni caso, il posto di giardiniere, per gli altri cugini s imponeva il rispetto di una piccola norma contrattuale, che imponeva a ciascuno dei 3 di acquisire, con regolare atto notarile, un numero intero di appartamenti, senza alcuna forma di comproprietà, né residui decimali o centesimali, altrimenti, per ogni giorno di ritardo sulla data fissata, i 3 avrebbero dovuto pagare una penale a raddoppio giornaliero ( 10 il primo giorno, poi 20, 40, 640, 1.280, 2.560, ecc.). I 3 cugini cominciarono a fare i conti e si resero conto che i risultati aritmetici ponevano qualche serio problema: Ad Aldo sarebbe spettato: 1/2 di 23 = 11,5. A Bruno: 1/3 di 23 = 7,7. A Claudio: 1/8 di 23 = 2,9. 123

124 Così fra i 3 cugini si scatenò l inferno e furono giorni e giorni di litigi furiosi, al punto che, dopo 15 giorni, si accorsero di dover già pagare all imprenditore una penale di ,00. In preda al panico, i 3 falchi litigiosi chiesero aiuto al saggio cugino di campagna, che fino a quel punto aveva assistito con grande serenità a tutta la vicenda Daniele si dichiarò disposto ad aiutarli, ma, chiaramente, guadagnandoci qualcosa (un appartamento da ciascuno dei 3 cugini) Ciò premesso, rasserenò i suoi rissosi cugini comunicando che avrebbe messo a loro disposizione l appartamento (il ventiquattresimo ed ultimo del complesso) che, da ragazzo saggio e previdente, aveva acquistato, per conto proprio e in tutta segretezza, dall imprenditore, ad un prezzo comunque vantaggioso. In questo modo, gli appartamenti da spartire sarebbero diventati 24 e i 3 litigiosi cugini avrebbero potuto a dividerli in numeri interi, dopo essersi impegnati a donarne uno a testa al cugino Daniele In breve si giunse all accordo che salvava il terzetto di speculatori da una vera catastrofe; la proposta di Daniele era, di fatto, una vera e propria oasi per i 3 viandanti dispersi nel deserto della disperazione Un piccolo e rapido calcolo portò i cugini ad un risultato sbalorditivo: non solo ciascuno dei 3 disponeva ora di un numero intero di appartamenti, ma l appartamento messo a disposizione dal cugino di campagna tornava magicamente di proprietà di Daniele; infatti, il calcolo effettuato produsse i seguenti risultati: Ad Aldo spettavano: 1/2 di 24 = 12 appartamenti. A Bruno toccava: 1/3 di 24 = 8 appartamenti. A Claudio competevano: 1/8 di 24 = 3 appartamenti. La somma degli appartamenti ( ) portava magicamente ad un totale di 23 appartamenti (proprio quelli originariamente in gioco) e così i 3 cugini, pur di evitare un terrificante ritorno al punto di partenza, acconsentirono di buon grado al mite Daniele di rientrare subito in possesso dell appartamento messo inizialmente a disposizione Quando poi si vide consegnare da ciascuno dei cugini un appartamento, Daniele scoppiò in una fragorosa risata: lui, la timida colomba, era riuscito a beffarsi dei falchi Ai 3 cugini rimasero, rispettivamente, appena 11, 7 e 2 appartamenti, per non parlare dei ,00 di penale pagati all imprenditore L errore dei 3 cugini era stato quello di prendere il valore 23 come bottino da spartire, ossia come comune denominatore sul quale operare la divisione, senza considerare il vuoto, cioè i resti decimali indivisibili da mettere in comune per ottenere altri interi. Dal cieco conflitto di interessi alla ricerca di un valore unificante (il comune denominatore come elemento in grado di trovare la relazione di reciproca utilità), per arrivare alla soluzione. In questo modo, pur senza avere alcuna velleità manageriale ed avendo impegnato solo una piccola somma, Daniele aveva messo a frutto l errore dei cugini, ritrovandosi in mano un lavoro ben retribuito, nonché proprietario di ben 4 appartamenti, 3 dei quali del tutto regalati; regalati, altro che, perché un altra soluzione (non solo teoricamente possibile, ma persino semplice ed intuitiva) c era ed era certamente molto più vantaggiosa, poiché non richiedeva contributi esterni (l oneroso accordo con Daniele). La soluzione era lì, a portata di mano, ma i 3 cugini non erano riusciti a vederla, tutti tesi com erano a tutelare solo i propri interessi Sarebbe stato sufficiente rinunciare ai resti scaturiti dal calcolo iniziale e il risultato sarebbe stato decisamente favorevole: Aldo: 1/2 di 23 = 11,5. Rinunciando allo 0,5, avrebbe ottenuto 11 appartamenti. 124

125 Bruno: 1/3 di 23 = 7,7. Rinunciando allo 0,7, avrebbe ottenuto 7 appartamenti. Claudio: 1/8 di 23 = 2,9. Rinunciando allo 0,9, avrebbe ottenuto 2 appartamenti. La somma degli appartamenti assegnati al terzetto (11+7+2) sarebbe stata perciò pari a 20 appartamenti. Rispetto ai 23 appartamenti in gioco ne sarebbero rimasti liberi, quindi, ben 3, che sarebbero potuti essere tranquillamente divisi in numero di 1 per ciascun cugino. Incredibile, sconvolgente! Un apparente rinuncia avrebbe prodotto un enorme guadagno! Infatti, se si fosse dichiarato disponibile a rinunciare a parti decimali di un appartamento, ciascuno dei tre, alla fine, se ne sarebbe trovato con uno in più e non avrebbe subito la derisione e lo scorno da parte di Daniele Allora, alla fine del discorso emergono alcune sagge riflessioni: 1. Ricerca sempre la soluzione più semplice e il percorso più lineare. 2. Non esporre mai lo sguardo all abbagliante luce dell interesse personale o essa ti accecherà. 3. Ricorda di anteporre sempre il lavoro di team e il gioco di squadra al fai da te. Se sarai in grado di rispettare queste indicazioni, forse non riuscirai mai a guadagnare 3 appartamenti senza spendere un centesimo, ma sarai diventato certamente in grado di distinguere un affare da una bufala e potrai dire con orgoglio: Io sono manager di me stesso 125

126 Come (Titti De Simeis) Come di blu. E nient altro. Come diamanti di neve, D emozioni per sempre. Come un paesaggio d estate Che l inverno azzittisce di voci E sprigiona in bellezza. Come un piacere taciuto A non fargli del male. Come l odore di fumo A fuoco spento. Come un metro più in là E si è oltre il sole. Come il risveglio D un cielo che piove E una mano assonnata Che si veste di giorno. Come un sapore sul viso, Bagnato di sale. Come sorpresa Che brilla negli occhi E desiderio Che non s indossa. Come viaggio Di pochi passi E di sole parole. Come notte da spegnere, Così, e adesso, Sul mare Come Una splendida poesia di Titti De Simeis Comu (Dottor Babbarabbà) Comu de nu zzurru scuru. E gnenti autru. Comu diamanti de nive, De muzioni pe sempre. Comu nu paisaggiu du state Ca u jernu mmutiscjia de uci E spinchiuliscjia a bellezza. Comu nu custu mmuzzatu Cu nu lli faci filu dannu. Comu quiru ndoru du fumu Du focu mpena stutatu. Comu nu metru cchiù ddrai E strapassi puru u sule. Comu u rispejiu Du celu ca chiove E na manu nsonnulata Ca se veste de giurnu. Comu na sapunetta susu a facce Mmuddrata de sale. Comu nu ccantu mpruvvisu Ca te brilla ntra l occhi E nu disideriu Ca nu te poti mintìre. Comu nu (v)iaggiu De picchi passi E de palore sule. Comu na notte ca è bbonu cu stuti, Moi, a stu mumentu, Addrai, susu u mare Una dolcissima composizione di Titti De Simeis, atrocemente brutalizzata dalla versione in dialetto uggianese del truce dottor Babbarabbà. 126

127 La madre di Joel (Una fiaba vera, narrata da Titti De Simeis) Il porto. La strada piena di auto parcheggiate male, ammassate a ridosso l una dell altra, i finestrini mezzi abbassati e alcune radio accese. Fa caldo, il riverbero del sole gioca con l asfalto, un vociare lontano attira la mia attenzione. Raggiungo il gruppo di gente davanti a me, qualcuno urla, qualcun altro parla al cellulare mentre dimena un foglio di giornale verso un sacerdote, una donna si aggiusta il foulard sotto la giacca e si avvicina a me. Mi fa segno di andar via. - Perché? le chiedo. - Finisce male, vada via, signorina. Mentre mi parla mette la borsa sul sedile della sua auto, fa inversione e si allontana, decisa. Cerco un punto dove la calca sia più rada. La confusione è tanta, uomini parlano lingue diverse, si spiegano a gesti, si spintonano, si insultano, ma restano sempre uniti, sembrano non aver paura di ciò che sta accadendo. Io sì. Barconi di immigrati si avvicendano sul molo, sbattuti tra le onde e gli scafi in arrivo, uomini e donne senza destino: quello che avevano l han lasciato alle correnti, tra i flutti delle loro mille domande. Volti scavati, mani incerte cercano un appiglio per non cadere in acqua, voci stizzite, imploranti vita, labbra assetate e bimbi assonnati. Flash strapagati si contendono la prima pagina, microfoni pronti ad andare in stampa chiedono la prima fila. Due donne fanno la spola da un bar lì vicino. Un via vai di latte, brioche, termos di bevande calde da distribuire, di bottiglie d acqua, di biscotti e succhi di frutta. L inverno è andato via da poco, per fortuna non piove e un po di sole rende più accogliente la vita, così terribile, oggi, di estraneità e durezza. Accovacciata dietro un muretto, appena visibile da un lembo di scialle che le cade sulle gambe: una donna. Poco più di trent anni, capelli neri raccolti dietro la nuca, occhi scuri, grandi, infiniti di terrore, mi guarda. Sembrava cercarmi, a dire il vero, ho quasi avvertito il suo sguardo attirare la mia attenzione. Le sorrido. Risponde con un cenno, lieve, del 127

128 capo. Mi guardo intorno, tentando di chiedere aiuto a qualcuno che si prenda cura di lei. Con un battito negli occhi mi dice di no, mi implora di non chiamare nessuno. Mi avvicino. Mi accovaccio anch io, con lei. Sorride. Accenna un italiano stentato ma riesco a capirla. Il suo nome è Saryda. Mi accarezza le mani, mi chiede dell acqua e dei fazzoletti di carta. L accontento. Infagottato e nascosto in strati di stoffa, accolto nel suo braccio destro: un neonato. Cinque mesi, è un maschietto, mi dice, si chiama Joel. Il viaggio della disperazione ma nessuna certezza: si parla di rimpatrio, di un altro viaggio, forse senza sponde, senza terra. E una madre che piange in silenzio, fuggita per salvare suo figlio, per dargli la vita di nuovo, di nuovo la luce. Ha palpebre gonfie dal sonno, dalla febbre, dal freddo della notte. Cosa faccio io qui? Cosa posso fare per lei, le chiedo. Si stringe nelle spalle, mi accarezza una guancia, abbassa gli occhi e culla suo figlio. È meravigliosa. Il suo corpo diviene casa e letto, coperta e fuoco, lenzuola fresche di sole e acqua profumata di bolle di sapone, diviene il sogno che non può dargli, la canzone che non può cantargli, il bacio di panna e nuvole che voleva per lui. Ma, ora, è abbraccio di stanchezza, mentre il giorno cala già oltre il tramonto. Con la mano scopro un po il faccino del bimbo, una coperta di lana lo avvolge e lo protegge da occhi curiosi: sembra dormire e sorride, forse sogna. I capelli neri e ricci si arrendono alle mie dita che li aggrovigliano in carezze lente, poi lungo le tempie, le guance, fino a sfiorargli le labbra. È accaldato, è felice. Lui non sa, non comprende, non vede il grigio nel sole, non sente il freddo nei pensieri di sua madre, nelle fessure della forza della sua maternità. Col ciuccio in bocca, è lì, cha aspetta di crescere, di varcare il mare, quello del suo domani, delle sue scelte, dei suoi passi incerti per diventare un uomo. Non si sa dove sia suo padre: son stati divisi qualche giorno fa, e, da allora, niente più notizie. Saryda è inquieta, si agita all arrivo delle forze dell ordine. Polizia e carabinieri si alternano sul molo, si cerca di decidere, occorre trovare a questa gente, una sistemazione, almeno per ora. Guardo la distesa d acqua di fronte a me: la mia terra, immensa, come la storia che l ha vista cambiare. Un luogo di conquista, di dominatori e di invasori. Una terra che ha accolto e che ha cacciato via, e che, tuttora, conserva i segni di chi è stato qui prima di me. Dallo stesso mare, Saryda, Joel e quanti ancora! Un poliziotto si avvicina, mi chiede chi è, perché non è con gli altri. Lei si alza in piedi, appoggiandosi a me, tentenna, è stanca. Il bambino si sveglia, forse ha fame. L uomo in divisa la osserva, in silenzio. E un uomo sulla cinquantina, occhiali e barba di due giorni. Il volto dolce. Gli spiego che era seduta in disparte perché il figlio dormiva, voleva stare tranquilla, lontana dal caos. Saryda è agitatissima. Guarda me, poi guarda il poliziotto. Vorrebbe dire qualcosa ma non ci riesce. Gli uomini della pattuglia, verso il molo, ci fanno cenno di avvicinarci. Prendo Saryda per mano: non si muove. 128

129 Con un gesto veloce mi mette in braccio suo figlio e scoppia a piangere. Io resto impietrita. - Salvalo tu! mi fa. Chiedo aiuto al poliziotto. Le si avvicina, piano, le spiega che non le succederà nulla, che andranno in un centro di accoglienza dove avranno da mangiare e da dormire, e l indomani si deciderà il da farsi. Cerca di calmarla. È sconvolta. Abbraccia l uomo davanti a sé, singhiozzando. Joel, tra le mie braccia, si è riaddormentato. Ha le manine fredde. Io sono raggelata da tanto strazio. Momenti interminabili, in cui si vorrebbe avere la legge tra le mani, aggiustarla in due passaggi e restituire la vita a chi la implora. Cosa fare? L agente prende il bimbo dalle mie braccia e glielo porge. - Fidati di me le dice Lei si asciuga gli occhi col dorso della mano, ha l aria rassegnata. Afferra per un braccio quell uomo, divenuto per lei promessa e gli chiede, di nuovo, fiducia. Lui le fa cenno di sì, come farebbe un padre ad un figlio impaurito. Saryda si aggiusta lo scialle sulla testa, copre il viso di Joel e mi raggiunge, mi dice grazie. La stringo forte, respiro la sua disperazione e il suo odore di fremiti al cuore, di tremori dell anima. Mi prende la mano. - Torni, domani, a trovarci? -. - Sì le prometto. Li guardo allontanarsi. Lei si gira, ancora una volta, mi fa cenno con la mano. Le rispondo, i miei occhi nei suoi. Entro in macchina, metto in moto. Faccio inversione e riprendo l uscita. Si è alzato vento, ho un po di freddo. Magari domani piove. Domani. Spero tanto di trovarti ancora, qui, Saryda, madre dolcissima. Titti De Simeis 129

130 Aprirei gli occhi Aprirei gli occhi, Se il ricordo penoso Della visione, assurda, D una minuscola Lacrima cadente Dalle tue palpebre, Mia fragile stella Pulsante nel cuore Dell universo, Non mi fosse esploso dentro, Lacerandomi l anima Aprirei gli occhi Se potessi imprimerci, Per sempre, il tuo sguardo Dei lontani giorni felici, Che anticipava d un istante, Al mondo intero, Lo schiudersi, radioso, Del tuo ammaliante sorriso, Inconfessabile sogno Della mia presenile, Galoppante demenza Aprirei gli occhi Se fossi certo che, Da quella soglia, Mi apparissi tu Ma, nel dubbio, Li terrò ben chiusi Per non vedere nulla E continuerò a sognarti, Nel silenzio e nel buio, Fino all ultimo dei miei giorni

131 Amira, la principessina afgana, e il Grande Puffo (Cronaca di una giornata nel Centro Don Tonino Bello di Otranto, 30 agosto 2011) C era una volta, alcune migliaia di anni or sono, una magica terra ambita da tutti i naviganti del massiccio euroasiatico: il Salento, crocevia di genti, lingue e culture, culla della civiltà post-cavernicolare. Il Salento, una sorta di Eldorado, meta degli Ittiti, dei Fenici, degli Achei, porta d Oriente, approdo d Enea, citata da Virgilio (si tratta senza dubbio di Porto Badisco e non di Castro, ma poco dovrebbe importare, in fondo, se non a qualche facinoroso ed esagitato ultrà di campanile ) nel dolce passo: Dove due rocce spumeggiano d acqua salata, mentre il porto rimane nascosto (Eneide III, 552) Non abbandoniamoci ai voli pindarici e cominciamo dall inizio, dato che la storia che vi voglio raccontare si è svolta ad Otranto e vede come protagonisti un nobile spirito (il Cavaliere della Repubblica Italiana Franco Mancarella, medico ex-condotto di Cannole) e una splendida bimba afgana Ma entriamo subito nella storia Dunque, da circa vent anni il Salento è tornato ad essere la porta d Oriente, la meta agognata di genti che vengono da lontano, sospinte dall istinto di sopravvivenza, stipati in condizioni disumane all interno di veri e propri rottami del mare, alla mercé di scafisti senza scrupoli; in fondo, è cambiato davvero molto poco in vent anni, solo i porti d imbarco, i percorsi e le etnie degli immigrati: all inizio albanesi, kurdi e marocchini, poi iracheni e centro-africani, oggi iraniani, afgani e pakistani Sì, avete capito bene: questi fatti avvengono ancor oggi, ormai da qualche mese a questa parte, quasi tutti i giorni, a partire da agosto, anche se per le varie testate giornalistiche non sono più degni di fare notizia, anche perché (qualcuno chiosa) così daremmo un immagine assai dannosa per il turismo C era una volta, vent anni or sono e c è ancor oggi (e per fortuna!) un piccolo grande medico, piccolo solo di statura, con due baffoni neri su un volto all apparenza burbero, che ha sin, dall inizio del fenomeno, prestato (e continua a prestare), in quel di Otranto, la prima preziosissima assistenza medica a tutti i profughi appena sbarcati, nei locali di quello stabile che nacque miracolosamente, in pochi giorni, come Centro di prima accoglienza Don Tonino Bello, con il nome, cioè, di uno dei figli migliori del Salento In quel piccolo centro di solidarietà, il 30 agosto 2011 sono stato personalmente testimone, in qualità di direttore del distretto socio-sanitario di Maglie, di una meravigliosa storia che mi ha profondamente commosso Una giovane donna comincia ad urlare, in preda alle doglie: il suo bimbo di etnia afgana nascerà in Italia, nel Salento. Il buon Franco la visita, le sorride, la tranquillizza. L ambulanza della Misericordia la trasporta in ospedale, a Scorrano: la prima emergenza è stata brillantemente risolta. Ma il mio amico medico dov è andato a finire? Ah, eccolo, è già all interno dell ambulatorio a visitare e a dispensare a tutti deliziosi tarallucci, una vera prelibatezza del piccolo forno di Cannole, il suo paese, che adora (ma si tratta di amore assolutamente ricambiato) Dimenticavo, non c è giornata di sbarchi che lui non si porti dietro, pagati di tasca propria, tarallucci, friselline e dolcetti per i più piccini Ma là fuori c è una bimba di circa 5 anni che piange disperatamente: le ragazze rosse della Croce Rossa e quelle azzurre della Misericordia tentano in tutti i modi di calmarla, ma ottengono l effetto opposto, forse anche per colpa di quelle loro divise un po troppo sgargianti. Allora, vedo Franco lasciare l ambulatorio, chiamare accanto a sé due finanzieri di mare e recarsi verso la bimba: istintivamente associo la sua figura in camice bianco al 131

132 Grande Puffo, con accanto a sé due Puffi più giovani in divisa color carta da zucchero Attraverso l interprete, Franco chiede alla madre il nome della piccola: Amira. Vuol dire principessa, precisa l interprete. Il Grande Puffo chiede a uno dei finanzieri a lato di sfilarsi il basco, quel buffo copricapo verde col ciuffo, e lo avvicina lentamente e con cautela alla bimba, dicendole, in italiano: Lo vuoi, questo, principessina?. Amira tende la manina, prende il basco e se lo mette in testa Il Grande Puffo a sua volta le tende la mano. Amira non si sottrae. Insieme entrano nell ambulatorio. Franco la mette di fronte allo specchio. La bimba si guarda e sorride soddisfatta, dimostrandosi assai vanitosetta : tutto il mondo è paese; meglio, tutti i bambini di questo mondo sono spontanei, indipendentemente dalla razza, dalla lingua e dalla cultura dei grandi. Poi il Grande Puffo tira fuori una confezione di deliziosi dolcetti da forno, i Pizzicati alla mandorla, la apre e ne offre uno ad Amira: la splendida bimba lo divora e pretende poi (e giustamente!) l intera confezione Al tramonto, il Grande Puffo rimette in ordine l ambulatorio, chiude la borsa e, prima di tornarsene a casa, si ferma a guardare la piccola Amira partire in pullman verso il centro di accoglienza di Bari. La principessina gli stampa un bacione sulla guancia e a quel punto vedo l espressione del Grande Puffo cedere per un attimo all emozione, ma forse è stata solo una mia impressione. Anche se non è una festa araba, Buon Natale, principessa Amira, dovunque tu sia adesso. E Buon Natale anche a te, Grande Puffo! 132

133 Sei presente Sei presente negli occhi miei Come una luce intensa, Dalle tonalità cangianti, Per donare colore ai miei giorni. Sei presente sulle mie mani, Come un morbido guanto di lana, In una notte gelida, Riscaldata dal tuo sorriso, Quello che manca al mondo Impazzito, tra eccidi e violenze. Sei presente nel mio cuore, Come un rutilante fiume di passione, Ancora inappagata. Sei presente nei miei pensieri, Sul palco delle mie illusioni, Illuminata dai riflettori, A declamare versi mai obsoleti. Sei presente all orizzonte, Nel mare, sulla terra; Sollevo lo sguardo e sei anche lì, Con il tuo sguardo sorridente Che mi fa capire l esistenza del Creatore. Sei presente nell anima mia, Dolce ossessione Senza tempo e senza età. Sei presente sul ramo del loto, Mio profumato nettare, E mi percorre un fremito infinito. Sei presente su un filo sospeso E voli felice come una bimba, E non devi vergognarti Di essere felice. Sei presente nel mio spirito, Piccolo fiore di campo, Coi tuoi seni ricolmi E il tuo bel viso. Sei presente nelle mie emozioni: Saprò chiudere gli occhi e cogliere Questo fiore a lungo sognato? Sei presente nell angosciosa attesa Del mio viaggio verso te: Vivrò il mio più bel sogno, O un eterno, inestinguibile, rimpianto? 133

134 Un pensiero per la pace su Facebook Breve dialogo su Facebook con Nedal Hamad, giovane ingegnere di Gaza (Palestina), che parte da un suo ringraziamento per il fatto di aver postato una (a mio avviso assolutamente meravigliosa) poesia ( Pensa agli altri ) di Mahmoud Darwish. Ingegner Nedal: Thank you very much for poetry!. Dottor Babbarabbà: "I pray for peace, but God is sleeping so deeply. Hoping for a better tomorrow of Palestine". Ingegner Nedal: "I do appreciated. Thank you feel towards us. We wish peace to live a quiet and happy life". Conclusioni: se dedicassimo un po' del nostro tempo ad ascoltare gli altri, molti nostri preconcetti cadrebbero in pezzi (allo stesso modo di come spero possano sgretolarsi di colpo i tanti vergognosi muri rimasti ancora eretti a separare crudelmente l'umanità). Da Pensa agli altri di Mahmoud Darwish Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri, coloro che non trovano un posto dove dormire. Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri, coloro che hanno perso il diritto di esprimersi Nedal Hamad Mahmoud Darwish 134

135 Ricordo di Alberto, Antonio e Armando (Un Natale nero 2012) Sei svanito nel buio, all improvviso In una notte santa, dopo uno rovinoso schianto: Tutta la gente all istante sospese il festoso sorriso, Travolta da un convulso e disperato pianto. La foto in cui t abbracci all adorata mamma Non è un ricordo triste, ma la testimonianza D un amore che discende dal Ciel, come una gamma Di voci d Angelo: una dolce ninna nanna di speranza. Milioni di persone percorrono distratte le strade della vita Senza guardarsi attorno, né tendere la mano, A chi è sconvolto e demolito da una pena infinita Ed ha bisogno di tornare al normale quotidiano. Il tuo sorriso lo troveremo ogni mattina, a oriente, Il tuo sguardo sincero nell argentato di Badisco mare: Raggio di sole che proviene dal tuo spirito lucente, Raggio di luna che rischiari, come un globo di lampare. Quello che voglio dire, senza giri di parole, Pur nell'immensa angoscia che il vostro cuore a stento contiene, Sappiate che non sarete mai più anime sole Perché tutto il paese continuerà a volervi bene. Alberto, Antonio, Armando, questa è la mia preghiera: Nel vostro ricordo sia una Uggiano più coesa e più sincera. 135

136 Riflessioni del giorno dopo (Messa in suffragio di Alberto e Armando) Spero che il 25 gennaio 2013 sia stato davvero (e in via definitiva), per Uggiano, il "Giorno della Memoria". Spero che tutti possano ricordare per sempre l'affetto sincero e la profonda condivisione emotiva vissuti all'interno della chiesa. Spero, inoltre, che tutti gli adulti prendano esempio da quelle centinaia di giovani e giovanissimi (di Uggiano e non) che hanno dimostrato, durante l intensa cerimonia di commemorazione, attraverso la loro composta commozione, di credere ancora in quei valori fondamentali che dovrebbero guidare (sempre e non secondo le circostanze) la società. Da parte mia, vada un forte e fraterno abbraccio a Nino, Giovanni, Cristina ed Anna Maria, ai loro familiari ed a tutti coloro che hanno subito, in passato, simili tragedie P.S.: avrei voluto credere (e cedere) all emozione di almeno una vita salvata dal quel terribile incidente, ma purtroppo non ce l ha fatta nemmeno Antonio Jr. Rubrichi, salito anche lui in cielo all inizio dell estate. Mi stringo intorno ai suoi genitori ed allo zio Giuseppe, con il quale ho condiviso l infanzia Alberto con la mamma Cristina 136

137 Un Natale cupo a Uggiano Natale è il viaggio Parabolico d una speranza Che sfodera gioiosi sorrisi E sforna lusinghe attese. Natale ha il fascino popolare Del bene comune e degli abbracci, Un benefico fantasma di ritorno. Ha gli occhi incantati di un bimbo Con il naso all insù che attende, Nel luminoso buio della notte, Di scorgere la mitica cometa E i cammelli dei principi persiani E il calore del bue e dell asinello... Natale ha il profumo d Oriente Dell incenso acre e speziato Delle pigne dei (non più) teneri pinoli Nel fuoco scoppiettante del camino. Natale ha il suono accattivante Delle zampogne montanare E delle campane della chiesa madre Nel crescendo rossiniano della mezzanotte. Natale è il giorno del sommo dolore D una madre che non sa darsi pace, E che vive il ricordo del suo perduto giglio Ululando alla luna, disperata 137

138 Da grande voglio fare il lavavetri! (Così la madre ricorda Alberto su Facebook M. Cristina Rizzo) "Mamma, papà, da grande voglio fare il lavavetri!". La tua vocina ci sorprese mentre, fermi ad un semaforo, osservavamo un ragazzo che lavava il cristallo della nostra automobile. Mi voltai, sorridendo, verso di te che, con gli occhi brillanti, seminascosti dalla cascata di riccioli biondi, e con il tono serio serio degli impegni solenni, ripetesti il proposito. Io, sempre più divertita, ti chiesi perché proprio il lavavetri E tu, assertivo, mi rispondesti: "Perché fanno tanti soldini" "Sto andando in studio, Abbi; tu vieni, stamattina?". Ti avrei chiesto oggi. "Tra un po' vengo" mi avresti risposto. Ti piaceva studiare nel mio studio e a me piaceva saperti nella stanza in fondo al corridoio. Ci piaceva la pausa caffè con Nevi. Ci piaceva stare insieme. Ora vivo giorni altalenanti: quando faccio le cose di sempre mi meraviglio di me stessa ed ho la sensazione di avere delle possenti braccia che mi sorreggono; in altri, la tristezza mi inonda come un fiume in piena. Ieri sera, in casa di una persona che ti vuole molto bene, vedere le tue belle foto esposte e sapere che in quella casa ci sei stato tante volte, con i tuoi amici, a ridere e scherzare, mi ha ricordato che tu non ci sei più con noi. Una presa di coscienza dalla quale tento di rifuggire, ma alla quale sono costantemente chiamata. Aiutami, Abbi; aiutami a farmene una ragione, di questa tua morte, che una ragione non ha E ci sei riuscito: ho vissuto in famiglia questa seconda Pasqua senza di te con un intimo senso di pace che razionalmente non mi so spiegare. A volte penso che tu sappia fare i miracoli, ma il miracolo di riaverti con noi come nella foto della tua ultima Pasqua terrena, quando ce lo farai? Ti mando un milione di baci al cielo, fiore della mamma Inizia un nuovo giorno che cercherò di vivere anche per te, amore mio. E continuerò a cercarti negli occhi di ogni ragazzo che incontro; ad immaginarti nei gesti di ogni giovane uomo che incrocio ogni giorno sul mio cammino A rimpiangerti incessantemente. Ti voglio un bene dell' anima, Abbi! Ogni giorno non mancano sulle bacheche dei vostri amici messaggi come questo. E mi convinco sempre di più che non eravate speciali solo per noi, ma per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscervi. Proprio l'altra sera un caro amico mi raccontava, con sorpresa, che ogni persona con la quale parlava conservava il ricordo del momento passato con voi; e si meravigliava di quante persone conoscevate, malgrado la vostra giovane età. E questo acuisce il dolore perché manca a tutti l'amore, l'amicizia e la gioia che sapevate dare. Adesso cercate, da lassù, di aiutare Antonio (Nota: Antonio Jr, Rubrichi, il terzo ragazzo coinvolto nel terribile incidente del 25 dicembre 2012, tuttora in coma) a tornare tra di noi, vi prego! 138

139 Da grande avresti fatto il calciatore (Ricordo di Armando su Facebook) (Anna P., 28 maggio, messaggio a Nino Viceconte a commento della sua foto sul profilo di Facebook). Ieri stavo facendo la solita corsetta e, passando vicino al campo sportivo, ho immaginato te e tuo figlio abbracciati, esattamente come in questa foto. Ad un tratto (e all improvviso), ho sentito un profumo intenso e non sapevo spiegarmi cosa profumasse così: mi sono guardata intorno e non c'erano fiori o piante che potevano profumare così; poi ho girato l'angolo ed ho incontrato tua moglie che passeggiava Ed ho capito subito che, certamente, c era Armando che camminava accanto a lei (Replica di Nino, il papà di Armando). Ciao Anna, ti ringrazio per la tua grande sensibilità. Non ti nascondo che leggere quello che ti è successo mi ha provocato una sensazione positiva e molto forte, alla quale non so dare la giusta spiegazione. Di sicuro voglio sperare che Armando sia presente nella nostra vita, che sia vicino a noi e che in qualche modo ci aiuti ad andare avanti, pur privati della sua immensa presenza terrena Quella foto riporta alla mente ricordi, speranze e progetti che sono improvvisamente crollati e che nessuno potrà più ridarci E allora ci restano le testimonianze come la tua e di tanti altri amici che hanno la fortuna di incontrarlo, sentirlo, avvertire la sua presenza. Grazie ancora, Anna! 139

140 Solstizio d estate Un cielo sonnacchioso Sorride alla laguna, Sotto lo sguardo ozioso D'una distratta luna... Necropoli d ardori sopiti, Di spiriti e corpi distanti, D'incanti da tempo abortiti Di irrealizzati amanti. Copiose lacrime di sale Fendono le aride zolle D una campagna folle, Colta da oscuro male. Spunta dal nulla, snella, Più unica che rara, Un ambigua morella, L astiosa dulcamara. Fra le sue fronde il vento Frange silenzi d'oro: Franano nel tormento Freddi fregi d alloro. Dolce fu l illusione, Acre, triste il risveglio. S è infranta l occasione: Forse impazzire è meglio. Lo sferragliante treno S imbuca nel silenzio, Dentro l'angusta tana Nel fulvo bosco alieno. M inebrio con l assenzio, M annullo nell oblio, Alla ricerca, vana, Del mio smarrito Dio 140

141 Un buco nell anima Liquida e lucida, sapida e rapida e tutt altro che furtiva gli scendeva sulla guancia una solitaria lacrima, sfiorandogli l ala del naso, per poi buttarsi giù, a capofitto, verso il baratro. Non riusciva a capire il perché di quell insostenibile disagio: Ma che cazzo vado cercando, in fondo? continuava a chiedersi, senza mai trovare una risposta degna, essere ottuso, intriso di grassa ignoranza Eppure, avvertiva un enorme buco nell anima e allora capì di dover cercare un rifugio sicuro, magari riavvolgendosi a spirale, per tornare nella materna, protettiva posizione intrauterina Sentendosi al sicuro, cercò allora di leggersi dentro e finalmente si accorse che quel disagio gli derivava dalla amara consapevolezza di aver vissuto sempre schiavo della consuetudine, di aver conseguito sempre solo vittorie effimere e cercato il percorso più facile, aggirando sempre tutti gli ostacoli Lui, l essere inquieto e ribelle per antonomasia, si era adeguato, alla fine, a quel modello di anonima normalità che aveva sempre contestato e contrastato; sì, proprio una sorta di conformista integrato, anche se aveva profuso tante energie in favore dei più deboli, lottato con tutte le sue forze contro lo spietato caterpillar della globalizzazione, ma con quali risultati, poi? Non si era trattato, forse, di un semplice automatismo scattato al solo scopo di tacitare la coscienza o, peggio, di una mera esibizione narcisistica pervasa di umana ipocrisia? Successi sul lavoro e nella vita? Dio, stendiamoci sopra un velo pietoso! Solo vittorie effimere, durate lo spazio d un mattino (o di una notte) e poi giù ad ingoiare l amaro (ma ormai familiare) sapore della sconfitta! E le emozioni? Quelle vere le aveva provate solo al cospetto del sorriso e del pianto dei suoi splendidi figli Poi, null altro Mai un momento di vera esaltazione estatica, mai un istantaneo rossore, mai un improvviso palpito di cuore alla comparsa d un anima poetica. Tutti i suoi sogni erano rimasti ormai schiacciati dal peso degli eventi quotidiani e cancellati dall effimero piacere del fuoco di paglia d un fugace incontro galeotto, senza luce, né calore E si stava lasciando morire d inedia, senza più reagire, senza riuscire a trovare la forza di chiedere aiuto, al punto da perderne persino la voglia, richiudendosi su se stesso, fino a diventare refrattario a qualsiasi stimolo esterno; persino il tempo gli scorreva addosso come un ruscello sul selciato, dopo una pioggia battente E si distese sul greto di un fiume in secca aspettando la fine, con la poco piacevole compagnia di un avvoltoio tutt altro che disinteressato; ma l'inatteso e miracoloso arrivo di copiosissime piogge, figlie di temporali fuori stagione, lo scaraventò da un luogo di lavoro ad un altro, come un anonimo pacco postale in un anonimo vagone di un anonimo treno merci, finché, un bel giorno, sollevando stancamente lo sguardo per la formale risposta ad un formale adempimento lavorativo, non avvertì il profumo di un tenero fiore di campo e la sua anima fu illuminata da un vivido raggio di sole e sentì rinascere, dentro di sé, la voglia di vivere e di sognare che aveva perduto da tempo E rimase stordito, come paralizzato per il timore, fino a provare persino vergogna, per quella improvvisa riscoperta, certamente voluta dal Cielo e sentì vicine a sé, fratelli e sorelle, tutte le creature della terra 141

142 E si mise a pregare il Signore perché quella stupenda creatura non sparisse di colpo, come un tanto abbagliante, quanto illusorio ed evanescente miraggio e aspettò alla finestra tutti i giorni di vederla passare, ma senza mai farsi vedere, perché... altrimenti il mio Angelo se ne volerà via Ma un giorno riuscì a trovare il coraggio di leggerle i versi scritti per lei e le protese una mano in attesa. Per alcuni istanti di vera magia, le due mani divennero una sola poi, nella sua restò solo un mucchio di sabbia o forse un pugno di mosche, ma nel cuore si trovò scolpito, e per sempre, non già una giovanile emozione, ma un profondo piacere dello spirito che si portò dietro per tutta la vita 142

143 Per anni ed anni, in silenzio Contro una spessa coltre Di cumuli e di nembi S arresta il volo arabescato Del falco sognatore. E viene giù uno scroscio Con tonante fragore, Come un costone di roccia In una cava minata, Con angoscioso rombo, Gridando il suo dolore. Ed io m accorgo come, Frusciante e battente, La pioggia notturna Saltella danzando Sul granitico selciato, Tuffatasi, decisa, Dal margine reciso Della molesta nube E un vortice di vento M avvolge per intero Facendomi librare Sulla spiaggia deserta. Ed è qui che, solitario, Ritrovo all improvviso La mia vitalità, E, colto da un impeto Di cieca follia, Dopo un lungo, Lunghissimo silenzio, Durante il quale Con tanto rispetto Ti ho tenuta dentro, Divengo paonazzo E in questo giorno grigio Urlo al mare e al cielo Ed ai fantasmi del passato Che pur se del tutto Il mio carme per te Restasse inascoltato, L immensità d un emozione Vivrà comunque in me! 143

144 Riflessioni del dottor Babbarabbà sul buonsenso Presentazione Ho tenuto questo file incompleto per mesi e mesi nel mio PC, come abbandonato nella polverosa mediateca delle mie idee fuggiasche, quelle che, per prudenza, sarebbe meglio lasciare segregate per sempre nelle umide e gelide prigioni dei recessi della mente, per evitare che vadano a far danni in lungo e in largo. Devo però precisare che l idea di base era tutt altro che negativa, anzi persino apprezzabile, perché parlare del buon senso mi era parsa da subito cosa buona e giusta; quello che avrei voluto evitare (ma la mia mente compulsiva non mi ha dato scampo) era invece arrivare a proporre esempi di sconfitte del buonsenso che stimolassero il dialogo, se non la polemica. Alle soglie del Natale, festività che dovrebbe ispirare i buoni sentimenti, ho deciso di rispolverare il vecchio file e di proporre ai lettori questo interessante (spero) tema di discussione. Premessa Ci sono taluni argomenti di discussione che, per essere correttamente impostati e discussi, devono essere inseriti in un preciso contesto logico, storico-culturale e spazio-temporale; neppure il tema del buon senso (o buonsenso, di seguito b.) sfugge all obbligo di questo inquadramento, a meno che non si abbia voglia di adagiarsi sul comodo sofà delle dissertazioni sofistiche. Vedremo, perciò, di fare precisi riferimenti alla realtà basandoci su fatti di cronaca quotidiana ed eventi storici, oltre che sulle sacre scritture e sulle leggende della mitologia. Ciò detto, discutere sul concetto di b. è impresa comunque ardua, dato che, sin dalla notte dei tempi, migliaia di filosofi e di cultori di varie discipline del sapere hanno acceso furiose dispute sul tema, ma quasi mai con risultati apprezzabili; sarà perciò nostro preciso impegno impostare fin dalle sue radici il discorso sul b., al fine di tentare di edificare una instauratio magna ab imis fundamentis. Sulla base di queste premesse, cominciamo ad inquadrare bene il concetto di b., partendo da un arguta riflessione del grande scrittore di fantascienza polacco Stanislaw Jerzy Lec, il quale, nel suo splendido florilegio di aforismi dal titolo Pensieri spettinati, esprime una brillante idea sul b., che sarebbe estremamente utile ai governanti italiani ed europei in questa lunga fase di grave crisi economica pandemica: Non si deve cominciare a risparmiare riducendo la quantità di buon senso. La riflessione del grande Lec non è solo arguta, perché rappresenta anzi un solido insegnamento etico, politico, culturale, economico e sociale di straordinaria valenza, dato che i tutti i policy maker (e i decision maker in generale) del pianeta dovrebbero sempre poter investire sul b., che esiste (e sarebbe anche facilmente disponibile per tutti gli esseri umani nella realtà quotidiana), ma, come dice il buon Alessandro Manzoni: Il buon senso c era, ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune. Inquadramento del concetto di buonsenso Come si è detto in sede di premessa, il concetto di b. è stato da sempre oggetto di accese dispute tra le menti più illuminate del genere umano: migliaia di filosofi, filologi, letterati, sociologi e psicologi hanno discusso sul b., definendone contenuti e contorni più o meno precisi, in relazione allo specifico settore del sapere. Molti fanno coincidere il b. con la saggezza, intesa come capacità di valutare in modo prudente ed equilibrato di volta in volta le varie opportunità, optando per quella più corretta e proficua, secondo la ragione e l esperienza. Peraltro, se decidessimo di far coincidere il concetto di b. con la saggezza, la sua definizione sarebbe di capacità di fare il miglior uso possibile della conoscenza che si ha a disposizione, scegliendo di volta in volta ciò che, valutato a lungo termine, possa ottenere 144

145 l'approvazione di un buon numero di persone ; in tal modo, però, ci lasceremmo coinvolgere dall opinione popolare corrente, che in genere attribuisce la dote della saggezza alle persone più anziane, in virtù della loro prudenza e maggiore esperienza di vita. In altri termini, correremmo il doppio rischio di considerare, da un lato, il b. sempre e comunque come una capacità acquisita con l esperienza (e non come una virtù innata) e, dall altro, di escludere aprioristicamente, dalla capacità di essere dotati di b., i bambini, che invece dimostrano di saper adottare scelte corrette e giudiziose molto più spesso rispetto a tanti adulti. La definizione di b., pur se intuitiva, pone, nella pratica, notevoli problemi, sebbene si possa riconoscere al b. una caratteristica costante: il suo legame indissolubile con la ragionevolezza, espressa come capacità dell essere umano di adottare la decisione migliore trovandosi di fronte ad una scelta dicotomica, duale, in un sistema semplice, caratterizzato dalla presenza di una sola variabile (o incognita) di sistema, analogamente a quanto si verifica nelle equazioni algebriche di primo grado. L importanza del legame con la ragionevolezza è dimostrata dal fatto che comunemente si usa definire un individuo dotato di b. come persona ragionevole e giudiziosa. I principali dizionari della lingua italiana definiscono il b. come una particolare facoltà naturale dell individuo che si esprime nella capacità di ben valutare le situazioni e di riuscire ad operare, di conseguenza, la scelta migliore fra varie opzioni possibili; in tal senso, il grande Dizionario dell Enciclopedia Treccani definisce il b. come la capacità naturale, istintiva, di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche, mentre per il Dizionario Hoepli il b. è la capacità naturale dell'individuo di valutare e distinguere il logico dall'illogico, l'opportuno dall'inopportuno, e di comportarsi in modo giusto, saggio ; il Dizionario Zingarelli (ed. 2005), invece, tende ad oggettivare il concetto di b., che è definito come capacità di giudicare e comportarsi con saggezza, senso della misura ed equilibrio. Mi piace sottolineare il fatto, comunque, che in tutti i dizionari della lingua italiana, accanto alla locuzione buon senso, che associa un aggettivo e un sostantivo, esiste anche la forma sintetica di lemma unico, il buonsenso, la cui genesi probabilmente deve essere fatta risalire ad un auspicio dei filologi e dei filosofi più ottimisti di vedere un giorno trionfar la ragione, con l intera umanità (ma con i governanti, in particolare) finalmente in grado di giudicare le situazioni in modo avveduto e, come naturale conseguenza, di adottare scelte ed azioni in grado di produrre una massimizzazione dei vantaggi non solo per il singolo individuo, ma anche per la collettività, privilegiando sempre le persone e le popolazioni più fragili. A questo punto, si pone la necessità di dare una risposta alla seguente domanda: Il b. è una qualità innata o viene acquisita con l esperienza?. La risposta non è semplice, perché se è vero che alla base del b. sussiste probabilmente una predisposizione innata, esso si estrinseca e si perfeziona, però, con l esperienza; in altri termini, il b. è una capacità complessa, frutto di un attitudine congenita a saper valutare con raziocinio e giudizio, ma anche della capacità di assorbire il sapere che si acquisisce con l osservazione, con la pratica e con l esperienza. Per questo motivo, con l andar del tempo, possiamo diventare sempre più dotati di b. (o, meglio, della capacità di esprimerlo), ma ci vuole molta umiltà per imparare dai nostri errori. In realtà, oltre alla predisposizione naturale al b., deve coesistere anche una buona disponibilità anche al suo miglioramento, dato che alcuni importanti esempi della storia ci dimostrano che aver un buon maestro di b. è condizione necessaria, ma non sufficiente, per il suo miglioramento: basti pensare al caso emblematico 145

146 della follia pantoclastica di Nerone, che pur ebbe come precettore uno dei filosofi più illuminati della storia, il grande Seneca. Tutto ciò premesso ed acquisito, cerchiamo ora di proiettarci dal mondo metafisico delle idee a quello reale della sperimentazione diretta sul campo; a tal fine, ho esplorato Internet in lungo e in largo ed avendo trovato, sul sito di Yahoo! Answers, un forum assai frequentato, nel quale si discute ormai da anni sul b., ho estrapolato alcune definizioni ruspanti, delle quali solo una minima parte risultavano anonime, mentre moltissime erano firmate con tanto di nick dell autore ed anno di postaggio. 1. Il b. è l abilità di stimare o di agire con prudenza ed equilibrio, con razionalità e giustezza; in altri termini, il b. è il comportamento finalizzato a favorire la sopravvivenza del maggior numero di persone possibile e dell ambiente (animali, piante, oggetti ). 2. Il b. è la capacità di giudicare e comportarsi con saggezza, il risultato di un ragionamento logico. Il b. sottintende la facoltà di decidere in modo intelligente ed ovviamente chiama in causa la facoltà di pensare; peraltro, il b. è un bene ancora molto raro nel mondo odierno, poiché molti preferiscono lasciare gli altri a pensare per loro, permettendo che siano i mezzi di informazione, i colleghi o l opinione comune a decidere per loro: Costoro ritengono che pensare sia faticoso e si adagiano nelle leggi o in quel che dice la televisione, i giornali o le riviste senza riflettere, omettendo di pensare, fino a perderne la capacità. 3. Nel campo della salute, il b. la capacità di prendersi cura del nostro corpo, mantenendoci attivi, per vivere meglio e più a lungo. 4. Il b. è la capacità di trovare un ragionevole equilibrio che ci permette di fare quanto è necessario senza perdere la gioia. 5. Il b. non è una prigione. È avvicinarsi ai desideri con l'intenzione di fare meno danni possibili (Mary, 2008). 6. Il b. è qualcosa che aiuta a mettere a freno l'istinto, quando prevale il desiderio di qualcosa che però può essere dannoso; in altri termini, il b. è un istinto un po più perfezionato e ti aiuta in quei momenti un po' fuori fase, quando sei condizionato dagli altri (Nutellina, 2008). 7. Il b. è l'innata capacità di identificare ed utilizzare la strada più razionale, per compiere qualcosa le cui regole sono assenti, non sono state ben definite e codificate o risultano poco chiare (R37/Irritante, 2012). 8. Il b. è la capacità di non rendere difficile il facile attraverso l'inutile (La Si, 2012). Una strana forma di utilizzazione del b. fu quella addotta da un oscuro (oggi) filosofo, ma assai noto ai suoi tempi, a sostegno di alcune argomentazioni contro l esistenza di Dio; infatti, Paul Thiry barone d Holbach, l esponente più radicale del materialismo e dello scetticismo nel mondo dell Illuminismo enciclopedico, nella sua opera dal titolo Il buon senso articola, in 206 paragrafi, il ruolo fondamentale del b. nel rintuzzare l arroganza e nel ridicolizzare le pretese totalitarie d una pseudo-scienza qual è, a suo parere, la teologia: Un impostura sedicente filosofica creata dai religionisti per mascherare e legittimare i perenni, criminali inganni del potere. In particolare, voglio porre all attenzione dei lettori due paragrafi (sul totale dei 206 dell opera), sui quali discutere insieme: Paragrafo 42. L esistenza dell uomo non dimostra affatto l esistenza di Dio. [...] L intelligenza dell uomo non dimostra l intelligenza di Dio più di quanto la malvagità dell uomo non dimostri la malvagità di quel Dio, di cui si pretende che l uomo sia una creatura. Da 146

147 qualsiasi lato la teologia affronti la questione, Dio sarà sempre una causa contraddetta dai suoi effetti. Paragrafo 138. La fede si radica solo in spiriti deboli, ignoranti o pigri. La fede supplisce alla debolezza dell intelletto umano, per il quale la riflessione è, di solito, un lavoro assai penoso; è molto più comodo rimettersi al parere di altri, anziché indagare personalmente [...] ecco, certamente i motivi per cui la fede trova tanti fautori sulla terra.[...] Una profonda ignoranza, una credulità senza limiti, un cervello molto debole, un immaginazione sovreccitata: ecco gli ingredienti con i quali si fabbricano i devoti, gli zelanti, i fanatici ed i santi. Il mio commento? Personalmente, credo che non sia giusto sostituire i dogmi con altri dogmi, verità assolute con altre verità assolute. Credere all esistenza di Dio è un atto di fede, che si ha o non si ha. Qualsiasi tentativo di arrivarci con la ragione (ma anche di confutarlo con la ragione) è errato e fuorviante. L unica cosa che mi preme dire, per essere coerenti con il tema trattato, è questa (e ne sottolineo l importanza inserendola tra virgolette): I credenti devono essere tolleranti con gli atei, allo stesso modo di come gli atei devono essere tolleranti con i credenti. Gli effetti positivi del buonsenso Il b. è uno straordinario adattogeno, cioè un preziosissimo strumento attraverso il quale un individuo è in grado di mantenere una situazione di equilibrio rispetto alle noxae nocive esterne, rendendo la vita (propria e degli altri) più semplice, oltre a risparmiare risorse, compreso il tempo; infatti, il b. si può esprimere come la capacità di risolvere i problemi quotidiani più facilmente e più rapidamente rispetto a quando ci facciamo prendere dall ansia da prestazione, dalla rabbia, dalle antipatie o da altri sentimenti fuorvianti. Attraverso il b., si riesce, inoltre, ad operare un analisi accurata della realtà che ci circonda o di una particolare situazione che si sta affrontando, imparando a valutare le informazioni raccolte ed a trarne le giuste conclusioni, che ci aiutano a porre in essere la scelta decisionale più corretta ed adeguata. Un paio di esempi dell utilità pratica del b. sono il leggendario giudizio di Salomone e la sentenza assunta attraverso una decisione aleatoria da parte di un giudice di Trento. Il giudizio di Salomone Il primo esempio di b. ci riporta alla biblica, leggendaria saggezza di Salomone, il terzo re di Israele, successore di Davide; il primo Libro dei re, infatti, ci offre un esempio significativo di b. come strumento per la soluzione illuminata di un problema complesso. Nel mondo antico era un fatto comune chiedere il giudizio del re, non esistendo l attuale suddivisione tra potere legislativo e potere giudiziario; i regnanti, quindi, erano i giudici supremi a cui venivano sottoposti i casi più difficili e quello sottoposto al re d'israele sembrava irrisolvibile. Due donne, Anna e Basemah, si erano presentate al cospetto di Salomone: ciascuna aveva partorito un figlio a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro ed entrambe dormivano nella stessa casa. Una notte, uno dei due bambini morì e ciascuna delle due donne accusava l altra di aver scambiato il figlio morto con quello vivo durante il sonno. Salomone, dopo aver ascoltato le due donne sostenere più volte le loro tesi, fece portare una spada e ordinò che il bambino vivente fosse tagliato a metà per darne una parte a ciascuna di esse. Basemah si mostrò d'accordo con il giudizio dei re: Va bene maestà, tagliatelo pure in due come avete detto. No, per pietà, no!, disse invece Anna. Piuttosto lasciate a lei il bambino, ma vi scongiuro, non uccidetelo!. A quel punto Salomone non ebbe dubbi: Date il bambino ad Anna: solo una madre che ama davvero il proprio figlio è disposta a separarsene, pur di lasciarlo in vita, mentre all altra non importa nulla della vita del piccolo!. 147

148 La decisione aleatoria del giudice di Trento Le decisioni aleatorie sono quelle affidate al caso, che si prendono quando le due opzioni di scelta sono assolutamente equivalenti e sussistono reali situazioni di necessità e di urgenza. In tali circostanze, si può ricorrere persino al classico lancio della monetina, come nel caso di una singolare decisone assunta da un giudice di Trento; infatti, le pagine di cronaca del Corriere della Sera del 30 dicembre 2004 riportarono il seguente titolo: Trento, genitori contro: il giudice fa testa o croce. Nell articolo, si legge: Con la mamma o con il papà per le vacanze di Natale? Decide la monetina. «L ho fatto nell interesse del bambino - ha spiegato il giudice -. Legali e genitori non si mettevano d accordo e non c era tempo per riunire la camera di Consiglio. Così ho detto ai genitori di affidarsi al caso, nell interesse esclusivo del bambino». La fortuna ha arriso alla madre, che ha potuto così trascorrere il Natale con suo figlio. La lapalissiana evidenza della straordinaria utilità prodotta dal b. porta alla conclusione naturale che ciascun essere dotato del ben dell intelletto dovrebbe impegnarsi al massimo per acquisirne l abilità, ma la realtà dei fatti dimostra che il genere umano rifugge molto spesso dalla pratica di comportamenti assennati e tende anzi a praticare stili di vita del tutto incoerenti, oltre a lasciarsi guidare spesso dall istinto; in altri termini, quindi, se nel genere umano il seme del b. avesse attecchito, la storia dell umanità avrebbe avuto un decorso molto migliore e, probabilmente, in questo inizio di terzo millennio, anziché essere alle prese con una grave ed interminabile fase di crisi economica, con le stragi quotidiane del Medio Oriente, con il terrorismo internazionale e, permettetemi, con la stupidità tribale di chi, attraverso strampalati dogmi di pseudo - economia e pittoreschi riti pagani come quello delle ampolle ricolme delle sacre acque delle sorgenti del Po, intende rimarcare il diritto divino alla rigida divisione della società italiana tra i belli, ricchi, colti, sani e illuminati del Nord ed i poveri (brutti, sporchi, cattivi, ignoranti e mafiosi) del Meridione; ad onor del vero, però, questi fenomeni di cannibalismo tribale non possono essere ascritti in modo esclusivo alla famigerata Lega Nord, perché, se ci spostiamo in una dimensione planetaria, ci accorgiamo che nessuno dei grandi potenti sembra voler operare realmente nella seria prospettiva di una più equa distribuzione delle risorse a livello mondiale E si perpetuano, in questo modo, la dicotomia manichea tra il Nord e il Sud della Terra, il neo-colonialismo, sia pur mascherato, del terzo millennio, le guerre sante (sante?) di religione ed altre centinaia e centinaia di nefandezze dell umanità. Gli alleati ed i nemici del buonsenso Sarebbe cosa semplice per chiunque risolvere i problemi ordinari della vita quotidiana con un pizzico di b., ossia con un po di ragionevolezza e di giudizio; ciò, purtroppo, non si verifica che in minima parte, perché il b. deve lottare ogni giorno contro un intera falange di nemici armati fino ai denti, sebbene, a sua volta, sia supportata da qualche ottimo alleato. Il nostro povero b. si trova, perciò, suo malgrado, inserito in un sistema complesso, nel quale interagiscono molteplici variabili, che si influenzano reciprocamente, fino a provocare sul b., in relazione alla prevalenza dell una o dell altra, un notevole rafforzamento o, all opposto, il suo completo annullamento. Quali sono queste molteplici variabili del complesso sistema delle decisioni umane e quali sono, in particolare, rispettivamente, gli alleati e i nemici del b.? In una prospettiva dicotomica manichea, assai semplicistica e, come tale, incompleta fino a risultare fuorviante, si tende a contrapporre il b. alla stupidità, il che, sotto certi aspetti è vero, ma non è in grado di esprimere sic et simpliciter tutti i meccanismi che portano alla negazione del b. nelle diverse situazioni. Non disponendo di tempo e spazio sufficiente per approfondire l analisi di tutte le variabili in gioco nel sistema, si è deciso di proporre una sintetica suddivisione delle 148

149 variabili favorevoli e di quelli contrarie all affermazione del b., trattandone sinteticamente i relativi contenuti. Le variabili positive 1. La logica è uno strumento del pensiero che aiuta il b. a separare i procedimenti mentali validi da quelli privi di significato o, comunque, non validi. 2. Il raziocinio è un ulteriore strumento del pensiero che aiuta il b. a saper prevedere il presumibile impatto derivante dalle decisioni assunte, mediante l analisi, la ragione e l argomentazione. 3. Il senso pratico è un attitudine innata, ma migliorabile attraverso l esperienza, che aiuta il b. a riuscire a raggiungere un obiettivo, anche in presenza di risorse scarse; inoltre, nelle situazioni di stress il senso pratico aiuta a risolvere i problemi che si presentano, senza girarci intorno. 4. La coscienza etica aiuta il b. a saper riconoscere la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male, scegliendo di conseguenza l'azione che è volta al benessere individuale e collettivo. Le variabili negative 1. La stupidità umana ostacola il b., perché nega all individuo la possibilità di utilizzare al meglio la logica e il raziocinio. In genere, la stupidità umana è una variabile sottostimata, ma nella realtà essa rappresenta un serio problema, sia perché avere al potere una persona stupida espone grandi masse a gravissimi rischi, sia perché i demagoghi carismatici riescono a sfruttare la stupidità a proprio vantaggio ed a trasformare gli stupidi da cittadini pacifici in masse assatanate. (Piccola nota a margine: vi ricorda qualcuno, questa riflessione? A me questa melensa storia del tribuno impomatato che ci toglierà via dalle palle l odiosa gabella dell IMU richiama alla mente i corsi e ricorsi di vichiana memoria, ma non riesco a ricordare di chi si possa trattare, anche se qualcosa mi dice che la vicenda si possa riferire ad un nefasto individuo mellifluo, untuoso, svenevole, di bassa statura morale e non solo morale, nonostante l abituale nomina di circondarsi di ministri affetti da ipostaturalità grave e l utilizzo di altissimi, sebbene ben dissimulati, soprattacchi). 2. L egoismo, strettamente connesso con l istinto di sopraffazione, tipico degli homo homini lupus di Plauto e di Hobbes, ostacola il b., perché nega all individuo, pur ancora in grado di riconoscere il bene dal male, la possibilità di operare scelte adeguate alla propria coscienza etica; in altri termini, la scelta decisionale non è mai finalizzata al benessere collettivo, ma solo al proprio tornaconto individuale, anche a costo di provocare gravissimi danni alla collettività. 3. Il senso comune ostacola il b. perché tende a fuorviare l individuo (e grandi masse di persone) trascinandoli nel suo sistema di convinzioni condivise (anche se quasi mai confortate da serie dimostrazioni scientifiche), con il risultato di condizionare nettamente le scelte di queste persone, che tendono ad investire una certa porzione di fiducia nelle suddette convinzioni condivise. 4. Il luogo comune ostacola il b., perché si tratta di un'opinione o di un concetto la cui diffusione, ricorrenza o familiarità ne determinano l'assoluta ovvietà o l'immediata riconoscibilità, fino al punto di rappresentare quasi una verità assoluta, nei confronti della quale l individuo tende ad investire un certo grado di fiducia. Secondo il dottor Babbarabbà, il luogo comune è un enorme spazio virtuale dove ogni giorno si ammassano tutti i rifiuti prodotti dal ciclo continuo del senso comune; nello stesso tempo è anche il cimitero 149

150 nel quale ogni giorno vengono sepolti tutti i buoni propositi del buon senso (da: "Gli strani aforismi del dottor Babbarabbà", 2012). Nello splendore della mitologia greca, il principale eroe del b. è rappresentato da Prometeo, non a caso contrapposto, in una visione dicotomica manichea, al fratello stupido, quell Epimeteo, la cui totale mancanza di b., unita alla fatale attrazione per la moglie Pandora, tanto bella quanto insipida e stolta, provocarono la diffusione di tutti i mali per l avventata apertura di un vaso che sarebbe dovuto restare chiuso per sempre; solo la speranza, rimasta nel vaso richiuso, se pur tardivamente, da quel giorno sostenne gli uomini anche nei momenti di maggior scoraggiamento. La vicenda mitologica del vaso di Pandora richiama strettissime analogie con quella biblica del peccato originale di Adamo ed Eva, nel quale si ripete il fatale errore della disattenzione del divieto divino. Alcuni esempi di eclatante fallimento del buonsenso E siamo arrivati al paragrafo conclusivo del lavoro, nel quale si passeranno, in rapida sequenza, alcuni esempi di totale fallimento del b., partendo da un archetipo filosofico paradigmatico, il noto apologo come il Paradosso dell Asino di Buridano: Un asino affamato e assetato si trova accovacciato alla stessa distanza tra due mucchi di fieno con, vicino a ognuno di essi, un secchio d'acqua; poiché non c'è alcun motivo che lo determini ad andare da una parte piuttosto che dall'altra, non riesce a prendere alcuna decisione, per cui resta immobile e muore. Se il povero asino di Buridano si fosse rivolto a quel tal giudice di Trento, probabilmente si sarebbe salvato con il semplice lancio di una monetina O forse no, perché, in fondo, era un somaro. Gli esempi pratici di cronaca e di vita reale sono invece i seguenti: 1. Il fallimento della politica internazionale sull ambiente: il protocollo di Kyoto, sottoscritto in data 11 dicembre 1997 da più di 160 Paesi, è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la sua ratifica anche da parte della Russia, ma non ha prodotto gli effetti sperati per una serie di veti successivi che ne hanno bloccato la reale ed effettiva applicazione. Eppure, nonostante la mortificante evidenza, c è persino chi si è dichiarato soddisfatto dei (non) risultati dei tanti vertici in materia: nel convegno di Copenhagen (dicembre 2009), ad esempio, non è stata nemmeno presa in considerazione la riduzione percentuale delle emissioni di gas serra da realizzare entro il 2050, eppure c è chi sbandiera la grande conquista di una mera condivisione ideologica (ma solo teorica) della necessità di un impegno globale in questo difficile processo di problem solving planetario ; ma, probabilmente, i veri motivi della soddisfazione espressa dal consesso di questi ipocriti personaggi derivano dall impegno comune delle tantissime centinaia di miliardi di dollari investiti per migliorare il livello tecnologico e, quindi, l efficienza energetica dei Paesi in forte crescita economica (India, Cina, ecc.). 2. La dittatura della partitocrazia: è noto a tutti che lo strumento fondamentale attraverso il quale il cittadino è in grado di esercitare il controllo sulle decisioni politiche dei propri rappresentanti è quello della democrazia partecipativa, che essenzialmente consiste in una delega, un mandato affidato ad una persona alla quale si affidano le proprie aspettative. Qualsiasi processo di delega è anch esso un processo decisionale e, come abbiamo detto, la decisione presume l esercizio di un atto libero e volontario; ebbene, tale sacrosanto diritto di libera espressione di una volontà viene da tempo negato al cittadino italiano, perché i partiti (tutti, indistintamente) hanno deciso di blindare, attraverso il porcellum, gli ambiti scranni del potere, decidendo a monte l elenco dei parlamentari certi, di quelli insicuri (leggi premio di maggioranza) e dei candidati di 150

151 riempimento (o specchietti per le allodole). Al povero cittadino elettore, nonostante tutte le assicurazioni sulla modifica del porcellum spetta, quindi, ancor oggi il compito di trasformarsi in un mero mezzemaniche che deve solo apporre una croce su un simbolo, peraltro sempre più anonimo nonostante i vari tentativi di innovazione, alla guisa di un timbro postale di ratifica sulla raccomandata con ricevuta di ritorno delle scelte della partitocrazia. 3. I problemi irrisolti dei pazienti con malattie rare: il nostro sistema sanitario si basa sui LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che consistono nel complesso di tutte le prestazioni assistenziali rese in forma gratuita (o attraverso la partecipazione alla spesa da parte del cittadino) per i problemi di salute più importanti e diffusi; ne consegue il fatto che per malattie importanti, ma non molto diffuse nella popolazione (come le cosiddette malattie rare ) non esistono le medesime garanzie. Le conseguenze negative di una malattia rara sono perciò quasi tutte a carico del malato e della sua famiglia, come nel caso della SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), per la quale malattia molte prestazioni specialistiche sono a totale carico dell assistito, in particolare nelle regioni più povere; in molte di esse, infatti, restando nel caso della SLA, la sostituzione della cannula tracheale non è una prestazione eseguita in forma gratuita presso il domicilio del malato. Ne consegue che il paziente è costretto a scegliere tra due alternative: il ricorso (a proprie spese) ad uno specialista privato o ad un (penoso e, peraltro, assai gravoso, sul piano dei costi, per la stessa azienda sanitaria) ricovero ospedaliero. 4. La delazione degli immigrati extracomunitari: nel corso del 2009, in Italia si è molto parlato dell abominevole provvedimento di legge che prevede la possibilità della segnalazione da parte dei medici alle forze dell ordine degli immigrati extracomunitari non in regola con il permesso di soggiorno, che si recano presso un presidio sanitario per motivi di salute. Premesso che i promotori del provvedimento tentano, invano, di occultare la vergogna, sottolineando il fatto che si tratta di una possibilità (e non di un obbligo assoluto) di segnalazione, in pratica, con l avvenuta approvazione del reato di immigrazione clandestina, i medici italiani, in quanto pubblici ufficiali, sono tenuti alla denuncia del reato, la cui omissione o ritardo comporta, quindi, il rischio di sanzioni penali. In realtà, indipendentemente dal rischio di sanzioni, il problema più grave è di sanità pubblica, dato che il ridotto ricorso dei cosiddetti irregolari ai servizi sanitari pubblici provoca, come effetti collaterali, lo sviluppo direi automatico ed obbligato di una sanità parallela gestita dalla criminalità organizzata, l altissimo rischio della diffusione epidemica di malattie infettive e diffusive anche molto gravi (es. tubercolosi farmaco-resistente) e la terribile certezza di tante tantissime morti evitabili, come lo dimostrano, purtroppo, tanti esempi legati ad incidenti per interruzioni di gravidanza praticate in condizioni disumane Guardando, perciò, al famigerato codice alfanumerico X-01 che dovrebbe avere il significato positivo di esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, ma che, di fatto, è un vero e proprio marchio per tutti gli immigrati irregolari, da medico non posso che levare al cielo un (ennesimo) grido di dolore; ma poi taccio, ricordando quel tal vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare. 5. Le decisioni akrasiche dei policy maker e dei decision maker della sanità pubblica: i tanti comportamenti umani (e le relative decisioni) che si manifestano palesemente del tutto incoerenti (ed in contrasto) con il b. e con i comuni principi del vivere civile hanno, alla base, motivazioni che devono essere interpretate nel loro reale significato, non potendo essere ascrivibili esclusivamente ad una situazione di progressivo ed inarrestabile 151

152 imbarbarimento della società ovvero di inaridimento collettivo delle coscienze; molto spesso, infatti, le cause di questi fenomeni sono riconducibili al comportamento akrasico, concetto teorizzato da Aristotele ( Etica Nicomachea, VII, ), per spiegare la genesi del male (κακòς), cioè le cause del comportamento malvagio. Spieghiamo il concetto: akrasia (ακραςία) significa non fare ciò che si sa di dover fare e fare, invece, ciò che non si dovrebbe fare ; in condizioni normali, chi ha chiari i propri obiettivi agisce di conseguenza; tuttavia, c'è chi, dominato dalle passioni e travolto dagli istinti, devia dalla logica e tende a seguire la via più facile e diretta. In realtà, la ragione comune, libera dal condizionamento di mere esercitazioni sofistiche, ci induce a vedere l uomo come un soggetto libero e responsabile, in grado di esercitare una scelta ponderata tra più opzioni e di selezionare, quindi, quella che è obbiettivamente la migliore, non solo per l intera collettività, ma a volte anche semplicemente per se stesso; eppure, in molti casi, l uomo continua ad operare la scelta sbagliata (comportamento akrasico). Nel solco delle decisioni akrasiche possiamo certamente ricondurre le scelte dei policy maker e dei decision maker della sanità pubblica, che su sollecitazione del tal politico deciso a tenersi buono il suo elettorato tribale si ostinano a salvare tantissimi micro-ospedali, che rappresentano una vera e propria minaccia per la salute dei cittadini, invece di investire sulle Case della Salute e sui servizi integrati per la gestione globale delle malattie croniche, operazione che sarebbe senza dubbio molto più efficace ed economica. Ditemi voi che significato possa mai avere un reparto di gastroenterologia, nel quale si ricoverano anche pazienti a grave rischio di rottura massiva di varici esofagee, in un presidio ospedaliero privo di un servizio, non dico di rianimazione, ma almeno di anestesia H24. E ditemi, ancora: affidereste un vostro parente alle cure di un presidio sanitario così sotto-organizzato? E lo farebbero i vari politici demagoghi e capipopolo che pur minacciano il mondo intero di sanguinose rivolte, se quel tal reparto di gastroenterologia dovesse essere trasferito in altra, ben più idonea, sede? Ma il cannibalismo tribale quasi sempre ha il sopravvento sulla ragione e sul b., motivo per il quale, in fondo, è ogni giorno sempre più giusto l aforisma che afferma che ogni popolo ha il governo che si merita. La conclusione più adeguata per questo lavoro ci viene suggerita, ancora una volta, dal nostro dottor Babbarabbà, che afferma: L animale si lascia guidare dall istinto per necessità e per sua natura; l uomo si lascia guidare dall istinto per volontà, per ricordarci che, in fondo, è anche lui, un vero, autentico animale (da Gli strani aforismi del dottor Babbarabbà, 2012). 152

153 A me tu sembri simile a una dea A me tu sembri simile a una dea, Perché null altra umana voce Giungere potrebbe, nell anima mia, Come il suono armonioso d un'olimpica arpa. Ricordo il casuale incontro in un anonima stanza E t immagino, lieve e sorridente, Sfiorare i tasti per comporre frasi, Che a me paiono coriandoli festosi. E mi par strano, ma pur accade, Che il cuore mio s agiti nel petto Sol che appena ti scorga, Leggendo i tuoi pensieri, Ragazza pugnace e cocciuta, Il cui unico scopo è migliorare Il mondo e renderlo felice. La voce mia s attenua E sulle labbra socchiuse Prende forma un pensiero: Vai avanti, anima mia!... Che orribile supplizio, Pensarti da lontano!... M arresto e gelo, rapito, In un torpore onirico; Poi un fuoco sottile Mi parte profondo dal ventre E m affiora rapido sul viso, Mentre la luce s attenua E si fa buio, lentamente E t immagino sul palco Ad illustrare immagini, Conferendo forme e contenuti, Nel brusio soddisfatto della sala: È brava, è brava!. Ed io: Sei bella, bella!. Poi scompari ad un tratto E mi rimane un suono Poi quel dolce suono Si trasforma in un rombo battente, Per il pulsante ansimare del sangue Nei pensieri e nelle orecchie E tutto, in un tremito, Com erba prostrata dal vento, Mi fermo e impallidisco, Guardando rapito la luna sul mare, Circondata da un tenue chiarore: 153

154 Sta cullando il sonno d'una dea! A me tu sembri simile a una dea, E me ne scuso con te, Perché dovrei dire, piuttosto: Quella dea ti somiglia (forse), Ma sei più bella tu! 154

155 Aforismi cambogiani Non c'è nessuno strumento in grado di falsificare e di adulterare la realtà più potente di Internet: il grande Karl Popper lo pensava della TV, ma non poteva nemmeno immaginare quanto sarebbe stato difficile, con la diffusione di Internet, separare la scienza dalla stupidità, l arte dalla gabola, il vero dal verosimile ma falso Come cambia (in peggio) l'italia: la Vespa (Piaggio), un grande orgoglio per il Paese, il Vespa (Bruno), la grande vergogna! (Commento al tweet di Bruno Vespa sulla sparatoria nei pressi di Palazzo Chigi: "Negli USA l'attentatore sarebbe stato abbattuto!"). Uveite (dal Dizionario del Babbarabbà Terza edizione, 2013): flogosi (acuta o cronica) delle pregiatissime uve della serra privata di un tal Silviolo, che si narra essere state coltivate a lungo con amore da due bellissime vestali, di cui una, Ruby, nipote di Mubarak e l'altra, Bury, pronipote di Jean Bedèl Bokassa. Il mosto derivante dalle vigne silviane dà vita ad un vino afrodisiaco speziato e ad alta gradazione alcoolica, che il buon Silviolo dispensa copiosamente a tutti gli ospiti, insieme con quantità industriali di piccantissima 'nduja calabrese, prima di dare il via ai castigatissimi festini del bunga bunga notturno. Varene, il giovane e forte difensore centrale del Real Madrid è, in realtà, il figlio di sedicesima (quindi, benedetta!) monta del grandissimo purosangue Varenne: non a caso tutti gli riconoscono una facilità di corsa e di una capacità di (s)calcio da vero fuoriclasse. Tanto tempo fa, se vedevo, su un lato della strada, una splendida ragazza e, sull'altro, 'nu tiralettu de tabaccu (tipico telaio salentino di tabacco intrecciato messo ad essiccare al sole), mi recavo senza il minimo dubbio in direzione di quest'ultimo... Oggi (sono ormai più di 10 che anni non fumo), ammesso che ci fossero ancora i tiraletti, rivolgerei senza alcun dubbio i miei interessi solo alla ragazza... ma poi, in preda ad una delle mie ormai frequenti lacune mnesiche (o, forse, memore dell età avanzata), mi chiederei: "Ma perché cazzo la sto seguendo?". Domenica scorsa sono andato al mare e mi sono addormentato serenamente al tiepido sole sulla spiaggia. Al risveglio, però, mi è quasi venuto un colpo, perché mi sono ritrovato completamente circondato da una moltitudine di persone che discutevano in modo assai concitato e preoccupato... Mi chiederete: ma chi erano, costoro? Ebbene, si trattava della Capitaneria di Porto, della Guardia Costiera, della Finanza di Mare, dei Vigili del Fuoco, dei tecnici dell'istituto di Biologia Marina di Calimera e della troupe televisiva di una nota emittente locale, avvisati da qualche buontempone, che aveva segnalato lo spiaggiamento di una balenottera azzurra (sic!) Sul ceppo ancora vuoto di un ombrellone ho intravisto appollaiato un avvoltoio in bieca e sinistra attesa. Per mia fortuna mancavano Le Iene Ci sono notti nelle quali pensi al risveglio con timore ed altre (per fortuna!) nelle quali sai bene che, dopo il sonno notturno, peggio non ti potrà andare Già, per fortuna (sic!) Dialogo tra compagni di banco al liceo (la saggezza dei giovani): Che hai, Mario? Mi sembri turbato". "Sapessi, Luca: sono completamente preso di testa dalla biondina della III B e lei non mi caga proprio". "E allora dovresti gioire, cazzo!". "E perché mai?". "Perché sei stato preso di testa e non per il collo o, peggio ancora, per il culo!" L'oblio è lo stato di totale e duratura rimozione della speranza o di un sogno intensamente cullato, con un rassicurante ritorno tra le fedeli braccia della solitudine (ma non abusate della sua bontà!) 155

156 Ilona Staller (in arte Cicciolina), orfana del porcellum elettorale, ignobilmente escluso per il livello comunale, ha raccolto la miseria di 16 voti alle elezioni amministrative di Roma; oramai, la povera ex-onorevole ha davvero poca penetrazione nell elettorato Perché ti stai scompisciando dalle risate mentre tento di salire sulla bici? Tanto sai che poi, alla fine, ci riesco Ognuno sta solo, sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole e non vuoi che gli si spiaccica sulla testa una grigiastra, molliccia, poltacea cacca di piccione?... Qudd pich nazz d mamm t e sor t! (coloritissima espressione in dialetto barese, rivolta al piccione, che è meglio non tradurre) Pensierino (malinconico) della sera (29 marzo 2015): Il mio corpo come una vecchia auto scassata. Ho (quasi) 62 anni e sono come un'automobile che abbia percorso km. Il tutto va riportato a come questi km siano stati percorsi, ai tagliandi effettuati, alle accortezze riservate, alle piccole botte alla carrozzeria subito riparate... Ebbene, io tagliandi ne ho fatti pochi e senza (o quasi) alcuna accortezza al motore e alla carrozzeria... E adesso sconto tutti questi 12 lustri di incuria: non bastavano le tante centinaia di diverticoli, ora ci si è messa di mezzo anche l'ipertensione... Bah, inutile piangere sul latte versato e vediamo di cominciare a farli (anche se è tardi) tutti questi cazzo di tagliandi e di riservare al benessere del corpo (e non ai piaceri della tavola) molte più attenzioni... PS: il mio non è un lamento, ma un monito per tutti quelli che, più giovani di me, credono di essere invincibili e di poter continuare, sine die, una vita sedentaria, dedita ai piaceri della tavola e, magari, anche condita con il vizio del fumo e dell'alcool. Mi raccomando, nipotino mio! Babbarabbaus parvus prescjiatus (ilaris) 156

157 Aforismi di Lele su Facebook... È solo grazie alla poesia che posso permettermi il cielo Post autoironico (effetto boomerang) su FB del 1 giugno Un metro e ottantaquattro per centodiciotto chili. Più che una dimensione da grande scrittore, le dimensioni di un grosso scrittoio, direi. Roberto Diamante: Vabbé, però sei alto!. Lele: Quanto la tua ironia, Diamond... Roberto Diamante: É un rimprovero?. Lele: Ma no! Come potrei mai rimproverare tanta grazia? Io avrei detto: «Allora sei lungo quanto largo!... Praticamente un cubo!... Un frigo da macellaio!... Una lavatrice a secco!»... Ma tu sei molto meglio di me Perugia, 21 maggio Lele: Il ragazzetto con la Peugeot 208 rossa che, nonostante la forte pioggia, mi ha sorpassato a duecento all'ora e mi ha stretto sul guardrail, ha finito subito la sua corsa su una Renault Megane grigia che proveniva nell'altro senso É che Dio mi ascolta quando non dovrebbe... Giulia: Cosa si è fatto?. Lele: Sta benissimo, anche se la macchina ha cambiato nome in Peugeot 102, 103 al massimo". Nubifragio a Perugia (19 maggio 2013). Ha chiamato Noè. L arca salpa alle 11,20 28 maggio Hanno votato solo metà dei romani. L'altra metà é ancora in fila sul raccordo ad aspettare gli spargisale... Cronaca perugina. La signora cinquantenne su una Golf ha urtato il longarone del marciapiede dentro la galleria di Passignano ovest; urtando il muretto di divisione, le é scoppiato l'airbag e siccome indossava degli occhiali da sole, lo scoppio ne ha frantumato le lenti e le schegge di vetro le sono entrate in quasi tutto il viso Mi son fermato a prestare soccorso assieme ad un ragazzo, ad un uomo della mia età ed un anziano signore semingobbito arrivato a bordo di una vecchia Mercedes. Dopo aver domandato alla signora come stava, se sentisse dolore o se avesse qualcosa di rotto, abbiamo chiamato un ambulanza Il vecchietto, che era stato zitto per tutto il tempo, si é girato verso di noi e riferendo-si alla signora ci domandava: "Ma come cazzo si fa a guidare con degli occhiali da sole scuri in una galleria buia come questa?". Ho capito allora che abbiamo ancora bisogno di uomini saggi che si facciano domande sagge per tener viva la speranza in un futuro migliore Non mi interessa festeggiare i nonni. Io vorrei rivederli per un attimo solo. Per un bacio... Non smettete mai di costruire castelli in aria. Sono i posti più belli dove far passare le vacanze ai vostri sogni... La vita è come un film di Tinto Brass. La fai da protagonista solo se hai un gran bel culo Ho appena finito di leggere "Land of Marvels" di Barry Unsworth. Se vi capitasse tra le mani servitevene per avviare il camino Oggi, Primo Maggio, io sono al lavoro. Vorrei che lo dicessero tre milioni di italiani che ancora lo cercano Prim'omaggio ai 145 morti sul lavoro dall'inizio dell'anno, il 5 per mille alle famiglie delle vittime E un vaffanculo di cuore a tutti quelli che lucrano sulla sicurezza... Il governo Letta è come i preservativi del discount: non li conosce nessuno, li comperi per risparmiare due centesimi. Sei convinto che hanno una qualità scadente e che non dureranno un cazzo, ma sei costretto a spera-re che funzionino altrimenti sei nella merda

158 Molti votavano il PCI perché Berlinguer era una brava persona, molti votavano il PSI perché Nenni e Pertini erano brave persone. Molti votano il PD perché D'Alema Perché? Tutti quelli che hanno preso schiaffi nel PD hanno la "i" finale nel loro nome: Bindi, Bersani, Marini, Prodi. D'Alema, invece, è con la "a", come Satana In Basilicata hanno arrestato un assessore del PD, uno dell'idv ed infine il capogruppo del PDL: un esempio di larghe intese... Ricapitolando (riflessioni serotine del 30 maggio 2013) Si continua ad ammazzare o a pestare ignobilmente mogli e fidanzate. Il parlamento non legifera, la chiesa non dice nulla, la gente si indigna, ma poi subito dimentica. Insomma tutti alzano le mani, troppi su mogli e fidanzate. Grillo insulta Rodotà dopo averlo candidato alla Presidenza della Repubblica. Poi insulta i candidati del suo movimento perché non la pensano come lui. Poco dopo insulta milioni di italiani che votano diversamente da lui. In seguito, insulta i due infermieri che se lo portano via. (Commento del dottor Babbarabbà: infine, vedendo la sua immagine riflessa nello specchietto dell ambulanza FIAT Iveco, insulta l azienda torinese e quella degli specchietti retrovisori, minacciando querele, perché gli specchi deformano le immagini e lo fanno apparire più grosso di oltre 10 kg). Letta e Alfano sembrano due impiegati delle pompe funebri. Il primo rassicura i parenti sulla cerimonia, il secondo conforta la vedova esaltando la bellezza della bara. Gli italiani guardano il Paese morto e si compiacciono: "Sembra vivo!", si ripetono. E ora, per favore, continuate voi, che stasera sono stracco morto Finalmente ho capito perché si chiama dieta "a zona": ieri ho mangiato di nascosto in bagno, oggi nello sgabuzzino Ho rovistato tra i pensieri e non ho nessuna felicità da mettermi Saper parlare è capacità di alcuni, saper ascoltare è una virtù di pochi. Non capire un cazzo è una dote di tanti (Commento del dottor Babbarabbà. La grande evoluzione del pensiero filosofico: dal classico socratico so di non sapere al moderno mastroleoniano so di non capire un cazzo )... Hanno rieletto Napolitano che ha 88 anni e dovrà lavorarne ancora sette Solo per farci capire meglio la riforma Fornero L'elezione di Napolitano mi è sembrata come l'ultimo giorno di campeggio, prima della partenza. Nel preciso momento in cui stai pensando che non vi è rimasto più un cazzo da mangiare, succede che qualcuno ritrova una vecchia scatola di tonno in fondo allo zaino e via, tutti a battere le mani e ad urlare come bimbi dell'asilo rincoglioniti Napolitano mi sembra la scelta più giusta. Per la Grecia Una che si chiama Idem alle pari opportunità: un vero colpo di genio Visto l'enorme successo dei suoi candidati, consiglierei vivamente a Bersani di candidare Berlusconi... Marini non ce l'ha fatta. Lo ha candidato Bersani, una garanzia!... È morto don Andrea Gallo È andato a fare il ministro delle riforme in paradiso gennaio Nel processo Tarantini, che si tiene a Bari, gli avvocati difensori delle ragazze escort, che frequentavano la villa di Arcore o Palazzo Grazioli, hanno richiesto per le proprie assistite il riconoscimento dello status di parte lesa. Poverine, pensavano di andare tranquillamente a trombare ed invece si ritrovavano in queste cene eleganti, nelle quali si parlava esclusivamente di cultura e durante le quali la Minetti teneva seminari di psicologia della gestalt applicata alle cene di lavoro e sull entropia costruttiva. E che cazzo! 158

159 ... È stata accertata l'esistenza delle fate indagando sul piatto di "seuche tutte pare" (Nota: saporita pietanza salentina a base di verdure tipiche del territorio) che ha preparato mia madre marzo Scusatemi, ma per la festa del papà devo mandare un pensiero al mio di papà che ha deciso di fare due passi sulle nuvole e di costruire, lassù, quell'arco in pietra leccese che gli ha ordinato, lassù, il destino... (Lusinghe della moda) Quasi quasi mi faccio la cresta... Perugia, 12 maggio Mamma è l'unica parola che non ho dovuto imparare... Auguri, mescia 'Meca Idea per il necrologio richiestomi dal re dei cambogiani (con la speranza che non gli debba mai servire). "Usate sempre l'intelligenza" è una frottola. L'hanno inventata tutti quelli che vogliono che non usiate la vostra fantasia per reinventare il mondo... Per l'otto marzo, avrei il desiderio di corteggiare tutti e tre i miliardi di donne che sono al mondo, magari solo per cercare di regalare loro un sorriso. E per spezzare le gambe a quegli idioti senza palle che usano la violenza per "raccontarsi" di essere uomini Vado a coccolarmi mia moglie. Scusate, ma la Bellezza è una pianta delicata che ha bisogno di molta cura... Una clamorosa buona giornata a tutti voi! Mario Mauro, ministro della difesa: "Gli F35 servono per la pace". Come dire: se soffri di emorroidi metti una mazza da baseball nel culo Non ero ubriaco, tenevo due bottiglie di vino in mano solo per bilanciare (Konigi)... Scusate, visto che avete deciso che l'acquisto degli F35 è necessario per il popolo italiano, me li posso almeno scaricare sulla dichiarazione dei redditi? Il tizio di Arcore che si batte per le liste pulite è come Erode che apre un asilo nido (S. Pellico)... Il tizio del Consiglio ha promesso che in dieci giorni risolverà il problema rifiuti in Campania. Poi avrà più tempo per moltiplicare i pesci e resuscitare i morti Quando distribuirono l intelligenza, tu eri nella fila del rimborso IMU con la lettera del tizio in mano Trovo i cibi vegani buonissimi: per esempio, la bistecca di tofu è ottima, con sopra della pancetta fritta, lardo di Colonnata e un bel contorno di piselli e prosciutto... Si è dimesso anche Pinocchio. Era catalogato come territorio a rischio, allungava troppo il braccio oltre il proprio naso. "Mi condanni, vostro onore!" l'han sentito farfugliare mentre firmava assegni in bianco ai suoi monokinati aguzzini. "Permette, signora, per il compleanno del mio commercialista voglio cantarle d'amore" fu la risposta più applaudita della serata (siamo in bilico sul fine mese con lo sfintere assuefatto allo schifo). Buona giornata!... Perugia, 13 aprile Pupotta e la "sua" pizzica oggi compiono 7 anni. Auguroni, amore!

160 ... Perugia, 24 aprile Oggi, Mustiscjiu e il suo sorriso compiono 9 anni. Un abbraccio, tesoro mio infinito! Insegniamo ai nostri figli che il colore rosa è un colore come tutti gli altri colori. Che il colore della pelle è un colore della pelle come tutti gli altri colori della pelle. Che l'amore per una persona dello stesso sesso è amore come l'amore per una persona di un altro sesso. Che amare la propria vita e le proprie scelte vale molto di più di un gesto folle. Addio, Andrea. Morire a 15 anni suicida, vittima di squallidi pregiudizi, mi rende triste come uomo e come padre. Addio, Andrea, figlio della luna Sono indeciso se fare il pieno alla macchina o ristrutturare casa; in questo modo risparmierei qualche migliaia di euro Oggi è la giornata mondiale contro l'omofobia. L'omofobia è la paura di quello che è uguale a te stesso. Paura amplificata se un giorno ti sve-gli e scopri che sei uguale a Giovanardi Scene da un matrimonio (Parte prima): "Amore, è vero che non sono brutto?..." "Brutto? Diciamo che quando Dio ti pensò, si era appena fatto una canna"... Scene da un matrimonio (Parte seconda): Lele, se per caso avessimo un altro bambino come ti piacerebbe chiamarlo? Mozart Ma che brutto nome! Sì, ma suona bene! Perugia, 7 dicembre 2013 (vigilia dell Immacolata). Messaggio a tutti i miei contatti salentini: Mandatime 'na puccia culle ulie, cazzo! Sennò che schifo di vigilia è?... "Ciao sono Antonio da Cuneo: lo sai che dalle mie parti Lele è un nome da femmina? Così come, in Germania, Andrea è un nome da femmina. "Ciao, sono Lele da Scorrano: lo sai che dalle mie parti Chicazzosenefrega è unisex?"... Conoscere bene una persona, fino in fondo, è molto importante. Ti permette di mandarla a fare in culo con cognizione di causa È una di quelle piccole cose che tanto somigliano alla tenerezza. Una di quelle piccole cose che, ripiegate con cura, mettono ordine nei cassetti dell'animo (E forse tra mille anni mi ringrazierete) Buonanotte guerrieri, forse perché solo voi mi insegnate come si stira un pezzo di cielo e a rimetterlo a posto per il prossimo inverno che verrà... "Scambiatevi un segno di vaffanculo in pace!". È questo il saluto ecumenico che vorrei ascoltare più spesso L'Italia è una repubblica democratica che avete scordato in banca

161 Luca Parmitano sarà il primo italiano a fare una passeggiata nello spazio. "Cambiati le mutande e i calzini, che non si sa mai", gli ha intimato l'anziana madre.... Ricapitolando (appunti per la notte di lunedì 3 giugno 2013): Tutti i testimoni hanno giurato di non aver mai fatto sesso con Berlusconi. Senza cerone è un altro uomo. Borghezio è stato espulso dall'eurogruppo per le sue affermazioni razziste sul ministro Kienge. È nero per la rabbia. Paola e Chiara annunciano il loro divorzio dalla musica. "Non siamo state capite" hanno dichiarato, stizzite, le sorelle. "Ma se neanche le conosco!" ha replicato la musica. Alemanno ha dichiarato di aver elevato quasi centomila multe contro le prostitute. Intanto la città andava a puttane. La Fornero: "Gli italiani sono poco produttivi e troppo costosi". Specialmente se li fanno ministri. Stasera gioco la finale del campionato mondiale di mal di schiena. Provo con una tisana di Pampero Especial: mi dicono faccia miracoli... E tutti insieme a ripetermi: "Dovresti fare jogging oppure footing, meglio spinning, se non bodybuilding, forse walking...". Io, per stasera, faccio un po' di pissing, poi wine tasting e subito dopo chairing, che son le cose che mi riescono megling... Perugia, 22 maggio 2013, ore 16: visto il clima, questa sera inizio a preparare il presepe... Eravamo ragazzi e ci dicevano: Studiate, sennò non sarete nessuno nella vita. Studiammo. Dopo aver studiato ci dissero: Ma non lo sapete che la laurea non serve a niente? Avreste fatto meglio a imparare un mestiere!. Lo imparammo. Dopo averlo imparato ci dissero: Che peccato però, tutto quello studio per finire a fare un mestiere?. Ci convinsero e lasciammo perdere. Quando lasciammo perdere, rimanemmo senza un centesimo. Ricominciammo a sperare, disperati. Prima eravamo troppo giovani e senza esperienza. Dopo pochissimo tempo eravamo già troppo grandi, con troppa esperienza e troppi titoli. Finalmente trovammo un lavoro, a contratto, ferie non pagate, zero malattie, zero tredicesime, zero TFR, zero sindacati, zero diritti. Lottammo per difendere quel non lavoro. Non fa-cemmo figli per senso di responsabilità e crescemmo. Così ci dissero, dall alto dei loro lavori trovati facilmente negli anni 60, con uno straccio di diploma o la licenza media, quando si vinceva facile davvero: Siete dei bamboccioni, non volete crescere e mettere su famiglia. E intanto pagavamo le loro pensioni, mentre dicevamo per sempre addio alle nostre. Ci riproducemmo e ci dissero: Ma come, senza una sicurezza né un lavoro con un contratto sicuro fate i figli? Siete degli irresponsabili. A quel punto non potevamo mica ucciderli. Così emigrammo. Andammo altrove, alla ricerca di un angolo sicuro nel mondo, 161

162 lo trovammo, ci sentimmo bene. Ci sentimmo finalmente a casa. Ma un giorno, quando meno ce lo aspettavamo, il Sistema Italia fallì e tutti si ritrovarono con il culo per terra. Allora ci dissero: Ma cazzo, perché non avete fatto nulla per impedirlo?. A quel punto non potemmo che rispondere: Andatevene affanculo!"... Riflessioni estive. Il capolavoro dell'estate salentina: "La fessa de mammata", scritto e diretto da Lele Mastroleo. Un ombrellone e una sdraio venti Euri? "La fessa de mammata!". Una pizza e una birra diciotto Euri? "La fessa de mammata!". Un parcheggio due Euri e 50 centesimi l'ora? "La fessa de mammata!"... Venerdì 24 maggio La legge contro il femminicidio (che parola del cazzo) ve la posso suggerire io: a tutti gli uomini che usano violenza sulle donne viene comminato l'ergastolo, con le mani serrate in un secchio di cemento tutta la vita. Senza neanche la soddisfazione di ammazzarsi di seghe maggio Perugia 5 centigradi. Dal profeta Gigi d'alessio: "E le domeniche d'agosto quanta neve che cadrà" maggio 2013 (bis). Trenta giorni ha novembre, con april, giugno e settembre. Di ventotto ce n'è uno, tranne maggio con i suoi pinguini... Perugia, 26 maggio 2013, domenica. Dalla mia finestra che dà su via del Motore, vedo passare tutto il paese bardato a festa. Donne vestite Armani e Valentino, uomini che caracollano dietro, impieghettati in camicie inamidate con scarpe lucide che riflettono le pozzanghere sulla strada. Tu chiamale, se vuoi, comunioni maggio 2013 (secondo ed ultimo giorno di voto per le elezioni amministrative). Intanto iniziamo a spostare Roma a Marino Perugia, 31 maggio 2013 (fuori piove) Ma quanto gli costerà, a Dio, quest'anno, la bolletta dell'acqua? Perugia, 1 giugno 2013 (fuori, come sopra, piove) Cazzo, piove ancora. E piove tanto. Piove da sempre. Mi sa che invece della prova costume continuerò a fare la prova castìme (nota: parolacce, bestemmie) Ed è in giornate come questa che ti vengono pensieri creativi, della serie: riprendo in mano il racconto che stavo scrivendo, mi porto avanti con il lavoro d'ufficio, preparo la mousse di cioccolato che a mia moglie piace tanto, aiuto i bimbi con i compiti, smonto quella finestra del bagno e le do una mano di rosso; poi ti guardi nello specchio e tra mutande senza elastico, calzini rabberciati e barba di tre centimetri ti ripeti: "Quasi quasi me ne torno a letto e vaffanculo, tempo di merda!" Ed eccomi con Musticiu e Pupotta, i veri candidati al supremo colle della mia gioia Non è bello ciò che è bello, ma io sì! 162

163 L amore è un altalena Bolliva, scoppiettando, dentro il vaso, E tuoni e fulmini gli uscivano dal naso Lingue di sangue vivo dal cuore suo ferito: Quella funesta storia lo aveva tramortito! Noi ci arrabbiamo, ridiamo, scherziamo, Storielle da due soldi raccontiamo, E dicerie di piazza, false ed inventate, Ma spesso le crediamo vere e confermate. Non solo l uomo, pure la donna tradisce, Perciò l amore, come un ombra, svanisce Dopo ogni discesa c è sempre una salita Quel colpo fu veleno, di verna, l amanita, Cotto nell olio fritto di seppie e calamari, Acre ben più del fiele e d altri infusi amari, Tremava come stelo travolto da un gran vento, Il cuore si sentiva percosso dal tormento Ma quando vide un angelo, bella come la luna, Capì ch era finita, certo, la sua sfortuna: Son anni che è felice accanto a quella donna, Che sempre tiene stretta, qual fosse una Madonna. Non c è una donna sola e se una ti ha distrutto, Vedrai che una seconda ti aggiusta proprio tutto. Per la biondina Gippius L amore è solo uno!, Ma intorno ad un gran banchetto difficile è il digiuno. E per finire bene, lo sai cosa ti dico? Anche se il mondo intero ti pare un gran nemico, Non ti buttare a mare con la zavorra: frena! L amore scende e sale: è come un altalena Babbarabbaus parvus altalenicus 163

164 La prevenzione degli incidenti stradali nel Salento, ovvero, la lungimiranza degli amministratori Limiti di velocità (in strade con autovelox) * Supersano - Casarano: limite di velocità 30 km/h (se ci fossero ancora in circolazione i vecchi calessi di una volta, li multerebbero per eccesso di velocità oltre all'obbligo del casco per il cocchiere!). * Poggiardo - Maglie: limite di velocità 70 km/h (con la presenza di 2 autovelox fissi) su una strada recentemente rifatta e molto più sicura, che prima dei lavori aveva un limite di velocità di 90 km/h. Limiti di velocità (in strade con autovelox) * Poggiardo - Sanarica: limite di velocità 90 km/h (con concrete possibilità di decollo ad ogni cunetta). Poggiardo, ovvero la città messapica capitale delle rotatorie Si è calcolato (fonte che siano più numerosi i turisti che vengono ad ammirare le moderne rotatorie fiorite rispetto a quelli che vengono a visitare le antiche, polverose, vestigia messapiche. Ci travestiamo da turisti e ci dirigiamo verso Poggiardo, provenendo da Maglie, incontrando, di seguito: * 1a rotatoria: all'inizio della zona commerciale. * 2a rotatoria: a distanza di 25 metri dalla prima. * 3a rotatoria: a distanza di altri 100 metri dalla seconda. Poggiardo, ovvero la città (6.000 abitanti!) dell incrocio più incidentato della provincia Abbiamo percorso 150 metri dalla terza rotatoria e ci ritroviamo nei pressi del terribile incrocio per Specchia Gallone, incrocio, quest ultimo, rigorosamente privo di semaforo e sprovvisto di rotatoria. Come mai? Nella capitale mondiale delle rotatorie? Ebbene ci sono due teorie, nel merito, entrambe abbastanza accreditate: 1. Teoria oraziana ( Est modus in rebus ): si narra che gli amministratori comunali di Poggiardo, stanchi di essere dileggiati per l eccessivo numero di rotatorie disseminate sul territorio comunale, si siano vergognati di progettarne un altra, a pochi metri dall ultima, ed abbiano per questo rinunciato. 2. Teoria mefistofelica: qualche malpensante ha avanzato l inquietante ipotesi che si sia deciso deliberatamente di lasciare questo incrocio privo di rotatoria con il deliberato scopo di far aumentare di gran lunga gli incidenti (ed i conseguenti eventi traumatologici) e dimostrare, quindi, la concreta necessità di mantenere in vita l'ospedale a Poggiardo. 164

165 Crisi economica e calo demografico Non ricordo i dati esatti, ma nel corso del 2014 a Uggiano La Chiesa sono nati 14 o 15 bambini a fronte di 45 o 50 decessi. Abbiamo ormai abbandonato la "crescita 0" e siamo transitati in una terribile, nefasta (ed apparentemente inarrestabile) fase di crescita negativa della popolazione; in altri termini, fra una ventina d'anni ciascuno di questi bimbi, ammesso che riescano tutti a trovare una proficua occupazione, dovrà provvedere a "mantenere" almeno 4 anziani e questa è una cosa davvero terribile. Mi meraviglia il fatto che si continui a parlare tanto delle famiglie gay (cosa che, sia chiaro, in linea di principio non mi sconvolge) e poco o nulla, invece, del drammatico calo delle nascite, per il quale il palliativo degli 80 al mese per ogni nuovo nato è una cosa assolutamente ridicola! A mio avviso, è necessario attivare una politica della famiglia rivoluzionaria, con una formula premiante che preveda (in relazione al reddito) un sussidio erogato in progressione algebrica, se non geometrica ( 2.500,00 per il primogenito, 5.000,00 per il secondo nato, dal terzo in poi). Il costo del progetto è da ritenere assolutamente sostenibile con opportuni (piccoli) tagli al costo della politica; infatti, considerato che nel 2014 in Italia sono state registrate circa nascite e che è necessario portarle ad almeno all'anno, con una stima attendibile di primogeniti, secondogeniti e di figli successivi, la spesa annuale per lo Stato sarebbe pari a ( x 2.500) + ( x 5.000) + ( x ) = Una spesa statale che potremmo definire davvero "santa e benedetta", un vero e proprio benefico investimento sociale: è necessario capire, infatti, che la crisi demografica è legata a filo doppio con la crisi economica, al punto che ci si pone la sofistica ed, in fondo, sterile ed inutile domanda se sia nato prima l'uovo o la gallina (intesi come calo demografico e crisi economica); in realtà, se davvero vogliamo risollevare il PIL (e limitare il rischio di una fatale III Guerra Mondiale), abbiamo il dovere di creare le condizioni per generare più bambini (e di tutelare la crescita sana ed equilibrata di quelli che nascono), ma, finché ci sarà una classe di politici stupidi che hanno il culto narcisistico della propria persona oppure che inneggiano alle ruspe (pensando che il rimpatrio degli extracomunitari possa realizzarsi con l'annegamento in un mare o con lo schianto al suolo del "clandestino" nascosto nel carrello dell'aereo), oppure, ancora, che diffondono, con una facies da mefistofelico pifferaio magico (o da gufo intristito assai), il profetico, messianico annuncio dell'imminente avvento di un mondo migliore (il mondo di Gaia), tale da trasformare l'intera umanità in un esercito di cloni di Alice (femmine) e di Alici (maschi) delle meraviglie, la cosa si fa davvero molto, ma molto difficile. 165

166 La città fantasma Il ciclico alternarsi del giorno e della notte è uno dei più mirabili segni della grandezza della Natura, di quel suo armonioso equilibrio, così minuziosamente costruito in milioni e milioni d anni: l informe caos primordiale; glaciazioni e cataclismi; poi terremoti e ancora glaciazioni. Questa è la Terra, fortunato pianeta prescelto dal Signore per accogliere la Vita. La comparsa degli acidi nucleici, dei primi microscopici esseri viventi e poi dei grandi, immensi, spaventosi sauri. Rettili, pesci, mammiferi; poi, buon ultimo ma autentica ciliegina sulla torta, la meraviglia delle meraviglie: l Uomo! L Uomo, giovanissimo figlio di questa grande madre, che l ha svezzato, nella prima infanzia, insegnandogli a riconoscere e usare l acqua e assai spesso in modo improprio il fuoco, il bronzo e il ferro. All inizio, ne aveva rispetto, di questa sua grande Madre. Rispetto e paura. Un giorno, però, l Uomo comprese che Madre Natura continuava ad essere lenta, troppo perfezionista ed indolente, inadeguata, ormai, a dirigere un ambiente sociale basato sulla competitività: il tempo è denaro, cari miei! E venne, perciò, folgorato da una grande idea, l Uomo: aiutare Madre Natura a costruire la cosiddetta società a misura d uomo! Fu, dunque, per un così nobile obiettivo, che questo meraviglioso essere parlo sempre di quel desso, dell Uomo, è ovvio! decise di offrire, con grande altruismo ed autentico spirito di sacrificio, il proprio illuminato contributo per migliorare il suo ambiente, modificandone i ritmi secolari, con tutte quelle loro assurde, incomprensibili logiche: cosa poteva mai il disegno della natura, al cospetto dell onnipotenza dell umano ingegno? Cosa vuoi che possa mai fare un po di mercurio in più nell acqua o di diossina nell aria? Basta aumentarne per decreto i livelli di soglia come si fece, qualche decennio addietro, per l'atrazina nel bacino del Po, e il gioco è bell e fatto! Sappiatelo: questo è un pianeta sempre più a misura d uomo! Oh, quale autentica meraviglia, l Uomo! E, tuttavia, qualcosa di buono gli uomini sono riusciti anche se, assai spesso, solo per puro caso a realizzarlo: riesco a percepirlo ed ho il dovere di prenderne atto nel corso di questa ritemprante passeggiata pomeridiana sulla splendida collinetta di Cardigliano, quello che fu un ridente villaggio agricolo del Capo di Leuca, ormai da tantissimi anni incomprensibilmente disabitato. I sentieri angusti, la vegetazione silvestre, lo splendido panorama: tutto sembra dovuto al mirabile soffio della natura, più che alla forsennata operosità dell uomo, il quale, ad ulteriore conferma della propria primordiale follia, ha pensato bene di abbandonare anche questo autentico paradiso terrestre. Il peccato originale ha una sua spiegazione scientifica, dunque: il cervello umano ha più d una rotella fuori posto. Credete a me, che sono uomo di scienza! Ma torniamo a noi. Che pace! Che tranquillità! Che delizioso profumo di campagna incontaminata! All improvviso, però, m assale un pensiero inquietante: eh già, viviamo in un epoca, nella quale tutto è codificato, controllato, computerizzato: nulla è abbandonato al caso o, peggio ancora, alle emozioni. I voli pindarici dalla realtà non ci sono più consentiti, ormai. In questa nostra epoca, persino i problemi del cuore stanno per essere risolti dal personal computer. È stato documentato, infatti, che esistono precisi e ben noti presupposti genetici e metabolici alla base non solo di tutte le principali funzioni fisiologiche umane, ma anche delle emozioni e dei sentimenti. Tra qualche tempo, perciò, sarà sufficiente inserire nel PC 166

167 pochi dati personali ed eccola lì, di fronte a te, bell e pronta, la tua anima gemella: altro che oniriche illusioni! Mai più appassionati corteggiamenti; mai più giovanili rossori, né dolci palpiti di cuore. Niente di niente! Dio mio, devo smetterla di pensare a queste cose! Non è vero, forse, che tutti gli esseri umani, almeno una volta nella vita, hanno cercato nella rasserenante dimensione dei sogni un rifugio sicuro contro il terribile tormento di questa nostra congenita, immane angoscia esistenziale? In tutta franchezza, a me non è mai successo di sognare o, peggio ancora, d innamorarmi. Vivo piuttosto bene così, alla giornata, forte del mio virile aspetto che pare riscontrare ancora un certo successo tra le donne. E allora, perché complicarsi l esistenza con tutte quelle smancerie dell amore? Mah, lasciamo perdere, meglio stare alla larga. So soltanto che questo pomeriggio mi sento solo, tanto solo, dolorosamente solo Un penoso silenzio fa cornice al momento di grande tristezza, quando, all improvviso: Buongiorno a signurìa! mi fa un rubicondo pastore spuntato dal nulla. Oh, buongiorno. Sto disturbando il suo gregge, per caso?. None, none; anzi, era ura cu vene nu cristianu. Stane quai, stane, ca sempre sulu, stau, cu li cani e cu le crape. Nu me divertu filu propiu. Ci signurìa te rimmani, te cuntu na storia beddha de stu furmine de postu (Nient affatto; anzi, era tempo che venisse qualcuno. Resta pure, perché io qui sono sempre solo, con i cani e con le capre e questa vita non mi diverte proprio. Se resterai con me, ti narrerò una bellissima storia di questo posto maledetto). Volentieri. Di che si tratta?. Ete a storia de na certa Mirella, na beddha fija de quai e de lu principe Ermannu. Sèttate su chiru parìte, ca te la cuntu (Si tratta dela storia di una tal Mirella, una bella ragazza di questi posti, e del principe Ermanno. Mettiti a sedere su quel muricciolo, che te la racconto).. Bene, cominci pure a raccontare, signor. Vitu. Vitucciu me tegnu (Vito, Vituccio, mi chiamo). (Nota a margine: in previsione del racconto di Vituccio, visto il suo strettissimo dialetto salentino, ne farò una traduzione simultanea, riveduta e corretta, a vostro beneficio). Silenzio: la narrazione sta per cominciare! Vai pure, Vituccio!. Bene, eravamo all inizio degli anni trenta: tempi duri, grami, di estrema povertà, l epoca delle grandi emigrazioni di massa. Quasi a stabilire uno stridente, lacerante, pitagorico contrasto sociale, sussistevano, nel Salento come un po in tutto il meridione, in verità poche famiglie agiate di ricchi e nobili latifondisti. Ogni primavera, se ne veniva quaggiù, dal lontano Veneto, il giovane e fiero principe Ermanno, ospite del marchese di un paese qui vicino (non riesco a ricordare quale, ma poco importa), che era uso organizzare, in suo onore, animate battute di caccia alla volpe. Si narra, inoltre, che il nostro principe nutrisse una spiccata e non disinteressata simpatia per Rossana, la bella secondogenita del suo facoltosissimo ospite. Ermanno era un cacciatore appassionato, al punto che, pure nelle ore libere dalle battute ufficiali, veniva qui, tra queste campagne, a praticare il suo passatempo preferito, in perfetta e assoluta solitudine, e senza più l ossessione dell etichetta. Come si conveniva al suo rango, tuttavia, Ermanno manteneva un portamento fiero e nobiliare, elegantissimo nella sua rutilante divisa da caccia, sicché l intera Cardigliano si fermava a guardarlo, con ammirazione e rispetto, attraversare al galoppo il villaggio. Un bel giorno, poco dopo l alba, un assai mattiniero e irrispettoso cagnaccio si scagliò minaccioso contro il cavallo del principe che, dopo un impressionante impennata, si lanciò in una corsa sfrenata senza più il controllo delle briglie. Il giovane cavaliere tentò disperatamente di riprenderne il controllo, ma invano: ne fu disarcionato e ruzzolò per terra, proprio a pochi passi dall atterrita Mirella, intenta al lavoro nei campi Ermanno le giaceva accanto 167

168 immobile, esanime, come morto. Superato l iniziale attimo di comprensibile smarrimento, la dolce Mirella gli inumidì la fronte con l acqua del vicino pozzo ed improvvisamente, purtroppo come continua ad accadere a tante brave ragazze ancor oggi, la fanciulla rimase abbagliata, se non folgorata, dall illusione d aver incontrato il suo tante volte sognato bel principe azzurro Era tanto bella, Mirella: bella, dolce e delicata. Ermanno si riprese: non si era fatto quasi nulla. Qualche escoriazione, un po di dolori diffusi, ma in fondo nulla di grave. All improvviso, il perfido principe, colto l evidente turbamento negli occhioni neri della fanciulla, fu rapito e travolto da un idea insana, diabolica. Fingendosi anche lui folgorato da un'altrettanto irresistibile attrazione, attirò la povera Mirella nella sua orribile trappola: la ringrazio e, avendole chiesto di poterla frequentare, cominciò a raccontarle della sua triste condizione di nobile infelice, prigioniero di regole arcaiche, ormai fuori dal tempo. Le confidò d aver sempre tanto cercato un tenero fiore di campo che potesse portare un po di calore e di colore in quella sua grigia, fredda e penosissima esistenza. Nel suo ingenuo candore, Mirella soleva ripetere, tra sé e sé: Ebbene sì, l hai finalmente trovato, quel tuo tanto agognato fiore di campo, amore mio! Non ti sentirai mai più solo e triste, tesoro mio. Mai più!. Ogni giorno Ermanno le raccontava delle lugubri enormi sale dei suoi castelli, dell'assoluto e servile rispetto dei cortigiani, dei cerimoniali interminabili, degli insopportabili viaggi diplomatici, della sua disperata solitudine, di quel brutto, feroce, ma provvidenziale cagnaccio mandatogli certamente dal Cielo a donargli l amore. Parlava davvero bene, il principe, forbito e suadente. La ragazza, la dolce, candida Mirella, ne risultava ammaliata e irretita ogni giorno di più Ma era anche tanto orgogliosa, lei! Decise, perciò, di mettersi all altezza del suo amato! Diede fondo ai miseri risparmi messi da parte e li utilizzò per acquistare tanti, tantissimi libri: di grammatica, di geografia, di storia, di economia, di letteratura, di filosofia. Imparò a conoscere Socrate, Platone, Omero, Virgilio, Dante, Galileo, Spinoza, Robespierre, Washington, Guinizzelli, le vicende della rivoluzione industriale e tanto altro ancora. Puntualmente, ad ogni fiorir di primavera, il perfido Ermanno tornava a ripeterle che il coronamento del loro sogno d amore si sarebbe al più presto realizzato. E puntualmente, ad ogni fiorir di primavera, la dolce fanciulla lo attendeva amorevolmente, con quella sua dolce ed ingenua fiducia, totalmente accecata dalle perfide lusinghe del giovane principe. Un bel giorno, Mirella decise di fargli una sorpresa. Ma sì: gli avrebbe portato, subito, su al castello del marchese, quel morbido maglione di lana, che aveva appena terminato di lavorare ai ferri. Entrò nel castello senza incontrare anima viva, finché non udì, in fondo al corridoio, le voci ridacchianti di due triviali giovanotti: Ma cosa cazzo farà, Ermanno, se un giorno Rossana verrà a sapere della tua tresca con quella puttanella?. Ma dai, Ugo! In fondo è una storia da nulla: si tratta solo di una piccola, stupida contadinotta innamorata!. E mollala, allora, quella Mirella lì!. Certo che la mollerò, prima o poi, ma adesso lasciamela scopare per qualche tempo ancora. Mirella fuggì via in lacrime dal castello. Com era mai stato possibile? Tutte quelle belle frasi, tutte quelle grandi promesse! Tutto falso, tutte bugie, tutte orribili menzogne! Era la fine delle sue speranze, dei suoi sogni, la fine di tutto! Continui, continui, la prego: non s interrompa proprio adesso, signor Vito, per amor di Dio! Mi racconti, mi dica: che fine fece, la povera Mirella? È ancora viva? mi metto ad implorare. Questo non te lo so dire: da quel giorno, si seppe poco o nulla, di lei. Si sono tramandate due diverse versioni, in merito. I più raccontano che l infelice fanciulla avesse cercato rifugio alle sue pene in un convento di clausura, dalle parti di Avellino; ma c è anche chi giura che, da quel giorno, Mirella avesse cominciato a consumare una sottile, terribile vendetta nei confronti di tutti i suoi innumerevoli spasimanti, in ognuno dei quali vedeva riflessa la malvagità del perfido principe. Si narra, inoltre che, dall alto della sua straordinaria cultura e forte del suo splendido aspetto, sia 168

169 riuscita a stregare completamente decine e decine di giovani aristocratici, abbandonandoli proprio sul più bello. In molti si dice impazzirono. Qualcuno pare si uccise per la disperazione È vero? Non è vero? E chi lo sa? Magari, sarai proprio tu a scoprirlo, un giorno Ho ripreso a vagare tra le campagne di Cardigliano, ma non è più salutare jogging, né tanto meno una distensiva passeggiata. Cazzo, che angoscia! Mi fermo a lanciare sassolini nella grossa pozzanghera formatasi nell incavo di un enorme roccia. Seguo con lo sguardo gli anelli centrifughi stemperarsi all infinito. Ascolto le dolcissime note di Bridge across forever dei Transatlantic dal mio provvidenziale walkman. Continuo a lanciare sassolini nell acqua, cercando di evitare di pensare. Mi soffermo ad osservare la mia immagine riflessa quando, all improvviso, sulla superficie, accanto alla mia, compare una figura di giovane donna: una donna bella, bellissima. Mi volto a guardarla, ma accanto a me non vedo anima viva. Torno ad osservare la pozzanghera e il volto della ragazza si tinge di una luce intensa, accecante. Scappo via terrorizzato. Mi metto alla disperata ricerca di Vituccio, ma anche il pastore sembra essere stato inghiottito dal nulla con tutto il suo gregge. Un grigio fronte di nuvoloni minacciosi s ammassano sul mare all orizzonte e dal sentiero mi sferzano il volto mulinelli di polvere sospinti dal maestrale, che sembra ulularmi contro terribili minacce al suo passaggio tra le fronde degli ulivi. Alzo il volume del walkman per tentare di anestetizzare il terrore che si sta impadronendo della mia mente. Il titolo del pezzo dei Transatlantic di certo non mi aiuta: Duel with the Devil, duello con il diavolo. Si sta facendo sera e si è messo a piovere a catinelle. Provo a correre con tutta l'energia che ho nelle gambe, per raggiungere in fretta la macchina ma, soprattutto, per sfuggire via presto da quest orribile incubo. Eccola, eccola, finalmente! È laggiù. Dai, corri! Più veloce, più in fretta, dai! Dai! Ma chi diavolo sono, quelle? Un gruppo di spettrali fanciulle dal lungo abito bianco si tengono per mano disposte in cerchio, come fossero impegnate in una sorta di lugubre girotondo attorno alla mia fiammante Porsche. Mi fermo. La pioggia mi scivola giù veloce dalla tuta ormai completamente intrisa. Le ragazze si dispongono poi in fila indiana e cominciano a dirigersi lentamente verso di me. Sono impietrito dal terrore. Si avvicinano cantando una nenia. Si avvicinano, si avvicinano: Dio mio, sono sempre più vicine! Tutte uguali: hanno tutte lo stesso volto, il volto di Mirella. Sono prigioniero. Sì, prigioniero dei miei ricordi, dei miei rimorsi. Delle mie tante smarrite occasioni d amore. I principali ricordi della mia vita mi scorrono rapida nella mente come in un film. Ho paura, tanta paura! Chiudo gli occhi, in attesa della fine Non piove più. Riapro gli occhi. Il tramonto s è tinto d un rosso intenso. Sono rimasto solo! Di Mirella e dei suoi cloni nemmeno l ombra. Solo una candida colomba, che staglia le sue ali dischiuse in volo verso occidente. Sono solo, solo, orribilmente solo! Solo ed estraneo. Estraneo alla mia anima ed ai miei sogni. Nel mio duello con il diavolo, ho perso: mi sono arreso senza condizioni. Avrei dovuto lottare, cazzo! Ma è troppo tardi, ormai. Peccato! Avrei potuto essere nel regno della luce e invece sono divenuto schiavo del principe delle tenebre Aiutatemi! Me lo dovete: sono un principe, io! Il mio nome è Ermanno 169

170 Come nessuno al mondo (A mia figlia Isa) Quanto adoro te, mia dolce Isa, E il perché lo so dire davvero: Hai negli occhi una luce decisa, Che par giorno quand è tutto nero. Quando varchi le strade del centro Il respiro trattengono dentro, E nemmeno uno sguardo ti sfiora, Mentre fuori già infuria la bora. Ma poi incrocio il tuo dolce sorriso Senz averne nemmeno l avviso, O poi ascolto la voce soave Che del cuor mio conosce la chiave. Non appena ti vedo tornare Pare il ciel che si unisce col mare E son sempre felice e giocondo, Come davvero nessuno al mondo 170

171 La ricetta giusta per conquistare una dea Marzo Hotel Gattamora, Uggiano La Chiesa. Ore 23 e 35, forse 23 e 36, ma che importa? Insomma, non è notte fonda, ma fuori piove e l atmosfera è cupa Per fortuna arrivano i miei amici e mi ritrovo seduto a tavola, nel ristorante dell hotel, a raccontare a Singh, Toshiro, Abuliagoong, Wilson e Bill la mia strana avventura di ieri. Ė stato un episodio casuale, ma di quelli ti possono persino cambiare l esistenza. Sapete, uno vive la sua vita e all improvviso s accorge, così, in modo automatico, quasi meccanico, che per la maggior parte degli uomini la vita non è altro che una lunga serie di non accadimenti, uno stucchevole ripetersi di episodi noiosi, di non incontri con non persone o, al massimo, di incontri inutili, cui avresti fatto volentieri a meno di ore infinitamente lunghe, nelle quali non accade nulla che ti possa veramente cambiare la vita. È strano. Guardi un film al cinema (uno di quelli impegnati, uno di quelli che ti fanno riflettere) e ti convinci di essere uno sfigato, solo perché il destino ha deciso che di farti vivere in un lembo sperduto e insignificante del globo terracqueo, in un microcosmo beffardo, che ti rovescia addosso la sua noia, la sua desolazione, il suo scherno Cerchi di non contare le ore che ti passano accanto senza sfiorarti, ma gli istanti ti strisciano addosso graffiandoti, ti percuotono la mente, senza che ti accada mai niente che valga veramente la pena di raccontare, che ti faccia il pieno di carica gioiosa, di qualcosa di emotivamente energetico Queste sono state, per anni, le conclusioni dei miei (pochi) momenti d autoanalisi: in realtà mi sono sempre immerso e affaccendato in mille faccende, per non avere il tempo di restar solo con me stesso ad auto-commiserarmi E, date le premesse, non avrei mai creduto che, nel corso di questa mio primo importante incarico diplomatico, svolto qui, nella mia terra, a un tiro di schioppo da Otranto, in un assolato pomeriggio di questa ben più che mite primavera, mi potesse accadere di avere una mirabile visione o non è stato solo un miraggio? Non voglio annoiarvi e passo al dunque. Tutto è accaduto ieri, lunedì 11 marzo, alle nove e trenta del mattino. Salto a piè pari tutti i preamboli e vi cito subito il nome della celestial visione: Linda!... Ehi tu, perché ti sei messo a ridere? Non ti piace il suo nome? Sono certo che hai capito male: ho detto Linda, non Melinda, come le buone mele altoatesine della pubblicità. Hai capito, adesso? Oh, Bene! E adesso per cortesia stai zitto e buono e fammi riprendere il filo del discorso Vi è mai capitato di alzare gli occhi al cielo, in un cupo, grigio e melanconico tardo pomeriggio autunnale e sentirsi improvvisamente felici per aver intravisto, tra le nuvole alte della stratosfera, il volto sorridente d una dea? Non riesco a trovare paragone migliore Se dovessi darle un colore, la definirei d un rosso carminio intenso, un colore caldo, uno di quelli che provi un gran piacere a stendere sulla tela, perché il sol farlo ti riempie il cuore d energia e di gioiosa passione D ora in poi il rosso carminio cambierà nome: sarà per tutti il rosso Linda Se fosse possibile tradurre in un suono il suo sorriso, credo che nessuna musica al mondo, nemmeno quella del meraviglioso concerto di Capodanno della Filarmonica di Vienna, avrebbe potuto entrarmi nella mente così in profondità Se mi fosse chiesto di paragonarla ad una bellezza naturale, avrei bisogno del vostro aiuto, amici miei: a te, Wilson, chiederei di descrivermi gli odori e le emozioni dell Africa 171

172 equatoriale; a te, invece, Abuliagoong (ma dimmi un po : non potevano darti un altro cazzo di nome, i tuoi genitori?), i colori acquerellati dei deserti australiani Ma di cosa sto parlando? Mi sono bevuto il cervello?... In verità, se sto qui a raccontarvi questa storia, un motivo c è: voi siete tra i migliori cuochi del pianeta e si sa che tutti i grandi chef hanno le loro ricette segrete, in grado di esaltare i sensi fino al parossismo ma solo in pochi, al mondo (e voi, per mia fortuna, siete tra questi), sanno come raggiungere anche l anima Sapete, amici, rivedrò Linda fra sei giorni Dovrei essere felice per questo, ma dopo una fase di iniziale euforia, sono sprofondato nella disperazione più cupa Ci sono di quelle percezioni che ti fanno capire che le cose non andranno come avevi sperato un gesto, uno sguardo, un atteggiamento mimico del volto A un certo punto, ho pensato che sarebbe stato meglio non averla mai avuta, quella visione!... Poi però mi sono fatto coraggio: ho pensato a voi e mi sono detto che ognuno dei cinque giorni che mancano al fatidico incontro, li avrei passati con uno di voi, uno al giorno, per cercare di carpire i vostri segreti, le vostre ricette per conquistare l anima Comincerò con te, Bill: mi svelerai i segreti del Texas poi toccherà a te, Wilson, caro uomo-antilope degli altipiani del Kenia un lungo viaggio in Oceania con Abuliagoong un salto in India da Singh (anche se vive a Roma) e, dulcis in fundo, l epilogo in Estremo Oriente, da Toshiro OK, ragazzi?... Bene, beviamoci su! Sabato: a lezione da Bill Caro Enzo, io non avere mai capito e continua a non capire perché voi Italiani sempre paura di ghost, di fantasmi. Essere tutto molto semplice, so easy, per te: tu invitare lei a cena ordinare grande steak alla brace con Pepsi in locale da young people come si dice? Sì, un pub, un locale da giovani in gamba Mentre voi mangiare, tu schioccare tue dita e allora arrivare a vostro tavolo 50 tra bimbi e bimbe: ciascuno di bimbi portare rosa rossa Linda ad inizio non capire poi capire e quindi non capire più nulla e lasciarsi andare come grande sedia a dondolo di mia zia Samantha, in suo cottage di Aspen, Colorado Sedia a dondolo? Zia Samantha? Ma di che cazzo sta parlando, questo qua? Bah, sono proprio tipi strani, questi Americani!... Domenica: è la volta di Wilson Caro amigo, tu non deve avere paura andare tutto bene per te. Unica cosa tu deve fare è convincere bella Linda a fare jogging con te domani in pomeriggio Tu portare lei in auto e raggiungere gole di roccia di Porto Badisco, vicino recinto di grotte allora voi scendere da auto e fare insieme mezza maratona su sentieri di terra battuta e di roccia Io crede che dopo chilometri di corsa Linda crollare a terra esausta., così tu (uomo forte) prende lei in braccio e continua a correre Così tutti i giorni leone caccia antilope in savana: leone corre, anche se antilope corre più veloce di leone però poi antilope stanca e leone prende lei Tu leone, lei antilope: tu cacciatore, lei preda Così sempre andate tutte storie in altipiani di Africa. Una mezza maratona in montagna con Linda in braccio Sì: e l ossigeno? Chi me lo porta, l ossigeno?... La vedo proprio nera, ragazzi!... Lunedì: Abuliagoong, l aborigeno (speriamo bene!) Enzo, ora io ti fa vedere una cosa tu mai vista prima: vede questo osso? Guarda come Abuliagoong infila in suo naso: non dolore, no basta fare piccolo buco in naso Io molto esperto fare buchi in naso: io fare te buco in naso tu infila lungo osso di canguro 172

173 in tuo naso lei ti incontrare e cadere come mela matura fra tue braccia, affascinata da tua acconciatura. Affascinata? Inorridita, vorrai dire! Quella mi chiamerà gli psichiatri per un TSO, cazzo! No, no, cambia argomento, per favore. Va bene, va bene: ti prego, tu non deve incazzare ora tuo amico Abulia trovare altra soluzione. Guarda questo: ti piacere questo molto sensuale costume di foglie secche? Tu portare Linda in campagna, indossare nudo costume sotto cintola e tenere in mano destra questa lancia con punta di roccia accende fuoco e subito dopo anche questo registratore con cassetta preziosa musica erotica di boscimani cannibali di Nuova Guinea. Questa essere musica davvero magica, dato che capo Abugadès detto a me che avere grande effetto digestivo Ma torniamo a tuo problema allora, tu danza intorno fuoco e agita lancia in alto e in basso, mentre per attrito tuo costume di foglie secche comincia a sbriciolare intorno a tua cintola così, lei sentire piano piano fuoco venire in basso dentro suo ventre e. Ma che cazzo dici, Abuliagoong? Pensi davvero che io possa denudarmi in aperta campagna senza che lei chiami il 112, il 113, il 115, il 117 e il 118?. Cosa centrare 118?. Ma vaffanculo, va!. Martedì: il giorno di Singh (l indiano de Roma) Amico Enzo, tu ricorda storia di mia vita, vero? Storia di vita di Singh offrire spunti di grande interesse per soluzione tuo problema Vita di Singh cambiata 5 anni fa per incontro fatto su aereo: Singh tornava a Roma da Mosca, dove avere fatto buoni affari import-export di frutta con cugino Vijay su aereo conosciuto bellissima donna, donna italiana. Singh racconta lei di scommessa con zio: Singh scommesso con zio di riuscire sposare donna italiana Singh corteggiata donna italiana in aereo da Mosca fino a Roma parlato a lei sempre, tutto il tempo di viaggio lei zitta e ascolta, zitta e ascolta Singh allora pensa lei interessata a problema di Singh di sposare donna italiana e sperare anche lei interessata a Singh lei donna molto bella e formosa Invece no, donna italiana non essere interessata a Singh; anzi sì, lei interessata, ma non per lei interessata a Singh per sistemare sua domestica Matilde, donna ciociara con dialetto molto simpatico. Lei presenta Matilde a Singh in aeroporto: Matilde donna con fianchi larghi donna formosa, molto formosa qualcuno pure dire troppo formosa, quasi larga e con baffi Singh non accetta queste cose, perché dette solo per invidia e allora Singh sempre ripete convinto Matilde essere bella donna italiana formosa Uscito per due mesi con lei, ma non accaduto mai niente Singh portato a lei fiori, lei annusare prima volta, poi dire solo grazie altre volte e mettere fiori su sedili di dietro di macchina, quasi buttare Allora, Singh capisce lei una di poche donne italiane che non piace fiori e pensare: cosa fare? Grande idea di Singh! Tu sai, prima che diventa chef, Singh fruttivendolo: allora, una sera, per appuntamento con Matilde, Singh porta a lei mazzo di carciofi, melanzane e fiori di zucca. Quando Matilde vede nuovo regalo, illumina suoi occhi, guarda fiori di zucca, annusa carciofi e accarezza melanzana Tu capisce, vero? Melanzana grande significato erotico Dopo due mesi, Matilde diventa moglie di Singh Matilde non più domestica in sua vita, no Donna sposata con uomo indiano non deve lavorare, anche se lei a volte mi aiutare in cucina (come assaggiatrice) Adesso Matilde, con tre figli avuti in tre anni e nuovo mestiere di assaggiatrice, ancora più formosa ma noi cambiato casa con soldi di ristorante e allora risolto problema: ora lei passa da porta di stanza da letto a porta di bagno Allora, Enzo, dopodomani Singh accompagna te prime ore di mattino a mercato 173

174 di frutta e aiuta te a scegliere fiori di zucca, melanzane e carciofi certo, qui davvero molto difficile trovare buoni carciofi di razza romana, ma ricorda: pezzo più importante, componente erotica e sensuale essere melanzana Singh, vero amico, aiuta te a scegliere melanzane più belle: non troppo grosse, non troppo lunghe alla fine noi trovare misura giusta per tua Linda Vedi questa? Singh porta lei dietro sempre come modello Ma cosa fai? Perché strappata melanzana da mano di Singh? Perché colpisce in testa Singh con melanzana?... Aiuto: è pazzo. Enzo essere impazzito ahia! Ho un solo rammarico: povera melanzana!... Mercoledì: Toshiro il silenzioso (l ultima speme) Calo Enzo, tu sapele io plefelisce ascoltale invece che pallale Io pelò sentito tuo ploblema che essele davvelo glande ploblema ma, non temele: Toshilo avele due buone soluzioni Una delle due non possibile, pelché pesce-flauto vivele solo in Mal di Giappone e noi non fale in tempo a lui pescale e tolnale da Giappone plima di domani Ma altla soluzione più semplice: a noi selvile piccolo lembo di clesta di gallo padlone di pollaio pel fale pozione d amole pel tua Linda: stasela andale insieme in pollaio e cattulale gallo vivo Ci stai?. Se è la soluzione è questa, andiamo pure Ma guarda un po cosa mi tocca fare, per amore! Aiuto, Toshiro, mi stanno beccando tutto che dolore! Sbrigati, dai!. Possiamo uscile: l ho pleso, l ho pleso!. Attento a dove metti i piedi: qui è buio pesto!. Quello che con tuoi occhi non vedi, con tuo cuole tu puoi ascoltale!. Proverbio cinese?. No, tlovato su bigliettino Baci Pelugina Ma questa è una gallina, non un gallo!. Non tutto il male venile poi pel nuocele: Toshilo avele pensato gallo meno utile di gallina gallina fale uova tu laccoglie tutte uova e fale ottimo zabaione tu fale innamolale Linda, pelché offlile lei un giolno ottimo zabaione, uno altlo giolno ottimo blodo di gallina, poi di nuovo ottimo zabaione e ancola ottimo blodo No, no, che mi vuoi fale con quel piede di polco? Aiuto, aiuto, aiutoooo!. Giovedì: il giorno della verità Lo sapevo, lo sentivo che me la sarei dovuta cavare da solo: ma guarda che mi ero messo in testa! Chiedere consiglio a questi pazzi scatenati: no, non è vero che tutto il mondo è paese! Sì, esiste un unico comune denominatore e questo è la follia, ma le sue manifestazioni sono molto diverse l una dall altra: pensa te all osso nel naso di Abuliagoong o allo zabaione di Toshiro. Zabaione e brodo: ma se riduci la gallina in brodo, con cosa cazzo lo fai, lo zabaione?... Ma perché vado a fare di queste insane considerazioni? Tra pochi minuti, da quella porta spunterà il più bel sorriso della storia e il mio cuore comincerà a percuotermi il petto fino a farmi male Pensa positivo: non importa se perdi mille battaglie, se poi alla fine vinci guerra E se perdessi anche quella?... Ebbene, non sarebbe una catastrofe, dai! In fondo, mi toccherebbe, comunque, uno zabaione 174

175 Porta dal medico quel cuore Porta dal medico quel cuore Che ti batte silente nel costato, E che ti relega ad un esistenza vana, Senza palpiti improvvisi né sospiri. Porta dal medico quel cuore Nel quale non v è ardor di passione, Che non s è mai arrestato un istante Colpito dalla folgore d amore. Porta dal medico quel cuore Succubo della gelida ragione: Ad inverno seguirà inverno Senza mai scaldarti l anima. Ogni giorno trascorso senza amore È un giorno che sottrai dalla tua vita. Porta dal medico quel cuore Che non ti fa avvertire l emozione D un alito di vento che ti sfiora: È il dolce malinconico respiro D una fanciulla che la mano ti tende E che invano in silenzio t attende. Porta dal medico quel cuore Che in una notte sfavillante di stelle Non ti risveglia lo spirito ribelle: Sopraffatto da calcoli e sofismi Non t accorgi di morire lentamente. 175

176 La solitudine dei numeri perfetti Il mio grande amico Gilberto Gentili, grande (ripetizione necessaria) medico marchigiano, grande (ibidem) presidente nazionale della principale società scientifica di management di sanità pubblica e di medicina del territorio, la CARD (Confederazione delle Associazioni Regionali di Distretto sanitario) ha postato su Facebook una profonda e arguta riflessione, che si richiama allo splendido romanzo di Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi. La riflessione del mio illustre amico, che ho provveduto ad integrare, è la seguente: Nella serie infinita dei numeri naturali, ne esistono alcuni speciali, i numeri primi, divisibili solo per se stessi e per uno. Se ne stanno lì tranquilli come tutti gli altri, schiacciati nella serie tra due numeri pari, ma hanno qualcosa di strano: si distinguono dagli altri perché conservano un alone di seducente mistero che ha catturato l'interesse di intere generazioni di matematici. Fra questi, esistono poi dei numeri ancora più particolari e affascinanti, definiti dagli studiosi 'primi gemelli', che vivono in coppia, separati da un numero, che nel romanzo di Giordano rappresenta come una sorta di Muro di Berlino, di 'invalicabile ostacolo'. Le prime coppie di primi gemelli che si incontrano nella serie infinita dei numeri sono l'11 e il 13, il 17 e il 19, il 29 e il 31, il 41 e il Mano a mano che si va avanti, queste 'solitarie coppie' di numeri compaiono con sempre minore frequenza, ma gli studiosi assicurano che, anche quando ci si sta per arrendere, quando non si avrebbe più voglia di contare, ci si imbatte all'improvviso in altri due gemelli, stretti l'un l'altro nella loro solitudine. Alla lettura di questa profonda ed, in fondo, anche poetica riflessione (ma chi l ha mai detto che la matematica sia una disciplina arida?), mi è balzata automatica alla mente una (ehm) brillante intuizione: il numero pari che separa tutte le coppie di primi gemelli è sempre e comunque divisibile per il numero 6, numero perfetto formato dal prodotto e dalla somma dei primi 3 numeri (1 x 2 x 3, ma anche 1+2+3); pensate, infatti, al 12 (coppia 11-13), al 18 (17-19), al 30 (29-31) e al 42 (41-43). Ma non finisce qui: la considerazione appena fatta vale anche per le coppie (60), (72), (102), (108), (138), (150), (180), e via di seguito. La costante del 6 quale divisorio fisso del numero di separazione di tutte le coppie di primi gemelli vale anche per il quasi illeggibile che separa, come un invalicabile ostacolo, la coppia di primi gemelli del tanto affabulante, quanto struggente romanzo di Paolo Giordano (il attribuito a Mattia e il che caratterizza Alice, gli infelici protagonisti, spinti da una istintiva profonda attrazione, ma inesorabilmente separati da una incoercibile ed autolesionistica sofferenza spirituale). Un incomprensibile coacervo di misteri algebrici ed esistenziali!... Ma torniamo a noi: abbiamo appena stabilito che il numero 6 è l elemento di legame costante e obbligato del truce numero di separazione (l'invalicabile ostacolo) interposto tra tutte le coppie di primi gemelli. Questa mia è stata una mera intuizione, ma non sapevo che significato avesse o se ne potesse avere alcuno. Mi ero reso conto solo che è così: punto e basta! Poi ho voluto approfondire. In realtà, 6 è un numero composto, divisibile, come si è già detto, per 1, 2 e 3, numeri dei quali è sia il prodotto che la somma: in tal senso, poiché rappresenta la somma dei suoi divisori (1+2+3), il 6 è il primo numero perfetto e vive in assoluta solitudine, poiché i successivi numeri perfetti sono molto distanti: il 28 (pari alla somma dei divisori: ), per trovare, a distanze sempre più ampie e dilatate, il 496, l'8.188, il , fino all inverosimile numero a 54 cifre (e pensare che si tratta 176

177 appena del decimo numero che incontriamo nella nostra incredibile, interminabile lista) ; procedendo poi di seguito nell elenco, notiamo poi una vera e propria voragine tra i numeri perfetti, dato che l'undicesimo è composto da 65 cifre, il dodicesimo da 77 e il tredicesimo da ben 314 cifre. Una solitudine assoluta, spettrale, direi quasi cosmica; ma che significa tutto ciò? Quale arcano mistero si cela dietro ai numeri perfetti? Francamente non so dirvelo, e in fondo non so nemmeno se possa trattarsi davvero di un mistero o di una regola già nota agli studiosi: dovrei approfondire la ricerca, ma sono un ignavo e non credo che troverò mai il tempo e la voglia per farlo. Mi basta e avanza (e perché no? mi rende persino fiero) il fatto di aver stabilito che se davvero esiste una solitudine dei numeri primi, questa è ben poca cosa rispetto a quella dei numeri perfetti... E qui vado in trance e comincio, come al solito, a fantasticare, saltando a piè pari (è non è un caso) dal terreno solido e terragno dei sillogismi a quello pindarico e onirico dei sofismi: mi sorprendo a considerare, infatti, che poiché la compagna più fedele della mia vita è stata la solitudine, non credete sia giusto che anch'io possa considerarmi, in fondo e a pieno titolo, come il grande Ettore Majorana, un numero perfetto?... Tuttavia, a scanso di una più che probabile, ma del tutto errata e fuorviante diagnosi di narcisismo patologico, credo sia il caso di precisare che, nel mio caso, al contrario di quanto non sia avvenuto per il grande fisico siciliano, si tratta, in fondo, solo di un tanto solitario quanto inutile, potrei dire quasi insignificante (quindi, imperfetto), numero perfetto. 177

178 La solitudine dei primi gemelli In mezzo all autostrada Dei numeri incontrai, Sempre assai più lontane, Una dall altra, avanti, Coppiette sparigliate Da multipli del sei: Cinque e sette, Undici e tredici, Diciassette e diciannove, Ventinove e trentuno, Quarantuno e quarantatre, Coppie che s inseguono, All ora del tè. E poi, più avanti ancora, Sperduti nella nebbia, Dov ogni cosa è dubbia, Centosettantanove e centottantuno. Come la notte e il giorno, Con il silenzio intorno, In attesa di qualcuno. Onde lunghe che s inseguono Senza abbracciarsi mai. Due potenziali amanti Pervasi di malinconia, In quest angusta via, Separati dalla discorde armonia Della grande, inaccessibile muraglia, Come un immenso fuoco, Prodotto dalla paglia Di fulgide emozioni, Sgozzate dalla ragione, Di delusioni bibliche, Del pianto di Didone, Di vane note asfittiche, Fuggite dall incanto D un celestiale manto. Le tendo poi la mano Quando il giorno è morente, Ma lei si perde nel buio, Scompare ad occidente Mi sveglio al primo tenue Bagliore del mattino: Apro i miei occhi stanchi E il mio sogno è già in cammino. Ti vedo poi con il mare alle spalle, 178

179 Con i lunghi capelli sfiorati dal vento Come un fiore scarlatto, sfiorato in un calle, E perso poi, purtroppo, in un momento. La luce vermiglia dell oriente Ti ha portata via da me, lontano dalla gente, Dove al mio sguardo vano si nasconde, Là, dove il cielo nel mare si confonde, E mi ritrovo solo, smarrito, nel tormento 179

180 I promessi sposi di Parabita Nella mia folle e continua ricerca dell impossibile, in realtà vado cercando non tanto il meraviglioso, quanto il meravigliato; e per questo motivo, dopo aver assunto notizie probabilmente incomplete (vedi bibliografia), ho deciso di proporre a tutti gli amici di Cultura Salentina una vicenda che appare impossibile, ma che mi ha riempito di meraviglia e, allora, perché non approfondire la ricerca? Il Salento è una terra magica perché, oltre alle sue bellezze naturali, alle sue tradizioni e al calore dei suoi abitanti, è stata teatro di vicende straordinarie, come la splendida storia d amore, che mi accingo a raccontarvi tra un giovane nobiluomo di Parabita e la sua dolcissima serva Uno studioso di Parabita, ridente cittadina del medio Salento, sfogliando i registri di matrimonio della Chiesa Matrice del paese (Chiesa S. Giovanni Battista), si è imbattuto, quasi per caso, in un documento che narrava la tormentata storia d amore tra il figlio del Duca e una serva del suo castello. Domenico Ferrari, nobile cosentino, nel 1699 acquistò, per la somma di ducati, il feudo di Parabita, espropriato sin dal 1671 al suo legittimo possessore, il Barone Domenico Castriota, da un nugolo di creditori, per via dei tanti debiti contratti e mai onorati. Dopo la morte di Don Domenico, il feudo di Parabita nel 1716 passò, per testamento, con atto siglato dal notaio Alessandro De Martino, al nipote, Don Giuseppe Ferrari, figlio di Don Giacinto, legittimo erede di Don Domenico, a suo tempo deceduto il 10 agosto L introduzione sulla nobile famiglia Ferrari è d obbligo, perché la nostra vicenda vede come protagonista Don Francesco Saverio, figlio di Donna Agnese Sabarriani e di Don Giuseppe Ferrari, primo duca di Parabita. Il nobile rampollo si era perdutamente innamorato di una giovane popolana, la dolcissima Rosaria Cataldo di Parabita, serva della sua famiglia. Folgorato dalla bellezza della fanciulla sin dalla prima visione, ogni mattina il buon Francesco Saverio, prudentemente nascosto dietro le tende della sua finestra, seguiva con lo sguardo la radiosa fanciulla correre allegra su e giù per le tante rampe di scale del palazzo, diffondendo intorno a sé gioia di vivere e profumi di primavera. Il timido Saverio non sarebbe forse mai riuscito a comunicare a Rosaria le sue emozioni, se non si fosse intromesso il caso, che un mattino li fece scontrare sulla porta del salone. La ragazza si fermò alcuni secondi a guardarlo, poi gli sorrise e si mise a correre per le scale del castello, guardandosi indietro per vedere se fosse inseguita. Notandolo immobile, si fermò, gli mandò un bacio maliziosa e ripartì. A quel punto Francesco Saverio si mise ad inseguirla e la corsa di Rosaria si fece sempre più veloce, quasi convulsa, finché non le accadde di infilare l ingresso della colombaia, un edificio di forma cilindrica, sormontato da un orlo merlato, senza altra uscita, motivo per il quale la ragazza si trovò (forse non involontariamente) in trappola. Francesco Saverio entrò nella colombaia e si fermò per un attimo sulla soglia a guardarla. Poi le si avvicinò lentamente: Rosaria ansimava, non solo per la frenetica corsa. Lui cercò di accarezzarle il viso con la mano, ma lei si allontanò. Allora, le strappò un bacio con la forza, ma di quella forza buona, necessaria solo per vincere (soprattutto la propria) timidezza e paura E fu amore intenso, immediatamente ricambiato. Con il passar del tempo, la timida e vereconda tenerezza del primo bacio si trasformò in una passione ardente e dal fuoco dei sensi (frutto di un grande sentimento d amore) nacquero due splendidi marmocchi, Francesco e Vincenzo. 180

181 Francesco Saverio, sin dalla prima gravidanza dell amata, aveva manifestato l intenzione di regolarizzare la sua unione con Rosaria e un giorno trovò il coraggio per chiederne il permesso al severo genitore, che però si oppose sdegnosamente, affermando che mai e poi mai un insulsa popolana sarebbe divenuta la legittima consorte di un nobile rampollo. Un siffatto matrimonio sarebbe stato uno scandalo ed avrebbe rovinato la dignità della nobile famiglia Ferrari. Per questo motivo, vista l insistenza del figlio, il duca ricorse al Sacro Regio Consiglio, al fine di impedire il matrimonio e salvare, quindi, l onore del casato; ma Don Saverio, testardo e profondamente innamorato, decise di reagire. All una di notte del 5 febbraio 1780, lasciati a casa i due figli e procuratisi due testimoni di fiducia (Orazio Astore e Lorenzo Peluso), Don Saverio e Rosaria si recarono nella casa del Curato e ivi dichiararono ambedue di essere coniugi. L arciprete, Don Vincenzo Maria Ferrari, dopo aver sentito la prima parte della formula pronunciata dall uomo, lungi dal benedire la loro unione, iniziò a strepitare (e a suonare le campane della chiesa), in quanto aveva intuito la clandestinità del matrimonio cui stava dando legittimità, senza udire la seconda parte del rito, pronunciata con voce fioca ed emozionata dalla dolce Rosaria. I due innamorati, convinti di aver coronato il proprio sogno, tornarono a casa dai loro splendidi figli Francesco (2 anni) e Vincenzo (9 mesi). Quella notte i due non riuscirono a prender sonno (e non solo per la gioia); l alba li sorprese, infatti, teneramente abbracciati, ma con il terrore, reciprocamente mal celato negli occhi e nella mimica del volto, per la certa, durissima reazione del Duca. Il giorno seguente, la sorpresa: il curato affermò di non aver sentito la dichiarazione della donna e, quindi, in base alle norme vigenti, il matrimonio non era valido. A nulla valse la deposizione di uno dei testimoni che affermava con certezza di aver udito Rosaria pronunciare le sacre parole. Solo successivamente, quando però ormai nulla si poteva fare per aiutare i due infelici innamorati, il Curato fece la tardiva ammissione, dichiarandosi persuaso de lo intento reciproco de contraenti per lo matrimonio e, interrogato in merito, espresse il parere che un matrimonio così celebrato dovesse ritenersi valido e, quindi, tutt altro che illegittimo. Don Saverio, con commovente ostinazione, si preoccupò subito di chiedere alla Curia di Nardò la legittima dichiarazione del matrimonio, ma con l emanazione di un decreto da parte del Sacro Consiglio di Lecce, la Curia dichiarò non valido il matrimonio dei due: Questo matrimonio non s ha da fare!. Inoltre, nel famigerato decreto, emanato il 9 giugno 1780, era espressa la dura condanna inflitta ai due amanti come punizione del loro comportamento: Rosaria sarebbe stata per sempre rinchiusa nel Conservatorio delle Pentite a Lecce e a Don Saverio ne sarebbe stato vietato l accesso. Conclusione atroce! La forzata separazione dalla sua adorata Rosaria portò, dopo appena un anno dalla sentenza, il non ancora quarantenne Don Francesco Saverio a morte. Finì, così, mestamente, la romantica storia d amore tra Francesco Saverio e Rosaria Questa vicenda è narrata in versione integrale nel registro dei matrimoni della chiesa Matrice di Parabita, datata al 5 febbraio 1780 e firmata dall ormai famoso Arciprete Don Vincenzo Ferrari. Nel documento sono riportate le note scritte di proprio pugno dal curato: A 5 Fbro 1780, ad un ora circa di notte trovandomi leggendo solo nella mia camera mi viddi inaspettatamente sorpreso dall Illustre Don Saverio Ferrari dei Duchi di questa Terra e Rosaria Cataldo di questa Terra stessa e presenti Orazio Astore e Lorenzo Peluso venuti colli sudetti, disse detto Don Saverio, Signor Arciprete: Questa, accennando la detta Rosaria, è moglie mia!, in sentire io le quali parole compresi già esser venuti a 181

182 fare matrimonio clandestino e non potendo fuggire cominciai a strepitare chiamandoli scomunicati, ed altre parole dissi, con che impedii il sentire le parole, che immediatamente a quelle di detto Don Saverio disse la detta Rosaria, ma non compresi il consenso della medesima perché, oltre la percezione, nella quale io era di detti due soggetti Don Saverio e Rosaria per circa 13 anni di scandaloso commercio, con cui avevano procreati due figli, ed avevano tentato fare prima matrimo-nio di coscienza, e non essendoli riuscito questo, erano ricorsi per farlo pubblicamente in faccia della Chiesa e li fu proibito con ordini sovrani, di più in questo nuovo attentato mi accorsi, che avendo Don Saverio terminato di dire Questa è moglie mia, la detta Rosaria disse qualche cosa e rimase unita al detto Don Saverio tanto che si toccavano, e non parlò se prima questo non l ebbe dato il segno. Onde per la verità. Ferrari Arciprete. Dalla narrazione della triste storia degli amanti parabitani, balza evidente la stretta affinità con le vicende dei Promessi Sposi, quasi come se da questa il Manzoni avesse preso lo spunto per scrivere il suo capolavoro. Questa supposizione è sostenuta da due importanti elementi: il primo è l epoca in cui è accaduta (1780), che precede di qualche anno la data di pubblicazione dell opera; il secondo, molto più incisivo, riguarda il fatto che Alessandro Manzoni era notoriamente amico di Don Antonio Ferrari, Duca di Lecco, cugino dell allora duca di Parabita. Pare che, parlando con l amico, lo scrittore avesse appreso questa scandalosa storia di famiglia e da qui essersi ispirato, pur modificandone ampiamente trama e contenuti, per la stesura del suo celeberrimo romanzo. Questa supposizione è confermata dal ritrovamento di una lettera conservata nell Archivio di Stato a Roma, inviata da Manzoni nel 1820 al Duca di Parabita. In questa lettera, lo scrittore racconta di essere venuto a conoscenza, tramite il cugino Duca, della storia il cui protagonista era il figlio Francesco Saverio: Nell aver frequentato ultimamente in Lecco, il Duca Don Antonio Ferrari, rilevai nella sua famiglia un caso di matrimonio contrastato, svoltosi tra Don Francesco Saverio Ferrari e una di Lei serva. Ora mi trovo nella necessità di pregarla del favore di darmi maggiori infor-mazioni su quanto accaduto nella di Lei famiglia. Mi attendo dalla di Lei conosciuta bontà, il favore richiesto. Firmato Devotissimo Alessandro Manzoni. A.D. 10 dicembre Altre cose sembrerebbero provare l autenticità della triste storia degli innamorati parabitani: Manzoni dice, infatti, di essersi ispirato per la sua composizione ad un manoscritto, alludendo, forse, alla storia o al manoscritto dell Arciprete di Parabita, di cui si ipotizza potrebbe aver ricevuto una copia in seguito alla lettera inviata al Duca. Un altro particolare rilevante sarebbe anche la veridicità dell esistenza della monaca di Monza che, secondo un manoscritto autografo del Cardinale Federico Borromeo, rinvenuto presso gli archivi dell Arcivescovado di Milano, sarebbe stata di origini leccesi, dal vero nome di Maria Virginia De Leyva; ma rispetto a quest ultima vicenda si rimanda opportunamente agli approfondimenti già in parte trattati nella nostra splendida Cultura Salentina. Fonti bibliografiche: Approfondimento personale sull opera I Promessi Sposi, a cura di Antonio Bruno, Esami di Stato A.S Classe: 5 D Giugno 2004; Due Amanti ed un Curato, Una patetica storia d amore nella Parabita del XVIII secolo, Mario Cala (tratto da A Parabita due notti d estate, Pro Loco Parabita 1977) Renzo e Lucia, lumbard? Macché, erano salentini!. Messaggio postato su forum Internet Dr. C. Fracasso. 182

183 Incubo Oscillo in un guscio di noce Frusciante di spume E scosso dai flutti. Un vuoto infinito: Nessuna terra, Nessun approdo. Unica compagnia, la solitudine E il volo, fugace e lontano, Arabescato, d un gabbiano. Il bagliore di mille folgori Illumina a giorno l indistinto orizzonte S alza la luna come dal nulla E sul mare compare un volto di bimba, Dai contorni lievi e dai colori tenui. Un sorriso dolce, disarmante, Il più bello della storia, Nella melodia del vento. Un colpo al cuore: Benefica scossa, benvenuto ristoro. Ritorno alla gioventù: Una carezza sfiora il suo viso. La sua pelle è viva, presente. Profumi di primavera Ma i primi rossastri bagliori Che si levano da oriente Mortificano la fantasia E offuscano, sbiadendole, Come la nebbia d autunno, Queste immagini vivide e pulsanti La sua pelle si dissolve in sabbia. Che sfugge, inarrestabile, dalle mie dita. La melodia del vento è un macabro ululato. Il volo elicoidale del gabbiano s è fermato: Due ali inchiodate nel cielo I colori accesi della vita quotidiana Hanno spazzato via i tenui Contorni d un timido sogno. La notte ha cullato una speranza. Ma la prima luce del mattino Ha plasmato un fantasma senza volto. Il mio incubo è il risveglio: La percezione della vanità d un sogno E la fedele solitudine Ritorna a regnare 183

184 A proposito di liste d attesa in sanità Riflessioni di Capodanno (1 gennaio 2015) Lo sapevate che, in taluni distretti sanitari di Papua Nuova Guinea basta ancora farsi aggiungere sulla ricetta la locuzione "Visita urgente" per riuscire a farla subito, anche se quella visita serviva esclusivamente per la domanda di cosiddetta cessione del quinto dello stipendio?... E non sapevate nemmeno che, magari, in quel modo, l'astuto cittadino papuasiano avrà abilmente sottratto il posto a qualcuno che, con quella visita, sarebbe probabilmente riuscito a salvare la propria vita?... Ma credo che lo sapevate già, perché sono certo che da qualche parte, su uno dei tanti graffiti sui treni delle Ferrovie Sud-Est avrete letto il pensiero di un tale scribacchino, che così recita: "Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare", ripreso poi da un tal donnabondiano parroco di Lucugnano, Papa Cajazzu (vedi anche la riflessione successiva), che concludeva tutte le sue omelie con la seguente profonda invocazione mistica: "Signore, provvedi alli provveduti, ca tantu li sprovveduti aci suntu bbituvati de quannu su nati, pocca!". Per la serie: "Se questa è una priorità, la devo fare subito!" trasformata in "Se questa cosa l'ho fatta subito, vuol dire che, se anche non lo era, adesso è diventata (per MIO decreto!) una priorità!", che si coniuga anche come esclusione dogmatica del ragionamento: "Quella persona possiede eccezionali capacità e abilità e perciò lo mettiamo a fare il manager", che viene sofisticamente trasformato in: "Se sono stato messo a fare il manager, vuol dire che possiedo eccezionali capacità e abilità... PS: e i miei collaboratori me li scelgo io (ma forse è meglio se me li faccio suggerire da chi so io)!". 184

185 Angela Merkel, Matteo Salvini e il mitico Papa Cajazzu di Lucugnano In attesa della Befana (5 gennaio 2015) Molti si chiederanno "che ci azzecca" il mitico Papa Cajazzu di Lucugnano con la Merkel e con Salvini... E molti si chiederanno pure che affinità ci siano tra Salvini e la Merkel. In realtà, sono le due facce (maschile e femminile) della stessa medaglia, per la quale si rimanda al noto aforisma plautino (vedi l'asinaria), poi ripreso da Hobbes, "Homo (vel mulier) homini (vel mulieri) lupus (vel lupa)": l'uno e l'altra non conoscono il significato del termine "solidarietà"! Prostrarsi nei confronti dei dittatori (come Putin) è già di per sé squallido, ma proporre di finanziare la sanità esclusivamente con fondi regionali (ed aver la faccia tosta di proporsi come leader politico dei meridionali!) significa considerare completamente idioti tutti i terroni (come me) e voler condannare il Sud ad un forte peggioramento della qualità della vita; allo stesso modo, mandare affanculo la Grecia (ed i Greci) ci rimanda a quel bieco "Deutchland Uber Alles" (scusate se ci sono errori: non conosco il tedesco), che riecheggia ancora di morte... Ma torniamo al nostro buon curato del Capo di Leuca: le omelie di Papa Cajazzu rappresentano forse un paragone irriverente, ma nello stesso tempo anche un esempio emblematico della dispotica tendenza di prevaricazione dei poteri forti; per entrare meglio nell argomento, vogliamo farvi notare un (forse quasi blasfemo) parallelismo tra una delle più note frasi del sommo Dante Alighieri Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare e la meno celebre (ma altrettanto significativa) frase con la quale Don Galeazzo (Papa Cajazzu), il leggendario donnabbondiamo curato di Lucugnano, concludeva le sue celebrazioni sacre intorno al XVII secolo. Infatti il nostro, per ingraziarsi le simpatie dei signorotti locali, sempre seduti in prima fila, concludeva tutti i suoi sermoni con la ormai storica frase: Signore, provvedi alli provveduti, ca tantu li sprovveduti aci suntu bbituvati de quannu su nati, pocca! (Signore, concedi sempre ricchezza e salute alle persone agiate, perché i poveri riescono a convivere bene solo con le malattie e con la miseria). Cari amici terroni come me, cerchiamo di adattarci ad un futuro di miseria e di malattie: vuolsi così colà (in Padania) ove si puote ciò che si vuole e più non dimandare (tanto sei solo un povero "terruncello" idiota, no?)... Ed eccoveli qui serviti, in salsa verde (padana) o in salsa giallo-rosso-nera con i crauti (bavaresi), i grandi politici di questa merdosa epoca: che Dio ci salvi da Salvini e pure dalla Merkel! 185

186 Clamoroso!... Forse il piccolo grande Renato Brunetta nel cast di NCIS Los Angeles! Ultime notizie (31 gennaio 2015) Con il beneficio del dubbio, legato alla non ufficialità ed alla scarsa attendibilità delle fonti, legate ad indiscrezioni giornalistiche raccolte nella downtown di Los Angeles, pare si stia per realizzare un radioso futuro hollywoodiano per il battagliero Renato Brunetta, in caso di elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica. Il noto uomo politico sarebbe stato, infatti, prescelto direttamente da Shane Brennan, ideatore della famosa serie televisiva, per la parte di "Sgrunt", il "piccolo" pestifero boss della West Coast, acerrimo nemico della buona Linda Hunt, sosia in formato tascabile di Tina Pica, che incarna la figura della dura e pura Henrietta "Hetty" Lange. Ulteriori indiscrezioni svelano un imprevedibile epilogo "rosa" della storia: Sgrunt, improvvisamente convertito al bene sulla via di Damasco, sarà travolto da una irresistibile passione per Hetti e dopo mesi e mesi di ispirato e forsennato corteggiamento convolerà con lei a giuste nozze, invitando alla fastosa cerimonia tutta la squadra "ortodossa" di Forza Italia (ormai ridotta a poche unità)... Se così fosse, vivrebbero tutti felici e contenti (a parte l'incubo - per Sgrunt - del... Mattarellum)... Sgrunt Hetty 186

187 Un forte e deciso impegno per la pace (lo dobbiamo alle generazioni future) Riflessioni del 15 febbraio 2015 Viviamo una delle fasi più critiche dell'umanità. Una fase critica, violenta, sanguinosa e sanguinaria, mascherata da guerra di religione. Qualsiasi persona di buon senso capisce perfettamente che nessuna divinità, se invece Satana in persona, può volere l'orrore di feroci decapitazioni, eccidi di massa e veri e propri genocidi; allora, a mio modesto avviso, l'impegno che ciascuno di noi deve prendere è quello di far sentire a tutti i (tanti) musulmani di buona volontà l'imperativo categorico e l'obbligo morale di isolare il male, inteso come i fondamentalisti dell'odio. Io da parte mia comincio a farlo con il mio amico ingegnere palestinese Nedal Hamad, che continua a (soprav)vivere nella tristemente famosa (per gli eccidi) città di Gaza. PS: sensibilizziamo i nostri amici musulmani, ed evitiamo di cadere, anche noi, in beceri atteggiamenti di fondamentalismo cattolico che, come la storia ci insegna, nel passato (ed anche di recente), si è macchiato di analoghi crimini. 187

188 Un giornalista serio: Franco Di Mare Riflessioni del 23 febbraio 2015 Credo che siano in pochi a non conoscere Franco Di Mare, il giornalista che oggi conduce Uno Mattina, ma che in passato ha rischiato la vita sui campi di guerra, della mafia, della criminalità organizzata, delle calamità naturali e del terrorismo internazionale. Una persona al di sopra di ogni sospetto, quindi, che tra l'altro ha adottato quella bimba bosniaca, alla cui vicenda è stata ispirata la fiction televisiva "L'angelo di Sarajevo". Ciò premesso, stamattina, prima del telegiornale delle 8,00, Franco Di Mare è sbottato contro quegli untori della verità, che asseriscono che nessun ebreo sia morto nell'attentato alle Twin Towers (perché atto terroristico organizzato e realizzato dagli USA e da Israele), di imminenti cataclismi (con conseguente nascita di una nuova società migliore), di invasioni di marziani e di mistificazioni sulla vera natura dell'isis (il califfo sarebbe, in realtà, un agente segreto del Mossad israeliano, infiltrato per favorire l'inizio delle solite manovre espansionistiche dei sionisti sui territori del Medioriente confinanti con lo Stato di Israele). Franco Di Mare ha concluso la sua filippica dicendo che purtroppo tante di queste notizie sono sostenute anche da un cospicuo numero di parlamentari italiani e si è augurato che siano fossero proprio costoro il prossimo obiettivo di eventuali rapimenti marziani... Ciò premesso, sono pronto a scommettere che nei prossimi giorni ci sarà un'interrogazione parlamentare finalizzata al licenziamento immediato di Franco Di Mare, perché - si sa - per taluni, gli unici giornalisti seri sono quelli de "Il Fatto Quotidiano". 188

189 Il calcio, sport nazionale italiano, ovvero, lo specchio (penoso) del (Bel)Paese Riflessioni del 30 marzo 2015 Il calcio italiano si dibatte ormai da un decennio in una mefitica, acquitrinosa palude popolata da rane, rospi, ratti, pappataci, mosche (anche del genere Glossina - palpalis e morsitans) e zanzare (persino del genere Anopheles). Alcuni aspetti: 1. I nostri stadi sono ormai i più ridicoli del mondo, sin da quando furono spesi decine e decine di milioni di Euro per costruire certi mausolei per i mondiali del 1990: tipico esempio quel vero catafalco (oggi demolito) dello Stadio delle Alpi di Torino, nei dintorni del quale sono ospitate solo partite dei campionati amatoriali UISP o CSI (altro che lo stadio fuori le mura del ragionier Fantozzi, vedi foto in fondo). 2. A proposito di ragionieri, il ragionier Carlo Tavecchio, per volere impositivo di Claudio Lotito, viene nominato presidente della FIGC. Del ragionier, ora presidente, Tavecchio, si ricorda un commento assai caro a Salvini a proposito dei calciatori di colore: "Qui in Italia gioca chi prima mangiava banane...". Inoltre, Tavecchio (secondo quanto riportato da "Blitz Quotidiano") avrebbe subito le seguenti condanne alla reclusione: nel 1970, 4 mesi per falsità in titoli di credito; nel 1994, 2 mesi e 28 giorni per evasione fiscale; nel 1996, 3 mesi per omesso versamento di contribuzioni previdenziali e assicurative; nel 1998, 3 mesi per omissione o falsità in denunce obbligatorie e 3 mesi per violazione delle norme antiinquinamento e multe per circa Il presidente della Lazio Claudio Lotito, a tutti ormai noto come il "deus ex machina", ovvero come il Super-Presidente, della FIGC, dichiara che la promozione in serie A del Carpi e del Frosinone sono eventi da scongiurare (questa promozione non s'ha da fare!), perché ciò provocherebbe una drastica riduzione degli abbonamenti a SKY-Calcio e un minor gettito di denaro ai grandi club. Per la serie: "In serie A, Carpi e Frosi... NONE!". 4. Quel tacchino vestito a festa di John Elkann attacca Antonio Conte, al quale dovrebbe invece fare un monumento, perché a suo dire avrebbe distrutto il ginocchio di Marchisio, avendolo costretto a sottoporsi ad allenamenti improbi e massacranti (le riprese televisiva dimostrano infatti una terribile, assurda, terrificante passeggiata ad oltre 1,5 km all'ora sul prato). I tifosi rincarano la dose e si scatenano: "Mai più un giocatore juventino in nazionale: questo Conte qua è pieno d'invidia e ci vuol far perdere il campionato. Che vada a prenderseli dall'inter, i nazionali!". Nota a margine: l'agitazione di John Elkann e dei tifosi è giustificata dalla posta in palio; infatti, la qualità (del) e l'interesse (verso il) prestigioso campionato di serie A paiono aver superato persino quelli della Superligaen danese... Torniamo a noi: Marchisio torna a Torino dalla Bulgaria e magicamente guarisce, ovvero il potere taumaturgico del Po (Padania docet e Marchisio non ha mai nascosto le sue simpatie leghiste)! L'Inter, la squadra con più tifosi leghisti d'italia (perché non acquistate Marchisio?), ha dato il 100% dei suoi calciatori italiani alla nazionale (Andrea Ranocchia), dopo aver rimosso l'ultima appendice italiana persino dalla presidenza. A proposito, bravo Moratti: su tutti i grandi club stranieri convergono presidenti e sponsor super-milionari dall'asia (arabi, cinesi, giapponesi, ecc.) e tu sei riuscito a caricarti un tale indonesiano (detto con tutto il rispetto, sia chiaro) probabilmente senza una lira, che invece di acquistare campioni, compra solo mezze calzette e poi vende, vende, vende, vende

190 6. Il Milan, la squadra italiana più blasonata a livello internazionale, si dibatte nelle posizioni di bassa classifica, perché il suo presidente ha preferito investire grandi quantità di denaro nel bunga-bunga e non nel potenziamento della squadra (Nota a margine: d'altra parte, nel Salento si dice che... "Tira cchiù lu pilu ca lu 'nzartu = Tira più il pelo che la fune"). Stretta la foglia, larga la via, dite la vostra che ho detto la mia! 190

191 25 aprile: anniversario della Liberazione Riflessioni del 24 aprile 2015 Chi può celebrare questa "Festa della Resistenza"? Molto pochi, in verità: questa è la festa di chi ha lottato nell'interesse della libertà, della collettività e delle persone più fragili; oggi, invece, ancor più che nel passato, si promuove il tribalismo, si fa la guerra ai poveri, agli indifesi, ai deboli, e non è un caso che ci sia qualche autorevole (sic!) leader politico che dichiara che il 25 aprile lo trascorrerà in casa propria (ma non lesinando di apparire su tutte le TV del globo con quel suo largo sorriso sarcastico e sprezzante) senza festeggiare, ingegnandosi a pensare alla modalità cruenta con la quale arrestare i flussi di tanti poveri cristi (cristiani o musulmani che siano, sempre di esseri umani si tratta!) che cercano di attraversare il Mare Nostrum, che in fondo, però, è il mare di tutti, come la terra è la terra di tutti... E non è un caso nemmeno che qualche altro oscuro ed inquietante figuro abbia prefigurato, sul suo gettonatissimo blog (dove ogni click si traduce in uro, alla faccia di chi rinuncia...) che fra qualche anno una grande ecatombe ridurrà a meno di un miliardo di persone la popolazione mondiale, dando origine ad una nuova era (e costui non si riferisce all'eccidio dei nostri poveri ulivi, ma dei nostri fratelli, dei nostri figli). Allora mi domando e dico: "Ma che cazzo di persone ci sono, in giro? Che cazzo di differenza c'è con l'isis?"... E, per finire, seguendo il solco del coraggioso percorso di Sergio Blasi, unico esempio di vera ed autentica resistenza contro lo strapotere delle famigerate caste, delle multinazionali, delle holding, delle ecomafie, del malaffare, concludo questo mio piccolo sfogo dicendo che, per l'affermazione della vera libertà, contro la quotidiana demolizione dei valori della convivenza pacifica dei popoli, contro il razzismo, contro l'intolleranza, contro il fanatismo religioso, contro il tribalismo settario (o il settarismo tribale, che dir si voglia), la resistenza non si deve commemorare: si deve vivere ed esercitare! 191

192 Il vaso e le pietre (e il rispetto delle priorità etiche nella politica di Sergio Blasi) Riflessioni del 1 maggio 2015 Si narra che un giorno Leonte, tiranno di Fliunte, chiese al grande Pitagora di tenere una delle sue famose lezioni sui numeri, all interno della sua corte. Avendo studiato le sue teorie sui numeri, Leonte pensava infatti di poter ridicolizzare davanti alla sua corte il famoso filosofo e matematico; ma Pitagora, mente acuta e sveglia, subodorò la trappola e si recò verso la magnifica statua della donna togata, per sollevare tra le mani un grande vaso di creta posto ai piedi della statua. Riposizionato il vaso sulla panca al centro della sala, si rivolse al tiranno, chiedendogli di poter utilizzare il vaso per un esperimento da effettuare con grosse pietre ed altro materiale. Incuriosito, Leonte diede il suo benestare e Pitagora, raccolte alcune grosse pietre, ne introdusse 12 nel vaso, riempiendolo fino all orlo; poi gli chiese: il vaso è pieno? Non appena Leonte gli ebbe risposto in modo, senza fiatare il filosofo introdusse nel vaso una grande quantità di ghiaia e, ripetuta la domanda, si sentì rispondere: Forse no!. Pitagora annuì soddisfatto e continuò ad inserire nel vaso intere manciate di sabbia fino all orlo e, ripetuta al tiranno la domanda, si sentì rispondere: No, non è ancora pieno!. Infine, Pitagora raccolse un grosso contenitore d acqua e questa volta riempì completamente il vaso, lasciando sbigottito il tiranno e l intero uditorio... Poi, rivolgendosi a Leonte, gli chiese: Qual era lo scopo di questo esperimento?. E Leonte: Dimostrare che, se si vuole, si può sempre fare di più!. "No, lo scopo non era questo. L insegnamento di questa mia dimostrazione è che se non avrai l accortezza di introdurre per prime le pietre grandi, esse ti rimarranno per sempre all esterno del vaso, perché non potrai mai più inserirle. Le pietre grandi della tua vita sono i valori ai quali devi tenere di più (i figli, la famiglia, gli amici, senza dimenticare i tuoi sudditi): coltivale con cura, usando il cuore e la ragione E poi ancora, le pietre grandi della tua vita sono i tuoi sogni, l educazione dei figli e l assistenza agli anziani genitori; dedicarti con tutta l anima a ciò che ami Infine, conservare sempre il tempo da dedicare a te stesso, alla tua salute, alla tua donna, ai tuoi figli Se spenderai troppe energie nelle cose di minor conto (la ghiaia) o inutili (la sabbia), rischierai di non trovare più il tempo necessario da dedicare alle questioni più importanti della tua vita. Il volto del tiranno, invece di adirarsi, come sempre gli era successo quando qualcuno lo aveva contrariato, s illuminò in un sorriso di compiacimento e donò al filosofo un sacchetto di preziose monete d oro, per ringraziarlo dell altrettanto prezioso insegnamento ricevuto Imparare a riconoscere le priorità è un prezioso punto di partenza; peraltro, il processo di selezione delle priorità non può essere affidato ad una valutazione soggettiva, ma elaborato su solide basi scientifiche dalla mente e dal cuore Una volta, un maestro fece una macchiolina nera nel centro di un bel foglio di carta bianco e poi lo mostrò agli allievi. "Che cosa vedete?", chiese. "Una macchia nera!", risposero in coro. "Avete visto tutti la macchia nera, che è piccola piccola", ribatté il maestro, "e nessuno ha visto il grande foglio bianco!" La politica è una meravigliosa disciplina che dovrebbe avere il fine di produrre benessere collettivo, avendo cura di tutelare le persone più vulnerabili e di preservare i loro ambienti di vita. Amici miei, finora la maggior parte dei politici ha lasciato fuori dal vaso le pietre grandi, per riempirlo con la sabbia dei privilegi, dei vitalizi, degli incarichi affidati alla figlia del proprio compagno, ecc. 192

193 Amici miei, vi prego di non lasciarvi irretire dalle favole di tanti abili sofisti e parolai ed apprezzate, invece, premiandole, le cose concrete, come la rinuncia al vitalizio (senza alcuna indicazione da parte del partito), come la tutela dell'ambiente, come il primato nella raccolta differenziata, come l'attivazione del gioiellino della medicina di gruppo nella sua Melpignano, Comune con meno di abitanti, come la promozione turistica del territorio nel mondo, attraverso l'affermazione e la diffusione della musica popolare salentina, leggi Notte della Taranta, e tanto altro ancora). Amici miei, non rischiate di perdere le potenzialità offerte dal grande foglio bianco da scrivere insieme con Sergio Blasi, per inseguire una effimera ed inutile macchiolina nera

194 Le formiche e i politici (dal "Trattato neoaristotelico di entomologia politica") Riflessioni del 7 maggio 2015 Ci avviciniamo al voto per il rinnovo del Consiglio Regionale Pugliese e mi imbatto nella lettura di un pezzo del "Trattato neo-aristotelico di entomologia politica", che così recita: Seguivo con lo sguardo uno sciame di formiche in rapido movimento e mi ero proposto di seguirne contemporaneamente il percorso di una coppia di esse. Impossibile! Ognuna di loro (ed erano tante, tantissime) descriveva un percorso apparentemente assurdo, afinalistico, uno con arabescati ghirigori, uno ellissoidale, uno parabolico, uno zigzagante: tutti diversi tra loro, sebbene, alla fine, tutti approdassero a trasportare faticosamente il loro bottino alla stessa meta, nella tana, nella casa comune, per il bene comune... Ed in volo pindarico la mia mente è planata sui percorsi di ben altri (molesti) insetti (come le mosche e le zanzare) e di tanti (pessimi) politici, magari tutti così apparentemente uguali, ma tutti con mete diverse, individuali: ciascuno a fagocitare nelle proprie fauci (pro domo sua), senza alcuna voglia di considerare il bene comune, anzi professando improponibili dogmi e manifestando, come nell'attuale caso delle elezioni, una inaudita violenza contro gli altri... E se penso a chi parla della rinuncia al vitalizio come di un astuto espediente per tirar fuori qualche voto in più, mi chiedo: ma perché non diventate altrettanto astuti pure voi e tirate fuori, anche voi, qualche voto in più rinunciando - anche voi - al vitalizio (premesso che ne avete già incamerati almeno un paio in saccoccia)? Ed a proposito di chi gode già di almeno un vitalizio, il mio pensiero riprende il volo e poi plana sulla considerazione che se è vero che le colpe dei padri ricadono sui figli, in realtà non è vero il contrario, per cui le colpe dei figli non ricadono sui padri: in politica non esiste la proprietà riflessiva (se rifletto, evito di candidarmi) e la stessa politica si sta trasformando in un arido deserto, nel quale l'etica è confinata solo in oasi sempre più rare e sempre più rade... Seguivo queste vicende con lo sguardo (ma ebbi poi la pessima idea di collegare il cervello)... Conclusioni filosofiche (di tipo manicheo): esistono insetti "politicamente" utili e laboriosi (come le api e le formiche) ed insetti molesti e nocivi (come le mosche e le zanzare)... L'esperto entomologo (e l'inesperto, ma tutt'altro che stupido, singolo cittadino) sapranno bene chi scegliere!. 194

195 Scripta volant. Verba manent (Riflessioni del 21 maggio 2015) Un giorno, dopo 12 ore di lavoro e di calcoli, il grande matematico salentino Ennio De Giorgi dimenticò aperta la finestra del suo studio della prestigiosa Normale di Pisa; durante la notte si levò un terribile temporale e tutti i suoi preziosissimi appunti dei suoi studi sul difficile approccio alla soluzione del XVII teorema di Hilbert furono spazzati via dal vento e resi comunque illeggibili dalla pioggia (all'epoca non c'erano i moderni file elettronici, ma solo documenti manoscritti). Allora, il buon De Giorgi, senza scomporsi, parafrasò un'antica massima latina in: "Scripta volant. Verba manent", quasi a dire che nulla era perso perché tutti i calcoli ed i procedimenti eseguiti nel corso di mesi e mesi li aveva ben presenti e chiari nella mente. Parafrasando, a nostra volta, questo simpatico evento, vogliamo ricordare a tutti che Sergio Blasi (candidato al rinnovo del Consiglio Regionale Pugliese) non ha bisogno di centinaia di enormi manifesti murali con il volto artificiosamente ritoccato da foto-shop, o di abili speechwriter in grado di preparare discorsi di comunicazione politica altrimenti impossibili, o di mega-aziende di marketing per la promozione dell'immagine (che in molte circostanze sarebbe invece molto meglio nascondere), o del sostegno interessato di gruppi di potere più o meno occulto, né tanto meno di giornalisti accomodanti e di parte che citano improbabili statistiche per dare un po' di ossigeno terapeutico a candidati gravemente dispnoici. Per Sergio Blasi parlano i fatti ("Acta. Non verba", come ha giustamente fatto rilevare, sulla pagina FB "Io Voto Blasi", l'amica Marta Settimo)! Ennio De Giorgi 195

196 Eroi salentini: esempi da incorniciare Riflessioni del 24 maggio 2015 Non siamo solo un paese di candidati impresentabili, ma anche di eroi eccezionali, che hanno pagato con la loro vita la loro dedizione allo Stato, alla libertà, alla giustizia ed alla pace. Ieri è ricorso l'anniversario della strage di Capaci, nella quale furono trucidati il giudice Falcone e la sua scorta, guidata da Antonio Montinaro, fratello del mio amico Brizio. Con lui voglio ricordare anche il mio concittadino (ed amico d'infanzia) Franco Dongiovanni, vittima del terrorismo (strage di Peteano, 31 maggio 1972). E tanti altri ancora, come il giovanissimo minervinese Pasquale Baccaro, trucidato in Somalia nel Questi nostri grandi eroi ci evocano la speranza che l'italia sia ancora un grande paese da amare e per il quale vale la pena di lottare (per farlo ritornare fulgido esempio di civiltà per il mondo intero). Abbiamo gli uomini (e le donne) giusti per farlo, basta metterli in condizioni di agire. Antonio Montinaro Franco Dongiovanni 196

197 Stati d'animo (Libera traduzione di una poesia di Petja Stoykova Dubarova) Contro una nuvola grigia Inciampò il cielo sognatore, E venne giù con un gran fragore, Come la cupola di un tempio, Con angoscioso rombo, Gridando il suo dolore. Ed io m avvidi come, Frusciante e battente, La pioggia notturna Saltellava danzando Sul granitico selciato, Abbandonato, decisa, Quell orlo ormai reciso Della molesta nube E una gioia celeste Impose sul mio capo La sua regal corona, Come possente quercia, Perché, da un istante Di assoluta follia, Colto improvviso In un lungo giorno, Capii che pur se del tutto Restassi inascoltato, L immensità del cielo Vivrà comunque in me! 197

198 A proposito di stati d animo per definire il mio attuale (1 settembre 2011), credo non ci sia nulla di più evocativo ed espressivo di un immagine ed, in tal senso, ho ritenuto di utilizzare un'opera del grande Edward Munch: non l ormai leggendario, angoscioso e angosciante "L'urlo", ma la meravigliosa (termine appropriato, per quanto strano possa apparire) "Malinconia", istantanea dello stato d'animo di un uomo che guarda (ma con uno sguardo del tutto perso e smarrito) verso il mare, che gli evoca il ricordo emozionante e struggente di un qualcosa di bello e di molto importante del (recente o remoto) passato. A questo grande pittore (ma il termine è riduttivo) norvegese mi ritengo vicino per la comune crisi della coscienza e per l'attuale fase d angoscia esistenziale, oppressiva e immanente, legata ad una perdita in fondo irreale, perché non si può certo dire di aver perso qualcosa che in realtà non si è mai avuto, se non nella propria immaginazione

199 Contorni Movenze danzanti D immobili canefore Sotto il bramoso sguardo Di telamoni atletici. Clamori scroscianti Di silenzi estatici Frusciano sciamando Tra gli ulivi contorti Del De Finibus Terrae. Insoliti miraggi eterei Di fosche visioni solide Si rincorrono all orizzonte, Stupiti dai colori dell alba. Impalpabili contorni Di sfumate cime montane Si scorgono appena, Generati dal dubbio O dalle attese. E le speranze ottuse Degli intelletti stupidi Spuntano dal selciato Come fiori selvatici. Ruvidi muri a secco Separano i miei sogni Dalle rive del fiume. Vellutati e soffici Suonano archi e flauti, Nel teatro assolato Di queste terre aride. Lunghe onde parallele Si rincorrono invano, Cullando le memorie Come cavalli a dondolo. Dal costato ferito Due rivoli di sangue S incrociano rapidi, Scorrendo verso il piano. L acqua del pozzo antico Ristora assai di più, Ma il secchio di faggio Dal fondo senza parete Risale leggero e inerte, Vuoto e solitario, Come la mente e il cuore. 199

200 Estetica del cambiamento o cambiamento dell estetica? La decisione storica del dottor Babbarabbà Di recente, nel mio genogramma fotografico, ho inserito alcune significative immaginiguida, selezionate in modo accurato tra le tante inviatemi da un caro amico e collega (Nino Trimarchi)... Ora ve ne propongo due che credo esprimano con chiara evidenza quanto lungo, difficile, sofferto e persino doloroso sia stato il mio percorso verso una scelta di vita, una decisione epocale coraggiosa, presa in silenzio e con impegno, cercando di usar bene non solo il cervello, ma anche (e soprattutto) il cuore... Per meglio comprendere le fasi e i passaggi storici di questa mia scelta epocale, sappiate che io ero (e continuo ad essere, e senza alcun complesso) quello dell immagine a destra Siamo in una fase storica decisamente caotica, sia dal punto di vista sociale che da quello politico. La sanguinosa e sanguinaria avanzata dell ISIS, causata dalle gravissime colpe di un Occidente che, nella ricerca affannosa di profitti sempre più facili, non ha fatto altro che cercare di rimuovere ostacoli che in realtà frenavano la catastrofe. Gli esodi biblici di popoli che hanno l ardire di attraversare il Mare Nostrum, che in realtà è il mare di tutti, come la terra è la terra di tutti, checché ne dicano l ostrogoto Salvini e gli etruschi guerrieri di Casapound Andiamo avanti: preferisco mantenere ancora accesa quella piccola fiammella di fede (ma soprattutto di etica e moralità) cristiana, piuttosto che virare verso quei ridicoli riti pagani delle ampolle ricolme delle torbide e putrescenti acque del Dio Po (a meno che non siano raccolte chiare e limpide alla sorgente): molto meglio un bel bicchiere di negramaro e malvasia nera, non credete? Non solo: ho sempre creduto ciecamente nel principio socratico (e pure cartesiano) del dubbio e del so di non sapere ; quindi, se mai mi venisse data la possibilità di scegliere un precettore dal quale ricevere nuova conoscenza, non mi 200

201 metterei certo a prendere appunti dal professor Trota, raro esemplare di animale anfibio, un po pesce, ma soprattutto, secondo quanto si dice in giro, tanto, ma tanto somaro E poi e per finire davvero, dal basso dell esperienza legata agli anni (cominciano davvero a pesare tanto, sapete?) e alle sane tradizioni della cultura salentina (sono un vero terrone DOC!), se non vogliamo (o se non riusciamo a) seguire l estetica del cambiamento, possiamo probabilmente divenire però autentici protagonisti della storia dell umanità promuovendo il cambiamento dell estetica O no? PS: speriamo, comunque, di riuscire, prima o poi, a far breccia nel cuore di questa piccola, grande, splendida fanciulla dal sorriso più bello della storia Baci e abbracci a tutti voi!

202 T amu (Antonio Sforza) T'amu pé le caruse e li vagnoni, le fimmine spusate e le ziteddhe, le pizzoche, lu pisce e li mieri boni, pé le fiche martane e le friseddhe. E t'amu pé li vivi e pé li morti, pé lu celu, pé l'aria e le campagne, pé le strade smartate e li vichi storti, pé li fiuri, li canti e pé le sagne T'amu, beddha carusa, e nnu lu sai, forsi, forsi de cchiui d'utrantu mia, m'hai riparatu tie de tutti li guai, tie m'hai datu la pace e la llicria... Comu se chiama, nzomma, sta carusa?... Se chiama Uscianu, nome benedittu: de cchiui nnu sacciu dire e cercu scusa, ma quandu dicu Usciano è tuttu dittu. Ogne cosa de Uscianu luce e ndora, cu li numi cchiù beddhi vau lla chiamu, ma pé l'amore miu ncé na palora, una surtantu: t'amu,t'amu,t'amu. T amu Antonio Sforza T amo (Dottor Babbarabbà) T'amo per le fanciulle e i giovanotti, Le donne maritate e le zitelle, Per le bigotte, il pesce e le tue botti, I fichi martanesi e le friselle. E t'amo per i vivi e per i morti, Per il ciel, per l'aria e le campagne, Per le strade asfaltate e i vichi storti, Per i tuoi fiori, i canti e le tue sagne T'amo, bella fanciulla, e non lo sai, Forse assai di più d'otranto mia, Tu m'hai protetto sempre dai miei guai, E m'hai donato pace ed allegria... Come si chiama, dunque, questa Musa? Si chiama Uggiano, nome benedetto: Di più non vi so dire e chiedo scusa, Ma quando dico Uggiano è tutto detto. Ogni cosa di Uggiano brilla e vola, E con i nomi più belli io la chiamo, Ma per l'amor mi basta una parola, Una soltanto: t'amo,t'amo,t'amo!... Splendida poesia in vernacolo di don Antonio Sforza dedicata a Uggiano La Chiesa (faticosamente) tradotta in italiano dal dottor Babbarabbà. 202

203 Non inebriarmi (Girolamo Comi) Non inebriarmi fino a farmi muto la parola mia arma e mio strumento renda anche l'eco dello smarrimento e in me riaccenda ogni lume perduto. Ch'io sappia permanere innamorato di te, Amore, in virtù solo di un segno del tuo potere, del tuo immenso regno: potere e regno incisi nel creato. Non inebriarmi Girolamo Comi Nu me mbriacare (Dottor Babbarabbà) Nu' me 'mbriacare fenca perdu 'u fiatu... 'A palora mia, ca è 'n'arma e 'nu strumentu, Fazza cu sentu u leccu de 'stu smarrimentu E cu me dduma ntorna 'ddru lumine stutatu. 'Ulia rrimagnu sempre de tie 'nnamuratu, Tesoru meu, e tuttu quistu sulu pe 'nu segnu De lu putere tou, de lu tou 'mmensu regnu: Putere e regnu 'ncisi 'ntru criatu. Breve composizione poetica del poeta di Casamassella e Lucugnano, ignobilmente tradotta in dialetto uggianese dal dottor Babbarabbà Il Castello di Casamassella (dimora di Girolamo Comi) 203

204 T amu senza speranzia Dottor Babbarabbà T amu senza speranzia (Mr Hyde Babbarabbà) T'amu senza speranzia, Tesoru mai cutùtu... Nun ede ddru spiandore fuscjitìu De 'na nutile vampa de focu de pajia, Ma 'u stiddriscjiare 'ternu Du firmamentu 'nteriu Ca u core me sparijia. T'amu senza speranzia E quira vìvita, babbariscjiante luce De ddru surrisu beddru e puru duce Ieu nun ci 'a fazzu propiu cu te dicu, Cu palore e cu versi, quantu vale, Mancu ci ieu era Dante o 'nu Muntale. T'amu senza speranzia, Ma si 'u primu pinzieri da matina E lu sonnu custante d ogne notte china. E me mmantene viu Quiru pinzieri strambalatu Ca nuddru amore ede 'Nu disideriu vietatu O 'na furma de 'ncretibbile fullia, Percé sempre te tegnu 'ntra l'anima mia. T'amu senza speranzia: Ma lu nu' pozzu scunnire, 'Stu forte sintimentu, Ca ncora giovine sta face cu me sentu. Certu ca ci me stia cittu Facìa la meju cosa, Ma me vidia vijiaccu: 'Nu scemu ca rriposa. E cchiù nu' tegnu tubbi: Si tie 'a meju du munnu Puru ca lu ngirava, moi, De capu fenca an funnu. Si l'aria ca rispiru, Si donu du Signore: De' 'sta vecchiaia mia tie si - Certu - l'amore! T amo senza speranza (Dottor Jeckill Babbarabbà) T'amo senza speranza, Tesoro mai goduto... Non è il bagliore, fioco, D'un gran fuoco di paglia, Ma il brulicante, eterno Scintillare del ciel Della notte che mi abbaglia. T'amo senza speranza, Ma il vivido candore Del dolce tuo sorriso Io mai potrò narrare con frasi o versi umani, Per dire a tutto il mondo quanto vale, Nemmeno fossi un Dante od un Montale. T'amo senza speranza: Sei il primo mio pensiero del mattino Ed il costante mio sogno notturno. E mi sostiene in vita, Quel mio pensiero strampalato Che non c'è in terra amore Impossibile o vietato, O forma d incredibile follia, Perché tu vivi ogni istante nell'anima mia. T'amo senza speranza, Ma non posso negar con noncuranza Che schiavo son di questo sentimento Che mi tien desto come un alito di vento. E penso che se tacer meglio Sarebbe, certo, miglior cosa, Mi vedrei vigliacco, poi, al risveglio: Uno stupido somaro che riposa. Non ho alcun dubbio: Tu sei la migliore del mondo, Anche se lo girassi tutto, Da capo fino a fondo. Sei l aria che respiro, Sei un dono del Signore: Della vecchiaia mia Tu sei certo l'amore! Ed eccovela qua, la doppia personalità del dottor Babbarabbà! 204

205 Puru ca Puru ca... Tegnu sta capu storta e nturtijata Ntra nu scrascjale fittu De pinzieri fissi, Ca tutti poi me scjettane, Ogne santa fiata, an facce A nu surrisu ca luce comu l oru, Ogne notte me 'iscitu cu scriu, Susu nu zinzulu strazzatu, Quiru ca sentu an tru llu core Ddra ssutta scunfunnatu. Ulìa me rrennu, pocca, Cu nu te penzu cchiui, Ma nun ci a fazzu propiu: Scardatimela vui! Puru ca... Ogne giurnu me azzu tuttu maru Ca stai luntana comu la luna an cielu, Me prescjiu ci me sentu ncarizzatu De l occhi toi ca spaccane lu scuru. Puru ca... Oju me scunnu a n angulu de parte E cu me cuntu sulu e cu me dicu: "Vi ci t a scordi, ca t ha nfessarutu!". Me minu a mare e zziccu poi a natare A mmenzu all acque chiare de li sonni mei, Tinutu n galla de na forza strana: Speranza disperata de l amore meu... Puru ca M aggiu convintu e puru rriputatu Ca e sorti noscie s hannu ormai spartute E su partute all Anne e all Appinninu, Oju te portu sempre a ntra llu core chinu, E l anche ieu li spezzu a ci te tocca Puru ca De ciertu ieu nu suntu nu Manzoni E mancu nu Neruda, né a versi né alli toni, Ulìa cu sacci ca cuannu te nvicini Me cuardi e mi rricali l oru a mmanu E luce ca me cuida an tra llu scuru, Comu quira apiceddra, chianu chianu, Se chica ndilicata a ssu ddru fiuru Puru ca Anche se Anche se Ho la mia testa intrisa Di mille spine aguzze Di torbidi pensieri Che tutti quanti portano, Tutte le volte, al tuo regal cospetto Del tuo sorriso che brilla come l oro, Ogni notte mi desto e prendo appunti Sopra un consunto foglio, Su quel che provo, in fondo, A questo cuore stanco. Vorrei fermar la mente, E non pensarti più, Ma non mi riesce proprio: Aiutami un po tu! Anche se... Sin dal mattino mi sento amareggiato Ché sei lontana come la luna in cielo, Gioisco se mi sento accarezzato Dagli occhi tuoi che fendono l oblio. Anche se Vorrei nascondermi in un angolo, da parte, A confabular con me stesso e dirmi spesso: "Ma non pensarla più, che sei rimbecillito!". Mi tuffo in mare e subito a nuotare In mezzo alle acque chiare dei bei sogni miei, Tenuto a galla da una forza strana: Speranza disperata del mio amor per te... Anche se Mi sono ormai convinto e ci scommetterei Che le nostre esistenze si sono allontanate: L una sul Manzanarre e l altra al Reno, Voglio tenerti nel mio cuore pieno, E le ossa spezzerei a chi t insidia Anche se Di certo io non sono il buon Manzoni O il fulgido Neruda, né in versi né coi toni, Vorrei sapessi che quando ti ho vicina Mi guardi e mi regali l oro in mano, E luce che mi dona un provvido chiarore Come quell ape che in silenzio, piano piano, S accosta con dolcezza sopra un fiore 205

206 Come le foglie (Mimnermo) Al modo delle foglie che nel tempo Fiorito della primavera nascono E ai raggi del sole rapide crescono, Noi simili a quelle per un attimo Abbiamo diletto del fiore dell età, Ignorando il bene e il male Per dono dei Celesti. Ma le nere dee ci stanno a fianco, L una col greve segno Della grave vecchiaia E l altra della morte. Fulmineo precipita Il frutto di giovinezza, Come la luce del mattino sulla terra. E quando il suo tempo è dileguato È meglio la morte che la vita. Molti mali giungono nell'animo: A volte, il patrimonio Si consuma, e seguono i dolorosi Effetti della povertà; Sente un altro la mancanza di figli, E con questo rimpianto Scende all'ade sotterra; Un altro ha una malattia Che spezza l'animo. Come le foglie Comu e fujiazze (Dottor Babbarabbà) Comu e fujazze ca allu tiempu fiurutu Da primmavera àbbrune l occhi alla vita E sutta i raggi du sule criscune de pressa, Puru nui, comu quire, pe nu mumentu N a priscjiamu quannu simu giovini E nu pinsamu filu allu bene e allu male E allu Signore cu nne ccuppagna u futuru. Ma de costi a nui tinimu sempre ddo macàre De nìuru vistute, una cu tutti i mali da Vecchiaia e l autra cu quiru Mantu scuru e tristu da morte. Comu nu furmine trona e ddirlampa, cusì A nu mumentu se ne fuscje de ntri mani U fruttu duce e doratu da giuvinezza, Comu a luce de nu giurnu assu a terra. E quannu u tiempu sou se n è scjiutu È mutu meju crìdime! a morte da vita. Mute malattie ne mèrcane l'anima: certe fiate, Se cunsuma tutta a rrobba e ne rrimanune Sulu e scame e la dulore da mmesèria. A n autru li dole ca nu tene fiji, E cu sta pena ntru core scinne Allu munnu di morti sutta terra. E n autru tene na malatia Ca li strùscje 'u core

207 Quale vita (Mimnermo) Ma quale vita, quale melodia, Senza Afrodite dalla pelle d oro? Che io muoia pure in un istante, Quando verrà che non mi scaldino più, Nel profondo del cuore, l'amor segreto E i dolci doni ed il bramato talamo, Quali sono per gli uomini e le donne Gli olezzanti fiori della giovinezza; Ma quando giunge l'odiosa vecchiaia Che rende brutto anche l'uomo più bello, Ogni momento del giorno penosi pensieri Gli opprimono l animo e le membra, Né più lo allieta la luce del sole, E i ragazzi e le donne lo sfuggono Come un criminale o un appestato: Tanto brutta un dio ci rese la vecchiaia. Quale vita Ma quali vita (Dottor Babbarabbà) Ma quali vita, e quali canti e soni, Senza Afrutite culla pelle d oru? Ci cu pozzu murire a nu mumentu Ci nu me scàrfane cchiui u funnu Du core i rrigali du lettu suspiratu, Comu suntu pe l ommini e le fimmine Quiri fiuri vivi e prufumati da scjiuvinezza. Ca quannu poi rria quira brutta caremma Ca strafurma puru l ommu cchiu beddru, Ogne ura du giurnu pinzieri tristi e nìuri Li nferrane l anche, l anima e le razze, E nu lu cunforta cchiui mancu a luce du sule, E li vagnoni e le caruse u tenune luntanu Come ci era n orcu o nu mpestatu: Tantu fiacca nu ddiu, tristu de veru, Fice pe tutti l ommini a vecchiaia. 207

208 Ed io dormo sola Ed io dormo sola (Saffo frammento 20) Tramontata è la luna E le Pleiadi. Fonda è la notte, Il tempo scorre Ed io dormo sola. E ieu me curcu sula (Dottor Babbarabbà) A luna s ha curcata, E Sette Soru puru. È notte scunfunnata E an giru è tuttu scuru. Arrittu a lla matina U tiempu sta camina De veru lentu lentu, Nu fùscje e nu se ferma. Stu lettu è na caserma: Stau sula ntru turmentu. 208

209 Foglie d ortica (Saffo) Un velo di nebbia Cala dolcemente Sulle mie pupille Illuminando la realtà Di una soffice e tenue Parvenza surreale. E pure la tua voce Mi giunge ovattata Accarezzando le corde del vento, Mentre osservo Le tue mani Che sembrano galleggiare Nell aria torbida del mattino. Boccheggiando Dischiudo le labbra Per chiederti aiuto, Ma dalla mia bocca Solo un fiotto Di foglie d ortica, Che danzano per un istante Spazzate via dal lieve, Ma uliginoso fiocco, D un flebile scirocco. Foglie d ortica Fujiazze de ardica (Dottor Babbarabbà) Nu velu de muttura Sta scinne chianu e duce Fenca su ll occhi mei E tuttu me culura De na lucente, alata Paruta spunnulata. E puru a uce tua Me rria cu lla mammace E ncarizza i lazzi du (v)ientu, Frattantu ca sta ci cuardu Fissu a quira manu tua Ca pare sta ci nata lenta lenta Ntra st'aria trubba e sunnulenta. Nfanniscjiannu tuttu paru Scarassu nu surrisu maru Cu te cercu iutu, disperatu, Ma de ntra sta ucca mia Esse sulu nu mazziceddru De fujiazze de ardica, Ca ballane ulannu an celu Pe nu mumentu sulu E se scunfunnane poi Sparpariscjiate an terra De nu respiru a fioccu De stu faugnusu sciroccu. 209

210 Inno ad Hermes Salve a te (Alceo) Salve, Signore di Cillene, Ho brama di offrire Un inno a te, Che Maia Generò, Sugli alti monti Da Zeus, Sire del mondo. E ieu me curcu sula (Dottor Babbarabbà) Salute cu aggi, Patrunu de Cillene! Me sige te rricalu Nu cantu beddru e duce, A tie ca de Maia Li ssisti e menzu ll anche Su quire muntagne vaute, Mprenata de Zèusse, U sommu rre du munnu. 210

211 La bufera (Eugenio Montale) La bufera che sgronda sulle foglie dure della magnolia i lunghi tuoni marzolini e la grandine, (i suoni di cristallo nel tuo nido notturno ti sorprendono, dell'oro che s'è spento sui mogani, sul taglio dei libri rilegati, brucia ancora una grana di zucchero nel guscio delle tue palpebre) il lampo che candisce alberi e muro e li sorprende in quella eternità d'istante - marmo manna e distruzione - ch'entro te scolpita porti per tua condanna e che ti lega più che l'amore a me, strana sorella, - e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere dei tamburelli sulla fossa fuia, lo scalpicciare del fandango, e sopra qualche gesto che annaspa... Come quando ti rivolgesti e con la mano, sgombra la fronte dalla nube dei capelli, mi salutasti - per entrar nel buio. La bufera U maletiempu (Dottor Babbarabbà) U maletiempu ca zzumpa assu e fujiazze Tostuligne da magnolia, quiri troni cuti cuti Marzullini e ddra (c)ràndina, (Quiri soni de cristallu ntru nidu tou Nutturnu te scoprune, de l'oru Ca s ha stutatu susu i mocani, susu u tajiu De quiri libbri beddri e llicati, arde ncora N àcinu de zuccaru ntru cocciulu De parpelle de l occhi toi). U dirlampu spiandente ca face cànditi L arbuli e lu parìte e li mmoscia ntra quira Eternità de nu mumentu marmu, manna E straminiu ca 'ntra tie scurpita Te porti comu na cundanna e ca te ttacca Cchiù ca l'amore a mie, soru mia stramba, - E poi ddru schiantu rute e lu scampaniscjiare, Ddru trimulare de tamburrieddri su quira macchia scura, U stumpiscjiare da pizzica e, ddra rretu, Na mmossa cunvursa de ci sta se nfuca... Comu quannu, quiru giurnu, Ngirasti a capu arretu E cu na manu, scumbrata A frunte de quira nula cranne di capiddri toi, Me mannasti nu salutu de na ducezza pura E poi spumasti, lesta, ntra quira notte scura. 211

212 Spesso il male di vivere ho incontrato Spesso il mal di vivere (Eugenio Montale) Spesso il male di vivere ho incontrato: Era il rivo strozzato che gorgoglia, Era l'incartocciarsi della foglia Riarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi; fuori del prodigio Che schiude la divina Indifferenza: Era la statua nella sonnolenza Del meriggio, e la nuvola, E il falco alto levato. Mute fiate u male de campare (Dottor Babbarabbà) Mute fiate 'u male du campare aggiu 'ccuntratu: Era 'na fiumara 'nfucata ca qquacquariscjiava, Era 'u 'ncartare de na fujiazza ca sta ci siccava, Era 'nu cavaddru scuppatu a mmenzu 'a via. Nun aggiu mai saputu bonu; fore da magia Ca scarassa 'a divina strafuttenzia: Era 'na stàtula chiantata 'ntra quira sunnulenzia Da prima (v)èspera, e 'na nula sula, E 'nu cristareddru ca sta ci (v)ola (v)autu an celu. 212

213 Ho sceso dandoti il braccio Ho sceso dandoti il braccio (Eugenio Montale) Ho sceso, dandoti il braccio, Almeno un milione di scale E ora che non ci sei È il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve Il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, Né più mi occorrono Le coincidenze, le prenotazioni, Le trappole, gli scorni di chi crede Che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio Non già perché con quattr occhi Forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo Che di noi due Le sole vere pupille, Sebbene tanto offuscate, Erano le tue. Cu tie aggiu scisu (Dottor Babbarabbà) Cu tie aggiu scisu, tinutu pe la manu, Mille e millanta fiate sti scaluni E mo ca nun ci si, me sentu ccisu E trou u nienzi a ogne passu scisu. Puru cusì è statu propiu curtu e maru Stu (v)iaggiu longu ca n imu fattu mparu. E puru ca u (v)iaggiu meu sta dura ncora, Ma cce me n aggiu ffare, penzu, llora, De cuincitenze, de prenotazzioni, De trappule, di scorni de ci cride Ca a rialtà è poi quira ca se vide Cu tie aggiu scisu, tinutu pe la manu, Mille e millanta fiate sti scaluni, Ma no ca me cridìa ca cu quattr occhi Ttrova se vide nu picchi picchi meju. Cu tie ieu l aggiu scisi ca sapìa Ca de nui ddoi a sula vista bona, Puru cu quiri nchiali crossi pe curona, Era ogne fiata a tua, tesoru, vita mia 213

214 La vera storia di Orfeo ed Euridice Vi sveliamo tutto quello che la mitologia ha mistificato Una doverosa premessa alla storia che sto per narrarvi. Le testimonianze qui riportate sono ruspanti, d origine dotta, non controllata, ma garantite, al di sopra di ogni sospetto; infatti, sebbene la storia in oggetto si sia svolta ben prima dell avvento di Gesù, esiste ancora, vivente, un testimone diretto della vicenda: Oreste. A questo punto, mi chiederete: Ma chi cazzo (sorry, ma io mi esprimerei così al vostro posto) sarà mai questo misterioso Oreste, che oggi dovrebbe avere oltre anni? Quale arcano mistero si cela dietro questa misteriosa premessa?. Bene, chiarisco subito le cose. Oreste è un ulivo, un grande, enorme, frondoso e ultramillenario ulivo salentino, sebbene di origini illiriche, nel cui maestoso tronco, ormai contorto fino all inverosimile, alberga l anima d un grande uomo vissuto molti secoli or sono: in altre parole, Oreste è un fantasma, uno spirito Uno spirito come dire? molto spiritoso, in verità, essendo dotato di una grande carica di umorismo: è stato lui e proprio lui a raccontarmi questa vera storia dei mitici innamorati, che mi accingo a trascrivere. Oreste mi ha raccontato di aver conosciuto personalmente il grande musico, figlio forse di Apollo, ma più probabilmente di Eagro, re della Tracia, e della musa Calliope. In verità, nonostante l ascendente materno (anche la genetica ha le sue eccezioni, dunque!), la leggendaria vena artistica attribuita ad Orfeo fu appunto solo una leggenda, il frutto della fantasia di qualche storiografo buontempone o avvinazzato La verità storica è che Orfeo era stonato come una campana, se non peggio, con la voce strepitante come un rospo in amore; inoltre, torturava le povere corde della sua mitica lira (donata al padre da Ermes in persona) quasi fosse il nemico sul quale infierire, più che un delicato strumento musicale da accarezzare o, al massimo, da solleticare dolcemente con i polpastrelli Molti scienziati dell epoca affermano (ma la notizia è da confermare) che la forma contorta e sofferente degli ulivi abbia avuto origine dai tanti concerti che il nostro eroe teneva nelle campagne circostanti Tebe. Come li capisco, questi nostri poveri ulivi: quale terribile supplizio hanno dovuto sostenere! Oreste mi fece morir dal ridere quando mi disse che fu proprio l orrenda musica di Orfeo a ridurlo con il tronco così contorto e martoriato, avendogli provocato una gravissima forma di occlusione intestinale, dalla quale si salvò per puro miracolo, mediante intercessione di una nota divinità dell Olimpo (secondo le indiscrezioni pare si trattasse di Artemide), che lo espiantò dalle campagne di Tebe portandolo a dimora nell entroterra idruntino, dove riteneva che il terribile canto di Orfeo non potesse più raggiungerlo La nostra Artemide, però, si sbagliava: oltre che il prode Enea, infatti, anche Orfeo sbarcò a Porto Badisco; ciò accadde nel corso dell avventuroso viaggio degli Argonauti alla ricerca del vello d oro Ma credo sia meglio andar per gradi o non riuscirete a capire nulla Ma torniamo a noi. Bene, occorre premettere che Orfeo era, anche se, come me, un bel po babbarabbà (stupido, credulone, babbeo), uomo di gran bell aspetto, forte e muscoloso, ma miope come una talpa, oltre che torno a ripetere stonato come una campana; tuttavia, queste sue capacità canore all incontrario (si può dire incapacità canore?) furono la fortuna del regno di Tracia prima e di Giasone poi, perché i suoi terrificanti concerti si rivelarono armi davvero letali per i nemici dei Traci prima e per gli spiriti del mare poi; costoro, infatti, alla sola notizia del probabile passaggio della nave Argo (e con Orfeo imbarcato in essa), si inabissarono con l intero continente Atlantide, tuttora sommerso, 214

215 mentre gli Argonauti continuavano beati la loro navigazione, forti della protezione assicurata da robusti tappi di cera (NdR: la storia spesso si ripete; ricordate i marinai d Ulisse al canto delle sirene?) Euridice, da par suo, pur dotata d una voce melodiosa, era donna dall aspetto orripilante, oltre ad essere assai dura d orecchio Il casuale incontro con Orfeo nell agorà di Sparta fu fatale: pregi e difetti dei nostri due eroi risultavano magicamente complementari ; infatti, il bell Orfeo, miope come una talpa ed intellettualmente immaturo e credulone, avrebbe certamente dato ascolto ai suggerimenti dell amico Deio, subdolamente assoldato delle tre sorelle maggiori di Euridice Infatti, Euridice era la minore di quattro sorelle assai note in tutto il Peloponneso, perché tre di esse (Leuca, Porporina ed Esmeralda) praticavano a Tebe (e con notevole successo) il più antico mestiere del mondo. Invano le sorelle maggiori avevano tentato all inizio di dissuadere dal mestiere la piccola Euridice: qualsiasi potenziale cliente ne venisse al cospetto, scappava via inorridito per l aspetto davvero orripilante, gli occhi strabici e il comportamento minaccioso. Euridice, infatti, pur se dotata d una voce melodiosa, era donna temuta e scansata da tutti gli uomini, per la sua nomea di oscura fattucchiera, i lineamenti tutt altro che graziosi e l atteggiamento aggressivo assunto al cospetto di un qualsiasi uomo, che tentava subito di adescare ricorrendo a mille stratagemmi, ma senza grandi risultati, in verità. Inoltre, era anche assai dura d orecchi In una fosca serata di dicembre, caratterizzata da un terribile temporale, Leuca, Porporina ed Esmeralda convennero che era giunto il momento di fare qualcosa per l ultimogenita, la cui presenza sul lavoro era diventata un grosso problema anche per loro, avendo procurato una netta flessione della clientela L idea luminosa venne ad Esmeralda, quando il bagliore di un fulmine, seguito dal terribile fragore di un tuono, fece sobbalzare di paura le tre sorelle maggiori, lasciando invece del tutto indifferente Euridice, che riferì di avere avvertito solo un intenso bagliore, accompagnato come da un lieve schiocco di dita, dura d orecchi com era. Fu a quel punto che Esmeralda disse: Eureka: daremo Euridice in sposa ad Orfeo!. Esmeralda spiegò rapidamente il suo diabolico piano: Orfeo è orbo come una talpa; Euridice, sorda come una campana. Insieme formano la coppia ideale: lei non fuggirà via, quando lui comincerà a suonare e a cantare; per quanto riguarda Orfeo, occorre solo fargli credere che Euridice sia bella come lo è la sua voce. Per indurre in inganno Orfeo, le 3 sorelle ricorsero ad un semplice stratagemma: pagarono tre monete d oro a Deio, l amico più caro e fidato di Orfeo, perché gli riferisse della bellezza straripante e sconvolgente (ehm, ehm ) di Euridice. Lo stratagemma funzionò alla perfezione e, nel giro di pochi giorni, Orfeo ed Euridice convolarono a nozze Il matrimonio fu seguito da giorni e notti d amore sfrenato: Euridice poteva finalmente dare sfogo alla sua focosa indole e lo stesso Orfeo ricambiava con passione e trasporto, convinto com era di aver sposato una donna più bella persino di Afrodite Come spesso accade, anche per i nostri eroi lo stupendo menage di coppia fu interrotto da un evento esterno: infatti, Giasone aveva chiamato Orfeo tra gli Argonauti, essendosi persuaso che solo la terrificante musica di Orfeo avrebbe saputo tenere lontani i terribili mostri degli abissi, fino a condurlo alla conquista del mitico vello d oro Partito Orfeo, Euridice restò sola e riprese ad avere quel desiderio compulsivo di sesso, che era riuscita a soddisfare solo con il matrimonio. Per questo motivo, tentò di rapire il 215

216 bel pastore nomade Aristeo, che, per sfuggirle, abbandonò il gregge e si diede alla fuga disperata in un bosco di cui conosceva tutti gli anfratti e tutte le insidie. Euridice che mai e poi mai avrebbe rinunciato a quella sua tanto agognata preda, prese a corrergli dietro, inoltrandosi in quel bosco pieno di pericoli che non conosceva affatto. A un certo punto, Euridice mise un piede in fallo e schiacciò la punta della coda di una vipera, che si girò di scatto a guardare il colpevole e, dopo aver rischiato l infarto per l orribile aspetto della pur giovane donna, le gridò: Mortacci tua, quanto sei brutta: a momenti ci restavo secca! e le inferse perciò il mortale morso, confabulando tra sé e sé: Mors tua, vita mea Ma non l ho dato io, il morso? Mah: questo cacchio di latino del cacchio non lo capirò proprio mai!. Mentre Euridice scendeva negli Inferi, con grave disappunto del povero Hermes, Orfeo con il suo canto era riuscito a far inabissare tutti i mostri del mare, che colonizzarono la città di Atlantide, sul fondo dell oceano, e così il prode Giasone riuscì ad impadronirsi del vello d oro. Giasone, eroe generoso, volle compensare Orfeo per l aiuto determinante ricevuto e gli chiese di esprimere un desiderio. E Orfeo: Ho sentito di un tal Archimede di Siracusa, che ha fatto esperimenti con gli specchi e con le lenti e, dopo aver combinato un casino incendiando tutte le navi in rada, pare che sia riuscito ad inventare gli occhiali per correggere la miopia. Ebbene, vorrei un paio di occhiali per poter finalmente vedere il volto della mia amata sposa Come promesso, Giasone condusse Orfeo fino a Siracusa da Archimede e gli consentì persino di scegliere un paio di occhiali firmati dai noti stilisti Dolce e Banana, al fine di sentirsi alla moda, oltre a correggere la grave miopia. Tornato in Tracia tutto pieno di entusiasmo, il povero Orfeo fu informato dalle cognate della tragica fine di Euridice (ma, ovviamente, non delle circostanze che l avevano causata). Appresa la notizia, il nostro eroe piombò per giorni e giorni nella più cupa disperazione Poi, però, come folgorato da un idea luminosa, si riprese di colpo, perché pensò che non tutto fosse perduto: Scenderò negli Inferi e chiederò ad Hermes di riportare in vita la mia amata, magari cantandogli per intero Anima Mia, il mio ultimo successo, scritto in collaborazione con i Cugini di Campagna. Magari, gli lascio anche una copia del CD, con tanto d autografo, sì! E così Orfeo, sostenuto dall incoraggiamento delle tre cognate, discese negli Inferi e, giunto al cospetto di Hermes, gli chiese senza indugio: Ascolta, Hermes, fulgido messaggero del sommo Zeus, questa mia preghiera: concedimi di riportare sulla terra, e viva, la mia dolce e amata sposa Euridice. E cominciò a gracidare, come un rospo con la dissenteria: Anima mia nella stanza tua c è ancora il letto come l hai lasciato tuuuuuuuuu. Al suono di quella terrificante canzone, Hermes per poco non perse i sensi e si lasciò quasi cadere, per sedersi su un provvido sasso, da dove chiese ad Orfeo di smettere subito, perché quello era un luogo sacro e le anime dei defunti andavano rispettate Poi si fermò a pensare: Questo qui o è del tutto scemo o mi sta prendendo per il culo alla grande. Ma intravvedendo la pur remota possibilità di liberarsi dell angosciante presenza di quell orribile donna, disse ad Orfeo: Non c è mai stato alcun essere umano che mi abbia posto un istanza come la tua. Cosa ti ha spinto a farmi una richiesta che sai essere praticamente impossibile? Sappi che potrò esaudirtela solo se i motivi che la sottendono sono di importanza davvero vitale. E così Orfeo raccontò ad Hermes tutta la storia del viaggio con gli Argonauti, dallo sbarco a Porto Badisco, per fondare Uggiano La Chiesa, al premio concessogli da Giasone per l aiuto nella conquista del Vello d Oro: quelle preziose lenti forgiate dalle mani di 216

217 Archimede di Siracusa, che gli avrebbero permesso di appagare il desiderio di vedere finalmente il volto della sua amata sposa Dalle parole di Orfeo, Hermes capì che non c era alcun inganno, ma si pose il problema della quasi certa reazione del non più orbo musico, al cospetto di quella donna dai lineamenti così terrificanti. La proverbiale, volpina astuzia di Hermes riuscì a risolvere, almeno in teoria, il rischio di fuga Hermes disse, infatti, a Orfeo: La tua storia mi ha commosso, perché ho capito che per amore non hai esitato a rischiare la vita ed hai superato mille difficoltà. Ti concedo, perciò, di riportare la tua sposa sulla terra, ma dovrai superare un ultimo ostacolo: nella risalita verso il suolo, tu la precederai, ma non dovrai mai voltare lo sguardo indietro; mai, per alcun motivo al mondo, o lei resterà per sempre quaggiù. Deciso ad ascoltare le raccomandazioni di Hermes, Orfeo si incamminò verso l uscita dagli Inferi, seguito a pochi passi da Euridice, la quale, però, incapace di trattenere le proprie prorompenti voglie, con la sua suadente voce cominciò a chiedere ad Orfeo di voltarsi e di fare l amore con lei. Orfeo, in osservanza alle direttive di Hermes, le diceva di attendere: Tra poche ore saremo finalmente a casa e sarà il trionfo del nostro amore. Ma Euridice, ormai incapace di controllarsi, lo ricattò: O ti volti a fare l amore con me o me ne torno indietro e non mi vedrai mai più!. Il povero Orfeo, sopraffatto dalla lunghissima astinenza e dalle irresistibili lusinghe della donna, alla fine si voltò, strabuzzò gli occhi e, dopo alcuni secondi di paralisi spastica di tutti i muscoli del corpo, partì come un razzo verso la superficie, percorrendo in 41 minuti e 27 secondi netti un tragitto di 42 km e 195 metri con una pendenza del 48,3% (altro che le 2 ore e passa delle maratone olimpiche!). Raggiunta la superficie, Orfeo tornò in Tracia, dove fu accolto con amore dalle 3 cognate, che nel frattempo si erano messe in pensione. Le tre brave donne, ancora assai piacenti, sebbene un po attempate, con le loro abili tecniche amatorie riuscirono a far dimenticare in fretta, a Orfeo, la brutta vicenda vissuta con la loro orribile sorella. Euridice, invece, ridiscese mestamente negli Inferi, dove la sua inattesa apparizione gelò improvvisamente l entusiasmo della grande festa organizzata da Hermes per celebrare il suo ritorno sulla terra. Per ore ed ore il povero custode degli Inferi restò fermo e immobile, in una rigidità cerea, ma poi si riprese per un idea davvero favolosa Infatti, Hermes trovò una nuova (e davvero assai appropriata) collocazione ad Euridice, trasferendola nel girone dei lussuriosi, nel quale, da quel giorno, la nostra tremenda eroina mise a dura prova anche gli spiriti più infuocati e concupiscenti Affari d oro anche per la Pnifzer, grande multinazionale del farmaco, che trovò un nuovo, impensabile, ma ricchissimo mercato sotterraneo per il suo Sviagra degli Inferi Hermes, da parte sua, ritrovò per secoli e secoli la pace e la serenità che si conviene ad una divinità. Tale idilliaca situazione si protrasse fino alla vigilia di Natale 2008, quando ricevette una trasmessa da Palazzo Chigi con il seguente testo: Mi consenta: mi prenoti un posto in tribuna Vip per il Mi metta accanto a Galliani e al mio amico George W., mi raccomando! Questa insolita destabilizzò nuovamente (e in forma ancor più acuta e grave) il povero Hermes, provocandogli seri problemi di instabilità psico-affettiva, che furono, tuttavia, brillantemente risolti fin dalla prima seduta d analisi dall ottimo dottor Freud, che gli prescrisse come cura quattro ore al giorno di playstation Ed alla fine della storia, quindi, come avviene, in fondo, in tutte le migliori tradizioni delle fiabe, vissero tutti felici e contenti 217

218 Pioveva, ora non più Ascolta! Laggiù, sul limitar del bosco, Sento il continuo latrare d un cane: Non vorrei che mi mordessero, stamane! Taci, per favore, bellissima pelagia: Io sento e vedo vento, pioggia ed una foglia, Verde espressione di un esecrata voglia, Che dopo un lento volo, al suolo poi s adagia Le tamerici non so cosa sono, Perciò di questo ti chiedo perdono! Ascolta! Fuori piove, Da quelle due nuvole nere isolate: Piove sulle terrazze delle alcove, Fatte di lastre ancora immacolate, Perché sono in fondo ancora tanto nuove, Ma per il sole estivo son già tutte rigate, E pure deformate, corrose ed incrinate Piove sulle finestre e pure sui giardini Dove mi bagna le galline e i pulcini. La senti? È pioggia da tempesta tropicale, Vien giù da un paio d ore, ed io sto male: È vero che mi innaffia prezzemolo e insalata, Ma alla fine me li allaga, quest acqua scostumata, Smetti di piovere, cazzo, non ti pare che basti? E smettila, dai, che tutto l orto mi devasti!. Tutto fradicio, bagnato e impallidito Il ceppo sul fuoco s è ormai incenerito. E quella bimba che più al tremor non regge Si è stretta al suo papà che la protegge: Un po s accende, un po si spegne, Del fuoco biblico porta le insegne. Poi tutt un tratto s è fatto silenzio, Non sento più quell odore d assenzio, Ma i gabbiani sul mare han ripreso a volare Sotto un sole giallo che d oro ha tinto il mare. Suonano i campanacci del suo mansueto gregge, Al suo ritorno Vito abbraccerà chi lo protegge. Forse, ragazzi, non piove più davvero, Tutti in osteria, dal buon vino sincero!

219 Il dottor Babbarabbà e il mistero dei treni scomparsi Capita spesso di trovarsi di fronte ad un problema e di doverlo risolvere per raggiungere l obiettivo fissato; sì, ma che cos è, in realtà, un problema? E quali sono le tecniche ed i metodi per risolverlo? Bene, la parola problema deriva dal greco πρόβλημα (sporgenza, ostacolo, promontorio, impedimento), che trae origine dal verbo προβάλλω (mettere davanti). Nell uso comune, si intende un qualsiasi ostacolo che rende difficile raggiungere un obbiettivo per effetto della sua interposizione tra la volontà dell individuo e la realtà. Le dimensioni di un problema sono legate non solo al grado (o livello) di difficoltà che si incontra nell atto di raggiungere l obbiettivo prefissato, ma anche alle modalità attraverso le quali si giunge alla sua individuazione (problema preesistente o incidente) e al grado di complessità (e di fragilità) del sistema sul quale esso incide (in relazione alle conseguenze che può produrre). Quali sono le tecniche ed i metodi per un approccio positivo alla soluzione dei problemi? Il problem solving può essere definito l arte di risolvere i problemi, siano essi di natura personale, interpersonale o delle organizzazioni, attraverso l utilizzo di tattiche e tecniche, in grado di produrre la massima efficacia (percentuale di raggiungimento dell obbiettivo prefissato) e la massima efficienza possibile (tempo e risorse impiegate). A nessuno piace avere a che fare con i problemi e per questo motivo la gente spesso non solo ne rimanda all infinito la soluzione, ma in alcuni casi addirittura finge di non vederli; se vogliamo uscire da un problema dobbiamo spostare il nostro punto di vista a un livello di pensiero più alto, immaginare cioè come penseremmo se quel problema non fosse per noi tale, se avessimo la mentalità, le convinzioni, la consapevolezza di chi non vivrebbe mai, in nessun modo, quel tipo di conflitto. Basta assumere una prospettiva diversa e ciò che prima appariva come un problema non lo sarà più. Un metodo utile per estraniarsi dal problema e osservarlo in modo nuovo è quello di farsi domande produttive, mirate non a far emergere la causa del problema ma ad individuare una soluzione (es.: come posso riuscire a?). Se si vuole affinare le capacità di problem solving, bisogna allenarsi a guardare in faccia le difficoltà man mano che queste si presentano, aumentando sempre di più il grado di consapevolezza e cercando anche di capire qual è la responsabilità individuale nella situazione che si è venuta a creare. Un altro semplice sistema per risolvere un problema è di affidarsi alla consulenza di un esperto: ecco quello che successe al nostro buon dottor Babbarabbà durante un viaggio negli USA Il dottor Pigi Babbarabbà è un anziano medico di campagna, un gran bel tipo di sognatore folle, che, raggiunta l età della pensione, ha deciso di dedicarsi alla sua grande passione: la ricerca sul campo Come sarebbe a dire quale ricerca e quale campo? E vallo a sapere! Relata refero: questo mi ha detto e questo vi dico Ma c è di più, in effetti: da qualche anno, Pigi aveva fatto amicizia con un ingegnere rumeno, Ilie Constantinescu, un tipo tosto, pragmatico, che divenne il suo punto di riferimento per l esame, l analisi e la validazione di tutte le sue scoperte, persino delle teorie più strampalate che è riuscito ad elaborare nel corso di questo suo girovagare per il mondo alla ricerca (forse) della pietra filosofale del sapere universale Un paio d anni fa, il nostro dottor Babbarabbà fece un viaggio negli Stati Uniti d America; dopo un lungo peregrinare, giunse a Texarkana, graziosa cittadina dell Arkansas, posta proprio sul confine con il Texas, a metà strada fra la costa orientale e quella occidentale. 219

220 Chissà mai perché il nostro eroe aveva scelto questa sperduta località degli Stati Uniti, ma che fosse un po strano ve lo avevo detto già Bene, torniamo a noi. Siamo riusciti a sapere che, oltre al riposo, suo intendimento era studiare lo stile di vita degli americani, che da sempre rappresentano il paradigma della leadership mondiale in molteplici settori, compresa l economia e la scienza. Nelle ore libere, però, si dedicava ad un altro importante lavoro di ricerca, che si colloca nell interessante campo del calcolo delle probabilità. Luogo per il suo esperimento era la stazione ferroviaria, nella quale il dottor Babbarabbà si proponeva di rilevare le differenze tra i flussi dei treni provenienti da Est e da Ovest. Con uggianese (NdA: Uggiano La Chiesa è il suo paese natale) puntiglio, il nostro dottor Babbarabbà cominciò ad appuntare, sul suo taccuino, la provenienza di ogni treno che entrava in stazione: se da Est o da Ovest. Per rendere il suo esperimento scientificamente ineccepibile, il nostro dottore decise di effettuare le sue verifiche in tutti i giorni della settimana ed in tutte le ore della giornata e, pertanto, il suo lavoro di ricerca si prolungò per un paio di mesi Al termine dell indagine, con sua grande sorpresa si accorse che il rapporto fra il numero dei treni arrivati, in una settimana, da Est è stato esattamente il doppio di quello dei treni giunti da Ovest. Quale spiegazione posso dare ad un fatto così strano e misterioso? si chiese il nostro eroe. Prima di arrendersi e di chiedere l aiuto dell amico rumeno, provò a cercare una soluzione a quell arcano (in quella sperduta ed arcana Tex arkana ) mistero Una possibilità pensò è che una parte dei treni provenienti da Est, non appena superata Texarkana, vadano a precipitare nel Gran Canyon; ma come mai nessun giornale ne ha mai dato notizia? No, non può essere questo, il motivo della scomparsa!. Un altra possibilità è che forse carichino su nave un treno su due di quelli che arrivano sulla costa occidentale e lo facciano tornare poi, attraverso il canale di Panama, sulla costa atlantica; ma la soluzione non può essere nemmeno questa, perché, in queste settimane di permanenza, ho capito che gli Americani sono troppo proiettati al guadagno per prendere una decisione così poco vantaggiosa. Pensa e ripensa, finalmente il dottor Babbarabbà pervenne all unica soluzione che gli sembra davvero plausibile: gli americani, noti consumisti, distruggono un treno su due non appena arriva sulla costa Ovest ed utilizzano i rottami per costruire qualche altra cosa. Rapito, quasi invasato, dalla soluzione del mistero, decise di comunicare immediatamente per telefono la notizia all amico Ilie, dimenticando però che a Timisoara è notte fonda Dopo essersi ripreso dal sonno, l ingegner Constantinescu si rivolse all amico, come al solito, con tono pacato e sereno: Mio caro Pigi, in verità credo che esista una soluzione assai più semplice e logica; per dirla come Sherlock Holmes, elementare, direi!. E quale, Ilie? gli chiese, deluso, l amico. Per aiutarti a trovare la soluzione, ti voglio citare un arguto adagio italiano molto noto persino in Romania, continuò Ilie, senza illustrare all amico la soluzione. Di quale adagio parli? Quello, sublime, per archi ed organo in Sol minore, di Tomaso Giovanni Albinoni, colui che amava schernirsi definendosi 'musico dilettante veneto'?. Mio caro Pigi, mi compiaccio con te per la tua grande erudizione, ma l adagio al quale mi riferisco è molto più 'ruspante' Mi riferisco al detto: tutte le strade portano a Roma. Oh buon Dio! Ti avevo chiesto un aiuto e per tutta risposta mi proponi un rompicapo? Quale rapporto ci potrà mai essere tra la splendida maestosità della capitale d Italia e questa piccola e sperduta stazione ferroviaria degli USA?. 220

221 Ma usa la logica, amico mio! Non prendere alla lettera il detto italiano, ma estendine il principio a Texarkana e vedrai che non sarà poi così difficile trovare la soluzione. Ci sentiamo al tuo ritorno; per il momento, non ti dispiaccia, mi rimetto a dormire. Tornato dagli Stati Uniti, il dottor Babbarabbà corse a trovare l amico, nel frattempo venuto in Italia per lavoro, e gli chiese: Ilie, per quanto io mi sia applicato, non sono ancora riuscito a trovare la soluzione al mistero dei treni fantasma. Dove ho commesso l errore? Avrei dovuto prolungare l indagine per un anno intero?. Ma no, ma no, amico mio! La risposta alla tua domanda è come sempre molto semplice: hai solo sbagliato completamente l impostazione del problema, trascurando il concetto e il principio dei sistemi complessi. In che senso? Non riesco a capire. Oh, ma è molto semplice, amico mio: hai solo pensato che su quella linea ferroviaria il numero dei treni provenienti da Ovest dovesse essere uguale a quelli provenienti da Est, con un mero ragionamento di tipo algebrico. E dove sarebbe l errore, Ilie? Per logica, se "n" è il numero di treni che vanno da Ovest verso Est, allo stesso modo "n" deve essere il numero di treni che vanno da Est verso Ovest O no?. Non è esatto, Pigi: il tuo errore è stato quello di pensare che ci fosse solo quell unica linea ferroviaria tra la costa occidentale e quella orientale e non un sistema a circuito, proprio come nei modellini dei trenini elettrici. In altri termini, hai elaborato il tuo ragionamento su un modello ideale astratto, del tutto diverso da quello reale. Ti è tutto chiaro, adesso?. Vuoi dire che ho usato male il rasoio di Occam?. No, semplicemente che non hai pensato al fatto di trovarti di fronte a un sistema complesso. Bentornato tra noi, amico sognatore!. 221

222 Come far sentire importante un bambino Immagina, per un istante, di chiedere (ma cerca di non andar fiero di una simile domanda, provocazione cinica, tutt altro che intelligente) a un bimbo salentino di prima elementare: "Ma tu ce l'hai la fidanzatina?". E che quel povero bimbo innocente, colpito da un improvviso e acceso rossore del volto, riesca però a risponderti, in un sussurro: "Sì, ce l'ho!". A questo punto, amico caro, non passare ad un ancora più stupido: "E dimmi: come si chiama, questa ragazzina?". E lui, poverino, incalzato da quell arrembare e divenuto ormai del tutto paonazzo, facendo ricorso alle più remote riserve d energia, ce la faccia a risponderti di nuovo, con quella sua flebile e timida vocina, quasi in un soffio: "Assuntina". E adesso, però, ti prego, non insistere, mostro di perfidia, non distruggerlo con un: Ma lei lo sa?. Digli, invece: "Bravo, sono contento per te! Oh, come vorrei essere al posto tuo!". Lo toglierai dalla graticola e lo farai sentire felice... Padrone del cielo e della terra... Per un istante, almeno Aloisius, puer felix 222

223 Le decisioni akrasiche nelle politiche sanitarie (Riflessioni serie e seriose del dottor Babbarabbà) Per politica sanitaria si intende la forma di governo (internazionale, nazionale e regionale) in base alla quale si adottano scelte politiche orientate al bene comune mediante la tutela e la promozione della salute della popolazione e dei singoli cittadini. Le regole fondamentali che dovrebbero orientare tali importantissime scelte - ed uso il condizionale perché ciò non accade (quasi) mai - sono rappresentate dai valori fondamentali del bene comune (massimizzazione dell impatto positivo delle scelte, riduzione delle disuguaglianze e tutela delle popolazioni fragili), da perseguire nel rispetto dei vincoli, primo fra tutti quello della sostenibilità economica. Le scelte di politica sanitaria, avendo come obbiettivo il bene comune attraverso il miglioramento dello stato di salute, dovrebbero avere una logica abbastanza semplice, seguendo il solco tecnico tracciato dai grandi studiosi di organizzazione sanitaria, tra i quali uno dei più importanti, a livello mondiale, è senza dubbio il nostro connazionale prof. Walter Ricciardi, non a caso eletto all unanimità presidente della Società Europea di Salute Pubblica. Il prof. Ricciardi, insieme con un altro grande guru del management sanitario mondiale, Sir Muir Gray, ha pubblicato, nel dicembre 2008, un agile manuale, dal titolo Per una sanità di valore, con il quale ha messo a disposizione di tutti i policy maker della sanità (ma sarebbe il caso che lo leggessero anche i politici) un agile vademecum in grado di orientare la politica sanitaria verso scelte in grado di garantire servizi sanitari ottimali in un epoca di risorse (particolarmente) limitate. L indicazione fondamentale che il manuale di Ricciardi e Gray intende fornire ai policy maker della sanità è di adottare scelte coraggiose, in grado di rimuovere tutti i servizi inefficienti, inutili o francamente dannosi e di costruire (o di potenziare, laddove già esistenti), quei servizi in grado di massimizzare i benefici per la salute dell intera popolazione, avendo cura di privilegiare le popolazioni più deboli. Un esempio operativo di tali nuove strategie è quello che consiglia di procedere alla riconversione dei tanti, tantissimi (e spesso ad alto rischio per la salute) micro-ospedali, disseminati soprattutto nel meridione, in favore di nuovi e più funzionali servizi, orientati ad una migliore gestione delle più importanti e più diffuse patologie croniche (es. diabete mellito, scompenso cardiaco, BPCO, ecc.); tali servizi, che possiamo definire come una grande evoluzione del concetto di Day Service Ambulatoriale per le malattie croniche, potenziano notevolmente l efficacia clinica della gestione della malattia, rallentandone la progressione verso le forme più gravi e migliorando, nel contempo, gli aspetti relativi alla compliance ed all'autogestione della malattia. Tutto ciò è talmente semplice e lapalissiano da farlo sembrare del tutto ovvio e naturale, ma purtroppo le cose non stanno così e dobbiamo capirne il perché, introducendo il concetto di akrasia, strettamente legato a talune modalità del comportamento umano. Infatti, alla base dell evidente disarmonia riscontata tra ragionamento teorico ed atto pratico, sussiste un qualcosa di anomalo che è necessario spiegare: i comportamenti degli esseri umani (e le relative decisioni) che si manifestano palesemente incoerenti (ed in contrasto) con i comuni principi del vivere civile hanno, alla base, motivazioni che devono essere interpretate nel loro reale significato, nell augurabile ipotesi che esse non debbano essere ascrivibili esclusivamente ad una situazione di progressivo imbarbarimento della società o di inaridimento collettivo delle coscienze; molto spesso, infatti, le cause di questi fenomeni sono riconducibili al concetto del comportamento akrasico, teorizzato da 223

224 Aristotele ( Etica Nicomachea, VII, ), per spiegare la genesi del male (κακòς), cioè le cause prime del comportamento malvagio. Spieghiamo il concetto: akrasia (ακραςία) significa non fare ciò che si sa di dover fare e fare, invece, ciò che non si dovrebbe fare ; in condizioni normali, chi ha chiari i propri obiettivi si comporta ed agisce di conseguenza; tuttavia, c'è chi, dominato dalle passioni e travolto dagli istinti, devia dalla logica e tende a seguire la via più facile e diretta. In realtà, la ragione comune, libera dal condizionamento di mere esercitazioni sofistiche, ci induce a vedere l uomo come un soggetto libero e responsabile, in grado di esercitare una scelta ponderata tra più opzioni e di selezionare, quindi, quella che rappresenta obbiettivamente la migliore, non solo per l intera collettività, ma a volte anche semplicemente per se stesso; eppure, in moltissimi casi, l uomo opera la scelta sbagliata (comportamento akrasico). Peraltro, l interpretazione aristotelica della genesi akrasica del male la ritroviamo, in modo molto più dettagliato e articolato, nel pensiero di Hannah Arendt ( La banalità del male, 1963), che oltre 2000 dopo Aristotele, elabora la teoria della banalità del male, osservando il comportamento del gerarca nazista Adolf Eichmann durante le fasi del processo a suo carico, tenuto a Gerusalemme nel La Arendt conclude che le origini del comportamento umano malvagio siano da ricercarsi nell assenza di memoria, che non permette il dialogo dell uomo con se stesso e, quindi, l analisi morale del proprio agire; ciò porta spesso uomini apparentemente normali e banali (e persino intere collettività) a trasformarsi in veri e propri agenti del male. La teoria della mancanza della memoria come causa del male proposta dalla Arendt è stata alla base dell indizione annuale del Giorno della memoria, che simbolicamente intende esprimere la volontà di tutta l umanità di mantenere ben saldo il ricordo del male per evitare di ripeterlo; purtroppo, però, c è anche chi cerca di rimuovere la memoria dell Olocausto, com è accaduto il 18 dicembre 2009, quando è stata incredibilmente e vilmente rubata l insegna che sormontava il cancello di ingresso nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, che riportava la storica ed ambiguamente sinistra frase Arbeit Macht Frei (il lavoro rende liberi), oggi ancor più cinicamente trasformata in P2 Macht Frei (ma lasciamo perdere che è meglio). I concetti del bene e del male sono vecchi come l umanità ed, in genere, si manifestano in forte contrapposizione, di tipo pitagorico; in realtà, però, nel pensiero aristotelico ripreso dalla Arendt, non c è un dualismo manicheo tra il bene e il male, poiché il comportamento akrasico è privo dell intenzione di far del male, ed è legato solo ad una totale mancanza di autocontrollo, per estrema debolezza della volontà; solo in questo modo possiamo spiegarci perché spesso l uomo eserciti abitudini comportamentali consapevolmente dannose per la propria salute (es. il vizio del fumo). In base a tali aristoteliche premesse, potremmo anche convincerci, in un eccesso di benevolenza, che i suddetti fenomeni di comportamento quanto meno anti-etico di taluni governanti, policy maker della sanità ed operatori sanitari siano legati all ignoranza, piuttosto che alla spregevole e vile volontà di agire a danno dei propri simili per un fine di mero calcolo (e di facile tornaconto). Per dirla come Socrate, vogliamo sperare che all'uomo capiti di far del male solo per mera ignoranza e che, se solo conoscesse il bene, non lo farebbe più; ma, come spesso accade (e non solo in filosofia), il confine concettuale tra il sillogismo e il sofisma è a margini assai sfumati, quasi indistinguibili L importanza della vaccinazione dell aspirante manager della sanità contro il comportamento akrasico (cioè, contro il dominio delle passioni e degli istinti) è, quindi, 224

225 fondamentale, a meno che non si intenda esercitare il ruolo del boss di stampo (simil)mafioso, a danno della collettività, forti della benevola e compiacente protezione di taluni (e sono in tanti, purtroppo) potenti collusi: ebbene, se è questa, la vostra intenzione, vi preghiamo di prendervi un centinaio di gocce di Guttalax, ovvero di andare (e di corsa) a cagare! Babbarabbaus parvus perplexus 225

226 Racconto notturno (Judith Host) Mi sembra di camminare per un sentiero tortuoso e scuro. È notte fonda ed ho paura. Per distrarmi, ti racconterò una storia. C era una volta una dolce fanciulla di nome Giuditta. Aveva i capelli rossi e adorava vestirsi di blu. Abitava in un piccolo borgo circondato dalle foreste. Poiché le selve erano infestate di belve feroci, la giovane fanciulla mai s era avventurata oltre il limitar del bosco. Un bel giorno, mentre attingeva l acqua dal ruscello oltre il quale il bosco s infittiva, le apparve un giovane bello e fiero, che decise di portarla con sé nel suo regno. La prese sul suo cavallo: giù in paese, di Giuditta, non seppero più nulla. Il cavallo, dopo un giorno e una notte di folle galoppo, stravolto dal peso dei suoi due giovani passeggeri, stramazzò a terra: Non ce la faccio più. disse, e morì. Il bel cavaliere e la dolce fanciulla costruirono nel fitto del bosco una casetta. Lontani da tutto e da tutti, presero ad allevare gatti selvatici, che un giorno avevano trovato per caso in una grotta nei pressi del ruscello. I gatti arrivavano a pesare anche dieci chili: erano belli e felici. Erano gatti magici, che procacciavano da sé il cibo che desideravano, la legna da ardere, proteggendo, inoltre, i loro padroncini dagli animali feroci. Nonostante la vita armoniosa e felice, un giorno i gatti, uno alla volta, cominciarono a sparire. I due giovani dimagrivano e si sentivano sempre più tristi e sempre più soli. Troppo vuota, la vita! pensavano. Decisero perciò di darsi da fare e trovarono, allora, un nido di falchi. Il giovane aveva un talento naturale per l addestramento degli animali, e insegnò loro tutto quello che aveva già insegnato ai gatti selvatici. Di nuovo la vita tornò bella come prima. Però, piano piano anche i falchi cominciarono a sparire. Il bel giovane, da bravo detective, decise di ricercare la causa di tali sparizioni. Montò sul cavallo (che era tornato in vita grazie all opera dei magici felini) e, dopo aver attraversato gli Appennini, tre fiumi e due laghi, scorse all orizzonte una casupola di legno che si reggeva su una zampa di gallina, a mo di palafitta. Ne uscì una vecchina buona e gentile, che lo invitò a prendere un caffè. Il giovane accettò di buon grado: dopo tutte quelle miglia passate al freddo, sentiva di meritarsi un po di ristoro. Entrato nella casupola, s accorse che dentro era molto più spaziosa di quanto non sembrasse dal di fuori. Arredata con gusto, aveva tappeti di pelliccia di gatto selvatico sparsi dappertutto. Ad un tratto, perse conoscenza Al risveglio si ritrovò immerso in un enorme pentolone, dove riconobbe i suoi amici pennuti che bollivano assieme a lui, a gambi di sedano e a pezzi di carota. La vecchina si trasformò in una vecchiaccia. Eh sì, mio caro, io mi nutro di voi, della vostra gioventù e della vostra bellezza. Giuditta non seppe più nulla del suo bel cavaliere e di lì a poco, dischiuse le ali turchine, se ne volò lassù nella sua casa, proprio accanto alla Quinta Stella. 226

227 L angelo rosso (vestita di blu) Un Angelo rosso, vestita di blu, Discesa è dal Cielo a mostrar le virtù: Radioso il sorriso ed i modi cortesi, Quand anche viaggiasse cent anni e sei mesi, Nessuno potrebbe osservare una stella, Che brilla di notte e di giorno è più bella. O mia principessa sei Tu ch io cercavo: Vorrei per la vita restare tuo schiavo, Servirti al mattino, al tramonto e alla sera, Cantando al Signore una mite preghiera: Ascolta dal cuore il mio grazie profondo: D avermi donato i tesori del mondo. Vedere il tuo viso fa il cuore giulivo, Sentir la tua voce mi fa sentir vivo. Mia dolce creatura, vestita di blu, A vivere e amare insegnami tu! 227

228 Jancanive e i sette cani Premessa: ogni riferimento a cose, virus, animali, persone, personaggi, situazioni di vita vissuta, epoca storica, nonché a vere e proprie calamità viventi è (probabilmente) casuale. Si tramanda tuttavia (ma non ne esistono le prove) che questa storia sia stata rinvenuta su un antico e polveroso manoscritto conservato chissà dove nel Salento. C era una volta, eravamo intorno al Medioevo, nel Salento, in agro di Vèrnole, nella splendida cittadella fortificata di Acaya, ai margini del verde dei boschi e della fitta macchia mediterranea delle Cesine, una brava, bella e laboriosa fanciulla dalla carnagione candida, che coltivava bellissime e saporitissime pume (piccole mele salentine) biologiche, dalla buccia rossa come il sangue e dalla polpa bianca come la neve: le ricercatissime Pume Jancanive. Questa fanciulla, il cui nome era, per la tipica carnagione nivea della sua famiglia, Vera Jancanive (Vera Nevebianca), aveva sette piccoli contadini dipendenti (piccoli di statura, alti più o meno quanto qualche attuale Ministro della Repubblica, e ciò lo diciamo al fine di sottolineare che non sono i dati antropometrici a contare, quanto quelli psicometrici, o almeno, così si va dicendo in giro). Bene, codesti simpatici individui strepitavano sempre come tacchini, al punto da essere noti in tutto il Salento come Li sette gnani (I 7 Tacchini): il capo riconosciuto, Natu Mparatu (Nato Alfabetizzato); poi Tuttu Mammatu (Cocco di Mamma), Sempre Difriscatu (Sempre Pronto), Sempre Durmiscjutu (Sempre Addormentato), Sempre Priscjatu (Sempre Allegro), Sempre Ncazzatu (Sempre Incazzato) e, per finire, il più piccolo di tutti, il simpaticissimo U piccinneddru de casa sua (Il Piccolino di Casa o, meglio, il Cocco di Mamma). I sette strepitanti simpaticoni avevano lavorato sodo per anni ed anni da emigranti in una miniera della Bassa Sassonia, fino al giorno in cui il buon dottor Otto Züpposten, medico della sicurezza sul lavoro, nonché amico di famiglia degli Jancanive, dopo l annuale visita di controllo, disse con tono greve a Natu Mparatu: Mio caro, voi sette fratelli avete dei polmoni troppo piccoli per lavorare in miniera. Secondo le norme del Decreto Legislativo 626/94, se volete continuare a lavorare, dovete farlo d ora in poi sempre all aria aperta, per esempio nei campi di pume biologiche della mia amica Vera Jancanive; e non state a preoccuparvi per l assunzione: provvederò a raccomandarvi direttamente io, alla mia amica!. Poco distante da Acaya, nel bel mezzo del bosco delle Cesine c era un castello dall aspetto sinistro (non a caso era detto la Rocca de lu Diàulu ), abitato dalla baronessa Griselda Mofazzubidiièu (Griselda Motifacciovedereio), una vedova di umili origini tanto ricca quanto avida e tirchia (e pure un tantino pidocchiosetta ), che possedeva sterminati campi di pume, ricevuti in eredità dal defunto marito, il povero Giancamillo Dell Oca Giuliva, barone dell Acaya, nonché musicista e letterato di fama mondiale. Griselda coltivava le pume con il metodo tradizionale chimico (niente cacca di mucche, solo decine e decine di fustini di venefici pesticidi usati, con il teschio o la croce di Sant Andrea sull etichetta). La baronessa Griselda, vedova ormai da 15 anni, aveva un solo ed unico figlio maschio, il bellissimo, bravissimo, dolcissimo, intelligentissimo ed educatissimo baronetto Gianmatteo Filippo Dell Oca Giuliva, il quale avrebbe voluto coltivare le pume con il metodo biologico, ma la madre glielo aveva sempre impedito, perché diceva che quel metodo era troppo costoso e, quindi, antieconomico. Per questo motivo, il baronetto aveva deciso di vivere volontariamente segregato nel castello, dove non faceva altro che suonare il piano nella sua camera, per tutte le ore del giorno e della notte. 228

229 La Rocca de lu Diàulu (Rocca del Diavolo) sorgeva nel mezzo di una mefitica palude piena di serpenti, zanzare, rospi e raganelle. Poco lontano, c era la casa del tris-bis-bisnonno di Pietruzzo Minnea, campione olimpico a Moscacieca sui 200 metri piani. Quando era costretto a passare accanto al castello, prima di trasferirsi nel Barese, Vituccio, il tris-bisbisnonno di Pietruzzo, si metteva a correre come una Ferrari, al punto che ancora adesso a Vernole e dintorni dicono: Era u nonnu Vituzzu u campione, pocca, filu u nipute Pietruzzu! ( Il vero campione era il nonno Vituccio, non il nipote Pietruzzo ) A mero titolo di cronaca, oggi tutti gli sterminati campi di preziose pume del Salento di un tempo non ci sono più e persino quella terribile palude parlante fa molto meno paura, anzi è diventata persino artistica e poetica, se è vero com è vero che è ad oggi uno dei paesaggi privilegiati dei pittori e che persino il mitico gruppo musicale degli Aranee del mio amico Luciano, attraverso la voce melodiosa di Rossella, paragona la sua voce, addirittura, a lu ruscju de lu mare (il rumore del mare) Ma torniamo a noi Dunque, un giorno la baronessa Griselda, persona avida e tirchia quanto mai, ebbe il coraggio di licenziare tutte le guardie del castello, che restò così difeso solo da sette poveri cani strampalati, affamati, denutriti, infreddoliti e mezzo spelacchiati, i quali abbaiavano continuamente per la fame e per la disperazione Abbaiavano incessantemente, tutto il giorno e tutta la notte. I nomi di questi sette cani strampalati erano: Spècchiolo, Lùppolo, Scìvolo, Ràntolo, Bòtolo, Mòrdilo ed, infine, il piccolo, simpaticissimo e vivacissimo Mìkkolo (anche detto Mikkoli). Spècchiolo era un cane assai vanitoso: diplomato ragioniere, aveva un portamento elegante ed amava solo i prodotti di qualità. Poiché sapeva usare Internet, Griselda gli dava da mangiare qualche osso in più ed, ogni giorno, persino 2 o 3 saporiti biscottini Alè, Magna, Dog! Lùppolo, il cui vero nome era Mbriakönen, era tedesco, con lontane ma evidenti origini finlandesi, ed aveva un grande amore per le bevande alcoliche, prima per la birra e poi per l acquavite di pume. Per questo motivo, dopo l avventurosa fuga da un Oktoberfest durante la quale aveva tracannato ettolitri su ettolitri di birra come un idrovora senza pagarne nemmeno il conto di una sola pinta, Lùppolo aveva abbandonato la sua adorata Monaco di Baviera e si era trasferito, armi e bagagli, nella lontanissima Acaya, storica capitale delle pume salentine. Scìvolo, di certe origini alto-atesine (il suo vero nome era, infatti, Schèifölen), aveva l aspetto stanco e addormentato, ma era invece dotato di una mente geniale, tanto da tracciato gli appunti per il progetto di una grande torre d acciaio, che qualcuno copiò secoli dopo per realizzarla a Parigi; inoltre, era pure un vero e proprio mago della sciolina, dato che era stato solo lui a preparare, sempre e solo lui, per anni ed anni, gli sci del mitico campione Gustavino Tööni, che viveva a Trafoi, cioè a pochi chilometri di distanza dalla natale Vipiteno. Il povero Ràntolo aveva l aspetto sofferente e il respiro affannoso a causa della bronchite cronica asmatiforme; quando abbaiava, lo faceva in modo così strano, che la gente pensava fosse il fischio ululante del bricco del tè. Da 15 anni, ogni volta che veniva a visitarlo, il veterinario scuoteva sconsolato il capoccione e diceva: Ma ce furmine sta spittati cu chiamati don Giseppe pe l estrema nzione? Viditi ca quistu poi ve more de nu mumentu all autru, pocca! ( Ma che aspettate a chiamare don Giuseppe per l estrema unzione? Badate che questo vi muore da un momento all altro, sapete? ). Ogni volta che il veterinario veniva e diceva queste 229

230 cose, Ràntolo con le sue zampine si toccava furtivamente le parti nobili (toccava ferro) Ogni volta, sempre così, da 15 anni! Bòtolo era, da parte sua, un cagnolino di piccola taglia; tanto piccolo, quanto (passatemi il termine) rompicoglioni, perché si metteva ad abbaiare all improvviso e senza sosta come se fosse sempre incazzato nero; sembrava una bestia davvero temibile e feroce, ma in realtà non mordeva mai. Per questo motivo, un cicloturista uggianese, rimasto anonimo, dopo essere caduto dalla bici sul selciato per colpa dello spavento rimediato dal suo improvviso apparire e gran abbaiare, coniò la famosa frase: Puru li pulici tenune a tossa! (Persino le pulci hanno la tosse!). Subito dopo, invece, c era un cane davvero pericolosissimo. Il suo nome era Mòrdilo. Sembrava inoffensivo, sempre tranquillo e pacioso, quasi assente, e talvolta fingeva persino di addormentarsi come un rimbecillito con la sigaretta accesa in bocca, ma non appena qualcuno gli veniva a tiro, passandogli oltre, scattava sulle zampe come una molla tesa e gli addentava le natiche Infine, dulcis in fundo, il piccolo di casa, quel Mìkkolo (o Mikkoli, con plurale maiestatis), un bassotto rapidissimo, vivacissimo e sempre allegro, che giocava a palleggiare il pallone con la testa come una foca ammaestrata per ore ed ore, sotto gli occhi attenti e interessati di Pantaleo Ciolino, che ogni domenica, chiosando dall alto della sua competenza, soleva ripetere sempre agli amici del Bar Centrale di San Foca: Ce buliti cu ne scjucamu ca stu Mikkolo spiccia ca scjoca de moi a tre anni antra a nazziunale? Ma nu biditi filu ce fiutu ca tene? ( Chi vuole scommettere con me che questo Miccolo fra tre anni gioca in nazionale? Ma non vedete che fiuto Nota dell Autore o NdA: del gol che ha? ) Passò il tempo e una sera Griselda, sfogliando il libro mastro, si rese conto che il margine di utile dalla vendita delle pume si stava riducendo in modo preoccupante. Allora, offrì uno squisito biscotto Alè, Magna, Dog al suo fido cane ragioniere e gli chiese: Spècchiolo, Spècchiolo, che hai sempre fame, chi vende più pume in questo reame?. E quello, di rimando, corrugando in modo espressivo la fronte, come la triste circostanza richiedeva, rispose: Mia dolce baronessa, se prima eri tu, adesso è Vera Jancanive che ne vende di più. A quella risposta, Griselda ebbe una spaventosa crisi di nervi e dalla sua testa vennero fuori a raggiera tanti di quei lampi, fulmini e saette, che tutti gli abitanti di Acaya, Vernole e villaggi circostanti e lontani (fin oltre Cocùmola, Patù, Giuliano, Barbarano, San Dana e Casamassella) pensarono che si fosse fatto di colpo giorno. Ma il fragore, il rombo, gli scuotimenti e le vibrazioni che ne seguirono incussero un grande terrore in tutta la gente del Salento In seguito, per fortuna, Griselda ritrovò la calma e cominciò a pensare a come poter recuperare la sua storica supremazia nel mercato delle pume. Perciò, tiro fuori dal suo cofanetto una preziosa moneta d oro, la fece roteare in alto fra il pollice e l indice della mano destra e, rivolgendosi con dolcezza al fido Spècchiolo, gli chiese: Mio fidato ragioniere, sempre saggio e di gran lume, come posso riacquistare il predominio nel mercato delle pume?. Spècchiolo rispose alla padrona: Nel risponderti son lesto; basta cambiare la foto del manifesto: togliamo il bel volto della giovane Vera e ci mettiamo quello, orribile, d una vecchia megera! Così fecero, ma questa gran trovata si rivelò, in realtà, una pessima idea, perché tutta la gente di Vernole e dintorni disse: Chiàppari, llora è veru, pocca, ca ci mancia e pume Jancanive campa cent anni! Meh, mo oju me le ccattu puru ieu, pocca! ( Capperi, allora è vero che chi mangia le pume Jancanive campa cent anni! Be, a questo punto voglio comprarle pure io ).. 230

231 Quando si rese conto di quell inatteso terrificante risultato, Griselda punì il suo cane ragioniere: Niente più biscottini Alè, Magna, Dog per un anno intero: così impari a darmi di questi consigli di merda!. Non sapendo più che pesci prendere, la povera baronessa pensò che fosse giunto il momento di rivolgersi al geniale Scìvolo: Dimmi, caro Scivolo, tu che facevi volare Tööni: come faccio a togliermi questa Jancanive da sotto li cojööni (licenza poetica)? Scivolo chiese un giorno di tempo per trovare una soluzione; per concentrarsi, prese con sé un cubo di Rubrichi (NdA: era un prezioso regalo ricevuto dal suo compianto grande amico Giuseppe Rubrichi, noto a tutti, però, come Pippi Brillante), tutti i numeri di Topolicchio con le storie di Archimede Metaforico e si chiuse nella biblioteca del castello a pensare. Mentre meditava, gli capito di ascoltare il dolcissimo suono del pianoforte del baronetto Gianmatteo Filippo e gli apparve, fulgida e luminosa, in tutta chiarezza, l idea giusta. E così si espresse, gridando sulle scale correndo come un pazzo per la gran gioia: Chiàppari, l aggiu zzicata, a musca! (NdA: L ho trovata, finalmente, la chiave di volta!, ovvero, più sinteticamente, Eureka! ). Dopo aver a lungo pensato e meditato, Scivolo aveva trovato la soluzione: Vera Jancanive avrebbe sposato il baronetto Gianmatteo Filippo Dell Oca Giuliva e così Griselda avrebbe monopolizzato l intero mercato delle pume. Inoltre, quando Vera, già informata dell ipotesi di fidanzamento, udì il dolce suono del pianoforte del baronetto Gianmatteo Filippo, esclamò ad alta voce e senza indugi: Capperi! L ho trovato, finalmente, un marito. È stata una gran fatica, ma ne è valsa la pena, però!. Peraltro, Scivolo aveva trovato la soluzione ad hoc anche per soddisfare i più volte espressi desideri del baronetto Gianmatteo Filippo, il quale avrebbe potuto finalmente coronare il suo grande sogno di dedicarsi all agricoltura biologica: in questo modo, avrebbe prodotto pume biologiche e puro miele di api. Così, dopo aver musicato la sua nona sinfonia dal poetico titolo Chiàppari, quantu su bone e pume cuncimate cu la merda de le vacche! ( Capperi come sono buone le mele concimate con lo sterco nelle vacche! ), Gianmatteo lanciò la famosa campagna pubblicitaria: Manciative e pume ca sàpune de mele e lu mele ca sape de pume ( Mangiate le mele che profumano di miele e il miele che sa di mele ) E fu così che Griselda entrò in possesso del monopolio dell intero mercato delle pume e del miele e venne persino quotata in borsa nella prestigiosa sede di Uollu Strittu; anzi, in quel momento di gravissima crisi internazionale, con il Dau Gions e il Qasdnac di tutti i feudi del Vecchio Continente in ripidissima ed inarrestabile picchiata, le Pume Jancanive e il Miele Dell Oca Giuliva furono gli unici titoli a reggere il segno positivo in tutto il mercato finanziario Il momento di grande successo di Griselda non passò inosservato tra i grandi broker dei mercati finanziari, al punto che il multimiliardario zio Paperocchiolo, ormai assediato e asfissiato dalla serratissima corte di Camelia (la fattucchiera che ammalia) e di Bridgiditta (l ereditiera che rompe), decise di convolare a nozze con la nostra baronessa Tutti i sette gnani e i sette cani ebbero un futuro felice: a tal proposito, tre cani si misero in società con tre gnani per produrre la splendida enciclopedia Trekkani (e Tregnani), che diffusero con grande successo in tutto l Occidente, persino nel Liechtenstein e nelle Far Oer, oltre che nelle lontanissime terre, sebbene all epoca non ancora scoperte, di Tasmania e delle Isole della Sonda. Spècchiolo fu chiamato come consulente e primo modello da Dolce e Banana per il lancio pubblicitario di nuovi profumi e dopobarba, visto il gradevole aspetto e il carattere affabulante del vanitoso cane, il quale nel frattempo era tornato ad essere il preferito della baronessa Griselda. 231

232 Natu Mparatu, con il povero Ràntolo, fu chiamato, anche lui, come consulente da un ministro di piccola taglia fisica, ma abilissimo a razziare le tasche dei suoi sudditi (si era in epoca feudale) e i tre formarono un terzetto di misura così ridotta, che un tal Silviolo, gran dignitario già noto per i soprattacchi da 20 centimetri ed, in seguito, come protagonista nel Dodecamerone di Giovanni Boccacciamiastettezitta, non ebbe più bisogno di indossare i leggendari calzari monoscocca, dato che sembrava essere diventato un gigantesco Gulliper nel microscopico mondo dei Lillipuzzoni. Mikkolo, con il procuratore Ciolino e il fido personal trainer Sempre Difriscatu, alla fine riuscì a raggiungere il successo come sgusciante attaccante di pallacorda nel Palemmo di Zamparellini, dopo una sfortunata esperienza dapprima nella Juventute e poi nel campionato portoghese. U piccinneddru de casa sua e il truce Mòrdilo furono assunti dal baronetto Gianmatteo Filippo come top manager del mercato delle pume: il primo per vendere il gustoso prodotto nei mercati esteri (essendo poliglotta ed assai simpatico); Mordilo per sorvegliare e proteggere il giovane compagno contro i terribili falchi di quel mondo ostile Fu così che, in breve tempo, le pume Jancanive conquistarono tutto il mercato, al punto che i due chiesero aiuto all amico Spècchiolo che fu chiamato a svolgere un secondo lavoro, come ragioniere. Inoltre, il geniale Scivolo fu convocato in Kenia dall ambizioso, bizzarro e visionario trisbis-nonno di Barackio Mbama per stilare un non meglio precisato e pazzesco Progetto a media-lunga scadenza per la presa della Casa Bianca. A margine della storia, dobbiamo dire che la baronessa Griselda, su suggerimento del suo promesso sposo Paperocchiolo, spiccò in volo in mongolfiera fino a Cupirtinu, ridente cittadina della Bilicon Valley in Caldafornia, dove aveva sede la grande multinazionale Puma-Meckinstosh Computer Inc. Con tale prestigiosa mega-azienda l abilissima Griselda sottoscrisse un vantaggiosissimo contratto di partenariato, che prevedeva la fornitura dell immagine di una sua puma Jancanive come logo da utilizzarsi su tutti i prodotti Meckintoscio (in generale, pallottolieri di osso di seppia e sassi levigati della spiaggia di Porto Badisco). Infine, a Sempre Ncazzatu e Lùppolo fu affidato l arduo compito di organizzare le cerimonie di entrambi i matrimoni: quello di Vera Jancanive e quello di Griselda. Tra parentesi, Paperocchiolo, con abile mossa, riuscì a far pagare i costi di entrambe le cerimonie alla tenera e ingenua Vera Nel frattempo, Sempre Ncazzatu brontolava sempre, tutto il giorno e tutta la notte, perché quell autentico ubriacone di Luppolo non faceva altro che razziare tutte le bottiglie di grappa, di vino, di birra e persino tutte le lattine di gasolio, kerosene e benzina verde Dopo mille assurde vicissitudini, però, Luppolo e Sempre Ncazzatu riuscirono a stilare, su un antichissima e pregiatissima pergamena, due memorabili liste di invitati ai matrimoni; la lista degli ospiti pullulava di personaggi di chiara fama, ma, nonostante tutti gli accorgimenti, non mancò un episodio di grande tensione e pathos, che vide come protagonista addirittura il principale ospite d onore: Ettì! Infatti, costui, invitato personalmente da Paperocchiolo, fu al centro di una grossa polemica, che sfiorò l incidente diplomatico interplanetario, perché quei soliti volgari zoticoni dei Gotti, degli Ugni e dei Visigotti, accomunati dalla tonaca verde smeraldo, promossero, previa interrogazione parlamentare, un decreto-legge che sapeva tanto di bolla feudale, che impediva la sua partecipazione alla cerimonia, sostenendo trattarsi verosimilmente (vista anche la sua carnagione color verde sottobosco) di un intollerabile plagio alla loro bandiera, consumato 232

233 con impudenza da un clandestino, ovvero del solito fottutissimo extra-feudatario non in regola con il permesso di soggiorno Alla fine, però, i truci verde-togati decisero di desistere dall insano proposito, anche perché (si dice in giro) ottennero la firma del grande feudatario su un documento in bianco, che provvidero a riempire con varie norme antimeridionali, compresa anche una terribile, enorme soprattassa sui torroni (per affinità onomatopeica con terroni) Ettì era giunto accompagnato da Theta Beta che, nel frattempo, riuscì a svelare a Luppolo la ricetta di un eccellente cocktail, molto forte e corposo, a base di trementina, naftalina, formalina, formaldeide e pistacchi di Bronte. Tra gli altri invitati, ricordiamo per primi alcuni famosi musicisti, intervenuti alla cerimonia in onore del baronetto Gianmatteo Filippo, ormai divenuto un assai acclamato collega: Giovanni Johnny Crisostomo Wolfgango Amadeo Moxart, testimone di nozze del baronetto, che scrisse, per l occasione, la grande opera Le nozze di Gianmatteo Filippo, che poi qualcuno trasformò nel certamente più poetico Le nozze di Icaro Altri invitati del baronetto furono: Domenico Gaetano Maria Doni Infetti (che gli portò in dono il suo afrodisiaco Elisir alcolico d amore ), Giovannino Sebastiano Bacca (che gli augurò in tono scherzoso una piccola Palpata e fuga ), l austro-rumeno Franziscu Petru Sciubertu, il quale pure lui ironicamente e scherzosamente gli dedicò una metaforica Menza te l hai fatta, ma menza si rimastu a fare e llora, ci propiu te bisogna, nci su ieu ca te pozzu iutare Mezza l hai fatta, ma mezza ancora no e allora, se ne hai bisogno, posso farla io per te ) e, per finire, Igor Fëdorovič Strabinchi (che gli portò in buon auspicio U ceddru de focu L uccello di fuoco) Zio Paperocchiolo, intanto, dopo essere riuscito a requisire le mance ai camerieri, concluse un colossale affare, cedendo al basso (di statura), ma ricchissimo feudatario, per alcune centinaia di migliaia di Euro, un paio di scarpe con un rialzo (abilmente criptato ) di 35 cm al fine di evitargli un imbarazzante confronto con i 7 gnani oltre ad alcuni aridi ettari di scogliera della Sardegna, che entro poche settimane sarebbero stati artisticamente cementificati Ma in conclusione, si chiesero in tanti. quale fu l impatto sociale dei due grandi matrimoni? A tal proposito, gli osservatori internazionali all unanimità dissero che quelle due storiche cerimonie riuscirono a cambiare (in meglio) la società feudale e il mondo intero Seguirono, infatti, giorni, mesi ed anni di pace e di prosperità Finalmente, sul volto di tutti i bimbi e di tutte le bimbe del Salento, della Capitanata (e persino del Cilento, della Ciociaria, della Val di Sangro, dell Aspromonte, delle Madonie e del Nuovo Campidano) tornò il sorriso e tutti quanti ripresero a giocare felici a girotondo, senza che nessuno avesse più paura del mostruoso Lupo Umberto Verdedibile (il terribile capo dei Gotti, degli Ugni e dei Visigotti) Unica nota spiacevole (ma accolta con grande entusiasmo dal popolo viola, bianco-nero-azzurro e giallo-rosso, nonché, ovviamente, dal rosanero Arciduca Urlando, detto il furioso a causa della costante influenza molesta e nociva di Mastro Tonino Checiazzecca ) fu il gran rifiuto di Mikkolo al potentissimo grande feudatario, che avrebbe voluto portarselo per un pugno di soldi nella sua squadra meneghina di pallacorda, non solo come atleta, ma anche come uomo-immagine, cioè come (ennesimo) specchietto per le allodole da usare per ramazzare un bel po di soldi di nuove gabelle imposte alla mite gente dei feudi del Meridione Ma questa storia è, purtroppo, solo il frutto di una dolcissima proiezione freudiana, di un sogno ricorrente che, pur bello e soave, si estingue amaramente nel nulla ad ogni mattutino risveglio 233

234 La verità è che, oggi, dato il crescente divario nella distribuzione dei redditi nella nostra amata Penisola, siamo costretti a chiudere la nostra fiaba con una delle due seguenti frasi, a vostra scelta: Caru cumpare, larga a fujazza, stritta la via, strincite a cinta cu nu perdi li causi, ca puru ieu m aggiu strinta a mia ( Mio caro amico, larga la foglia, stretta la via, stringi la cintura per non perdere i pantaloni, come anch io ho stretto la mia ), oppure, secondo lo schema classico delle fiabe: E vissero tutti (ma solo i Gotti, gli Ugni e i Visigotti, e loro soltanto, ahimè!) felici e contenti. Bimbus felix contemptusque 234

235 Emozioni di pietra Come infantile carezza Scivolano sui marmi I rivoli d un inattesa Feconda pioggia agostana. S insinuano nel sitibondo Spongioso ventre del tufo Come provvida lama. Il martellante rintocco D armonie discordi Trafigge la plumbea Coltre di nubi E un incerto raggio di sole Descrive un pastellato Vivido ponte di luce Che si protende Dalle polle batraciane Delle padule dell Idro Alle fertili sorgenti Del formidabile Serchio. Disse bene Marco Polo: Non c è arco senza pietre. 235

236 Il banchetto delle beffe, ovvero le origini del bosco di Balsorano Premetto che questa storia mi è stata raccontata, in un sonnacchioso pomeriggio d estate, nel porticato della sua silenziosa dimora di Casamassella, dal mio povero, indimenticabile amico e maestro Florio Santini, che mi confidò di esserne venuto a conoscenza in modo del tutto casuale, sfogliando le consunte pagine del vecchio diario di un suo grande antenato, tal Agilulfo Santini, uomo d armi e cronista di guerra, che nel 1815 comandava la scorta a servizio del Duca di Lucca e del Granduca di Toscana e che fu testimone diretto della vicenda La storia riguarda il fastoso banchetto nuziale che si svolse nella prestigiosa cornice del Castello Piccolomini di Balsorano, il 22 luglio 1815, giornata dedicata a Santa Maria Maddalena, della quale la famiglia della sposa, i Principi di Pontecorvo, era devotissima Il matrimonio tra la dolcissima Principessa Diana De Gabrieli Bruno di Pontecorvo e il prode Cavaliere Guido il Rosso dei Conti d Asburgo rappresentava un esempio eclatante di quella forte tendenza al processo di restaurazione del quale il Congresso di Vienna aveva appena segnato una tappa di fondamentale importanza Peraltro, i due giovani sposi non si potevano certo definire come le povere vittime sacrificate dalla volontà delle rispettive famiglie in ragione di spregevoli giochi di potere, poiché Guido e Diana erano uniti da un sentimento molto forte d amore e di rispetto Il banchetto nuziale, invece, quello sì, era il momento giusto per la formalizzazione di nuove alleanze e per la fastosa affermazione del potere assoluto degli Stati Assoluti, compresi anche i tanti regni, regnetti e granducati, che componevano il complesso mosaico dell Italia preunitaria. Il prestigioso Castello Piccolomini di Balsorano era stato scelto con grande attenzione per la sua forma pentagonale, che avrebbe consentito una lussuosa dimora temporanea, con pari dignità, in ciascuna delle torri ai vertici, ai 5 Capi di Stato invitati alle nozze e al successivo banchetto Tutto era stato preparato con la massima cura e attenzione, al punto che la celebrazione delle nozze era stata affidata a Barnaba Niccolò Maria Luigi (in religione Gregorio) Chiaramonti, alias Papa Pio VII, il quale, da buon romagnolo, non aveva ovviamente declinato l invito ad officiare le nozze, convinto soprattutto dalle leccornie elencate nel menù allegato La cerimonia nuziale, officiata nella splendida cornice dell Abbazia di San Domenico abate di Sora, si concluse verso le 10 e 30 del mattino di quella torrida giornata di luglio e tutti gli ospiti d onore, con le loro sfolgoranti carrozze dorate, si diressero verso la rocca di Balsorano, che fu raggiunta in meno d un paio d ore Gli invitati di estrazione più umile arrivarono subito dopo e, ben prima delle 13, tutte le grandi sale del banchetto erano colme di gente, al punto che il maestro di sala dispose la cottura delle deliziose omelette ripiene di ricotta di capra e di salsiccia di cinghiale Alle 13,30 i fagottini erano pronti per essere serviti, ma degli sposi nemmeno l ombra Si narra che i due si fossero recati a Pescosolido da un famoso ritrattista per immortalare il fatidico giorno e che il pittore, noto perfezionista, li avesse trattenuti molto a lungo Intanto i nostri deliziosi manicaretti, lasciati colpevolmente esposti per ore ed ore al torrido sole di quella torrida giornata d estate, finirono per essere aggrediti da qualche perfido (sebbene a quei tempi ancora ignoto) batterio ad istantanea azione tossinfettiva intestinale (del tipo maremoto entero-colico) e cominciarono a covare un diabolico piano Alle ore 16,30 un applauso liberatorio accolse l arrivo degli sposi e il maestro di sala, tirato un profondo sospiro di sollievo, diede il via alla distribuzione delle frittatine infagottate 236

237 Alle 16,55, racconta Agilulfo Santini nel suo diario, dalle tavolate imbandite cominciarono ad alzarsi prima uno, poi dieci, poi 50 commensali, tutti con il volto congesto e sofferente e le mani premute sul basso ventre: la simpatica tossinfezione alimentare cominciava a dare segno di sé Per quella fortuna tipica dei toscani (e dei lucchesi, in particolare) il buon Agilulfo odiava le omelette e ciò gli permise di fare una puntuale cronistoria della vicenda; non una vera e propria cronaca di guerra, anche se, in fondo, i temi in questione erano abbastanza affini, se non altro per i cupi rumori di guerra (colpi di mortaio, forse?) e dalle strazianti urla di dolore e di raccapriccio, che sembravano provenire da un non lontano settore delle macerie Verso le 17,10, la sala si era ormai del tutto svuotata di gente, tutto il contrario dell angusto corridoio che conduceva ai vespasiani, dove i poveri commensali, nell attesa, sembravano dimenarsi in danze scatenate, come avviene ai giovani dei XXI secoli nelle discoteche notturne Alle 17,15, il Capitano Agilulfo Santini fu testimone della reale e concreta esistenza della nemesi storica: a 3 dei capi di Stato che urlavano il loro diritto all uso prioritario del vespasiano, rispose un fragoroso coro di pernacchie Alle 17,20, sempre lo stesso Agilulfo fu testimone del fatto che, davvero, talvolta non tutti i mali vengono per nuocere: al contrario del resto dei commensali, quasi asfissiati dal quel mefitico olezzo proveniente dai vespasiani, un anziana suora carmelitana, evidentemente (e provvidenzialmente) del tutto anosmica, si chiedeva da dove provenisse quel delizioso profumo di frutti di bosco Alle 17,25, infine, Agilulfo fu testimone di un secondo esempio di nemesi storica. La vicenda riguarda il truce Humbertus Boksicich, ministro della pubblica (d)istruzione del Regno Lombardo-Veneto, il quale tentò di farsi strada verso il vespasiano gridando: Io sono il ministro della cultura e qualcuno, dal fondo del corridoio, con una locuzione veneta contaminata, però, da un forte accento calabrese gli rispose: E allora, fio, turate el cul! Le conclusioni del diario di Agilulfo ci fanno sapere che i 5 Capi di Stato, impossibilitati a raggiungere in tempo utile i servizi igienici delle rispettive torri, furono costretti ad usare, per le loro impellenti necessità, i rari e radi cespugli, a quell epoca presenti intorno al castello Da quel giorno, tuttavia, per effetto di quel fantastico concime organico, prodotto originale dei principali potenti dell epoca, la spoglia campagna intorno al Castello di Balsorano si popolò di alberi ad alto fusto e di una rigogliosa barriera di cespugli spinosi, dando vita ad un meraviglioso bosco Ma chi l ha detto che dove passa un politico non cresce più nemmeno un filo d erba?

238 Ti ho vista Ti ho vista che rinfrescavi il viso, dolce stella, Accanto, di Sant Antonio, alla cappella, Alla Mascjianni, nell antica fontana, Punto di raccolta dell acqua piovana. Ti ho vista pure nella chiesa di Castro, Sotto l altare dall alta scalinata d alabastro. E verso il ciel levasti poi lo sguardo franco, Pascolo di pecorelle dal mantello bianco... L estate lentamente se ne andava E l acqua di settembre già si preparava. Poi ti ho vista pure che scendevi al mare E tutti intorno si fermarono a guardare Quell angelo stupendo sceso dal Paradiso Per nuotare felice nell Acquaviva di Diso. E poi m accorsi, sebbene fossi assiso, Che il sol si tese a carezzarti il sorriso Ed abbagliò i dintorni che quasi mi accecavo, Mentre io, di nascosto, estasiato, t ammiravo. Ti ho vista infine e fu l ultima volta Una calda sera, nei pressi del castello, Eri stupenda, sorridente, disinvolta: Nulla io vidi mai, di così bello! E dissi: Grazie, San Lorenzo! Or non ti vedo più, però ti penso, Quando da vicino osservo dell autunno i fiori O, da lontano, volar via gli uccelli migratori: Il mio costante sogno, mite ed altrettanto vano, Stringere nella mia adesso la tua mano Ma dato che son vivo e non mi stan cremando, Sappi, tesoro mio, che qui ti sto aspettando 238

239 La leggenda di Se e Ma Si narra che, nell antica Grecia, molti secoli or sono, ai piedi dell Olimpo, vivesse una coppia di anziani contadini, che per la loro saggezza venivano spesso consultati da Zeus in persona. Zeus, che non era particolarmente soddisfatto delle prestazioni amorose della moglie Era, sentiva la necessità di avere storie extra-coniugali, ma era terrorizzato dalla feroce gelosia di Era. I due anziani coniugi consigliarono a Zeus uno stratagemma: non potendo mostrarsi nelle proprie fattezze, perché in tal modo Era avrebbe scoperto il suo tradimento, per ottenere l'amore delle fanciulle di cui si fosse invaghito, Zeus sarebbe dovuto ricorrere ad un travestimento. Zeus seguì il consiglio dei due contadini: assunse così le sembianze di uno splendido toro bianco e, forte dei consigli dell astutissimo Hermes, si mescolò nella mandria di Agenore, ricco pastore della terra di Canaan e padre della bellissima Europa. Lo stratagemma funzionò, poiché Hermes, che aveva subdolamente escogitato il ratto di Europa, fece in modo che la fanciulla, nel corso della consueta passeggiata pomeridiana, incontrasse sul suo cammino il maestoso e splendido toro. La ragazza cadde nel tranello, perché, visto il carattere mansueto del toro, vi montò in groppa e fu condotta via mare fino all isola di Creta, dove Zeus, assunte le sembianze di un aquila, con lei si giacque presso la fonte di un boschetto di salici. Soddisfatto per il felice esito della sua impresa amorosa, coronata dalla nascita di tre possenti figli (Minosse, Radamanto e Sarpedonte), Zeus si sentì in dovere di ringraziare i due anziani coniugi e chiese loro di esprimere un desiderio. Ai due anziani contadini non parve vero di poter chiedere ciò che avevano sempre sognato: due figli da allevare con amore e ai quali lasciare in custodia quel prezioso capitale di saggezza, che sarebbe andato altrimenti disperso. Vennero così al mondo due splendidi marmocchi, cui venne dato il nome, rispettivamente, di Se e di Ma. Purtroppo, i due coniugi morirono prima di completare il percorso educativo dei due figli, la cui saggezza restò, pertanto, dimezzata. Se restò nevrotico e insicuro, al punto che, trovandosi di fronte ad un problema, non riusciva mai a prendere una decisione e, dopo aver fatto una miriade di ipotesi, spesso si richiudeva in se stesso, restando prigioniero del dubbio. Ma, invece, era un contestatore nato, sempre pronto ad obiettare e a contraddire tutti, persino se stesso, anche di fronte all evidenza. Anche per lui, quindi, prendere una decisione era un impresa ardua, se non proibitiva. Come spesso accade tra fratelli, Se e Ma non andavano affatto d'accordo e discutevano su tutto, ma avevano qualcosa (in verità, tutt altro che edificante) in comune: di fronte a qualsiasi problema, né l uno né l altro risolveva nulla. Questa poco lusinghiera fama si diffuse a tal punto che qualche saccente pennivendolo li definì i fratelli della leggenda olimpica che non faranno mai la storia. Saputo di quel che si diceva in giro, i fratelli si sentirono punti sull orgoglio e, superata ogni fraterna rivalità, decisero di mostrare a tutti il loro vero valore: Se siamo nati per diretta volontà di Zeus, com è possibile che la gente continui a vederci come due falliti, Ma?. Caro Se, questo è accaduto perché ci siamo fermati a dare importanza sempre e solo al passato, ma se da oggi guarderemo al futuro, vedrai che presto la gente cambierà radicalmente il giudizio su di noi. 239

240 Ma il peso opprimente del luogo comune e del pregiudizio lasciarono inalterato per secoli e secoli il giudizio negativo sui due fratelli, che, dalle Alpi alle Piramidi, furono da tutti considerati come i figli incompiuti di un dio minore Il pregiudizio è il pilastro del senso comune, forma di pensiero che appartiene ad una diffusa cultura popolare e ne plasma il giudizio in modo inconsapevole. È dalla notte dei tempi che il senso comune ha inquinato a tal punto la cultura popolare che il pensiero corrente continua a pensare a Se e a Ma come a due inutili fronzoli barocchi in grado di modificare solo la forma ma non la sostanza della realtà. Ed, in effetti, come (quasi) sempre accade, hanno trovato, sulla loro strada, tanti detrattori, ma, per loro fortuna, anche qualche autorevole personaggio che si è proposto di aiutarli; uno dei più importanti è stato il grande filosofo Bertrand Russell, che introdusse il famoso enigma di logica del bivio e dei due custodi Esponiamo l enigma in forma romanzata : ricevuta la notizia di aver ereditato un castello da un prozio scozzese, intraprendiamo un lungo viaggio per entrarne in possesso, ma, secondo quanto stabilito nel disposto testamentario, per poterlo fare, dovremo risolvere un problema di logica Infatti, nella parte conclusiva del nostro lungo viaggio verso il castello, ci troveremo di fronte a un bivio, presidiato da 2 custodi, X e Y Uno dei due dice sempre la verità e l altro sempre il contrario della verità; a quel punto, avremo a disposizione una sola domanda per farci indicare la strada giusta da prendere per arrivare al castello. Potremo ricorrere a qualsiasi tipo di domanda, ma non riusciremo mai ad avere una certezza, come possiamo vedere dall esempio in tabella 2 x 2. Domanda X Y Qual è la strada che porta al castello? D S Qual è la strada che non porta al castello? S D Qualunque sia la domanda, le risposte dei 2 guardiani saranno sempre ed inevitabilmente opposte e contrarie e non saremo perciò mai in grado di acquisire una certezza; ma quando saremo sul punto di dichiararci sconfitti e di rinunciare alla cospicua eredità del castello, ci verrà in aiuto il tanto vituperato Se, che ci consentirà di riportare ad una sola, unica ed obbligata, la risposta dei 2 guardiani. La domanda sarà la seguente: Ma se tu fossi l altro guardiano, quale strada mi indicheresti per il castello?. La risposta sarà sempre e solo quella dell indicazione falsa. Infatti, il custode veritiero, sapendo che il collega dice sempre l opposto della verità, ci indicherà ovviamente la strada sbagliata; invece, il custode mendace, per sua natura, darà la versione opposta rispetto a quella che sarebbe stata rilasciata dal collega veritiero, dando l indicazione, anche lui, della strada sbagliata A Bertrand Russell spetta quindi il ruolo (e il merito) di autore del recupero di credibilità dei tanto bistrattati fratelli Se e Ma ; tuttavia, il percorso verso la loro completa riabilitazione è ancora lungo e irto di ostacoli I due controversi fratelli sono ancora in cammino sul difficile sentiero che porta alla completa riabilitazione, nel quale sono sostenuti e incoraggiati dai rispettivi figli ( Qualora e Forse per Se e Invece e Tuttavia e Però per Ma ) Se e Ma arrivano al termine della giornata stanchi e affaticati, ma anche soddisfatti per gli sforzi profusi per recuperare un ruolo ed una dignità nella vita quotidiana e per le sempre più diffuse attestazioni di incoraggiamento e stima 240

241 Oggi, il Se si è trasformato da particella del dubbio (peraltro utile contro le derive dogmatiche) in particella della scelta ponderata (es. lo farò se avrò la prova che i possibili vantaggi siano tali da compensare i rischi); allo stesso modo, il Ma, come particella coordinativa avversativa, potrà essere proficuamente associata alla condizione posta dal Se, per favorire una soluzione adeguata (es. lo farò, ma solo dopo aver esaminato tutti i rischi latenti ed i possibili vantaggi) Per la serie: Con i "Se" e con i "Ma" la storia (oggi) si fa!. E, per concludere in bellezza, un autorevole conferma del nuovo importante ruolo dei due tanto vituperati e contestati fratelli ce la fornisce una delle più argute frasi storiche del mitico Vujadin Boskov (vedi foto), purtroppo recentemente scomparso, quando, allenatore della Sampdoria, rispose a un giornalista che gli chiedeva se fosse vero di essere in balia dei poteri forti dello spogliatoio detenuti dalla coppia Vialli-Mancini. Il nostro eroe così rispose: Tutti giornali scrivere Vialli e Mancini fare formazione di Sampdoria, ma questo non vero. Io fare formazione, loro dire solo se andare bene 241

242 La vera storia del canino d Ilaria (A tutti i bastardini del mondo) Florio Santini Pochi lo sanno, ma Paolo Guinigi fu il primo potente di quei gloriosi tempi a diffondere un pubblico e solenne bando contro il randagismo, problema del quale i lucchesi antichi mai s erano occupati, essendo notoriamente meglio disposti verso i cani sciolti che verso come allora dicevasi per indicar la gente in generale i poveri cristiani. Paolo Guinigi, uomo d ordine e persona elegante, fu però una specie di nobile padrino ante litteram, col quale era meglio non scherzare. E i nostri antenati erano sì focosi, tuttavia prudenti. Il bando, unico in quella Toscana più litigiosa che civile, fu gridato alle porte dell Arborato Cerchio e per le piazze principali. Minacciava sanzioni e ammende a tutti coloro, di qualunque ceto, che avessero abbandonato un cane, di razza o non di razza, per le ben temute strade del rione storico e persino nei prati fuori le Mura o sugli spalti del fiume Serchio, che finalmente aveva imparato a stare nel suo assai instabile alveo, di sanfrediana memoria Vescovo idraulico a parte, il medesimo bando annunziava al popolo una nuova magistratura, ritenuta dal Signore di Lucca degna del vero progresso: gli accalappiacani. Cronisti dell epoca tramandano, inoltre, che l ira di Paolo fu terribile, la malaugurata volta ch egli, uscendo appiedato dal suo rosso maniero, pestò una merda di cane, che servi stolti e miserabili non avevano spazzato via dai patrizi gradini. Non fosse intervenuta quella dolce donna che fu sua giovanissima moglie, l ira improvvisa del principe, i cui calzari erano di pelle fina come un guanto, poteva divenir funesta. In realtà, una dama di compagnia aveva avvertito del ducale bando la bella Signora di Lucca, che proprio in quei giorni aveva nascosto nelle segrete stanze un bastardino affamato, rifugiatosi, non si sa da quale umido cortile, nelle odorose e calde cucine di palazzo. Alcuni documenti del tempo, non ufficialmente accettati, lasciano intendere che tale clandestina oltre che canina presenza, fosse ironico dispetto di lucchesi dissidenti, nostalgici del libero Comune degli Anziani. Aggiunsero altri che Ilaria del Carretto, per quanto docile compagna d un intransigente marito, nel frattempo, essendosi affezionata alla fedele bestiola, altro non poté fare se non nascondere Martino addirittura nella camera matrimoniale, per esattezza storica non molto frequentata dal men che ardente Consorte, distratto dalla giornaliera politica di una città difficile anzichenò I giorni passavano senza amore: il bastardino bianco, intelligente come i suoi simili, prese a trascorrere il tempo con la trascurata e sempre più triste padrona. Anzi, ad esser precisi, secondo una leggenda peraltro non smentita dai profondi studiosi di cose nostre, Martino viveva praticamente sotto il grande talamo solitario, mangiava con i cuochi in cucina, usciva e tornava in tutta fretta dopo i suoi bisogni. Ogni tanto, le complici fantesche lo lavavano e lo profumavano come si conveniva al cane più viziato, ma anche più sicuro dell intero territorio lucchese. Che Martino avesse avuto sentore del famoso bando? La felicità non può durare a lungo. Un incerta tradizione orale, riporta che il Clero in Duomo abbia aggiunto alle vecchie una nuova litania: Per i cristiani e per i cani; e per i cristiani. E così via. Di sicuro, un semplice fatto Ilaria si ammalò all improvviso. La sua giovinezza si spegneva. I sapienti niente potevano contro un male inesorabile. Gli unici momenti di sollievo era Martino a darglieli, quando da sotto saliva sopra il letto e si accucciava a riscaldare i piedi della benefattrice, sempre più composta nella supina immobilità della morte incombente. Nessuno ebbe il coraggio 242

243 (non piangeva; ringhiava) di cacciarlo dalla coltre funebre. Nemmeno il principe! dissero. E lì rimase, poi, immobile nel marmo; e divenne una specie di monumento-allegoria dedicato a tutti i bastardini del mondo. Eppure, diafana Ilaria, oggi soltanto i poeti cantano la tua leggenda 243

244 L importanza del decidere: il paradosso dell asino di Buridano Fermiamoci un momento a riflettere ed a ragionare, ma sempre con il sorriso sulle labbra, e proponiamo una breve riflessione (semiseria) sui motivi che portarono il povero asino di Buridano a morire d inedia, per non essere stato in grado di prendere una decisione Un asino affamato e assetato si trovava accovacciato ad egual distanza tra due mucchi di fieno di pari volume e qualità con, vicino a ognuno di essi, un secchio d'acqua parimenti ricolmo d acqua. L asino si dibatté a lungo su quale delle due direzioni, egualmente utili, poter (o dover) prendere, ma non trovò nulla che lo determinasse ad andare da una parte piuttosto che dall'altra; perciò rimase fermo e, dopo una lunga sofferenza, alla fine morì di fame e di sete A questo punto vediamo di scoprire il motivo per il quale il povero asino si lasciò morire d inedia, fornendo una riposta (semiseria, lo ripeto) alle seguenti domande: 1. Partendo dal punto di vista dell uomo comune, per quale motivo l asino di Buridano si lasciò morire di fame e di sete? 2. Cosa avrebbe potuto fare l asino di Buridano per prendere una decisione in grado di salvargli la vita? Le risposte (semiserie) esatte sono le seguenti: 1. La più semplice risposta che l uomo comune tende a dare sui motivi che portarono il povero l asino di Buridano a lascarsi morire di fame e di sete è che, in fondo, si trattava pur sempre di un autentico somaro. 2. Per riuscire a prendere una decisione in grado di salvargli la vita, l asino di Buridano avrebbe dovuto usare il classico lancio della moneta; tuttavia, da somaro qual era, non essendo in grado di riconoscere il simbolo testa dal simbolo croce, il risultato non sarebbe cambiato. Questa seconda riflessione dimostra, sia pure in forma indiretta, la grande importanza dell istruzione e della cultura nella vita. Non le sapevate, queste cose? Ma che bravi somari che ho, tra i miei lettori! Firmato: il dottor Babbarabbà. 244

245 Fiore di cappero Questo son io, Un fiore di cappero E se mi offrissi a te Di certo mi diresti: Che vuoi che ne faccia? Se proprio vuoi restare, Non devi disturbare E se non mi dai noia, Ti metto in salamoia, O aceto di vinaccia. Ma se poi un gran pittore Mi facesse un bel ritratto Diventerei importante Come un Picasso astratto. E adesso per magia In mostra, alla veranda, Quel bel fiore di cappero Profuma di lavanda Se cappero sei nato Non pagherai mai il fio: Ridi, sei fortunato, Che a te ci pensa Dio 245

246 Il panino alla Nutella Una mattina di qualche anno fa una piccola delegazione di bambini kurdi fece visita alla scuola elementare di un paesino alle porte di Roma Alcuni genitori dei bimbi ospitanti denotavano segni di assurda preoccupazione, al contrario dei loro figli che, superata l iniziale sorpresa, guardavano i loro coetanei con interesse e simpatia Lì fummo testimoni di un fatto che ci commosse: una bimba kurda, dagli occhi neri neri, osservava estasiata un coetaneo italiano che si accingeva ad addentare un gustoso panino alla Nutella Nel portare il panino alla bocca, il piccolo si accorse dello sguardo della bimba kurda fisso sulla sua gustosa merenda Allora, si arrestò all istante, spezzò il panino in due parti e ne diede la più grossa alla bimba che, dopo un iniziale esitazione, lo divorò in un baleno, leccandosi poi a lungo le dita per decretare l immenso piacere provato Poi la bimba si avvicinò al suo benefattore e gli stampò un fragoroso bacio sulla guancia con quelle sue labbra ancora tutte unte di Nutella A quel punto, vedemmo il piccolo laziale letteralmente sbandare ed arrossire di colpo, per poi sorridere tutto soddisfatto: era stato di certo, per lui il primo bacio d amore E siamo certi che ne serberà il ricordo per tutta la vita C è chi dice che dall educazione ricevuta durante l infanzia dipendono i destini futuri degli esseri umani Forse sì, forse no: può darsi Quel che è certo, però, è che se qualche volta prendessimo l esempio dai bambini, forse eviteremmo di rendere sempre più selvaggiamente competitivo questo nostro mondo Una competizione selvaggia che rende sempre più precaria la già penosa situazione delle persone fragili, solo per far mantenere inalterati i privilegi dei (pre)potenti Per questo motivo, vi preghiamo di regredire ai tempi dell infanzia e di prendere atto della morale più festosa della storia; solo così potremo arrivare soddisfatti al traguardo tenendoci per mano o, comunque, tendendoci la mano, concludendo il nostro percorso con una frase a tutti nota, ma tutt altro che banale (e tutt altro che scontata); anzi, difficile, molto difficile da riscontrare nella realtà quotidiana: E vissero tutti felici e contenti 246

247 Dialogo allegorico, metaforico, metafisico e metapsichico tra il dottor Pigio Babbarabbà e il suo Super-Io. Immaginiamo che un uomo molto impegnato e molto importante abbia la possibilità di fermarsi ad oziare per un paio d ore, magari in un afoso e sonnolento sabato pomeriggio d una torrida estate salentina E allora, vieni con me a vedere che tipo di riflessioni potrebbero venir fuori dalla fervida e creativa mente del mitico dottor Pigio Babbarabbà, misconosciuto manager della sanità pubblica pugliese del terzo millennio Per questo motivo, ho deciso di portare alla luce alcune delle sue più frequenti fantasticherie, un dialogo metafisico e metaforico con il suo Super-Io: un incomprensibile miscuglio di strampalate idee in fuga, in rapida ed inarrestabile espansione in tutte le direzioni dello spazio, verso l infinito, proprio come i famosi gas perfetti di Van Der Waals o, poeticamente, come un sogno senza fine Dei sogni e dei ricordi Caro il mio buon Super-Io, capirai d esser giunto alle soglie del tramonto, quando, sulla bilancia dei valori, vedrai il peso dei ricordi sovrastare quello, luminoso, dei tuoi sogni Per il momento, però, per quanto mi riguarda, sappi che la prua del mio veliero, pur di bolina, continua a fendere decisa le alte e bianche spume verso l Oriente, verso i primi bagliori del nuovo giorno Del medico, del paziente e della malattia Checché tu ne possa pensare, caro amico mio, resto ancora fiero (nonostante tutto) di aver studiato da medico anche se, in verità, da qualche tempo un po mi manca il contatto diretto col paziente. Oggi la mia attività prevalente è l organizzazione e la gestione dei servizi sanitari, ma non credere che questa sia poi un attività meno importante di quella del clinico. Ti basti, in proposito, una semplice, ma tutt altro che banale considerazione: mi sono laureato nel lontano 1977 ed oggi siamo già quasi alle soglie del 2012; ebbene, nulla è immortale, nemmeno la conoscenza, che anche invecchia molto in fretta e presto diventa inservibile, da buttare via Ciò assodato, se in pieno 2011 le conoscenze scientifiche di un qualsiasi medico in attività clinica fossero rimaste quelle del 1977, ci pensi agli effetti sui poveri malati? Anche in medicina, perciò, è sempre la cultura (e, con essa, la formazione e l acquisizione di nuova conoscenza utilizzabile nella pratica clinica) lo strumento virtuoso per un reale miglioramento continuo della qualità Ma non voglio correre il rischio di sembrarti scolastico, troppo ligio agli schemi e, per questo, ti confiderò (ma lo dovresti già sapere, in fondo) che è stato proprio un paziente a guidarmi nel più efficace corso di formazione e di conoscenza reale della malattia; un paziente speciale, certo: Florio Santini, sì, proprio lui, il mio maestro di letteratura. Nel corso dei nostri infrequenti, ma intensi dialoghi, Florio, l uomo del Basso Serchio, è riuscito ad insegnarmi un nuovo approccio contro la malattia, anzi, con la malattia, spiegandomi come gli fosse riuscita l impresa di convivere, per oltre un decennio ed in età avanzata, si potrebbe dire quasi in simbiosi con il cancro, il quale, per tutta risposta, tenne, con lui, un atteggiamento insolitamente benevolo. Florio aveva raggiunto un punto di stabile equilibrio, stringendo un insolita alleanza con il suo scomodo clandestino a bordo, come usava definire il suo cancro alla prostata. Forte dei preziosi suggerimenti della consorte orientale, riuscì a concordare precise regole con il suo ospite, un vero e proprio patto di non aggressione reciproco, sebbene gli fosse rimasto sul groppone il rammarico di doversi sciroppare una lunga cura a base di estrogeni: ormoni femminili, capisci? Una vera onta, per uno come lui (che non a caso la madre chiamava vanesio, con toscana ironia), orgoglioso della sua fiera virilità, icona di un ancestrale e teatrale narcisismo tutto maschile, forse legato all influsso 247

248 ormonale del testosterone, unito alla contemplazione del suo profilo migliore, quello sinistro, dai tratti magicamente etruschi Per anni ed anni Florio continuò a cavalcare la tigre, con fermezza e coraggio, finché alla fine la fiera non stramazzò a terra esausta Il mio maestro di letteratura aveva vinto la sua battaglia contro il cancro, ma nulla riuscì a fare contro l ineluttabilità del tempo Caro Florio, ci hai lasciati all età di 85 anni ed, in fondo, ti dovresti compiacere con te stesso per essere riuscito a far davvero tanto, nella vita ma, se ti conosco bene, ti sarà anche dispiaciuto (e non poco) il fatto di non essere riuscito a terminare il tuo ultimo lavoro nel quale volevi condensare tutti i principi della tua filosofia di vita; d altro canto, ce ne avevi persino già (pre)annunciati alcuni, in uno dei tuoi tanti stupendi diari di asino arpista : Essere insolito, se non inspiegabile, significa essere un accadimento del tutto diverso dall ordinario ed io sempre amai e preferii lo straordinario Mah, credo sia stata fin troppo lunga, questa mia seconda riflessione, forse stucchevole e probabilmente fuori tema: Del medico, del paziente e della malattia Si dà il caso, però, amico mio, che a volte medico e paziente coincidano, che gli elementi del discorso si mescolino a tal punto da produrre un amalgama perfetto, fino a risultare indistinti e indistinguibili. Fu così che mi tramutai da medico in paziente, mentre Florio, da pietoso paziente, divenne uno spietato untore di manzoniana memoria, al punto da contagiare me, proprio il suo amico e fidato medico curante, di un morbo incurabile: Sindrome da mal di scrivere, si chiama codesta malattia, a prognosi riservata ed ancor più grave se associata (come nel mio caso) alla Sindrome dello scriver male Ma, tant è! Persino tu, mio inseparabile Super-Io, permeato di socratici buoni sentimenti, spesso mi ricordi: Vivi e lascia vivere, scrivi e lascia scrivere e fin qui, non avrei davvero nulla da eccepire, ma poi, all improvviso, mi riservi questo amarissimo post-scriptum (o non si può dire anche post-dictum?): Per amor del Cielo, non essere così crudele da far leggere i tuoi orribili pensieri al prossimo tuo; se non vuoi che la tua anima punti dritta al fuoco eterno, cerca di essere clemente con i tuoi simili, che non hanno alcuna colpa: è già tanto che tocchi a me, tuo infelice alter ego, sorbire i tuoi stravaganti pensieri, le tue strampalatissime riflessioni vespertine Abbi pietà di questo povero spirito: risparmiami, ti prego! Povero, il mio Super-Io! Il destino ha voluto che tu nascessi al mio fianco: che ci vuoi fare? Con chi te la vuoi prendere? Su, coraggio: magari ti andrà meglio la prossima volta! Un certo languorino (di sapori forti salentini) Siamo all ora di pranzo e il mitico dottor Pigio Babbarabbà, misconosciuto manager della sanità pubblica pugliese del terzo millennio, peraltro con una certa notorietà legata non già alla sua fama, ma alla sua leggendaria fame, avverte un certo languorino e si avvia risoluto verso il frigo per tirar fuori un pentolone ricolmo di spaghetti da scaldare e mandar giù, quando viene stoppato dal Super-Io che gli ricorda la promessa di ferrea dieta (insalatina verde), con la piccola licenza di qualche pomodorino, un paio di peperoncini piccanti e un cucchiaio di olio d oliva extravergine; e, già che ci siamo, un mezzo panino. ma forse è meglio intero. E mentre passa e ripassa la crosta del pane sui bordi del piatto a cercare qualche residua e sparuta gocciolina d olio da arruolare, il metafisico dialogo riprende, a partire proprio dall olio, dal buon olio salentino, dalle olive, e degli ulivi. Degli ulivi del Salento Gli ulivi del Salento sono senza dubbio i più maestosi e sofferenti alberi della terra, direi persino più dei baobab Sofferenti, perché, se fossero umani, con quei loro tronchi contorti, potrei dirli, da medico, affetti da artrite deformante. In realtà ti voglio confidare (ma non lo farlo sapere in giro), che gli ulivi sono realmente esseri umani o, meglio, lo furono un tempo: come tutti gli esseri umani, si portano dietro, scolpiti sul tronco, il 248

249 dolore e la sofferenza della vita, ma anche la sua maestosa, incomparabile bellezza. Le immense fronde, un provvido riparo dall estiva calura e fonte feconda d un frutto piccolo, povero e prezioso insieme. Quello che invece gli sprovveduti amici del nord transpadano non possono sapere è che gli uliveti salentini sono immensi castelli nobiliari a cielo aperto, popolati (come i ben più noti manieri scozzesi) da fantasmi viventi, spiriti errabondi e silenziosi insieme: gli ulivi. Mettersi in contatto con costoro non è la cosa più semplice di questo mondo; è necessario, infatti, riuscire ad entrare in sintonia empatica con il carattere dell esemplare contattato ed è impresa, questa, tutt altro che facile; per un mero colpo di fortuna, a me è riuscito di farlo ed è stata un esperienza fantastica, indimenticabile, quasi onirica ma autentica: pensa che Oreste (era questo il nome dello spirito), frusciando al vento, mi ha confidato che il suo dispiacere più grande è stato quello di essere diventato il simbolo di uno schieramento politico. Come dargli torto?... Poi, gli ho chiesto se un giorno toccherà anche a me diventare un austero ulivo. Mi ha risposto sibillinamente che quest onore è concesso solo ai grandi uomini: che abbia voluto dirmi di no? O non si riferiva, magari, forse, alla mia stazza, con sottile ironia? Tu che ne pensi, amico mio?... Mah! Ma quale che sia la giusta interpretazione, resta il fatto che Oreste è spirito di ottima compagnia e possiede una grande vena umoristica (in fondo, non è poi così difficile, per uno spirito, essere spiritoso : battutaccia!). Ad ogni modo, mi ha raccontato un mucchio di storielle divertenti, quale, a titolo d esempio, la vera storia ( vera a suo dire, ovviamente) d Orfeo ed Euridice, che mi ha fatto morir dal ridere. Forse, se ne avrò il tempo, te ne racconterò qualcuna di queste storie e, magari, le diffonderò anche ai poveri lettori di questo coacervo di pensieri in fuga, di sogni sottesi e di ricordi annacquati Ruby, Bury e li pipirussi mari blu In un mite e luminoso pomeriggio di qualche anno fa, si era in primavera inoltrata, giunse a Porto Badisco un pullman scolastico della Brianza, stracolmo di giovani festanti e di insegnanti mezzi esauriti per quel compito ingrato I ragazzi e le ragazze, tutti quanti in abbigliamento casual, jeans e T-shirt, schizzarono giù dal pullman non appena giunto sull ampio piazzale sterrato destinato a parcheggio e si dispersero in tutte le direzioni. Restarono nei pressi del grosso automezzo solo due belle fanciulle, dai lineamenti esotici e dal colorito della pelle intenso, che denotava le loro origini, rispettivamente, nord e centroafricane. Le due splendide fanciulle, diverse dagli altri, molto intellettuali, discutevano piuttosto animatamente sul concetto dell immortalità dell anima nelle diverse religioni, ma nessuna delle due riusciva a prendere il sopravvento sull altra. A pochi metri di distanza, in un lussuoso cabriolet nero, osservava la scena un anziano signore dai lineamenti tirati e stirati dal botulino e (in più riprese) dal costoso bisturi di qualche luminare della chirurgia estetica: con un perenne sorriso asimmetrico da dongiovanni impenitente, aveva lo sguardo rapito ed estasiato dal concitato dibattito delle fanciulle ed era evidente che avrebbe voluto intervenire in prima persona, per aiutare le fanciulle a dirimere la questione, elargendo loro un pizzico del suo sommo sapere, ma le due ragazze sembravano non accorgersi di lui, il quale, da parte sua non sembrava sufficientemente agguerrito per intromettersi nel dialogo. Probabilmente, quell improvvisa, impertinente ed impotente timidezza era un effetto collaterale della sua fisiologica (senile) caduta di steroidi maschili Che fare? Gli venne in aiuto il suono sordo, metallico e aritmico di uno scampanellio che annunciava il passaggio di un gregge Il rumore lo fece voltare e il suo sguardo cadde sul mazzetto di peperoncini colorati in mano al pastore, il mitico Totu Mazzarrignata L anziano signore chiese al pastore cosa fossero, in particolare, quegli stranissimi piccoli peperoncini azzurri e il buon uomo gli confidò, in un orecchio e a bassa 249

250 voce, che si trattava di frutti dotati di un eccezionale potere energizzante, al punto che stava pensando di dover cambiare il soprannome in "Mazza-tosta-comu-li-cuti-de-Santa- Cisaria-pocca" da quando, consumandone ogni giorno due, uno a pranzo ed uno a cena, aveva ripreso il pieno vigore di tutte (ma proprio tutte, capitemi!) le facoltà maschili Il ricchissimo anziano dal sempiterno sorriso (asimmetrico e sardonico) da vecchio satiro impenitente chiese ed ottenne di acquistare l intero mazzo di peperoncini per Euro, ma non prestò ascolto ai consigli di cautela del pastore, ingurgitando ben 5 peperoncini azzurri in un sol colpo Un disumano grido gutturale (del tipo Incredibile Hulk ) ed un formidabile balzo al di fuori dall auto furono la dimostrazione lampante ed immediata dello straordinario potere dalle bacche azzurre Seguì un serrato dialogo del vecchio impomatato con le due ragazze che gli confidarono di aver da poco superato la trentina e di essere, rispettivamente, Ruby, la nipotina prediletta di Hosni Mubarak e, Bury, cugina di terzo grado del defunto sanguinario dittatore Jean Bèdel Bokassa, dal quale, però, si era apertamente e totalmente dissociata, avendone contestato l ignobile operato. Il vecchio riuscì ad entrare in perfetta sintonia con le ragazze, in onore delle quali organizzò un memorabile festino notturno, ovviamente di contenuto (quasi esclusivamente) letterario: Ruby e Bury furono trattate con tutti gli onori del caso, come meritavano in ragione delle loro illustri e nobili parentele Qualche giorno dopo si seppe però che le ragazze avevano appena raggiunto la trentina è vero!, ma solo come sommatoria delle loro età (16 anni la prima e 14 la seconda) Il vecchio scoppiò in un pianto dirotto per quella menzogna e a tutti i presenti venne spontaneo un sentimento di grande solidarietà per quel pover uomo, buggerato così da due spudorate fanciulle che si erano fatte così crudelmente gioco di lui, approfittando dell inesorabile incedere del suo declino non solo fisico, ma pure (e soprattutto) cognitivo Purtroppo, per colpa della loro potente parentela, riuscirono a cavarsela senza neanche una sonora e vigorosa sculacciata Mannaggia li pipirussi mari blu! Alla luce magica di un magico tramonto salentino Siamo al tramonto, immersi in una magica cornice di colori pastellati, di odori intensi di campagna e di terra e di lontani suoni di luce. La strada scorre sonnolenta sotto i sandali di gomma del dottor Pigio Babbarabbà, che guarda distrattamente le insegne dei piccoli e radi negozi di Uggiano La Chiesa, ma da quegli sguardi distratti nasce lo spunto per la ripresa del dialogo metafisico e metaforico con il suo Super-Io. Della pubblicità bizantina Dicono che la pubblicità sia l anima del commercio: voglio sperare che alla fine non diventi, però, il commercio dell anima. Per il momento, viste (ed udite) le tante oscenità radiotelevisive (ma che aspettano a restaurarla, la censura?), ci rendiamo conto che ci si è già dl tutto giocato il buon gusto Qui da noi, nel Salento, per fortuna, siamo rimasti ad un livello ancora accettabile: siamo bizantini, noi! Al massimo, i nostri peggiori slogan pubblicitari potrebbero esser usati con successo dai comici di Zelig ; basti pensare, a titolo d esempio, a: La boutique del pane o a L atelier della frutta e verdura ma il primato della fantasia (o un autentico elogio della follia?) spetta certamente a una tal: Degustazione di infissi in alluminio anodizzato. Capito che roba? Ma chi saranno mai i potenziali clienti di costui? I nipotini di Eta Beta?... Ai posteri, come sempre, l ardua sentenza Dov è la dama d atout? Da qualche anno mi diletto a giocare a bridge: lo faccio perché mi tiene la mente in esercizio e mi ripara, spero, dalla demenza incipiente. Gioco a bridge dal vivo sui tavoli verdi del tanto piccolo quanto accogliente circolo di Maglie, ma spesso (nei fine settimana) 250

251 anche sui tavoli virtuali di BBO (Bridge Base Online), dove mi trasformo nel terribile corpulento e truce Goleccego (Forza, Lecce, dai!) che, in coppia con l altrettanto corpulento, ma dolce ed educatissimo, Mystere (al secolo, Emilio Cellucci), talvolta si permette il lusso di sfidare persino autentiche leggende del bridge nazionale ed internazionale; in realtà, con men che alterne fortune. Ma poi mi fermo a chiedermi se, dato che codeste grandi stelle del bridge continuano ad accettare al loro prestigioso tavolo la coppia Goleccego-Mystere, qualcosa vorrà pur dire, no? Siamo diventati ci dicono davvero bravini: giochiamo un sistema rivoluzionario, il Quadri Babbarabbà (ma guarda un po )! Purtroppo (devo ammetterlo), ho un autentico tallone d Achille: la dama d atout! Mentre tutti gli altri riescono a beccarla quasi sempre, a me continua a sfuggire dalle mani come un anguilla, persino quando mi addentro nei ragionamenti più intricati e profondi. E non importa che si tratti della dama di quadri, di cuori o di picche. Non cambia nulla: la dama d atout non la becco mai! Sarà forse per la legge di Murphy o per la nemesi storica oppure per la legge del contrappasso (e non intendo, per mera prudenza, approfondire il concetto), questa benedetta dama d atout mi sfugge sempre. Ricordo, al proposito, il sorriso consolatorio, ma in realtà compiaciuto, di Antonella Caggese (anche il suo papà era un babbarabbà, lo sapevate?), non so dire se più brava o più bella, quando mi buggerò con la sua dama di cuori (il colore d atout) secca (io, ovviamente, avevo tentato l impasse): già, la bella Antonella e la sua perfida dama di cuori Magari, se mi fosse successo con un avversaria meno avvenente avrei provato meno dolore. Per farla breve, alla fine ho pensato persino di proporre di rimuovere la figura della dama dal gioco del bridge, ma avrei corso il rischio di essere radiato a vita come antisportivo misogino e sessista, anche se probabilmente un nugolo di brave persone si sarebbero pronunciate, in qualità di testimoni volontari, in favore delle mie comprovate attitudini eterosessuali; ma, intanto, la dama d atout ho continuato a non beccarla mai, finché un giorno non ho conosciuto una splendida dama di cuori fuori impasse che ha rubato il mio cuore e i miei pensieri Per la serie, non tutto il male vien per nuocere, soprattutto se viene dal bridge! La percezione del rischio e l eminattenzione L eminattenzione è un disturbo neuropsicologico (ricordo che era una delle domande preferite del prof. De Renzi), che consiste nella mancanza di consapevolezza per un lato del corpo o dello spazio o degli eventi che si verificano da quel lato, di solito a sinistra; in realtà, un analogo fenomeno si verifica anche nel campo dell elaborazione logico-analitica dei contenuti psichici derivanti dalle senso-percezioni e da molteplici fattori di condizionamento del pensiero. Sto delirando? Non credo, ma è evidente che devo semplificare, e di molto, il discorso. Bene, parliamo allora della percezione del rischio di catastrofi e facciamo un esempio di evidente eminattenzione. La recente immane tragedia del Giappone ci ha rinnovato la paura primordiale dell ignoto, un autentico terrore nei confronti di un terribile Fato antropomorfico, in grado di segnare, in senso negativo, le sorti dei singoli e delle collettività; tale spiacevole percezione, tipicamente reattiva e, in quanto tale, temporanea, si tramuta poi in angoscia esistenziale permanente quando subentrano talune variabili ambientali di condizionamento psicologico, come è successo per il Millennium Bug, come periodicamente succede per le innumerevoli profezie di Nostradamus ed, ancor più, come da qualche tempo si sta verificando nei confronti della profezia contenuta nel calendario dei Maya circa la fatidica data del 21 dicembre Nella storia dell umanità la superstizione e la stupidità umana hanno mietuto molte più vittime delle epidemie... e continuano a mieterne tante, altro che!... E succede anche che, 251

252 per una sorta di inestinguibile settarismo tribale (o di tribalismo settario che dir si voglia) continuano a sussistere, sebbene agonizzanti, sul territorio nazionale (e nel mio Sud, in particolare, purtroppo!), presidi ospedalieri con posti letto, magari impreziositi da una splendida (e solitaria, come un oasi nel deserto) Unità Operativa Complessa (ma sarebbe molto meglio chiamarla, per semplicità gnoseologica, reparto di degenza) di gastroenterologia, senza la necessaria e doverosa protezione di un servizio di anestesia e rianimazione, con livelli di rischio inaccettabili per i degenti, motivo per il quale ci troviamo di fronte a centinaia di esempi di malasanità politicamente pianificata, ma non percepita come tale o magari correlata ad un incomprensibile sacrificio della ragione umana, offerta al sacro totem del Dio Campanile. In conclusione, parafrasando un noto slogan della Cirio (che pure ha passato i suoi guai): Ciò che natura crea, l uomo distrugge!. Del sarcasmo e dell ironia Non ho alcun dubbio: tra l ironia e il sarcasmo preferisco di gran lunga la prima. L ironia è satira irriverente, ma senza spine: quand anche utilizzata come sferza, non ti ferisce nel profondo, né dà piaghe. Talvolta ne abuso, ma per fortuna non mi provoca gli orribili effetti collaterali delle pappardelle ai funghi porcini: senso di peso e modico (ho detto. modico?) soprappeso Ebbro d ironia, torno dal mare con un accenno di sorriso sulle labbra, perché sto pensando ad una dolce principessa e non a te, cara la mia azienda sanitaria!. Florio Santini nel periodo del suo pieno splendore 252

253 La striàra venuta dalla Garfagnana Che ci crediate o no, questa è una storia vera, dall inizio alla fine, senza alcuna indulgenza all immaginazione, alla fantasia È una storia del Salento, del magico Salento, che mi è stata raccontata dal mio compianto amico Florio Santini; un bel tipo, Florio: un salentino di Lucca o un lucchese del Salento, fate voi Il Salento, dunque, il magico Salento. In una terra magica non può mancare certo la magia: quella poetica del cielo e del mare, quella trainante del calore della gente, quella inebriante dei canti popolari, quella, un po settaria e tribale, del mito delle tarantolate e della danza purificatrice della pizzica e, infine, quella, fantastica, delle striàre Striàra (o macàra) è un tipico termine dialettale salentino che indica le streghe, leggendarie donne che, secondo la credenza popolare, nelle notti di luna piena si trasformavano in spaventose megere vestite di stracci neri o in gatti (rigorosamente neri anche questi) e si recavano in gruppo in riva al mare o sotto un secolare albero di noce per abbandonarsi in interminabili danze dionisiache. Come ci informa Barbara sulle pagine della nostra amata rivista elettronica Cultura Salentina, le striàre incutevano, nello stesso tempo, timore e rispetto, in relazione ai loro straordinari poteri, ai quali spesso ci si rivolgeva per risolvere i problemi più intricati; infatti, costoro erano in grado di lanciare il malocchio (malocchiu) o di liberare dallo stesso, ed erano straordinariamente abili nel preparare filtri, pozioni magiche, unguenti, incantesimi e fatture (macarìe) per far nascere (o per far ritornare) l amore in un fidanzato, in un marito, in un amante o, peggio, per provocare la morte o rapire neonati, o ancora, e per finire, per scacciare via i dispettosi folletti (scazzamurieddhri) che infestavano le case. Le striàre erano la prova vivente del dualismo manicheo che ha da sempre contraddistinto gli esseri umani, anche le donne, quindi, non gli uomini soltanto (il dottor Jeckyll e Mr. Hyde, il Visconte dimezzato, ecc.): in bilico sul sottile confine tra la provvida saggezza contadina e la più ottusa e cieca superstizione, si dibattevano tra il bene e il male; e se di giorno erano madri attente e mogli dedite alla famiglia e alla casa, di notte cambiavano pelle, si spalmavano il corpo con un formidabile unguento la cui formula era nota solo a loro e, recitata una formula magica, si scatenavano in danze sfrenate che si protraevano per tutta la notte Secondo la tradizione popolare salentina, sempre citata da Barbara, le striàre (macàre) erano costrette a camminare sempre dritte impettite e non potevano piegarsi; per questo motivo le porte di ingresso delle pajare (i trulli usati come ripari temporanei dai contadini) e delle suppinne (le casette di campagna dei contadini) venivano costruite di un altezza ridotta rispetto al normale, appunto per non fare entrare queste mal umbre di notte Altri strani modi per proteggersi contro le striàre erano stati tramandati da generazione in generazione e non dovrebbero mai essere rimossi dalla memoria, per evitare guai Uno degli strumenti anti-striàra più efficaci è quello di inserire sulle soglie d ingresso delle case (o sotto la camicia) una delle tante erbe scacciastreghe (un rametto di iperico, più noto come Erba di San Giovanni o scaccia diavoli, o di ulivo, di rosmarino, di alloro, di ginepro o, per finire, una noce intera, completa di mallo) Ancora, un ferro di cavallo, delle forbici aperte o una falce sulla porta di casa o intorno alle culle dei bambini; oppure, sapendo che i poteri delle streghe hanno effetto solo di notte, si può lasciare un barattolo contenente del sale grosso o una scopa di saggìna capovolta davanti all uscio di casa: in questo modo, si pensa che le striàre si debbano fermare a contare i grani di sale o i fili della scopa, impiegando, in questa operazione, tutta la notte 253

254 Anche lu farnaru, il setaccio usato per la farina, rappresenta una sfida per la striàra nella conta dei fori, così come le ceste de li conzi o de le calome dei pescatori con tantissime lenze ed ami da sbrogliare sono attrazioni irresistibili per le striare: tutte operazioni così laboriose che richiedono tutta la notte, in modo da permettere a tutti di essere al sicuro La località del Salento nella quale ha vissuto una delle più famose striàre della storia è il ridente villaggio di Uggiano La Chiesa, a un tiro di schioppo da Otranto; a Uggiano, presso il noce del mulino a vento le striare dei dintorni si riunivano per i frequenti sabba. In paese, infatti, viveva una celebre locandiera/strega che riuniva periodicamente tutte le sue amiche Una notte di luna piena, con la locanda piena di gente, il marito si trovò in difficoltà: la panecotta e lu mieru (il vino) per i clienti erano finiti e la moglie era uscita per il sabba stregonesco; il marito non avrebbe potuto mettersi in contatto con lei, se non entrando anche lui in trance nei pressi del magico noce del mulino a vento. Che fare, dunque? L uomo conosceva il segreto della moglie e così pensò di recarsi presso il noce del mulino a vento e di ungersi con il magico unguento nascosto in casa. Giunto sul posto, però, sbagliò la formula magica ed invece di dire sutta l acqua e sutta u jentu/sutta u noce du mulinu a jentu pronunciò: susu all acqua e susu allu jentu/susu u noce du mulinu a jentu ; per quell errore fu risucchiato in aria a testa in giù. A gambe levate e ondeggiando nel vuoto, il pover uomo si rivolse urlando alla moglie chiedendole disperatamente aiuto; la donna, senza nemmeno scomporsi, recitò alcune parole magiche che lo fecero cadere per terra, salvandolo da morte certa Da quel giorno, per evitare il ripetersi di simili incidenti, le striare di Uggiano e dintorni decisero di interrompere i loro sabba presso il noce del mulino a vento, ma la loro costante, immanente e minacciosa presenza restò e continua ad essere documentata dal ripetersi di tanti piccoli eventi, strani e misteriosi, che continuano ad accadere di notte sia alle singole persone sia all interno delle abitazioni degli uggianesi, fatto quest ultimo da imputarsi all azione dei terribili e dispettosissimi folletti del Salento, gli scazzamurieddhri Niente da paragonare, comunque, ai leggendari e spaventosi eventi del passato Passarono gli anni e si giunse nel 2001, anno del periodico censimento delle striare e degli scazzamurieddhri; occorre precisare, infatti, che ogni primo anno di ogni decade (1581, 1721, 1971, ecc.), si effettua u censimentu di machi e de e macàre, durante il quale si procede alla conta numerica degli stregoni, delle fattucchiere e dei folletti e si presta ascolto ai racconti delle imprese degli scazzamurieddhri Durante l assemblea plenaria, il coordinatore degli scazzamurieddhri portò a conoscenza di tutti i presenti che il Barone Gortano de Gortànis, il fantasma innamorato, invisibile ospite della Torre dell Angelo, fosco monumento che troneggia nella piazza principale del paese de li Babbarabbà come me, gli aveva predetto la venuta a Uggiano di una bellissima e misteriosa striàra della Garfagnana nel successivo mese d agosto; gli confidò di esserne venuto a conoscenza alcuni secoli prima, quando il barone era ancora ospite del piccolo castello arcivescovile (il castelletto ) di Magliano in Garfagnana La bellissima striàra delle poetiche terre del Serchio, ma nativa dell Agro Pontino, era una principessa dai riccioli d oro di nome Sibilla e sarebbe stata accompagnata nel Salento dai suoi acconciatori personali, Linchetto e Buffardello, gli invisibili e dispettosissimi folletti della Garfagnana, responsabili della forma, ogni giorno differente, ma sempre originale, della straordinaria capigliatura della principessa Giunse, così, l agosto del 2001 e la bellissima principessa Sibilla planò nel Salento per una breve vacanza. Gli fece da cavaliere il mite Archimede, un inguaribile sognatore, che restò 254

255 subito affascinato, come folgorato, dal sorriso, dalle movenze, dalla cultura e dal profumo della sua pelle La prima sera (era il 10 agosto) la portò a vedere il mare dall alto degli scogli tufacei di Sant Andrea E il mare cominciò ad ondeggiare lievemente, come atteggiandosi ad un ossequioso saluto nei confronti della splendida fanciulla La seconda sera la portò in un grande locale di ballo popolare, dove la principessa prese a danzare da sola, attirando su di sé lo sguardo ammirato di decine e decine di avventori La terza sera la portò in un parcheggio a pettine di periferia, tutt altro che romantico, ma che fu sede di un caldo e languido abbraccio, che si protrasse per interminabili momenti La quarta sera (era il 13 agosto) lei non c era più, ma Archimede volle portare il suo ricordo al magico parcheggio di periferia del giorno precedente Ed accese lo stereo per ascoltare lo stesso motivo Ed alzò lo sguardo per osservare la stessa luna piena, timida testimone dei suoi più intensi momenti di dolcezza Poi chiuse gli occhi e cercò di ripassare nella memoria e nell anima i suoi gesti, i suoi respiri, i suoi baci Ma le striàre restano presenti anche a distanza di migliaia di chilometri; Sibilla aveva lasciato, infatti, nel Salento i due folletti, perché si prendessero cura del suo gentile cavaliere E fu così che una mano invisibile (era un prodigio di Linchetto) abbassò il finestrino del lato del sempre più frastornato Archimede, schiudendo il passaggio allo scontronello, un vento vorticoso ed impetuoso, prodotto dal poderoso soffio di Buffardello, che si fece però via via sempre meno intenso, fino a trasformarsi in una morbida e calda carezza sul viso, al punto che Archimede ebbe l impressione di averla ricevuta dalla piccola e delicata mano della principessa Quella stessa notte Archimede si recò presso il secolare noce del mulino a vento e, con il cuore in tumulto, sperando di poter essere portato via dal vento nella città d Ilaria del Carretto e della principessa Sibilla, prese ad enunciare alla luna la formula magica: Sutta l acqua e sutta lu jentu/sutta lu noce de lu mulinu a jentu Bene, c è chi dice che non accadde proprio nulla, che da quel giorno il mito delle striàre e della magia di Uggiano La Chiesa e dell intero Salento fu inesorabilmente sfatato Pochi sanno, però che, subito dopo aver pronunciato la magica formula, il cuore di Archimede prese a volare e raggiunse felice la sua principessa, dalla quale mai più si separò Mi chiederete: E vissero tutti felici e contenti?. E che ne so, io? È una storia vera, mica una fiaba, questa! 255

256 Cachizzo e il mistero della moneta da 10 Lire scomparsa Questa è una storia vera (o presunta tale). Mi è stata raccontata come realmente accaduta da un mio grande, compianto amico, pescatore esperto di un tipo di pesca come dire? rumorosa, se non, più appropriatamente, esplosiva: Giuseppe Rubrichi, il suo nome, ma tutti lo conoscevano (e sono in tanti a ricordarlo, ancora) come Pippi Brillante. Personaggio arguto, sapiente cantore di incredibili, fantastiche, avventurose e poetiche storie di vita vissuta, che mi hanno tenuto compagnia sin dalla fanciullezza, se non dall infanzia, infarcite di particolari ogni volta più accurati. Erano storie belle, accattivanti, con quel suo linguaggio arrembante, infarcito di metafore paesane, neologismi e splendide (ma sì, perché in ogni caso pittoresche e non volgari) parolacce. Il protagonista della storia che sto per raccontarvi è un tal Cachizzo, così chiamato a causa di un potere fisiologico (ma forse sarebbe meglio definirlo patologico) decisamente particolare: una flatulenza imperiosa e perenne. Il periodo è quello dei primi anni 50, lo scenario la splendida campagna primaverile nei pressi della Torre di Sant Emiliano, tra Otranto e Porto Badisco. Pippi mi disse di aver appreso la notizia direttamente dal comandante della stazione della Guardia di Finanza, che una mattina volle sperimentare la leggendaria potenza dei peti del nostro Cachizzo, intenso a cogliere cicureddre e zanguni (cicorie selvatiche salentine). Buon uomo, dimmi un po : ma cos è che stai fumando? Sembrerebbe un sigaro, ma in base a quello strano odore che emette non si direbbe proprio, però! gli chiese il comandante. Eh, figlio mio, magari fosse così! I sigari di tabacco conciato costano cari: questo sigaro è fatto di foglie essiccate di lattuga, sai? gli rispose il buon Cachizzo. Bene, ecco, allora forse posso darti una mano Ho sentito dire che ehm, come dire? avresti un grande potere È vera la storia di questo tuo potere?. Se ti riferisci al mio potente intestino, ti hanno detto la verità. E ti spiego anche il perché: tutti i santi giorni mi tocca mangiare, a pranzo e a cena, sempre lampascioni e fagioli, una mistura davvero esplosiva, che quando mi arriva nello stomaco, non sai davvero che cosa mi succede. Bene, buon uomo, se il fatto che raccontano di te è vero, superando una piccola prova avrai modo di vincere cinque profumatissimi sigari antico toscano e persino una moneta di 10 Lire. Dimmi che cosa devo fare, comandante, che lo faccio subito! È semplice: prenderò un po di quel terriccio e lo userò per costruire una specie di montagnola alta 6-7 centimetri. In cima alla montagnola pianterò i cinque sigari e la moneta. Il tuo compito sarà di far cadere giù dalla montagnola il maggior numero di sigari e la moneta con la sola forza dei tuoi peti: tutti i sigari che riuscirai a far cadere (compresa la moneta) saranno tuoi. Ti voglio ricordare, però, che avrai a tua disposizione solo 3 tentativi. Accetti?. 256

257 Come no? Mi basta un solo peto per buttarli a terra tutti quanti... Solo, comandante, sarà bene che ci spostiamo di un centinaio di metri più in basso, che non vorrei buttar giù la Torre di Sant Emiliano, dato che con tre peti rischia tanto. Ma bene, facciamo gli sbruffoni, adesso? Allora sollevo la montagnola di un paio di centimetri, così impari!. Fai come credi, comandante mio, ma poi così verrà fuori un fungo alto come quello di Hiroshima. Così vuoi? E così sia! Prepara il campo, comandante, che io intanto comincio ad abbassarmi i pantaloni. Il comandante procedette a farcire la montagnola di terriccio con l ambito premio, avendo cura di serrare i sigari in profondità, per rendere la prova sempre più difficile; inoltre, senza fasi vedere dal buon Cachizzo, raccolse tra le mani un bel po d acqua da una pozzanghera e la spalmò sul terriccio, per renderlo duro come il marmo. Poi si rivolse all impavido concorrente di quella insolita prova, chiedendogli se fosse pronto. Certo che sono pronto, comandante, ma dì al tuo brigadiere di spostarsi da dietro i sigari, altrimenti lo butto a terra come un birillo col primo peto Che se poi profumasse di fagioli in pignata, correrebbe il serio rischio di asfissia Sarà bene che pure io faccia spostare il somaro, mah!. Il brigadiere smise improvvisamente di sorridere colto dal terrore e dando subito ascolto al consiglio del Cachizzo si spostò di lato, mettendosi al riparo dietro un maestoso leccio. L insolita prova del Cachizzo mi fu descritta dal mio indimenticato amico Pippi Brillante in modo davvero brillante, quasi meglio della radiocronaca del miglior Enrico Ameri a Tutto il calcio minuto per minuto: Erano le nove e mezzo del mattino. Cachizzo abbassò i pantaloni e i mutandoni di lana, si diede un pugno sullo stomaco, si piegò con le gambe divaricate a mezzo metro dai sigari e Boom! Partì un colpo di cannone che al povero somaro gli scappò addosso per la paura Si erano fatte le sette e mezzo di sera, quando trovarono sul terreno l ultimo sigaro: era finito sotto un pino a più di cento metri di distanza Della moneta da 10 Lire, purtroppo, nessuna traccia. Cachizzo si dedicò alla sua ricerca per tre giorni e tre notti; si riempì persino di graffi e di ferite le mani e le braccia per cercarla in mezzo ai rovi, ma nulla! Povero Cachizzo, ci teneva tanto a quelle 10 Lire, ma non riuscì a trovarle e morì con quell enorme dispiacere, come con un masso pressato sul torace 257

258 Notte d agosto a Otranto Notte di luna nuova, nel silenzio frusciante d un parcheggio a pettine di periferia, due prossimi respiri sotto una cappa d afa. Il ricordo lieve del latrato incessante d un cane solitario, a feroce difesa d un impossibile contratto. E lo smarrito stupore d un ritorno di spade. E un improvviso rossore, che solo a volte accade. Nasce dal nulla una melodia: il profumo inebriante della sua pelle. Le tue zampe di ragno timorose sfiorano le sue chiome dorate, convolute e libertarie, senza steccati o vincoli né ruvidi padroni Si fa spazio, lento, nella nebbia montante, l ansimante garbino: porta con sé dal deserto, polvere e cenere e frustoli di fumo d un giovanile notturno rogo sulla spiaggia Sorge ora il sole: un fragile nido, sospinto dal vento, rotola sull asfalto e disperde nell aria pagliuzze rinsecchite e petali avvizziti. Nel lontano orizzonte, sotto le fosche ombre di terra d Albania, un isolata vela, solcando fiera i flutti di bolina, fende ed abbatte l inutile geometrica tua trappola di seta. 258

259 Psichedelia salentina La primavera batteva le delicate nocche sull uscio d un inverno sempre più breve e sempre più mite. Calpestavo senza una meta precisa la sabbia nerastra e i ciottoli levigati di una piccola e deserta insenatura del Salento. Avanzavo lenta, con lo sguardo perso nel cielo d un azzurro tenue ed infinito. Mi precedeva l opaca ombra dei miei confabulanti pensieri, che marciavano a passo spedito, congedandosi dal mio corpo, in una sempre più marcata dicotomia. Il presente non c era, non aveva senso: la mia mente si era librata in volo libero nello spazio e nel tempo, altalenandosi tra il passato e il futuro. Non ero mai stata, prima d allora, nel Salento, ma percepivo come uno strano ed insistente déjà vu. Un pensiero sortito dal nulla: la campagna salentina e il suo volto sorridente. Non riuscivo a definire nomi, date e contesto, ma mi tornavano ben chiari alla mente i miei sogni Il mare: le poetiche coste, un incredibile miscuglio di inaccessibili rocce scoscese e di immense spiagge tropicali, che per millenni erano state solo terre insalubri, malsane, malariche paludi. E mi venne alla mente il grande, distratto filosofo de Le nuvole di Aristofane, inzaccherato fin sopra le ginocchia, alla ricerca di nuovo sapere E poi, con un volo pindarico, il pensiero di spostava sul dialogo intorno al dualismo manicheo immanente nell uomo (e nella donna) E, per finire, mi tornava alla mente il suo sorriso, spontaneo e suadente Il fuoco ormonale della maturità mi aveva obnubilato del tutto la mente, tenendomi celata la spontanea, congenita poesia del Salento. I giovanili epidermici entusiasmi mi avevano impedito di coglierne l evidenza. Non ero riuscita, quando sarebbe stato semplice, ad alimentarmi della sua anima e girovagavo come un ectoplasma intorno al giardino metafisico dei miei rimpianti, dove l unico suono che riuscivo a percepire era il vento. Avvertivo forte la necessità di confessare, a quella sconosciuta terra, ciò che provavo, ma che non ero riuscita ancora a decodificare del tutto. Il viaggio era appena cominciato e mi restava ancora tanto tempo per rimediare, per fortuna. Mi fermai ad osservare e ad ascoltare. Non le forme, ma l essenza. Le candide falesie di Sant Andrea, sferzate di giorno dalle onde e dal rigido maestrale, filtravano nel placido tramonto la lirica eco della dea del mare. La perfida sabbia della semiluna idruntina mi schizzava violenta fin dentro il guscio degli occhi, oscurandomi la visione degli spettri alati delle aquile d Albània. Una vela all alba, poco al largo di Punta Palacìa, solcava libera, fiera e solitaria, un mare svogliato e ancora sonnacchioso, che si perdeva all orizzonte nel grigio giogo della nebbia, lasciando appena trasparire il ricurvo profilo d un gabbiano scomparso che proiettava la sua ombra spettrale sulle schiume maestose, fruscianti in lontananza, nel suo arabescato e libertario volo, senza fine e senza fini. Come già accadde al grande Enea e al figlioletto Iulo, i pini del Fortino, sventrata la roccia attonita, elargivano un frondoso rifugio al principe del Cònero e alla sua piccola, garrula tribù. Superato l abisso di Malepasso, dopo una tortuosa china verso il mare, s aprì poi il monte ed ingoiò la plutonica Cesarea, tra nugoli di mefitiche giallastre essenze sulfuree, mentre centinaia d elicoidali pergami d'ammonite s'adagiavano, ignavi ed indolenti, sugli stupiti, esterrefatti lemuri malgasci, al cospetto degli assurdi arabeschi di Palazzo Sticchi. Altalenanti rugiade s'affastellavano sul capezzale del fioco vento, sfiorando con le dita i turgidi capezzoli dell asina in calore. 259

260 Un repentino gelo d ardesia si pose a bivaccare ad una spanna dall uscio in impaziente attesa della nitida catarsi, avvisata dal capzioso, ozioso commiato della notte al primo vermiglio baluginio d oriente, sulla deserta torre di Porto Miggiano. Gli zìnzuli della grande grotta cupa s offrivano, com idoli pagani, al culto apotropaico di vetusti esorcismi messapici. Dalla città alta, due donnine in nero, all uscita dalla funzione vespertina, si segnavano rapide il viso con la croce al cospetto dell orrendo squarcio dabbasso tra i vecchi salmastri tufi di Castro, enorme diabolica piaga aperta nel costato dell ameno villaggio, nel lugubre silenzio d un gemebondo, seppur diafano, crepuscolo; nel frattempo, il draconiano distico espunto dell elegia ballonzolava a tentoni nella semi-oscurità dell incombente notte della ghiaiosa marina, tra le osterie dei mosti e delle beghe, sovrastate dal discinto discettare dell ubriaco-re. Tra le riarse terre degli ulivi contorti giacevano recondite le fastose masserie degli Oscar, in un coacervo di suoni, d arazzi e d olezzanti effluvi dagli alambicchi di rame, tra gli orci di terracotta delle friselle di semola e d orzo e le untuose latte di stagno ricolme dell olio appena spremuto. Torme d efelidi sui glabri volti celtici dei castellani candivano ieratiche ipocondrie all insolito, melenso suono delle pastorali fistole, nella terra schizoide e mistica della dionisiaca danza della pizzica sostenuta dalla frenesia dei tamburelli. Ascetici conventi e compassati castelli, spettrali gemme in un castone di tufi plebei, chiosavano fieri sulla loro nobile storia nelle aride terre degli Ottomani, del griko e dei Messapi. Le chiese-madri dei villaggi e delle città, come le sinagoghe e i minareti, si stagliavano alte e maestose nel cielo, oasi di pace e di preghiera per un Dio sempre infinitamente buono nelle funzioni religiose, ma, nella vita di tutti i giorni, ferali testimoni di nemesi e d odio per un dio minore, convitato di pietra astioso e sanguinario, perché ideato e assemblato dall uomo a sua immagine e somiglianza, orpello d un lucido calcolo d un sempre meno ondivago odio e livore. Sul muricciolo del porto, come accade in un qualsiasi lungomare d Italia, si incrociavano gli insipidi commenti sul nulla, tra le fanatiche, isteriche, compulsive ovazioni delle masse ai salapuzi della politica condannati (si fa per dire) al perenne silenzio e agli strepitanti urlatori dei concorsi musicali; più all interno, negli oscuri spazi della rete, come schizzati fuori dalla fiaba di Pinocchio, una coppia di diarchi menagrami, profferendo fosche profezie di morte, ottundeva la mente della gente, che si prostrava in ginocchio al cospetto dei nuovi satrapi della rivoluzione cosmica e all antico, ma sempre attuale paradigma dell avere e dell apparire, incapace di prestare ascolto alla ragione e pure refrattaria a qualsivoglia resipiscenza ascetica sulla via di Damasco. Un esotico, arcano tubero, in apatica combustione nel vetusto turibolo d un metallo ignoto, diffondeva mirabili effluvi allucinogeni nella bucolica aria vespertina all ombra della grande vallonea, mentre il lontano, logoro, ventoso crinale salmastro si rendeva indistinto allo sguardo e alla memoria. Nella città dei tre casali, accanto a due pastorelli d un gregge in ascetico e silente bivacco, un solitario pellegrino errante si aggirava senza apparente meta, girovagando tra i vetusti, storici manieri dei versi orfici e del sangue vivo, nel compassato e melenso ricordo del tempo che fu. Sul ciottoloso selciato dei poetici vicoli dell antica contea diocesana, quella con il bel profilo araldico d un alata croce latina, si percepiva ancora l eco del passo lieve del grande don Tonino. 260

261 Dopo il ponte dei corvi e dei deliri, l inaccessibile scogliera si perdeva nel nulla della fine, tra le preghiere semplici d una Maria in attesa. Dall alto del crinale intravidi, nei pressi di Felloniche, l ultima, solitaria foca monaca dello Ionio chiedere invano un passaggio agli insensibili avventori in uscita dal Tatanka, dopo la sorridente foto-ricordo di gruppo sullo sfondo del verdeggiante blu dell oltremare. Il re di cuori comparve all improvviso dalla parte inattesa e, mentre mi colpiva a morte con il suo gelido gladio, lo vidi svanire irridente, sfuggendo la sua mano dalla mia Di lui mi restò solo (e per sempre mi resterà) il ricordo d una notte di passione ardente, con le possenti spalle avvolte su di me, in una plastica scultura emotiva, ritmicamente illuminata dal gelido fascio del faro di Punta Mèliso, là sull aspra scogliera della sorella Rìstola, ai confini estremi del mondo, nel punto dove il mare si unisce con il mare e spalma lentamente sul Salento le sue essenze di storia, d amore e di poesia. 261

262 Suoni di luce Ti scorgo incedere con passo regale Dalla fessura della porta socchiusa. E s'inchioda al tuo viso Lo sguardo mio. E d'incanto i miei pensieri S'involano sulla spiaggia d'inverno, Con la deserta sabbia sferzata Dal gelido maestrale, Dolce pelagia che vieni dal mare. E gli austeri, mutevoli fronti Di ostili cumulo-nembi A presidiare declivi l'orizzonte. I gabbiani scomparsi Nel plumbeo grigiore del cielo Proiettano i loro contorni spettrali Sulle schiume maestose Fruscianti in lontananza. E nelle membra mie S'avverte il tumulto D'un'emozione inedita, Dai contorni indistinti, Perché si disperde Nei più remoti anfratti dell'universo. E mentre armonici suoni di luce S'insinuano, flettendosi sinuosi, Nella mia logora mente, tu, mio unico, Incomparabile Salento, novella Aracne, Cospargi di frammenti di rugiada La tua geometrica trappola di seta

263 Celestino Cominale, un uomo vero Non so trattenermi dall augurare che nel futuro ordinamento degli studi medici in Italia si ripari finalmente alla vergogna che il giovane medico esca dalle nostre Università senza conoscere l opera dei padri e degli avi, e senza sapere l evoluzione storica dei postulati scientifici e pratici da cui trarrà norma al letto dell infermo. (Andrea Ferrarini, Riforma medica, 1918, 778) Non so trattenermi dall augurare che nel presente tutti gli abitanti di Uggiano La Chiesa e di Casamassella intendano conoscere i grandi concittadini del passato al fine di ritrovare l orgoglio e l energia per riportare il proprio paese ai fasti di un tempo. Non più astratte e sterili celebrazioni di forma, ma studio e ricerca, per la rinascita di una cultura paesana ormai decadente e sopita. (Anonimo Uggianese, Ricerca storica sugli uggianesi famosi, 2011). Nato il 29 ottobre 1722 in Uggiano La Chiesa, il poliedrico scienziato e letterato Celestino Cominale iniziò gli studi a Lecce nel Collegio dei Padri Gesuiti, votandosi inizialmente alle lettere ed alla filosofia, per indirizzarsi poi verso la Matematica, la Fisica, l Astronomia, la Botanica e la Medicina che perfezionò a Napoli dove si trasferì nel A partire dal 1752 fu docente di medicina nelle Università di Roma, Bologna, Padova e Pisa, per far poi ritorno a Napoli dove si dedicò all insegnamento delle scienze e fu precettore di molti illustri studiosi campani. Nel corso del suo peregrinare scientifico, incontrò studiosi delle varie discipline, tra i quali il Beccari a Bologna, con cui discusse di Fisica. Tornando nella natia Uggiano non appena possibile, conobbe e sposò una splendida concittadina, Lucente Lanzilao, e proseguì a insegnare in varie università italiane fino al 1770, anno in cui fece definitivo ritorno al paese natale, dove aprì uno studio privato di Filosofia e Medicina nel quale continuò sempre i suoi studi scientifici fino all anno della morte, avvenuta nel Ormai quasi misconosciuto ai nostri giorni, Celestino Cominale era invece uno delle persone più note non solo a Napoli, ma nell intera Europa; in particolare, egli era assai stimato dal giovanissimo Re di Napoli Ferdinando I di Borbone, un sovrano atipico in quei tempi di Stati assoluti, direi quasi democratico, per il grande amore e rispetto che dimostrava nei confronti dei propri sudditi e per la grande importanza che assegnava alla cultura; in tal senso, Celestino Cominale era visto come la persona in grado di far assicurare un importante salto di qualità alle pur già notissime università borboniche, prime fra tutte Salerno e Napoli. La stima di Ferdinando I verso Celestino Cominale era talmente celebrata da far nascere persino una leggenda intorno alla costruzione della 263

264 chiesa madre di Uggiano La Chiesa; si narra, infatti, che Ferdinando I gli avesse chiesto di curare la figlia gravemente ammalata ed essendo riuscito ad ottenere una guarigione quasi miracolosa, al re che si diceva disposto ad esaudire qualunque suo desiderio il luminare rispose chiedendo, e ottenendo, la costruzione di una nuova chiesa più bella e più grande di quella esistente per tutta la comunità uggianese. In realtà, questo episodio sembrerebbe frutto di mera fantasia popolare, dato che le prime due figlie di Ferdinando I, Maria Teresa Carolina e Maria Luisa Amalia, erano nate, rispettivamente, nel 1772 e nel 1773, cioè ben dopo che Celestino Cominale aveva fatto ritorno a Uggiano, anche se non si può escludere che Ferdinando I lo avesse fatto tornare a Napoli per garantire le cure della figlia. Nonostante il nome soave, Celestino era un autentico osso duro ed una persona estremamente combattiva, che non esitava a entrare in animato contrasto persino con i personaggi scientifici più potenti e riveriti dell epoca, ogni volta che riteneva di dover dimostrare la giustezza delle proprie teorie: questo gli valse un accesa polemica tutta salentina con il letterato galatonese di chiare tendenze metastasiane Oronzo Amorosi ( ) e, in una dimensione mondiale, addirittura con il già defunto ma riverito fino all inverosimile Sir Isaac Newton, fatto che gli valse le feroci critiche dei sostenitori del fisico inglese; nonostante le aspre contestazioni, la fama di Cominale si diffuse in ambito nazionale e internazionale, al punto da essere citato persino nell opera di Johann Wolgang Goethe La storia dei colori come uno dei principali studiosi della fisica dei colori del XVIII secolo, in forza di una propria teoria, in contrapposizione a Newton: Celestin Cominale Er war Professor der Philosophie bei dem königlichen Gymnasium zu Neapel. welche mit der italienischen Literatur bekannt sind, Nachricht von dem, was man über Cominale damals in seinem Vaterlande geurteilt. Seine Wirkung konnte jedoch sich nicht weit erstrecken:. I motivi dell accesa disputa tra Celestino Cominale e Sir Isaac Newton erano legati non solo ad elementi scientifici, culturali e filosofici, ma anche ad una impostazione caratteriale profondamente differente, quasi opposta, dato che Cominale preferiva, da buon Salentino solido e terragno, la dimostrazione accurata dei fenomeni piuttosto che la dogmatica affermazione aprioristica di una nuova teoria scientifica, per quanto accurata essa potesse essere. Va peraltro ricordato che già in vita Newton era entrato più volte in contrasto con le maggiori menti dell epoca, come avvenne per la disputa sulla paternità del calcolo infinitesimale, che Newton voleva sottrarre a Leibnitz. Tra le opere di Cominale la più nota è, senza dubbio, il magistrale trattato di fisica in quattro enormi volumi dal titolo, inequivocabilmente ostile Coelestini Cominale Antinewtonianismus (Napoli, Typographia Benedicti Gessari, ), nel primo volume dei quali (Antinewtonianis pars prima in qua Newtoni de coloribus systema evertitur) confuta la teoria newtoniana dei colori, attirandosi gli strali e il feroce sarcasmo dei seguaci del fisico inglese; infatti, a causa dell aspra e decisa contestazione della teoria della luce illustrata da Newton, Cominale ricevette in vita terribili insulti e, nella migliore delle ipotesi, fu definito come persona piena di passione sì, ma di certo non particolarmente bene informata e ferrata sul piano scientifico. Uno dei commenti più sferzanti ricevuti da Oltremanica fu il seguente (da A Budget of Paradoxes nda): I have never seen any mention of this book: it has a printer, but not a publisher, as happens with so many un-recorded books (Non ho mai visto alcuna menzione di questo libro: ha una tipografia che lo ha stampato, ma non un editore, come accade con tanti non-libri registrati). Si narra, infine, che Celestino Cominale avesse deciso di tornare definitivamente a Uggiano dopo aver chiesto invano a Re Ferdinando I di essere sostenuto nella sua disputa contro la potentissima cerchia dei seguaci di Newton; infatti, il sovrano restò sordo alle preghiere del luminare, in tal senso consigliato dalla prudente consorte Maria Carolina 264

265 d Asburgo Lorena, che lo aveva avvertito del grave rischio di complicazioni diplomatiche con la potentissima dinastia britannica. Quello che ci è stato tramandato della fase finale della vita di Celestino Cominale è legato non solo alla tradizione popolare, ma anche all abbondante epistolario di Dante De Blasi, altra straordinaria figura di luminare medico uggianese, vissuto però quasi due secoli dopo; da questi scritti viene fuori una figura d uomo buono, che non esitava a lasciare qualche moneta in casa dei concittadini poveri ai quali era andato a prestare le cure richieste, ma anche di uomo vero, che riprendeva la clava contro i poteri forti, per richiedere miglioramenti igienici e maggiore giustizia sociale, condizioni che riteneva necessarie per il miglioramento dello stato di salute e del benessere della gente del Sud. 265

266 De Viti De Marco e De Blasi: dura la vita dei babbarabbà Il servizio sanitario nazionale italiano è nato, in buona parte, ad Uggiano La Chiesa (e nella sua frazione Casamassella). Una siffatta affermazione, lanciata così all improvviso, sembra una boutade o una trovata di qualche spirito bizzarro che intende con essa improvvisare un improponibile promozione turistico-culturale per il proprio paese natale E invece non è così. L affermazione, vera e storicamente documentata, riguarda due tra i figli più importanti di Uggiano e Casamassella: Antonio De Viti De Marco e Dante De Blasi Antonio De Viti De Marco Antonio De Viti De Marco, uno dei più grandi economisti italiani a cavallo tra il XIX e il XX secolo, nacque a Lecce, da famiglia nobiliare, il 30 settembre 1858 e visse la sua infanzia e la sua gioventù tra il capoluogo e il castello nobiliare dei Marchesi di Casamassella. Personalità versatile e fortemente impegnata nel sociale ed in politica, Antonio si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell Università di Roma, andando contro le proprie inclinazioni che lo avrebbero portato ad assecondare la sua già spiccata attitudine per le materie scientifiche e tecniche. Dopo la laurea, conseguita nel 1881, continuò gli studi ed ottenne ben presto la cattedra di economia politica prima a Napoli, poi a Camerino e a Macerata ed infine, dal 1885 al 1887, presso l università di Pavia. Già a meno di 40 anni, Antonio De Viti De Marco era noto come uno dei principali economisti viventi e la sua fama si accrebbe ulteriormente quando riuscì a riunire, nel suo Giornale degli economisti, i migliori cervelli dell epoca, tra i quali Vilfredo Pareto e Luigi Einaudi. Dalle colonne del giornale prima e dai banchi del parlamento poi, fu il più tenace oppositore della politica doganale del 1887 e dei dazi, prevedendone, con straordinaria lungimiranza, le più aspre conseguenze (NdA: fosse vissuto ai giorni d oggi, questa sua battaglia non gli avrebbe certamente attirato le simpatie dì Giulio Tremonti e della Lega Nord). L intensa attività politica non fu disgiunta da quella di giornalista-saggista, esercitata, in stretta collaborazione con il corregionale Gaetano Salvemini, soprattutto nelle colonne dell Unità, dalle quali l economista diffuse il suo disegno di modernizzazione della democrazia in Italia, con una grande attenzione ai problemi del Meridione. Date le sue profonde convinzioni politiche ed economiche di stampo decisamente democratico e liberale, all avvento del fascismo decise di mettersi in disparte, fino a rassegnare nelle mani del Prof. Pietro De Francisci, Rettore dell Università di Roma, nel novembre 1931, le dimissioni dalla cattedra in quell ateneo. Fermo oppositore del fascismo, si rifiutò inoltre di giurare fedeltà al regime; si dimise dall'accademia dei Lincei e rifiutò la proposta di Mussolini di nominarlo senatore. La stoica posizione dell economista è racchiusa nelle parole di Tommaso Fiore, che lo descriveva come un faro nella notte, senza possibili interlocutori, abbandonato anche dai suoi amici. Salvemini riferisce che sorta la dittatura, De Viti si ritirò in disparte. L Italia fece a meno per venti anni di quell uomo, come se di uomini come quello ne avesse da sprecare. Il professore si dedicò, quindi, in solitudine, agli studi delle materie economiche che condusse in modo particolare nel Castello di Casamassella, dove riuscì a concludere una delle sue opere più interessanti I primi principii dell economia finanziaria, che ebbe notevole successo non solo in Italia, ma in tutto il continente, cosa non comune per un opera scientifica, con le edizioni in tedesco, inglese e spagnolo che furono ristampate postume. 266

267 Un fatto assai importante fu la forte influenza esercitata dal pensiero economico liberale e a forte connotazione sociale del professore sull economista e deputato liberale inglese William Beveridge of Tuggal, il quale, cinque anni dopo la morte del De Viti, avvenuta a Roma il 1 dicembre 1943, riuscì a far promulgare dal governo britannico l Attle Act (1948), con il quale si istituì il NHS (National Health Service), dal quale prese il modello il SSN (Servizio Sanitario Nazionale) italiano, che vide la luce 30 anni dopo (Legge 833/78). Nel rimandare al lavoro degli storici e degli economisti la ricerca dei tantissimi punti di influenza dell opera del professore salentino sul pensiero di Beveridge, non si può non sottolineare come e quanto il De Viti abbia esercitato un ruolo significativo sulla vita politica e sociale non solo italiana, ma dell intero continente, e come e quanto il suo pensiero abbia rappresentato il punto di partenza per quel servizio sanitario britannico, di stampo marcatamente liberale, che ha fissato il principio secondo il quale ogni cittadino, indipendentemente dal livello economico e sociale, ha il diritto di essere assistito dallo Stato from the cradle to the grave (dalla culla alla bara). Dante De Blasi L insigne medico igienista Dante De Blasi nacque il 25 ottobre 1873 ad Uggiano La Chiesa da umile famiglia e si laureò con lode in Medicina e Chirurgia presso l Università degli Studi di Roma nel 1899, conseguendo il premio Girolami per la sua splendida tesi di laurea, di argomento embriologico. Nel 1902 entrò, quale assistente ordinario, nell Istituto di Igiene dell Università di Roma diretto da Angelo Celli e appena tre anni dopo gli fu affidato, per la prima volta in Italia, l incarico dell insegnamento ufficiale della batteriologia, che conservò fino al 1920, quando fu nominato Professore Straordinario d Igiene presso l Università di Cagliari. L anno successivo fu chiamato, all unanimità, all Università di Napoli, dove rimase fino al 1935, anno in cui venne richiamato all Università di Roma, succedendo a Giuseppe Sanarelli. Purtroppo, Dante De Blasi non riuscì a godere la soddisfazione del ritorno a Roma, perché il 15 ottobre di quello stesso anno perse il suo unico figlio maschio, Giorgio, in seguito ad un tragico incidente di volo, avvenuto nel cielo di Latina. Allo spessore scientifico, il De Blasi univa una straordinaria cultura generale, che gli consentiva di conoscere un gran numero di lingue straniere, compreso il russo, e che già, ancora studente, lo aveva portato a vincere la gara nazionale per lo scrivere italiano indetta da Baccelli, Ministro della Pubblica Istruzione, tra i licenziati del 1893, e giudicata da una Commissione presieduta da Giosuè Carducci. Oltre ad aver ottenuto una straordinaria fama internazionale per le sue brillanti ricerche nel campo della microbiologia, dell immunologia e dell oncologia, Dante De Blasi fu presidente del prestigioso Consiglio Superiore di Sanità dal 1935 al 1943, succedendo a personaggi del calibro di Camillo Golgi ed Ettore Marchiafava. Socio dell Accademia Nazionale delle Scienze nel 1937 e presidente della SItI (Società Italiana di Igiene) dal 1932 al 1945, De Blasi contribuì in modo decisivo alla stesura del nuovo Testo Unico delle Leggi Sanitarie, approvato con Regio Decreto 27 luglio 1934 n 1265, del quale si impegnò a curare in modo particolare la parte relativa all assistenza territoriale, partendo dal principio, ancor oggi attuale e moderno, che una solida e capillare rete di assistenza territoriale vale ben più di mille spedali. Inoltre, proprio al De Blasi, insieme con il marchigiano Celli, suo riconosciuto maestro, si deve il successo definitivo nella lotta contro la malaria, perché i suoi studi convinsero il governo della necessità di attivare i grandiosi interventi di bonifica delle aree malsane, dal delta padano alle meravigliose (oggi!) coste del basso Salento (zona umida delle Cesine e laghi Alimini). La sua scomparsa, avvenuta a Roma il 10 luglio 1956, segnò un giorno di grave lutto per la Medicina italiana, come documentato dalle note di 267

268 commemorazione da parte di suoi insigni allievi, come Vittorio Puntoni e Antonio Tizzano Questa, in sintesi, la storia di De Viti De Marco e De Blasi: probabilmente si potrà eccepire che i due babbarabbà non abbiano inciso in modo diretto sulla nascita del Servizio Sanitario Nazionale, ma la loro influenza positiva sul progresso della sanità pubblica italiana (questo mi sia davvero consentito) è certamente fuori discussione Tuttavia, una riflessione, assai amara, viene spontanea: premesso che, forse, un giorno qualcuno riuscirà ad attribuire i giusti meriti a questi due grandi personaggi, perché i propri concittadini li hanno abbandonati nell oblio?... Ebbene sì, è davvero dura, la vita dei babbarabbà!... Antonio De Viti De Marco Dante De Blasi 268

269 Sul viale di un inarrestabile tramonto... Queste sono le confidenze e le considerazioni che ho raccolto da un amico, che ovviamente manterrò del tutto anonimo. Lasciamo spazio alle sue riflessioni Non so spiegarmi il perché, ma la maggior parte delle emozioni più profonde nascono durante i viaggi (reali o virtuali); tutto questo stretta coerenza con le lievi, pastellate teorie contenute in quello straordinario brano dal titolo Sì, viaggiare di Battisti-Mogol, che ha, di fatto, impedito il superamento dello status di adolescente in tanti come me, ormai ben più che ingrigiti ultracinquantenni, incapaci di superare la dimensione del sogno senza fine e di ancorarsi saldamente al provvido suolo; e così, codesti personaggi, forti ma sarebbe forse meglio definirli deboli della propria natura creativa, continuano a girovagare senza meta tra cielo e mare, alla ricerca di qualche segno divino Quali segni, in particolare? Mah, un tempo non avrei saputo dirlo, ma quel che cercavo, in verità, lo percepivo tanto indistintamente, quanto consapevolmente a livello psicologico. Unica certezza: era qualcosa tanto bello e tanto dolce da attendere E sappiatelo! una delle situazioni migliori per ricercare questi segni divini era (a quei tempi, anni 70) un lungo viaggio in automobile da Lecce a Milano (o viceversa), per raggiungere (o tornare da) la sede universitaria. Oggi è tutto più semplice (e più pericoloso), perché ci si può abbandonare ad un agevole e romantico viaggio virtuale nella sconfinata autostrada del WEB, fino ad immaginare di incontrare l irresistibile sorriso di un angelo; lì, tutto solo e in santa pace, in quella dimensione irreale, magari cullato da un pezzo dolce pezzo musicale di You Tube (come quello di Sade che ho postato su Facebook stamattina), il pensiero si fa ascetico e si libra improvvisamente in volo in modo incontrollato Perciò, sarebbe cosa doverosa, ancor più che opportuna, pormi ogni tanto una di quelle domande (con relative sagge risposte) che mi aiutassero a tornare alla realtà e, spesso, ad evitare un grave incidente, tale da provocare la totale perdita della ragione A tal fine, la prima di queste sagge domande (con relativa risposta) è quella che ci si pone quando in autostrada ti vedi venire tutti addosso e ti chiedi: Ma dove mi trovo? La risposta, nota ai saggi ed agli esperti del settore come Legge delle autostrade, così recita: Se tutti ti vengono incontro, sei nella carreggiata sbagliata Ed io sono davvero un gran maestro, un vero fuoriclasse, a scegliere sempre la carreggiata sbagliata In realtà, quello che ti voglio dire è che un giorno mi accadde che quel qualcosa di indistinto e sempre atteso, che però avevo per cautela quasi del tutto rimosso dai miei pensieri, prendesse voce, forma e sostanza, fino a ritagliarsi uno spazio sempre più grande nel profondo dell anima... Due frasi scambiate nella chat assunsero il sublime significato di momenti di valore inestimabile, talmente belli da credere di non averli mai vissuti; ma, come mi hai mirabilmente insegnato tu, ogni cosa, ogni evento di vita deve essere analizzato in forma tridimensionale ed ho usato, perciò, il tuo modello delle 3C: Caso, Contesto, Circostanze. Per quanto mi riguarda, mi sono accorto, con grande amarezza, che il Caso (un evento sempre sognato e finalmente realizzato) in realtà non potrà mai verificarsi, perché sono sbagliati il Contesto e le Circostanze... Ne è derivata la necessità di abbassare il capo e di intrecciare le mani dietro la schiena ormai rigida e ricurva (ho 2 anni più di te), per riprendere il mio lungo viaggio in un lento calpestio sul malinconico sentiero delle foglie ingiallite... Grazie, comunque, per avermi fatto sentire davvero importante

270 Porto Badisco Un pendolare asincrono D alghe affioranti. Riflessi di madreperla Da una patella vuota. Aridi scheletri di ricci, Gigli, asteroidi, Convoluti ippocampi. Sulla ciottolosa battigia La frusciante risacca Sfiora corpi di seta Abbandonati al sole. 270

271 Badisco e ricordi Una fiaba - vera - che profuma di poesia Un giorno di tanti anni fa, all uscita dalla scuola, in via Riccardo Rubrichi, l anziano pescatore decise di raccontargli l emozione che gli nacque nel cuore, in una mite notte di maggio, al cospetto della sua dolce Principessa della Luna: "Prendi il mio tempo e portalo con te. Fanne l'uso che credi. Trattalo se vuoi come un foglio di carta straccia, ma portalo con te, dovunque tu vada. Solo così sarò certo di restare sempre accanto alla donna che amo". Quello stesso giorno, all imbrunire, prese la sua barca, vecchia come lui, e cominciò a remare e remare lentamente, fin oltre l'orizzonte; poi si inerpicò lungo la scia luminosa della luna e sparì, lassù, a vivere finalmente il suo sogno... Quel tenue poetico messaggio d amore lo accompagnò durante la fanciullezza e l adolescenza, durante la quale però la sua timidezza gli impedì di coronare il suo grande sogno d amore Passarono gli anni e i colori accesi di questa e di tante altre vicende fantastiche della fanciullezza e dell adolescenza si stinsero lentamente, ma inesorabilmente, sotto l effetto varechina della vita da adulto: il grigio fumo dello stress e degli affanni quotidiani riempirono di immagini in bianco e nero ingiallito l album dei ricordi da destinarsi alle generazioni future... S incamminò sull'incerto asfalto che conduce in discesa al porticciolo di Badisco e intravide un esile figura di donna che procedeva davanti a lui, lentamente, a braccia conserte. Riconobbe quell andatura ed ebbe un sussulto: era lei, proprio lei, dopo tanti anni!... La raggiunse. Si fermarono a parlare seduti sul muricciolo per ore ed ore. Venne a distoglierli da quell aura di magia una proterva oscurità, sia pur temperata dalla scia d argento della luna sul quel mare piatto e quasi sonnacchioso. Si separarono a fatica e controvoglia, ma certo non senza un evidente imbarazzo... Nonostante ne avessero avvertito entrambi forte il desiderio, non riuscirono a scambiarsi nessun bacio, nessuna carezza, nessun arrivederci... Lui però si illuse che quell attimo di magia potesse ripetersi presto e progettò un piano ad effetto che l avrebbe portata per sempre accanto a sé... E tornò sul vecchio sentiero, giorno dopo giorno, finché un pomeriggio, come in una fiaba, lei riapparve... Ovviamente cercò di ricreare l armonia e la invitò a fermarsi, come quel primo magico giorno, di fronte a lui, sul muretto merlato del sentiero del porto, ma purtroppo tra di loro vennero fuori solo frasi scontate, inutili, quasi crudeli... Tornato a casa, accese lo stereo, sprofondò stancamente sulla poltrona e, sollevando lo sguardo verso il soffitto, per seguire, come Eugenio Montale in Nuove stanze, la sinuosa scia giallastra della sua Galoise, al greve rintocco della martinella gli tornò alla mente uno degli ultimi preziosi insegnamenti ricevuti dell anziano pescatore: Sappi che per tutti c'è un tempo per sognare, uno per vivere ed uno per ricordare: quando i ricordi prevarranno sui sogni, capirai di essere magari vicino alla morte, ma potrai continuare a vivere persino in armonia nutrendoti dei tuoi ricordi più belli; forse con un po di rammarico o con tanti rimpianti, questo sì, ma se non avvertirai alcun rimorso, sarà già tanto. Le vicende della vita non si ripetono (quasi) mai, ma quelle che contano restano immortali, scolpite per sempre nella memoria... Poi tornare a sedere, sul molo: 271

272 sentirla, presente, e capire che il tempo ch'è andato non tornerà più

273 La rada di Porto Badisco S apre un varco tra le rocce il mare, lungo il canalone, tra le grotte scavate dal tempo, dimora dell uomo, che i cervi cacciava, con i dardi di selci affilate. Oggi, i bagnanti affollano lieti gli scogli vetusti di Porto Badisco, quello stesso che accolse l Eroe; quell eroe che, crudele, la dolce Didone sedusse. Virgilio, perché? Pria gli Ittiti e gli Elleni e Bisanzio ne furono avvinti; indi i Mori, al saccheggio votati, nel nome d Allah. Ma per noi resterai solo e sempre la nostra Badisco, dove il dolce profumo d un tempo ritorna alla mente, ogni volta che vengo quaggiù. È lieve, il ricordo! Le sue labbra socchiuse tremanti: il suo primo bacio! Poi, tornare a sedere sul molo : sentirla presente e capire che il tempo ch è andato non tornerà più. Testimone di fulgide gesta d immemori eroi; di ricordi importanti di gente soltanto comune. Qui la luce dell alba per prima raggiunge l Enotria; ma la notte non mette paura : sorride, la luna, e la gente - rapita - l osserva cullarsi sul mare. E la Porta d Oriente socchiude pietosa i battenti: sì, la rada di Porto Badisco t invita a sognare! 273

274 La ragazza che salvò la Terra Il mio nome è Pijull Ludel Kamboumba e sono un anziano pescatore dell estremo lembo settentrionale del Camerun Un pomeriggio, mentre mi trovavo a pescare in uno dei pochi anfratti ombreggiati del magico Lago Ciad, fui testimone di un fatto incredibile, assurdo, prodigioso Dal ventre del lago venne fuori un enorme astronave che si sollevò a circa 100 metri d altezza, restando sospesa in cima ad uno spesso fascio di accecante luce azzurrognola Ad un tratto, dopo un tempo indefinito, comparvero, come dal nulla, decine e decine di umanoidi, esseri in fotocopia, sinistramente inespressivi, alti 10 metri e più, che si diressero lentamente verso l astronave Lasciavano la Terra, per fortuna! Uno degli alieni si accorse della mia presenza ed invertì i suoi passi, dirigendosi verso di me: restai come paralizzato dal terrore, con la canna tesa, senza neppure trovare la forza di tirar su la preda appena catturata L alieno notò il mio terrore e volle subito tranquillizzarmi, emettendo un sibilante, metallico: Non aver timore, Pijull! Non voglio farti del male. La cosa non mi tranquillizzò affatto, anzi pensai a come avesse potuto, quel tale, conoscere il mio nome Noi siamo in grado di leggere nel pensiero mi disse allora l alieno, interrompendo le mie penose, tremebonde riflessioni. Non eravamo finora riusciti, invece, a leggere dentro il vostro cuore, ad interpretare le vostre emozioni e non riuscivamo a capire perché, pur vivendo sul pianeta più bello ed ospitale dell intero sistema solare, vi eravate avviati verso la distruzione, com è avvenuto, prima della Terra, per Marte, Venere e Mercurio Ma chi siete voi? Da dove venite? E che cosa siete venuti a fare qui, sulla Terra? Siamo i guardiani del Sistema Solare, soldati saturniani inviati dal Signore delle Galassie per sorvegliare le varie civiltà degli esseri più evoluti, con il mandato di punire le civiltà ignobili, fino alla totale distruzione dei loro pianeti È già successo così per Venere, il pianeta gemello della Terra, un tempo abitato da una civiltà di esseri dotati di grandi capacità, che però cominciarono ad usare contro i propri simili, fino a ridurre il pianeta in un immenso deserto infuocato, solcato da fiumi di lava e spazzato da terrificanti tempeste di vento Analoga fine ha fatto la civiltà di Mercurio, la stella del mattino e della sera, così cara ad Hermes, il servitore degli dei dell'olimpo, latore di sogni e di speranze, custode d arte e tesori, guardiano della notte Anche i Mercuriani si sono autodistrutti, avendo deciso di avvicinarsi piano piano al Sole, al fine di impadronirsene; ed allo stesso modo dei Mercuriani, nemmeno la grande civiltà marziana, quella che qui vi ostinate a catalogare come fantascienza, ha saputo tenere a freno l insana tentazione di sostituirsi a Dio ed è riuscita nella folle impresa della totale distruzione biologica, con la sola eccezione di un unica testimonianza vivente, che abbiamo inteso lasciare come guardiano del pianeta: il poeta Jedèm La Terra è oggi, con Saturno, l ultimo pianeta del Sistema Solare ad essere ancora abitato, perché nel passato ha saputo esprimere grandi spiriti, che hanno avuto il merito di capire quanto grande fosse la distanza tra l uomo e Dio e quanto lungo sia il percorso verso il Cielo. Da qualche tempo, però, la Terra dava segnali di grave decadimento di valori etici e civili, di esasperazione del narcisismo e dell egocentrismo, di indifferenza rispetto alle sofferenze dei deboli e siamo perciò sbarcati alcuni giorni fa, per verificare se anche su quest ultimo pianeta saremo costretti ad anteporre la locuzione 'fine della' a quella di 'vita terrestre' All inizio ci siamo recati nel Medio Oriente ed abbiamo visto uomini ignobili procurare stragi di migliaia di innocenti nel nome di un Dio dalle 274

275 mani rese sporche e untuose dal petrolio; poi ci siamo infiltrati nei palazzi dei potenti della Terra, dove si predica pace e prosperità, ma poi si sta ben attenti ad apporre un "opportuno" veto (che strano parlare di "diritto di veto", non credete?), quando occorra garantire il mantenimento dello status quo, pur sapendo di mandare a morte certa, per fame e per sete, milioni di bimbi innocenti, per la sola colpa della tonalità cromatica della loro pelle Infine, per completare la nostra indagine, abbiamo voluto visitare la patria di Leonardo da Vinci e lì abbiamo assistito al trionfo della follia, di una follia lucida, perversa, colpevole e omertosa, con ipocrite leggi sulla sicurezza adottate al solo scopo di segregare, ghettizzare, espellere; perché la povertà e la miseria sono cose "sgradevoli" e vanno eliminate, rimosse Per evitare una soluzione terribile, ho convinto i miei compagni a lasciarmi fare un ultimo tentativo, al fine di trovare disperatamente un appiglio, un motivo valido per non distruggere la vita sul pianeta; così, assunte sembianze e dimensioni umane, ho bussato a 10 porte, descrivendomi come un viandante pellegrino alla ricerca di un tozzo di pane e di una caraffa d acqua, ma le prime nove porte mi sono state sdegnosamente richiuse in faccia All ultimo tentativo, però, mi ha accolto una stupenda e contagiosa risata, reazione che ho considerato del tutto appropriata alla vista del mio assurdo armamentario da antico cercatore d oro del Klondike; così, dopo avermi chiesto scusa una mezza dozzina di volte, la splendida ragazza con un sorriso disarmante mi ha voluto a tutti costi invitare a pranzo accanto ai suoi familiari, facendomi con questo capire che in fondo l umanità non era poi ancora morta del tutto, sulla Terra Mentre ero intento a divorare la gustosa minestra di ceci (altro che i miei pasti micronizzati di Saturno!), con la coda dell occhio ho osservato la ragazza dirigersi verso la finestra e sollevare lo sguardo verso un cielo ricolmo di greggi di nuvole biancastre, che si rincorrevano caoticamente, sospinte dal vento Al termine del pranzo, l ho raggiunta alla finestra e, incuriosito dal suo comportamento, le ho chiesto cosa stesse osservando. Ho avuto così l occasione di conoscere il suo nome Daisy e i suoi sogni, quelli di una ragazza ormai donna da tempo, ma rimasta ancora una tenera fanciulla nello spirito e, come tale, alla disperata ricerca di un emozione tenue, dai contorni pastellati, ma decisi, ricolmi dei profumi intensi dell estate e dei suoni della terra, del mare e del cielo Le sono rimasto accanto stupito ad osservare l armonico moto delle nuvole che sembravano danzare eseguendo i suoi ordini, come quando ha impartito loro di volare e subito sono apparse due lunghissime ali bianche spiegate, come se fosse davvero il tenue volo di un dolcissimo Angelo; poi, avendo deciso di lasciare impresso nel cielo l oggetto dei suoi sogni, ha pregato il suo Angelo Custode di muovere con il dito due fronti di nuvole, affinché, incrociandosi, lasciassero ben visibile nel cielo un segno tangibile delle sue mai sopite speranze: un piccolo spazio azzurro a forma di cuore, dal significato universale, inequivocabile, eterno Al termine di quella straordinaria ed irripetibile esperienza, tornai dai miei compagni, ma mi accorsi che quel piccolo spazio tra i due fronti di nuvole, quello strano cuore azzurro, in realtà era il mio cuore Il mio cuore era rimasto accanto a lei e lo resterà per sempre Caro Pijull, tu sei certamente un uomo fortunato, perché un giorno potrai raccontare ai tuoi nipotini la storia di Daisy e del Saturniano. Quella ragazza non saprà mai di aver salvato la Terra, né mai saprà, purtroppo, di come e quanto mi sia entrata nel cuore E con questo, cari amici, il vostro Pijull ha assolto il suo compito di raccontarvi la storia (vera) di Daisy e del Saturniano. Se vi capitasse di incontrarla, ringraziatela per aver salvato la Terra e fatele sapere che quel gigantesco e temibile (ma, in fondo, bravo e buono) essere alieno ha capito da lei quanto possa essere bella la vita. Ciao! 275

276 Riflessioni crepuscolari La primavera batte le delicate nocche sull uscio di un inverno sempre più breve e sempre più strano. Cammino assorto e solitario sulla sabbia nerastra e sui ciottoli levigati della piccola insenatura di Porto Badisco. Procedo lento. Mi precede l ombra dei miei pensieri, che marciano a passo spedito. La mente vola nello spazio (verso il Nord), e nel tempo (verso il passato). Verso un altra spiaggia, un altro mare, una lunga, interminabile distesa al confine con la Romagna. E il sibilo del treno in parallelo Ero arrivato in treno. L avevo intravista dal finestrino intriso di nebbia con quel suo buffo copricapo di lana. Un immagine antica. Un regalo della nonna, credo, lavorato ai ferri. Un sorriso smagliante e un immagine nuova. Un regalo del Cielo, credo, un dono del Creatore. Una rapida fuga in quella sua minuscola automobile gialla. Un allegra macchia di colore a penetrare il triste grigiore di un inverno tutt altro che rassegnato a cedere il passo. Il suo bel visino serio serio, tutto concentrato sull asfalto. L esplosione del suo disarmante sorriso, a tratti, dedicato a me, solo a me, mi trapassava come una freccia appuntita. Un emozione intensa. Il mio cuore in tumulto. Un castello merlato da fiaba arroccato su uno scosceso dirupo, quasi proteso sul mare. La striscia bianca discontinua sull asfalto scandiva gli istanti che ci separavano dalla meta. Una breve fermata in un bar per un rapido caffè. La meta. Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. Una melodia celeste. Cena al lume di candela. Grigliata di carne al sangue: nessuna indulgenza alla poesia. Due sguardi complici si incrociavano, rincorrendosi. Caffè sorbito in fretta. Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. E non solo. In un crescendo rossiniano. Una notte intera con Morfeo in castigo. Le prime luci dell alba. Un breve riposo dei corpi. E della mente Cappuccino e cornetto. Fetta biscottata intrisa di miele millefiori. Caffè. Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. Ripresa della melodia celeste. Pranzo: accurata scelta del tavolo più appartato, con vista sul mare. Un primo gustoso. Bisogno di zuccheri. Frutta e dessert. Breve indulgenza alla poesia. E due sguardi complici che riprendevano ad incrociarsi, rincorrendosi come due bimbi sul prato. Caffè sorbito in fretta. Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. E non solo. In un crescendo rossiniano. Un ciclo interminabile, sempre uguale, ma tutt altro che stucchevole. Festa dei sensi. Lo spirito in esilio. Il quarto giorno prese a piovere. Le tipiche, melense lacrime dell addio. Il ritorno in treno, in dormiveglia, senza pensare a nulla. Quasi vent anni da quei giorni. Un pensiero sortito dal nulla: il suo sorriso. Non ricordo quasi nulla del suo corpo; ma mi tornano chiari alla mente i suoi sogni. Le isole della Croazia. Le Nuvole di Aristofane. Il volo elicoidale dei gabbiani. Il dialogo sul dualismo manicheo congenito e immanente nell uomo (e nella donna). Il suo sorriso spontaneo e suadente. Il fuoco ormonale della maturità mi aveva obnubilato la mente. Nascosto la vera essenza. I giovanili (meglio, infantili) epidermici entusiasmi mi avevano impedito di percepire l evidenza. 276

277 Non ero riuscito, quando potevo, a nutrirmi della sua anima e girovago, oggi, come un ectoplasma, intorno al giardino metafisico delle mie urne cinerarie, dove l unico suono è il vento. Ho avvertito forte la necessità di dirle quello che ho provato, ma che non riuscivo a decodificare. Gioco un contratto tirato: 4 cuori, con venti punti e nove atout. Il nodo del contratto è, come spesso accade, la dama d atout. Metto a terra l asso e cerco poi di catturare la regina lasciando girando una piccola per il fante. La dama di cuori compare irridente sull uscio e mi pugnala. Guardo le stelle, sconvolto da un angosciosa sensazione di abissale disfatta: la mia amara Waterloo si materializza in un corretto: La regina di cuori era lì, a tua completa disposizione., seguito da un laconico: Era molto semplice, ma a te non bastava. Volevi strafare. Avevi deciso di catturarla irridendola, come una preda predestinata in un agguato E lei ti ha punito! Pleonastico, urente, lancinante. Come una fiamma viva su una ferita da sempre aperta Le lucide urne, ancora vuote, mi attendono. Sto arrivando!.. Passi stanchi e lenti sopra una splendida spiaggia, oggi grigia, del Salento, dove si giace lo scheletro immobile d un vecchio glorioso gozzo da pesca, oggi inutile fasciame. Dove soffia il maestrale e le argentate nubi all orizzonte si rincorrono lente e maestose Che vuoi che sia la morte? Un imenottero che si fa strada tra la sabbia sferzata dal vento. Una luce che si allontana. Un manto nero che s avvicina e mi si accosta: prego, s accomodi! Affido a questa piccola bottiglia telematica un insolito messaggio d amore; d un amore impossibile, perciò immenso. Ma pur ridotto a inutile fasciame, osservo la fine in fiducioso silenzio Perché so di sopravvivere: questo lo sento, senza forse poter levare mai più lo sguardo verso il cielo. Non importa. Certune sensazioni è meglio tenerle silenti. Scusami, perciò, se ho osato esternare qualcosa che non è in grado di vivere, perché respira, questo sì, e le batte il cuore, ma non avverte l attesa emozione di ritorno. E mentre tu, senza dubbio, con la tua suadente presenza hai rallegrato la vita di quell uomo fortunato che ti vive accanto, la luce della speranza, accesa dal tuo dolce sorriso, timidamente nascosto dietro una distesa di gracili steli di fiori di campo fruscianti al vento, si spegnerà per me, così, lentamente, come un informe mozzico di candela. 277

278 Oltre la mezzanotte L avevo sognata fin da bambino; vista, mai! La vidi per la prima volta sollevando distrattamente lo sguardo dalle mie tante carte disseminate sulla scrivania e, stringendole la piccola mano, fui percorso, da parte a parte, dal suo sguardo davvero unico: dolce e sereno, timido e deciso insieme Ebbi allora un déjà vu, come la percezione di averla già incontrata, con la sua lunga chioma nera fluente sulle spalle, accarezzata dal vento, in riva al mare, laggiù dove il Mar Adriatico s incrocia con lo Ionio, sul Canale d Otranto, verso il Capo di Leuca. Ero io, quel vento, e non riuscivo a fermarmi da lei. Con lei. Le mie carezze, tutte, vane. Le sue braccia incrociate sul seno prorompente, lo sguardo sollevato a seguire il lento incedere della luna piena a specchiarsi vanitosa sul mare. Il suo tenero, irresistibile sorriso da fanciulla Venne la notte, oltre la mezzanotte Corsa a piedi nudi sulla rada sabbia, per rispondere al fruscio del mare, sugli scogli. Raccolsi una conchiglia. Le parlai. Pronto. Sono a letto. Vorrei essere lì, addormentarmi con te. Silenzio. Un onda lunga, un suono sordo e prolungato. Tu non vuoi il mio corpo. Vuoi i miei segreti, le mie emozioni, la mia mente. Ovvio Silenzio. Alcune altre parole, importanti, banali, dimenticate. Un altra onda lunga. Un fragore sordo... Strano! Se vuoi il mio amore, forse lo avrai. Ma non farmi del male, ti prego, non farmene mai. Nessuna risposta, nessuna promessa. Quella notte scrissi, per lei, il primo dei miei solitari racconti notturni. Oggi, due lacrime enormi, in equilibrio instabile, nell incavo degli occhi, sull orlo dell abisso. Immobili. Incredule. Una caduta greve, lenta, interminabile. Due piccole gocce sapide, ormai basse onde concentriche, si perdono nel mare Oggi ho capito, finalmente, cos è il mare: un immensa distesa liquida, formata dal pianto tardivo di tanti, tantissimi imbecilli come me, ma certo di me meno colpevoli. Sono un inetto, incapace. Il sentimento è poco esperto in calcoli ed esternarlo può provocare grossi guai; ma tenerlo prigioniero imbavagliato, stretto nel seno, è quanto peggio si possa fare per riuscire a farsi del male Laggiù, all orizzonte, i primi tenui chiarori dell alba tratteggiano i contorni netti delle montagne d Albania come orribili spettri errabondi, generati dalla mia inconsistenza Il tempo si è fermato di fronte alla menzogna. Il mio cuore è esploso 278

279 Ritratto di Uggiano La Chiesa Un albero di fico si staglia nel deserto, Dietro un muretto rustico, a secco pure questo. Lucertoline verdi che fanno capolino Tra i rovi delle more, qual provvido riparo. Paesaggio delicato, eppure a me sì caro, Perché del tempo andato segnasti il mio destino, Di certo altalenante, ma pure così onesto, Con le cicale in coro, in questo spazio aperto. Dal cuore del paese s innalza la tua chiesa, Abbarbicata al cielo, nel segno del Signore: A Te, terra cristiana, per anni vilipesa, Intono questo canto, ch è parte del mio cuore! Girolamo, il poeta, che qui vide i natali, Quel Comi che, pur orfico, non ritrovò Euridice, Contro il peccato cosmico scagliò i suoi aguzzi strali: Come innestare i versi miei su questa sua radice? Vorrei solcare i vertici dell universo intero; Le grigie e dure note di quest essere rude Vorrei scortare al pascolo del lirico sentiero: Parole non più futili, ma rigogliose e nude, D amor per la mia terra, messaggio trasparente, Come i colori fulgidi dell albeggiare a oriente 279

280 Bobo, una vita sotto i ponti Mi chiamo Bobo e vivo sotto i ponti alla giornata, come un clochard, lungo le alte coste del Basso Salento, tra le profonde, antichissime gole di Badisco e del maestoso e spaventoso Ponte Ciolo. Chiamatemi pure morto di fame e adesso, peraltro, non potrei che darvi ragione, ma sappiate che le mie origini sono prestigiose: mio padre era un austero e compassato londinese e mia madre una splendida irlandese, dal rosso crine e dai modi dolci ed affabili, ammirata e riverita da tutti. Personalmente, credo di aver preso molto da lei, come carattere intendo, sebbene per il mio aspetto io sia la fotocopia di mio padre. Tanto tempo fa, la mia dimora era un maestoso e misterioso castello immerso nel verde silenzioso delle highlands scozzesi, tutto pieno di pregiatissime tende di seta tibetana e di ricami ricercati, con un enorme salone centrale, nel quale campeggiavano i solenni e, a dire il vero, un po' spocchiosi ritratti degli avi dei nostri mecenati, i signori Ferguson, maestri liutai da sette generazioni. Un imponente tavolo di palissandro era sempre imbandito con tovaglia e tovaglioli in lino ricamato di gran pregio, argenteria di altissimo valore e persino i bicchieri ed i boccali dell'acqua e del vino erano tutti di preziosissimo cristallo di Boemia. Grandiose feste da ballo con centinaia di invitati e luculliane cene con tanti prestigiosi ospiti mi videro per anni attore e testimone; poi, un bel giorno, i Ferguson decisero di fare un viaggio, un lungo viaggio nel Salento e mi portarono dietro, senza anticiparmi nulla. Durante il viaggio appresi che avevano deciso di acquistare una masseria dalle parti di Andrano per passarvi il resto dei loro giorni, convinti in tal senso da una coppia di amici che avendo già preso da un paio d'anni analoga decisione, manifestava grande entusiasmo per quella nuova e più a misura d'uomo scelta di vita. Dopo una breve e facile trattativa, la masseria passò di proprietà dei Ferguson, che si attivarono subito per renderla più confacente alle loro esigenze, pur cercando di lasciare inalterata tutta quella sua magica e poetica salentinità. Passammo insieme due anni davvero favolosi, ma poi, verso la fine del millennio, la crisi, le tasse sulla casa, gli scandali quotidiani e il malaffare cronico della politica italiana indussero i cari Ferguson a vendere tutto e a ritornarsene in patria. Innamorato perso del Salento, decisi di non seguirli e di restare, ma, senza mezzi e senza aiuti, mi ritrovai a (soprav)vivere alla giornata, sotto i ponti, in scomode ed inospitali dimore di cartone che cercavo invano di rendere più accoglienti con brandelli e stracci di lana unta e bisunta raccolti qua e là... Ma, in fondo, non sono mai stato un tipo di grandi pretese io e, perciò, mi basta quel poco che ho e mi accontento... A volte, al risveglio, mi ritrovo accanto un'auto giunta non si sa da dove, nel cui interno un uomo ed una donna, nudi, fanno l'amore, con i vetri tutti appannati dall'interno per i loro respiri... Ma non posso certo lamentarmi, proprio io, che tante volte ho fatto l'amore all aperto, sotto il sole o le stelle, nel bel mezzo della strada, senza provar vergogna, perché noi siamo pacifisti nati ed infatti il nostro motto è: Facciamo l amore e non la guerra! Accade pure spesso di vedere due tizi litigare come pazzi furiosi sotto il ponte e di sentire uno dei due gridare all'altro: Figlio d'un cane, resti un gran bastardo!... E non capire, in fondo, dove cazzo sia l'offesa Me la prendo moltissimo, invece, e gli ringhio contro rabbioso tutto il mio disprezzo, quando qualcuno mi si rivolge contro e mi dice: Cane 280

281 bastardo, figlio d'un cane! Ma come si permette, quel figlio d uno stupido ed indecente essere umano? Sapete, per noi è una questione di principio, ragazzi! Mica governiamo col porcellum, noi cani! Mi chiamo Bobo e vivo sotto i ponti, alla giornata 281

282 Alleg(o)ria (La città fantasma) Terra d Abruzzo, Anno Domini 999. Nel fertile beneficio di Lanciano viveva, in quei tempi foschi e bui, una giovine fanciulla di assoluta beltà. Il suo nome era Giuditta, dell antica Gens Paulina. La fanciulla era a tutti nota come il Dolce angelo del mare, per il suo radioso aspetto e il suo regale incedere per le vie del borgo, al ritorno dal lavoro, sotto uno stuolo di sguardi ammirati, affatto celati dalle purpuree ultime fallaci ombre del tardo tramonto. Dopo aver passato ore ed ore a stilare preziose traduzioni dalle grandi opere di poeti e letterati russi, la bella Giuditta attendeva, con amorosa cura, all assistenza dell anziano genitore, gravemente malato, ormai persin malfermo sulle ginocchia Molte decine di miglia a sud, nell arido eppur fastoso feudo della Porta d Oriente, aveva dimorato, fino a pochi lustri prima, un ebanista di eccelso valore, al punto che la sua arte fosse stata richiesta fin nelle remote lande dell Etruria e che lo stesso imberbe Imperatore Ottone Terzo continuamente, ma altrettanto vanamente, ne avesse invocato i servizi. Il suo nome era Ulderico da Castelnuovo. La vita di Mastro Ulderico era stata prodiga de grande opulenza, condizione assai rara in quei tempi duri e grami: per sua dimora, una sfarzosa magione, proprio sulle docili rive del pescoso lago salmastro Alimini Grande. Decine e decine di laboriosi servitori e sciami di lussuriose cortigiane ne avevano documentato e la ricchezza ed il degrado Venne il giorno, tuttavia, in cui Ulderico, stanco dalla sua scellerata esistenza, decise che era giunto il momento di ritrovar se stesso, lungi dallo sfrenato degrado della sua tanto fastosa quanto lussuriosa corte. Donati tutti i suoi averi alla servitù, impavido diresse verso la Toscana, per raggiungere il mitico Colle de l Oblio, il cui sol nome incuteva terrore fra le genti e di tutte le contrade della Garfagnana Per cinque lustri, Ulderico visse in assoluta solitudine alla disperata ricerca di una valida risposta al molesto eppur ineluttabile quesito: Ma chi sono, io? E dove vado?, cui gli uomini tutti e le madame di questa terra chi prima, chi poi il Fato espone Cercare una risposta: è solo questa delle umane genti la ossessione esistenziale! Vado a cercar la vera essenza della mia esistenza. aveva confidato Ulderico all anziano e fedele servitore Clodoveo. Dalla vetta dell irto colle, Ulderico aveva a lungo seguito il migrar delle pèrdici; osservato il cader delle foglie nel cinereo autunno e il rifiorir dei prati al primo sole della primavera; ascoltato l assiduo insolente frinire del grillo in estate e lo strepitare gemente delle fronde sotto il duro premer del cauro; avvisato l olezzo soave delle maie rose silvestri e quello, intenso e deciso, dell erba inumidita dalla rugiada settembrina Per tante volte si era sentito sul punto di aver trovato la fatal risposta, ma altrettante volte si era sentito il seno costretto da un penoso sentimento di assoluta impotenza, che via via lo aveva ridotto in uno stato di assoluta prostrazione Comprese, dunque, che era giunto il momento di farsi coraggio e di affrontare senza indugio alcuno il sommo esame: ricercare le proprie radici all interno della tremenda Selva d Aveirone, infestata narravano dai mali spirti! Contemporaneamente, a settentrione, il perfido Fato si era brutalmente accanito contro la giovane madama, sotto l aspetto di una enorme gangrena del piede destro dal tanto amato 282

283 padre suo. Il cerusico del contado, chiamato a domicilio per il consulto, emise il temuto, ineluttabile verdetto: Il piede destro è ormai morto e vuole richiamar con sé l intero corpo. È necessario, perciò, e senza indugio alcuno, procedere alla sua amputazione. E amputazione fu! Passavano i giorni e la dolce fanciulla non riusciva più a sostenere il ferale aspetto del suo povero genitore, ancor più immelanconito dall orrenda mutilazione. Giuditta pensò quindi che fosse giunto il momento per far qualcosa: ma cosa, cosa? La risposta ci viene fornita da un prezioso, seppur consunto, documento in paleo-volgare, ritrovato per caso tra i libri più antichi della cattedrale di Otranto; il suddetto documento riporta quanto segue: Sic proposito Madonna Giuditta arditer tenit ad remedium expetendum, ut misero pater suo se ipso erecto manere posse Qualcuno prosegue il documento le disse che un sol uomo sulla terra avrebbe potuto risolvere quel suo grande problema, ma costui viveva ormai da misantropo, lontano da tutte le genti, in una gelida e misera spelonca dell inaccessibile Colle de l Oblio, lassù in Toscana, a nord della valle del Serchio. Solo Mastro Ulderico da Castelnuovo sarebbe potuto riuscire a risolvere il tuo problema, mia dolce signora; perciò deponi ogni speranza e affidati a Dio!. Nondimeno, la coraggiosa Giuditta disattese il saggio consiglio e decise di recarsi impavida verso l orribile colle, in un gelido meriggio dicembrino Ulderico, nel frattempo, si era ormai incamminato con passo deciso verso la tremenda selva, lungo il limaccioso e scosceso sentiero, scavato dall improbo, incessante e paziente lavorio del fiume. Incontrò dapprima una raganella verdognola, che gli gracidò qualcosa di molto simile ad un vigoroso incitamento. S imbatté, di seguito, in un colubro nero, che ne accolse festoso il transito, descrivendo spiralate volute, prima d occultarsi nella melmosa tana. Giunse, alfine, al cospetto d un salice piangente, che levò benevolo le fronde al suo passo: era giunto, quindi, sulla mitica soglia della tremenda selva! Il timore si era tramutato in terrore, ma il salice manteneva ben alte le fronde, quando una nottola grigia lo incitò ad entrare. Uomo sei tu, o pavido fanciullo? Entra e prosegui la ricerca, dunque!. Varcata la soglia, Ulderico s accorse, con stupore buono, che i pur pallidi e tremuli raggi dell amica luna ne avrebbero potuto guidare il passo certo; allo stesso tempo, la ferruginea civetta lo distolse dalle sue affabulazioni: Non troverai te stesso, in questo luogo, ma le note per ricercarla, poi, la retta via. Che vai cianciando, stupido pennuto della notte? Non sai ch io sia, né cosa sto cercando, in fondo, in questa oscura selva!>>. So ben che cerchi la tua vera essenza, o almeno un senso a questa tua esistenza Nel frattempo Giuditta aveva cominciato ad inerpicarsi faticosamente, ma risolutamente, tra gli scoscesi dirupi dell aspro colle, proprio nei giorni in cui l Anno del Signore 999 cedeva il passo al temutissimo nuovo millennio. La candida fanciulla ebbe modo d imbattersi in una volpe dal ceruleo manto e le chiese notizie sulla dimora di Mastro Ulderico, ma costei, mendace com è per sua natura, le indicò la direzione per la tremenda selva Ulderico si era seduto sul margine del placido laghetto ad osservar rapito la sfavillante oscurità del cielo, in quella insolitamente mite prima notte del novo millennio Fu la 283

284 nottola, ancora una volta ci informa il manoscritto, a sottrarre il nostro eroe dalle sue nuove, dolci e grate affabulazioni: Qualcosa di grande ti è sempre mancato, amico mio! Gola e lussuria non potranno mai soddisfare quell uomo, che intende saziare solo la sua anima. Tu affermi, quindi, che non riuscirò mai a trovare una risposta certa al mio sommo quesito?. Tutt altro, pover uomo! È qui, sappi, a te molto vicina, quell ultima occasione della vita!. Non ti capisco affatto. Il tuo discorso è duro, per l intelletto mio. Suvvia, mia cara amica, dimmi qualcosa in più!. Sì, te lo voglio dire: la fretta è grande errore; la calma, la virtù! Vedrai che, prima o dopo, lo capirai anche tu! Vorrei crederti, ma per tanti anni, ormai, ho raccolto soltanto il cinereo nulla!. Socchiuse gli occhi, Ulderico, e cercò di pensare, ricordare, comprendere, mentre una mite brezza prese a frusciare fra le frondose appendici delle secolari querce Maestro! Maestro Ulderico! Dove sei, Maestro Ulderico?. Quel dolce richiamo nella silente e placida notte della selva sottrasse Ulderico dalle sue nuove profonde affabulazioni, al punto che si guardò attorno e si chiese: Chi sarà mai? Non sembra una voce umana, ma quella di un Angelo No, sarà certamente un altro sortilegio del Bosco d Aveirone!>>. Maestro! Maestro Ulderico! Dove sei, Maestro Ulderico?. Egli giace seduto sotto il grande platano ombroso, proprio sul limitar del lago. Oh, ma chi sei, tu? Una ninfa dei boschi?. No, sono solo una piccola vecchia nottola grigia. Orsù, corri da lui, dolce fanciulla!. L apparizione fulgida del dolce Angelo del Mare scosse non poco il pover uomo, che perciò rimase istupidito a guardare i suoi flessuosi contorni resi argentati dall amica luna. Superato l attimo di comprensibile smarrito stupore, le chiese: Chi sei tu, gentile madonna?. Ti cercato per monti e per valli, Maestro Ulderico. Il mio nome è Giuditta ed ho bisogno della tua grande abilità di ebanista. La giovane madama rese edotto Ulderico delle sua necessità: un valido sostegno d ebano per l amato padre monco. Il richiamo del tanto malinconico quanto dolce sorriso della splendida donna travolse completamente Ulderico, al punto che assentì immediatamente alla sua richiesta e con lei si mise in viaggio verso l Abruzzo. Improvvisata una piccola ebanisteria, il vecchio Ulderico si mise subito all opera e lo fece senza interruzione, per cinque giorni e per cinque notti, animato dalla speranza di poter rivedere, ad ogni tramonto, Giuditta, in trepida attesa del bramato ausilio. Qualcosa era cambiato: ciò che aveva cercato sull aspro colle, era lì al suo cospetto senza più ombre. Riposti gli arnesi dalle rugose mani, si mise a pensare: Dodici lustri vissi, vuoti e vani, al solo scopo di stupire le folle con lo splendor dei miei lavori. In realtà, sono riuscito a realizzare solo un informe, orribile coacervo di ricchezza e profumati unguenti dispersi nella cloaca magna d un esistenza insulsa!. E giunse, infine, il giorno della consegna. Oh, ma è un autentico capolavoro, Maestro Ulderico! Come potrò mai pagare il mio debito, per la tua splendido lavoro?>> gli si rivolse la giovine donna, dischiudendo le morbide labbra nel più dolce e lieve dei sorrisi. Veder felice un Angelo è il premio mio più dolce. Oh, caro e dolce maestro mio! disse, arrossendo, la splendida creatura. 284

285 Dio, come vorrei, Giuditta! fece Ulderico, cercando di confessarle un grande segreto così dolorosamente celato nel cuore. Cosa vuoi dirmi, Maestro Ulderico? incalzò la donna, prendendogli le mani tra le sue. Nulla, nulla! Vorrei, vorrei Devo tornare subito a meditare tra li sperduti sassi. Comprendo! Addio, caro maestro!. Addio, Giuditta! Ulderico riprese, dunque, la strada per il Colle dell Oblio, sebbene il suo primo impulso fosse stato restare in quelle miti terre, a rimirare la principessa dal sorriso triste tornare dal lavoro a casa ad ogni tramonto Bentornato, Ulderico!. Oh, cara la mia nottola grigia, unica amica mia! Sappi che alla fine sono riuscito a capire quello che mi hai detto sin dal primo giorno. Ebbene, un giorno vedrai la tua risposta dolce librarsi in volo verso la sommità del cielo. Non riuscirò mai a comprendere il senso recondito delle tue parole, amica nottola! Trascorsero i giorni, volarono via e l inverno e la successiva primavera. Giunse, alfine, l estate. Cadeva non a caso di domenica il giorno del Signore quella magica notte del 10 di agosto dell Anno Mille. Maestro Ulderico si era seduto sulla riva del placido lago, quando, nel cielo, verso oriente, apparve una miriade di strie luminescenti in furtivo declino verso il nero suolo. Che sta accadendo, civetta mia?. Sono gli angeli del ciel che scendono sulla terra. Ulderico non s era ancora ripreso dal magico stupore, che una stria molto più luminosa di tutte le altre si sollevò dal suolo e terminò il suo volo adagiandosi morbidamente sotto il margine inferiore del quarto lunare. Cos altro accade, adesso, civetta mia?. Quella stria era il tuo angelo, Ulderico. L ultima occasione che ti era volata accanto e che adesso se n è tornata il cielo. Da quella notte e per tante e tante notti ancora Ulderico continuo a sedersi sulla riva del lago ad osservare una vezzosa stellina scintillante sotto il soave profilo de l argentata luna Venne, poi, un giorno di pioggia uno di quei violenti e repentini acquazzoni dei tardi meriggi d agosto, che sorprese Ulderico, tutto intento at intagliare in mezzo alla selva la dolce immagine dell amata Giuditta sulla ruvida corteccia di quello che fu un tempo un orgoglioso carrubo silvestre. Il nostro eroe trovò riparo nel grande incavo del contorto tronco d un argosesia preziosa specie arborea ormai del tutto estinta, in attesa d un auspicato miglioramento della situazione Invano: la pioggia si mantenne insistente ed incessante per ore ed ore, per giorni ed giorni, per un intera settimana, finché Ulderico non s avvide atterrito che, dalla sommità del colle, formata dalla confluenza di una miriade di minuscoli rivoli, un enorme massa di limacciosa poltiglia scendeva tumultuosa e minacciosa verso la selva. Ebbe netta, in quello istante, la percezione della morte Solo un grande prodigio lo avrebbe potuto salvare! E prodigio fu, ci fa rilevare il manoscritto Cumuli, cirri e nembi vennero improvvisamente ed inesorabilmente squarciati dall aguzza lama dell astro dorato ed un immenso e variopinto ponte di luce si formò nel cielo per fornire ad Ulderico la via della provvida fuga. Il nostro non si lasciò pregare e prese a camminare lungo quel meraviglioso ponte di luce per ore ed ore, per giorni e giorni, per un intera settimana, fino a trovarsi al cospetto proprio di quella tremula stellina, che aveva 285

286 ammirato, per tante notti, timida ancella dell amica luna. Il bagliore abbacinante dell astro non gli impedì, tuttavia, di percepire un melodioso e dolce canto, che non gli parve ignoto: ma sì, sì, era proprio la voce della sua radiosa Giuditta! Non era più né lo era stata mai, forse l Angelo del Mare, la sua adorata Giuditta! Era un vero, un autentico Angelo del Cielo, invece; un angelo che, da lassù, ne aveva guidato il passo certo fin sulla vetta dell universo Qui si conclude il racconto del manoscritto, del quale il tempo o qualche mano scellerata ha strappato le ultime pagine C è chi giura, tuttavia, d aver in più occasioni assistito, nelle notti di San Lorenzo, alla prodigiosa apparizione d un magico ponte di luce, lungo il cui declivio, da una stellina sfavillante, mano nella mano, un anziano artigiano ed un angelo mirabile discendono sulla terra a divulgare dolci messaggi d amore, di pace e di prosperità There s a bridge made of light, that crosses between death and life, where shadows walk in the sun and desperate lovers run. (dal CD: BRIDGE ACROSS FOREVER Transatlantic) Babbarabbinus felix ridens 286

287 Il bosco d Aveiròne Il fruscio degli arbusti, tra i sentieri presunti d un bosco, violato dai raggi d un sole insolente. E rapace. È timido, il volo, tra i rami d un leccio, ch è ombroso, adombrato, tra luci di suoni assordanti, quaggiù, nel silenzio ferito, che gemere ascolti, in un lieve sofferto sospiro. E cattedrali gotiche, dalle guglie aguzze, che svettano orgogliose, elevandosi al cielo, verso la sommità della celeste calotta, tra le austere cime dei secolari abitanti della selva. E spazi virtuali, ad eludere tempi reali, ma immobili, pietrificati, nell inestricabile intreccio di questa serra, dove si giace poderosa la vallonea, la nodosa corteccia scavata dalla lunga militanza nel bosco d Aveiròne. Ed il vento s arretra, atterrito, da quel fronte compatto di fronde agguerrite. E sorveglia, l allocco, nel buio, tra bacche e cespugli, il riposo d un tale, d un uomo qualunque, che sogna, sereno, tra nugoli di nubi guerriere, ostile falange ammassata minacciosa all orizzonte. Un sognatore povero vecchio! deluso, perché è morente, oggi, il sogno, l antica grandezza dispersa nei meandri delle fiabe, o della storia. Eppur gli accadde, un giorno, di sentirsi vivo: un sorriso, uno sguardo, la lunga sua chioma setosa. Un Angelo vero, un corpo d amare: lei, Angelo soave, l Angelo del mare! Di fronte, la spiaggia. 287

288 Sui loro corpi, i pini, con gli aghi che cadevano: piangevano di gioia! Ci fu passione: ci fu passione e amore! Una carezza, una timida, dolce carezza sulla guancia. Un attimo eterno. Un ricordo infinito. Una storia intrapresa. Una storia finita Ora si giace immobile, disteso sul fogliame, nell attesa mesta d un torpido risveglio, che spegnerà per sempre i colori della fantasia. 288

289 Inimmaginabili verità storiche: le vere origini dell'uomo di Vitruvio e della Gioconda Secondo fonti probabilmente attendibili, l'uomo di Vitruvio sarebbe stato realizzato da Leonardo dopo un'abbondante libagione a base di uno squisito Brunello di Montalcino, sotto lo sguardo e il sorriso (non a caso enigmatico e giocondo) di Monna Lisa, tutta allegra e divertita per quel grossolano e scoordinato "flapping tremor" del grande maestro davanti alla tela; ebbene, a quell'irriguardoso atteggiamento della modella (che era davvero un gran bel pezzo di fi ehm, di figliola, credetemi, altro che un eunuco o un fanciullo dai lineamenti ginoidi!), il già assai furente Leonardo reagì distruggendo l'originario ritratto della signora (vedi foto in fondo), che fu così trasformata in quella donnona giunonica e volgare ("Così impari a ridere del tuo maestro, brutta stronza d una Monna Lisa!"), che ormai tutti conoscono... L uomo vitruviano La vera Monna Lisa Il Cardinale Richelieu Tornando al vero colpevole (o, se preferite, in base ai punti di vista, meritorio protagonista) dell'intera vicenda (il vino), la fama del Brunello si propagò, per merito di Leonardo Da Vinci, alle generazioni future, al punto che, durante l'assedio del 1553, la celestiale bevanda non mancò mai e il prode Biagio di Monluc, alla difesa delle mura montalcinesi, per dissimulare le sofferenze "si arrubinava il volto con il robusto vino", mentre nel XVII secolo, Armand Jean Du Plessis, Cardinale e Duca di Richelieu (vedi il ritratto in basso), ne ordinò ben casse per il matrimonio della sorella maggiore Françoise con René de Vignerot, signore di Pontcourlay. Gli storici dell epoca riferiscono che centinaia di invitati, sollevando ognuno una sciarpa viola, cantarono per giorni e giorni a squarciagola: "Oh, Fiorentina!", sotto lo sguardo estasiato e compiaciuto di Andrea Della Valle, il quale, da parte sua, saltando come un invasato, intonava: Chi non salta juventino è, è!. (Ebbene, per la cronaca, io non avrei saltato!) Che poi, però, poverino, ci ha pensato Bergonzi, l arbitro gonzo (e forse anche lui un po stronzo), a scippargli quella Champions che in fondo avrebbe meritato Passando ai giorni nostri, infine, vorrei citare due casi emblematici, che spero possano far capire quanto composita e varia sia la società contemporanea. Da una parte (il lato bello della medaglia), il nostro grande Lele Mastroleo ha postato su Facebook una serie di affabulanti pensieri enologici che hanno tutti il significato di un binomio inscindibile tra il (buon) vino (ed io, in particolare, vi consiglierei il negramaro e la malvasia nera del Salento) e l allegria; come rovescio (negativo) della medaglia a questa 289

290 lieta esternazione, c'è stato recentemente un impudente (ed impudico) salapuzio che ha espresso (ovviamente non sull Espresso, ma su Panorama) e dichiarato la volontà di inebriarsi in caso di debacle elettorale dei suoi avversari. Sarebbe il caso di verificare, tuttavia, che costui non sia fin d'ora (e, probabilmente, già da lungo tempo) totalmente inebriato... E per finire, vi prego di scusarmi per questa piccola e futile digressione storica: in genere scrivo solo "minchiate cambogiane". Ciao a tutti! Mini cambogianus ridens 290

291 Il mare Florio Santini È invito a partire, è sinonimo di viaggio, è l ingrediente necessario d ogni letteratura, che non sia solo esercizio accademico. Dico letteratura in senso di ossigenazione dell io singolo, di finestra aperta al nuovo, all improvviso, all imprevisto. Sedetevi in riva al mare, fissate le sue lontananze. Non sarà mai, per usare due termini di moda, una rivisitazione, una rilettura. Sarà, invece, un incontro volta per volta unico, che alimenterà quella funzione fabulatrice, di cui abbisogna ogni uomo che intenda essere vera-mente vivo e autentico. Avrei potuto intitolare queste riflessioni, volutamente brevi, offerte in forma dimessa ad un Amico, che ama il mare quanto e più di me stesso, Complicità psicologica dell elemento principe ; avrei però, in sede non adatta, complicato le cose. Basterà, alla fine, aver compreso le suggestioni che il mare, da sempre, esercitò sulla letteratura universale, divenendo, secondo i gusti d ogni popolo, ora sogno, ora metafora, ora spirito di speranza. Il mare, infatti, per qualunque scrittore amante del naturale o del fantastico in una, attento al timore ed al tremore esistenziali, fu sempre generoso di argomenti, di avventure, di orizzonti, di scoperte, dunque come volevasi dimostrare, di stati d animo. Del resto, per molti poeti andar per mare significò incominciare a scrivere. Il mare, inoltre, fu antologia e veicolo d usi e costumi, di leggende, di civiltà, di dolori, di gioie, di tragedie, di glorie. V è quanto basta. La letteratura marinara, pertanto, richiede autori inconsueti, non di con-sorteria, ovvero anarcoidi, perché in fieri continuo Di conseguenza, il mare cerca lettori anch essi ricchi d ispirazione, gente incapace di invecchiare, recidiva nel voler tutto vedere o, almeno, nel tentativo disperato, che non dispera di tutto vedere. Si pensi alle grandi storie emblematiche della marineria. Dal punto di vista mentale-intellettivo, oserei definire il mare, prendendo a prestito gli ambientalisti, una parola di uso medico: eubiotico, cioè alimento buono per un sano pensiero. Oserei così aggiungere che ha sull uomo un effetto catartico, purificante. Per questo noi dobbiamo adoperarci a diffondere una cultura del mare. Dire come in epoca nazionalistica che siamo stati un popolo di navigatori, non basta. Equivale all altra banale generalizzazione per cui non dovevamo essere un popolo di mandolinisti, bensì ricordarci d essere stati un popolo di santi. In realtà, noi italiani usammo semplicemente ed egoisticamente il mare, come già i mercanti fenici o i corsari saraceni. Dovevamo e dobbiamo prima amarlo; poi sfruttarlo. In letteratura, abbiamo appena gl ingenui romanzi salgariani, non certo libri come quelli di Joseph Conrad. Prendiamo un passo di Tifone, dove si ironizza all inglese sull impreparazione di un comandante: Notando che il barometro continuava a scendere, il capitano Mac Wirr pensò che doveva esserci attorno qualche tempaccio insolitamente brutto. La saggezza del suo Paese aveva stabili-to, mediante un atto del Parlamento che, prima di essere considerato idoneo ad assumere il comando di una nave nei mari della Cina, egli dovesse essere in grado di rispondere a determinate 291

292 domande sulle tempeste circolari (Il tifone, l evento sconosciuto si avvicina e Conrad, in due parole, descrive uno stato d animo, questa volta non esattamente letterario, né poetico.) Si accorgeva, comunque, di provare un certo disagio a causa dell umida calura. Uscì di plancia e non trovò sollievo alcuno a quell oppressione. L aria sembrava densa. Non ditemi che qui siamo nei mari del Sud; il mare insegna sempre e dovunque, seleziona le capacità, giudica definitivamente Forse per questo, la stessa prosa che lo descrive non ama fronzoli tardo-romantici. Il fatto è che gli stati d animo suggeriti dal mare sono sempre virili, senza compiacenze liriche. L Oceano, come ne Il vecchio e il mare di Hemingway, sa di poter divenir presto, da gentile, d un tratto brutale; insomma, per dirla alla maniera dei pescatori spagnoli, da La mar al femminile a El mar al maschile, quasi fosse un personaggio vivente. Eppure, nei suoi confronti (qui sta a mio avviso il valore educativo, se non etico, del mare) è impossibile ogni astio, ogni sentimento di vendetta: Ero andato troppo lontano, dice tra sé e sé il vecchio del romanzo citato, tornando a riva nella corrente buona, con tanto di pesca mancata. Tuttavia, lui e il tenace ragazzo della barca riproveranno; non v è dubbio. Impossibile, per altro, odiare il simbolo della vita, che proprio come la vita ci attira al largo Quando ripeto seduti sulla riva ci specchiamo in esso, i moti interiori che ne ricaviamo non sono complicati e involuti come versi pindarici, bensì sono chiari e sani e veri, semmai, come una prosa poetica. Il mare è l universo a portata di vela; un universo generoso su cui non è stato scritto abbastanza, pur essendo così ricco di possibilità creative. Prima, però, è necessario tornare ad ascoltarlo (se non avessi paura di essere accusato di barocchismo, mi piacerebbe dire auscultarlo, poiché lo considero cuore, il cuore della Terra); ad ascoltarlo, dicevo e mi riferisco soprattutto ai giovani, ad ascoltarlo con un rispetto ed un interesse almeno pari a quello con cui, oggi, si ascoltano i giri d un motore ruggente. Ecco, basterà poggiare l orecchio su questo fossile, che tanti anni or sono portai con me dall Africa, per conservarne la storia seguente: Grande mollusco Ti trovai sul fondo del lago Turkana E subito la cosa fu più lontana Da quest insipido nostro presente, Dov ormai sai tutto sulla gente. Segato al centro il tuo mistero primordiale, Un nautilo pietrificato emerse originale A conferma che dal mare proviene la vita; Ed eri inizio d una storia infinita Venisti con me per le vie del mondo, Gioiello di sasso, pesante e rotondo. Ammonite, il nome che la scienza dice, Sei testimone della nostra radice. Quando ti carezzo son felice; Tu, che subisti temporal lavacro Per divenir dell eterno il simulacro. 292

293 C eri prima, da non so quant anni; Ora sei un talismano e respingi gli affanni. Dentro hai un messaggio da capire: Perché su quest arida terra venisti a morire?. Grande mollusco del lago Turkana, Fosti e rimani la cosa più lontana Che da sempre cercavo, che interrogo incantato Dal tuo geologico fascino di sogno cristallizzato. Sei un amore cosmico, morto prima di fiorire; Sei l emozione di pietra, che non può svanire 293

294 L angelo del mare Morbidi passi, e cauti, nell iperspazio australe, verso l Aldebaran, dove soffia il monsone, fiumi di lacrime di grandi amori persi versando sulla terra. S avvitano in profondità tetri pensieri, straziando le mie carni, e i petali, avvizziti, si prostrano mortificati: il Fato, ineluttabile, falcia le mie speranze. No, non hai capito nulla, stupido super-io: giammai verrà, triste, quel dì, in cui solleverò bandiera bianca. Avvezzo ad ogni pugna, brandirò la spada contro i mulini a vento e nessuno, nessuno mai, neppure intere falangi di militi armati fino ai denti costringermi sapranno a indecorosa resa. Così, passa la vita, sballottando le nostre emozioni, speranze, certezze, puerili illusioni. Nel mare cercai un Angelo: cercando, lo trovai. Poi, riprendesti il volo: io non gioirò giammai! 294

295 I 10 grandi passaggi storici della medicina Questa, in sintesi, la storia della sanità, dalla creazione ad oggi, così come pubblicamente e magistralmente esposta dal dottor Babbarabbà. 1. Eva, con il sostegno del perfido, strisciante delegato dell Ordine dei Medici dell Eden (il leggendario serpente del caduceo), convince Adamo a disubbidire a Dio dicendogli: "E dai, Adamo, mangiala, cazzo! Una mela al giorno toglie il medico di torno!". 2. Socrate, dopo una luculliana cena a base di bucatini all amatriciana (o, se preferisce, di spaghetti alla carbonara), coda alla vaccinara (o abbacchio al forno), chiede alla moglie un Amaro Montenegro, ma la perfida Santippe, con la scusa che i fornitori del famoso amaro sono impegnati con il loro fuoribordo in alto mare a rimorchiare i componenti di una nota rock band, in panne per aver sniffato tutto il kerosene, gli porge un ottima e squisita (ma letale) grappa alla cicuta. Quando Mitridate viene a sapere della morte del filosofo, comincia a vaccinarsi contro i veleni. 3. Leonardo Da Vinci dipinge il suo celeberrimo Uomo di Vitruvio (con qualche arto in più, come i marziani) dopo un'abbondante libagione con Brunello di Montalcino. 4. L ineffabile Monna Lisa osserva il lavoro del maestro con un malizioso ed enigmatico sorriso. Mi chiederete: "Ma che c'entra Monna Lisa, adesso?". A questa vostra domanda tanto maliziosa quanto impertinente, rispondo con un enigmatico silenzio, che si traduce in un: Ma che cazzo ne so, io?. 5. Ignác Fülöp Semmelweis afferma l importanza del lavaggio delle mani con un costoso detergente, per tutti i medici ginecologi, prima e dopo ogni parto, per la prevenzione della terribile febbre puerperale, ma questa affermazione gli costa il licenziamento in tronco dal prestigioso policlinico di Vienna, con la seguente motivazione: Brutto stronzo coglionaccio di un magiaro, perché vuoi farci spendere tutti questi scellini per questo 295

296 cazzo di cloruro di calcio? Ma vedi di andare a fare in culo e tornatene a Budapest a mangiare lo spezzatino, che è meglio!. 6. Nel 1933 Alexander Fleming scopre che la muffa, se condita con un po di cunserva mara della masseria delle Marciàne, quattro spicchi d aglio ed un cucchiaio di olio extravergine d'oliva della Cooperativa San Gaetano di Casamassella, è davvero squisita. 7. Sigmund Freud, in gita a Goteborg, acquista all'ikea ad un buon prezzo il divano da posizionare nello studio, ma non ce la fa a montarlo, perché non riesce a decifrarne le istruzioni, forse condizionato dalle sue proiezioni Un ricercatore chimico-farmaceutico tenta invano di far sollevare la sbarra del casello autostradale per non pagare il pedaggio, ingerendo in modo furtivo 3 compresse di Viagra 100 mg, invece di usare il costoso Telepass. 9. Silviolo inventa la soluzione geniale per far mantenere integra sine die la virilità degli ultraottantenni: l'ingessatura del fallo! 10. Il microscopico, ma terribile e pestifero ministro della funzione pubblica del governo dell altrettanto infimo (minuscolo) strepitante salapuzio che ci restituirà l IMU e ci assicurerà la resurrezione entro 72 ore dal decesso (ca pocca!), infierisce vilmente (come al solito) contro gli umili disponendo l'ennesima visita fiscale nei confronti della dolce infermiera, a tutti nota come la Bella Addormentata nel Bosco, affetta da malattia del sonno per colpa del morso di una glossina palpalis (più nota come mosca tze-tze) e, così, ingiustamente accusata di assenteismo cronico dal lavoro. 296

297 Bimba Hai i colori del cielo, il profumo del mare: hai riempito di fronde il mio arido tronco. Tu sei musica d arpa, sei la donna che attesi, tu sei fiume che scorri per sentieri scoscesi. Tu sei linfa che nutre la mia grigia esistenza. Sei una bimba ed è dolce, per me, la tua presenza. Tu sei gemma che brilla e che illumina il mondo; tu sei un cerchio di bimbi che fanno girotondo. Tu sei luce di vita, sei l essenza d un fiore: sei dolcezza infinita Tu sei certo l Amore! La bimba e il mare (foto: Gianni Volpi) 297

298 Un tempo Un tempo (ed era tanto tempo fa) credevo che gli asini non potessero volare solo perché sprovvisti d alate appendici, mentre il mitico Pegaso, parente nobile del povero somaro, volteggiava tra le nubi, sfrecciando felice tra le fitte chiome d un ippocastano Col tempo, m accorsi che tutto ciò non era vero: il capo reclinato dall artrosi e dagli anni mi costrinse assai spesso gli occhi al suolo, su quella terra dalla quale avevo invano tentato mille folli evasioni E m accorsi che persino le pur pennute e alate galline non spiccano mai il volo: procedono smarrite in sgraziato varismo, il collo in aritmico moto pendolare, lo sguardo amimico, spento, vitreo E nato prima l uovo o la gallina?... E il gallo? Ma perché non ce lo mettono poi dentro, il gallo? È una società matriarcale, quella del pollame!... Un tempo (ed era sempre tanto tempo fa) credevo che l oriente e l occidente fossero solo due punti cardinali, quelli laterali Col tempo m accorsi che Marco Polo e i caravanserragli avevano segnato la fine di quella manichea dicotomia, che neppure Lenin o Stalin o Mao Tze Tung sarebbero riusciti a ricreare E mi ritrovai nelle gelide steppe della Siberia a rincorrere una farfalla turchina, con una cicatrice sull ala, a guisa d improbabile (ma tanto in tra i giovani) indelebile tatuaggio Un tempo (eppure sono trascorse solo poche lune) credevo che la mia personale, dogmatica classifica delle priorità da tutelare a tutti i costi non potesse essere scalfita da alcunché: i figli, la salute, i sogni, il prossimo mio e infine la natura Sì, ci credevo, ci avevo sempre creduto, in oltre mezzo secolo di vita E invece no: venne a trovarmi il maestro e, nel donarmi l ultima preziosa opera sua, rase al suolo quell ultima mia rasserenante certezza. Florio mi rimbrottò: Ma come puoi metterci anche i sogni, in questo tuo dogmatico catalogo? I sogni sono fuori classifica, sappilo!. E perché mai, maestro?. Perché i sogni sono parte di te, vivono con te. Un tempo credevo che mai nessuno avrebbe potuto impartirmi simile lezione. Ora io finalmente so: so di non sapere o forse so ed è ciò che mi spaventa! 298

299 Le stagioni Primavera Sale, il calesse, lungo il sentiero, verso la collina, nel mentre dalle guance, un dì spettrali, della montagna, ora nuda, indifesa, sotto il nuovo sole, scendono lacrime sorgive alla terra vermiglia, dabbasso, verdeggiante. Estate Siede e riposa il contadino, contro il ruvido, provvido, muro a secco, al fresco frondoso riparo del noce all estiva calura. Il capo reclinato Sulla terra riarsa, s attarda a seguire il brulicar silente delle operaie, affaccendate a cavar nel formicaio l orribile soma dell umano pasto, tra gli assurdi, obbligati, tortuosi sentieri, a tutti gli altri ignoti. Laggiù, nella penombra, frusciante di tenere carezze sugli scogli, fa capolino il piccolo granchio-sentinella, a scrutar l orizzonte, nel timore d oscure minacce, imboscate mortali per il vecchio padre, voglioso, come sempre, 299

300 d uscire allo scoperto dalla salvifica tana; lui, orrido mostro peloso, timido abitante degli antri affioranti, signore della notte, mite, sotto il Carro, lucciole disperse, lontane nel tempo, nell attesa, vivida, delle strie furtive delle luminarie di San Lorenzo. Autunno Riprende la vita: s ingrossa, il ruscello, alla pioggia battente del breve meriggiare, nei giorni uggiosi delle foglie cadute, fulvo tappeto nell immenso parco degli alberi di Giuda. Inverno Immobili e lontani, i cirri e gli strati, agnelli distratti nei pascoli del cielo, invulnerabili, sotto la bora sferzante, che scalda i cuori, tra effluvi d incenso e ricercati unguenti, a riscoprire il rinnovato aureo messaggio della Natività. 300

301 Gli angeli di Arturo, carpentiere marocchino Quella di Arturo è una storia di solitudine e di malattia, ma anche di speranza, perché esistono ancora esseri umani in grado di vincere la battaglia contro l incapacità di condividere le sofferenze delle persone fragili (specie se di lingua e razza diverse dalla nostra), demolendo quel muro di incomunicabilità che ci separa dagli altri e deforma la realtà fino a non farci cogliere le disperate grida d aiuto di chi soffre. Don Tonino Bello diceva: La condivisione è la capacità di accorgersi dei poveri e dei sofferenti. Parla di bieco opportunismo ipocrita, ma anche d amore cristallino e di solidarietà spontanea. È la storia di un ragazzo marocchino, Mohamed, giunto profugo in Italia, come tanti altri, da clandestino, ma poi regolarizzato e integrato a tal punto da essere noto, nel suo borgo di residenza della Valle d Itria, come Arturo, aiuto falegname della più antica bottega di falegnameria dell intera valle. Sempre disponibile in qualsiasi ora del giorno, non solo per far soldi, ma anche per una grande passione per il lavoro e per congenito altruismo. In quel villaggio, Arturo vive da solo, in un piccolo ed umido tugurio di tre metri per tre, con i servizi igienici all esterno, nel giardino, ma tutto questo non gli pesa, perché lo sorregge l incrollabile speranza di far soldi a sufficienza per vivere con l amata Suha che non si stanca di cercare nella calotta celeste, puntando lo sguardo in direzione del tramonto. I giorni si succedono sempre uguali: otto, dieci, a volte persino dodici di lavoro al giorno non lo spaventano affatto, anzi gli danno la forza per guardare al futuro con grande serenità e speranza: Mia dolce amata, verrà molto presto il giorno in cui potrò farti venire e vivere accanto a te. Oggi ho visto un appartamentino, che mi è sembrato davvero adatto a noi le scrive, alla luce fioca dell abat-jour, in una serata gelida, neppure intiepidita dal braciere acceso. Ma la lenta, infida combustione del carbone nel braciere impregna la piccola camera di gas tossici, fino a condurre Arturo quasi in fin di vita. Verso le 6 del mattino, il padrone di casa, non avendolo visto ancora in piedi, va a cercarlo e lo trova esanime, privo di coscienza, gli occhi sbarrati, come un morto. La pronta chiamata del 118 gli salva la vita, ma il verdetto appare senza speranza: coma vegetativo o, nella migliore delle ipotesi, tetraplegia irreversibile! Giorni e giorni in rianimazione con la vita sempre appesa a un filo; poi, dopo qualche settimana, il verdetto definitivo: tetraplegia, con conseguente necessità di trasferimento in lungodegenza e successiva attivazione di un percorso di assistenza domiciliare. Dopo una lunga degenza in lungodegenza, giunge il momento della dimissione ed è in questo frangente che riappare, in tutte le sue mostruose sembianze, quel famelico Homo homini lupus (ma sia chiaro che la locuzione è estensibile anche alle donne) che non ha smesso mai di esistere. E non a caso la disputa sul futuro di Arturo si dipana a cavallo tra i tavoli tecnici, dove si discute animatamente (se non animosamente) sui criteri e sulle varie possibilità e modalità di dimissione, e i pettegolezzi di corridoio, dove si chiosa sulle tante risorse sprecate per assistere quell essere inerme dalla carnagione di color grigio-fumo. E comincia a prendere piede e ad affermarsi l insana idea di rispedirlo a casa sua, in Marocco; si sta decidendo, in poche parole, di mandare Arturo incontro a morte certa; ma è a questo punto che compaiono due angeli custodi: Giovanna e Concetta. Giovanna e Concetta sono due sorelle quarantenni, che hanno avuto modo di conoscere Arturo assistendo i genitori, entrambi ricoverati, ma che anche dopo la loro dimissione hanno continuato a svolgere una costante attività di assistenza in ospedale al povero 301

302 carpentiere marocchino. Le due ragazze vengono a conoscenza della possibilità che Arturo possa essere rispedito a casa sua in Marocco e si rendono conto che quella dimissione selvaggia lo porterebbe a morte certa. Non trovando disponibilità al dialogo, con il solo conforto di una brava dottoressa molto sensibile ai problemi delle persone fragili, decidono di rivolgersi a Luisa, un agguerrita giornalista dell agenzia ANSA di Bari. Di fronte a quell ostacolo inatteso, i grandi strateghi dell assistenza pubblica decidono di prender tempo e di far passare la buriana, per poi tornare alla carica, ma nel frattempo Luisa ha smosso mari a monti riuscendo a far venire dal Marocco Kamal, uno dei fratelli di Arturo, al fine di consentire al giovane di avere accanto a sé una persona cara nel corso della sua permanenza in RSA. Oggi Kamal ha preso stabilmente il posto di aiuto carpentiere che fu del fratello, mentre sua moglie fa la spola tra casa e la RSA, dove Arturo sta lentamente cominciando a riacquistare l uso, almeno parziale, delle mani e della parola. Nell atmosfera di grande letizia per il bell epilogo della storia non manca però, purtroppo, una piccola nota stonata di volgare opportunismo; infatti, ci ha profondamente ferito la constatazione della tanto inattesa quanto repentina folgorazione collettiva sulla via di Damasco dei tanti grandi strateghi dell assistenza sanitaria pubblica, che da qualche tempo, dimenticando di aver inizialmente condiviso la condanna a morte di Arturo, al cospetto delle tante troupe televisive che si sono interessate del caso, si travestono da dottor House si vantano apertamente e spudoratamente per la splendida soluzione del caso. Non ci volevo credere, ma ho potuto constatare con i miei occhi che, all apparire dell ennesima troupe televisiva, dopo aver quasi sospinto via Giovanna e Concetta, con bronzea faccia di circostanza, un paio di tali strateghe si sono poste ai lati del letto di Arturo e, accarezzandogli dolcemente le mani, hanno bucato lo schermo dichiarando la volontà di far proseguire il percorso assistenziale del ragazzo per tutto il tempo necessario ad una ripresa, almeno parziale, dell autonomia personale. Non a caso, tanti giornali hanno riportato la notizia della grande abnegazione di quel team di assistenza, che, in realtà mah, è meglio tacere! Nessun cenno, invece, per le povere Giovanna e Concetta, che da parte loro sono rimaste ben felici e contente per essere riuscite a salvare l amico Arturo, al quale continuano a offrire, ancor oggi, assistenza, affetto e calore umano. Don Tonino Bello diceva che l uomo è un angelo con una sola ala: può volare solo se abbracciato ad un altro essere umano, che gli fornisce l ala di riserva. Arturo aveva perduto la sua unica ala, ma Giovanna e Concetta lo hanno preso in mezzo a loro e con l aiuto delle loro due ali Arturo ha ripreso a volare. Grazie di cuore, ragazze! 302

303 Cronaca in versi del 26 gennaio 2009 Stamattina, dopo un interminabile viaggio in un treno semivuoto, popolato da gente senza volto, ho ricevuto un dono inatteso, perciò molto gradito A Termini pioveva, ma c era mia figlia ad attendermi, e, con lei, il suo ragazzo Un dono del Cielo, come la pioggia, che scende copiosa per lavare le vergogne di un umanità smarrita Sul lungotevere c era un capannello, fischietti, trombe, come a Capodanno Il Comandante Seb, e Mario e Antonio e Orietta, Valeria, Giovanna (con la sua Modica nel cuore), la chiassosa Rosaria, casinista nata e il mitico Luka: che bello, vederlo dal vivo! Mi è sembrato una persona davvero speciale, ma non avevo dubbi, nel merito SLA-leone o SLA-pecora, poco importa: chissà quante persone vorrebbero avere il suo spirito, il suo coraggio, i suoi sogni! Un pullulare di affetti e di emozioni, una vitalità esplosiva: è questa. la vera vita: gente, venite ad imparare! Ma quello che hanno visto in pochi erano piccole figure evanescenti che ruotavano attorno ai presenti Decine di angeli senza le tipiche ali, ma riconoscibile dalla nuvoletta intorno Ed un bellissimo dono è stato, per me, il sorriso ed il pianto di Seb: la sua mano portata a sfiorare quella di Luka e un fluire discreto di lacrime d amore: un misto di luce fulgida e di struggente dolcezza E poi il ritorno al sorriso: un sorriso che ci ha rapito l anima, come il colore e il profumo di una rosa Il suo sorriso ha dissetato la mia anima come la rugiada disseta un fiore sitibondo nelle torride mattine di fine giugno Ed è da quel fiore, finalmente dissetato, che l ape operaia sugge il prezioso nettare per nutrire la sua regina... e l intera società... Questo è il messaggio che ho voluto scrivere per voi, 303

304 amici miei, per farvi capire l importanza del prodigioso potere del vostro sorriso Perché le vostre lacrime (di gioia) e il vostro sorriso mi hanno davvero reso felice, e con me Isa, mia figlia e Federico, il suo ragazzo Ed ha rimosso ogni potenziale amarezza dai nostri volti E allora di una cosa vi prego: continuate a piangere, a sorridere: continuata a vivere Gridatelo forte a tutti, sia pure con il solo movimento dello sguardo, perché anche i potenti ignavi si sveglino alla vita e si ispirino a voi: solo così potremo sperare in un mondo migliore Grazie di esistere, ragazzi! 304

305 Un cuore nomade Il sentimento è poco esperto in calcoli, ma provoca istanti di rara felicità. Qualcuno dice che l amore è un errore comunque imperdonabile. Io credo, al contrario, che ci fosse bisogno di un restauro urgente, per questo mio vecchio cuore malandato. Ma nessun medico mai, nessun cardiologo, nessun cattedratico al mondo avrebbe potuto lenire la mia sofferenza. Solo una piccola luna, apparsami in sogno, riuscì a restaurare la mia anima, il mio spirito, la mia vita E a quella luna voglio dedicare tutte le mie energie, senza per questo crearle disagio. Voglio donarle l'anima. E credo che questo mio spontaneo dono sia indivisibile, in barba ad ogni stupida, salomonica geometria di giudizio. Certi gesti spontanei, certi moti dell'anima, svincolati da calcoli sia pur affettivi, mi fanno capire quanto io abbia sbagliato e come io sia ancora tutt altro che infallibile; ma fallirei ancor di più, se li tenessi costretti nel seno. Fors'anche perché la vita d'un cuore nomade può dissetarsi solo in un'oasi. Ed in questo deserto spazzato dal ghibli, e dal silenzio rotto solo dal cupo guaito degli sciacalli, la tua presenza, piccola mia, mi ha rinnovato la gioia, immensa, del mistero della vita. Vorrei che ti abituassi alla mia silenziosa presenza ed alla mia offerta, al mio generoso, magari superficiale, però assolutorio: Io ho quel che ho donato!. 305

306 Ho incontrato Dio Ho incontrato Dio, Giù al bar: ha chiesto un caffè d'orzo. Il barista s'è arrestato di colpo E gli ha chiesto, un po' rude, Se non preferisse, invece, Un Blue Lady o un Margarita. Lui ha scosso il capo Con un sorriso dolce. Maurizio mi ha chiesto Che forma avesse, Dio. Bella domanda, Ma dimmi, amico mio: Quale forma ha, la luce? Quale, l energia? L avverti e basta E sai che è lì, ti è accanto. Lo vedi, lo senti: Ti sorride e ti fa sentire grande Se sempre lo hai seguito, O ti riduce in briciole, Se ti dichiari agnostico, Depositario dell intelligenza cosmica: Coglione dalla mente limitata! Ma poi ti manda un angelo A carezzarti il viso (e l anima) E il tuo cuore s accende D una nuova luce senza fine 306

307 Riflessioni crepuscolari La primavera batte le delicate nocche sull uscio di un inverno sempre più breve e sempre più strano. Cammino assorto e solitario sulla sabbia nerastra e sui ciottoli levigati della piccola insenatura di Porto Badisco. Procedo lento. Mi precede l ombra dei miei pensieri, che marciano a passo spedito. La mente vola nello spazio (verso il Nord), e nel tempo (verso il passato). Verso un altra spiaggia, un altro mare, una lunga, interminabile distesa al confine con la Romagna. E il sibilo del treno in parallelo Ero arrivato in treno. L avevo intravista dal finestrino intriso di nebbia con quel suo buffo copricapo di lana. Un immagine antica. Un regalo della nonna, credo, lavorato ai ferri. Un sorriso smagliante e un immagine nuova. Un regalo del Cielo, credo, un dono del Creatore. Una rapida fuga in quella sua minuscola automobile gialla. Un allegra macchia di colore a penetrare il triste grigiore di un inverno tutt altro che rassegnato a cedere il passo. Il suo bel visino serio serio, tutto concentrato sull asfalto. L esplosione del suo disarmante sorriso, a tratti, dedicato a me, solo a me, mi trapassava come una freccia appuntita. Un emozione intensa. Il mio cuore in tumulto. Un castello merlato da fiaba arroccato su uno scosceso dirupo, quasi proteso sul mare. La striscia bianca discontinua sull asfalto scandiva gli istanti che ci separavano dalla meta. Una breve fermata in un bar per un rapido caffè. La meta. Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. Una melodia celeste. Cena al lume di candela. Grigliata di carne al sangue: nessuna indulgenza alla poesia. Due sguardi complici si incrociavano, rincorrendosi. Caffè sorbito in fretta. Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. E non solo. In un crescendo rossiniano. Una notte intera con Morfeo in castigo. Le prime luci dell alba. Un breve riposo dei corpi. E della mente Cappuccino e cornetto. Fetta biscottata intrisa di miele millefiori. Caffè. Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. Ripresa della melodia celeste. Pranzo: accurata scelta del tavolo più appartato, con vista sul mare. Un primo gustoso. Bisogno di zuccheri. Frutta e dessert. Breve indulgenza alla poesia. E due sguardi complici che riprendevano ad incrociarsi, rincorrendosi come due bimbi sul prato. Caffè sorbito in fretta. Due corpi vicini. Carezze e sorrisi. E non solo. In un crescendo rossiniano. Un ciclo interminabile, sempre uguale, ma tutt altro che stucchevole. Festa dei sensi. Lo spirito in esilio. Il quarto giorno prese a piovere. Le tipiche, melense lacrime dell addio. Il ritorno in treno, in dormiveglia, senza pensare a nulla. Quasi vent anni da quei giorni. Un pensiero sortito dal nulla: il suo sorriso. Non ricordo quasi nulla del suo corpo; ma mi tornano chiari alla mente i suoi sogni. Le isole della Croazia. Le Nuvole di Aristofane. Il volo elicoidale dei gabbiani. Il dialogo sul dualismo manicheo congenito e immanente nell uomo (e nella donna). Il suo sorriso spontaneo e suadente. Il fuoco ormonale della maturità mi aveva obnubilato la mente. Nascosto la vera essenza. I giovanili (meglio, infantili) epidermici entusiasmi mi avevano impedito di percepire l evidenza. Non ero riuscito, quando potevo, a nutrirmi della sua anima e girovago, oggi, come un ectoplasma, intorno al giardino metafisico delle mie urne cinerarie, dove l unico suono è il vento. 307

308 Ho avvertito forte la necessità di dirle quello che ho provato, ma che non riuscivo a decodificare. Gioco un contratto tirato: 4 cuori, con venti punti e nove atout. Il nodo del contratto è, come spesso accade, la dama d atout. Metto a terra l asso e cerco poi di catturare la regina lasciando girare una piccola per il fante. La dama di cuori compare irridente sull uscio e mi pugnala. Guardo le stelle, sconvolto da un angosciosa sensazione di abissale disfatta: la mia amara Waterloo si materializza in un corretto: La regina di cuori era lì, a tua completa disposizione., seguito da un laconico: Era semplice, ma a te non bastava. Volevi strafare. Avevi deciso di catturarla irridendola, come una preda predestinata in un agguato E lei ti ha punito! Pleonastico, urente, lancinante. Come una fiamma viva su una ferita da sempre aperta Le lucide urne, ancora vuote, mi attendono. Sto arrivando!.. Passi stanchi e lenti sopra una splendida spiaggia, oggi grigia, del Salento, dove si giace lo scheletro immobile d un vecchio glorioso gozzo da pesca, oggi inutile fasciame. Dove soffia il maestrale e le argentate nubi all orizzonte si rincorrono lente e maestose Che vuoi che sia la morte? Un imenottero che si fa strada tra la sabbia sferzata dal vento. Una luce che si allontana. Un manto nero che s avvicina e mi si accosta: prego, s accomodi! Affido a questa piccola bottiglia telematica un insolito messaggio d amore; d un amore impossibile, perciò immenso. Ma pur ridotto a inutile fasciame, osservo la fine in fiducioso silenzio Perché so di sopravvivere: questo lo sento, senza forse poter levare mai più lo sguardo verso il cielo. Non importa. Certune sensazioni è meglio tenerle silenti. Scusami, perciò, se ho osato esternare qualcosa che non è in grado di vivere, perché respira, questo sì, e le batte il cuore, ma non avverte l attesa emozione di ritorno. E mentre tu, certamente, con la tua suadente presenza hai rallegrato la vita di quell uomo che ha la fortuna di viverti accanto, la luce della speranza, accesa dal tuo dolce, irresistibile sorriso, timidamente nascosto dietro un enorme distesa di gracili steli di fiori di campo fruscianti al vento, si spegnerà per me, così, lentamente, come un informe mozzico di candela. 308

309 Ho visto, da vicino, una stella Ho visto, da vicino, una stella Dal sorriso più dolce della storia, Anche se da me distante Mille e più anni-luce, Irraggiungibile nella tua maestosa Eppur presente lontananza Se solo le avessi confidato Di aver da sempre sognato Di voler scalare il cielo, arrampicandomi Tra i più lontani pianeti, per incontrarla, Certo mi avrebbe preso Per ciò che sono: un pazzo! Eppure fissavo le sue immagini, Sul muricciolo del porto virtuale, Tutte le notti, nell oscurità, E dalla sera al mattino la pensavo, Austera e rilucente, come una stella Con i suoi baluginanti riflessi, Lassù, negli inarrivabili recessi Della buia inestricabile calotta E continuavo a ripetermi, Ossessionato da una malsana idea, Che era lei, sì, proprio lei, L unica stella, pura e vera, Della mia da tempo persa (E follemente ritrovata) giovinezza Piccola stella dal magico sorriso, Nulla è mai più desiderato Di ciò che non puoi avere: E mi fermavo perciò a guardarti, Di nascosto, come un bimbo, Come dietro un anta socchiusa Del libro telematico dei volti, Per sedare il tumulto della mente La sfavillante oscurità della notte Si tinse di colori accesi, Come un abbacinante miraggio, Immaginando che tu, piccola stella, Avessi risposto con gioia al mio messaggio, In quella piccola casella virtuale. E nel mio lucido delirio, ti ho tenuta, Per un infinito istante stretta sul mio cuore E son tornato a capire quanto è strano (E bello e dolce) il mal di cuore, Mentre un silente gelido fuoco 309

310 Mi saliva dentro E compresi allora che, forse, Ogni stella brilla, da lassù, Per cullare il sogno dolce D un amore impossibile, ma vero E mi accorsi che, di certo, Ogni stella è un Angelo, Un Angelo di luce che ti penetra Fin dentro l anima Per tingerla di colori, di suoni, E indescrivibili emozioni Per giorni, un adulta prudenza Mi ha saputo tenere lontano Dal renderti manifesta l emozione Che ogni mattina, fin dal primo giorno Che solcasti l uscio con il tuo sorriso, Mi provoca la tua regale presenza, Il tuo incedere elegante, protagonista Di questa tenera, quotidiana fiaba Però poi tu svanisci lentamente Tra i fiammeggianti bagliori del tramonto, Per tornartene, pensosa e irraggiungibile, Sulla sommità del cielo infinito Vano è tentare, con le mani, Di fermare il fiume: L acqua che scorre a valle Mai più ritornerà; Vano fu il sogno mio, Ma della tua esistenza Di certo sarò grato, Fino alla morte, a Dio 310

311 Come in un battesimo ancestrale (Lele Mastroleo) Le copriva le spalle con uno scialle nero fatto di cotone netto, lavorato a mano dalla Ndeddha, e spingendola delicatamente sul viottolo che dava dietro alla corte e si spingeva sino alla rampa delle scale di casa di Zì Bbinu, mesciu Peppe riaccompagnava Agostina a casa. Quel bambino le stava scoppiando nella pancia e spingeva per uscire. Quel figlio di un padre che non torna. Quel figlio del rollio di una barca e di una tempesta di onde. Quel figlio, figlio di tutti i padri, fratello di molti altri figli, sposo di terra e bestemmie, naufrago di preghiere e speranze. Quel figlio che si chiamava già come il padre e che Agostina chiamava dieci, cento, mille volte al giorno con la speranza che una frase, una parola, un bisbiglio potesse rompere quel maledetto silenzio. - Dove sei amore mio? Dove sono le mie lacrime e le mie canzoni, dove hai portato il saluto dei miei baci e delle tue smorfie e dei tuoi abbracci, possenti, pieni, veri, da uomo innamorato? Dove hai messo l anima di tuo figlio, Iddio dalle mille certezze, che hai spento la luce sulla faccia di un padre, di un ragazzo che amava la vita, sulle mani di uomo, di fatica e sudore. Perché non tiri via, Iddio dagli occhi di misericordia, quella tenda nera dalla mia casa, dalla nostra casa e strappi la parola morte dalla bocca dei tuoi figli?. U Mecu non tornerà più. U Mecu dal sorriso di bimbo e dalle mani di gigante, dalle gote arrossate dalla timidezza, che raccoglieva la passione tra le dita e ne faceva carezze e respiri. U Mecu non sarà più vita, non saranno più i cunti di mare che riempivano quelle serate di maleiernu e quel suo sorriso che bastava a scaldarmi. Carlo portava il gregge sulle rive della Fiumana, lì dove l Ofanto si butta nel mare, terra di pastori e di fame, terra di lingue diverse, di fughe lontano, di poco mare e di tanta fatica. Il ragazzo usciva come ogni giorno all alba per far ritorno all imbrunire, fino a quel pezzo di campagna a ridosso del fiume dove l autunno non era ancora arrivato, dove il verde pian piano rilasciava macchie di un grigio pallido, di uno scuro invernale, di un inutile nero. Scendeva sempre la collina delle Settemacchie, strada impervia soprattutto per gli animali, per via degli spuntoni di roccia, che arricchivano quel vecchio tratturo che portava al mare, percorso dovuto, da quando suo padre aveva trattato a pugni e schiaffi con Llumusciu, proprietario del sentiero nuovo che fiancheggiava il rivo e portava ai campi d erba. Vedeva venirgli incontro una luce diversa quella mattina all orizzonte, scorgeva una nave o quello che ne rimaneva, appoggiata allo scoglio del Levantino, dietro l insenatura delle Moffule, squarciata su un fianco all altezza della prua, con l albero di mezzana spezzato in due, con le vele del bompresso calate sul castello di prua quasi come un sudario, quasi a nascondere delle reliquie, a proteggerle dalla marea. Adesso Carlo correva veloce, quasi incurante dei suoi animali, sentiva che doveva lasciare il gregge sul posto e correre per vedere quell imbarcazione in balia degli scogli, riversa sulle rocce dell insenatura, completamente sconquassata. Le vele erano oramai lacere, la risacca le batteva come panni di lavandaia sul limitare del pozzo, le sartie erano incrociate tra loro in maniera fitta tanto che l intreccio ricordava una croce. Stemma e predizione, forma e destino, a volte, per tante volte, da sempre, per chi solca il mare per lavoro, da chi solca il mare per tornare. 311

312 Il ragazzo riusciva a distinguere dalla riva i corpi di una dozzina di uomini che galleggiavano sulla cresta della marea e sbattevano sulla chiglia le schiene e la testa ad intervalli più o meno regolari, con la faccia rivoltata nell acqua, interamente sommersa in quel mare che tanto amavano, rivolti faccia in giù come in un battesimo ancestrale. Correva ancora Carlo e correva a casa ad avvertire il padre, e correva in paese a chiedere aiuto a chiunque gli si parava davanti. La notizia arrivò come una pugnalata, come una coltellata in gola. Le strade si chiusero in un rosario di vicoli, si rifugiarono in una preghiera di viuzze, si fusero alle pietre, si nascosero a tutti per non far ritrovare più nessuno. Il funerale solo perché si doveva fare. Contarono i passi quelli che rimasero, dalla porta di casa alla cattedrale e in quella cattedrale dove vi erano corpi distesi ai piedi di uno spoglio altare. Martiri si assommavano ai martiri. Idro era morta. Sparita, persa. La bandiera della misera morte, il gonfalone dell inverno sventolò dalla Torre di Mezzo ed il mare pianse alla luna quella notte. Ndeddha strinse quel suo seno generoso così forte, come se volesse strapparlo via. Suo padre seduto dietro il samporto recitava come se bestemmiasse l unica preghiera che avesse mai imparato - Diu miu beddhu iutame tie!. Agostina non aveva più lacrime e non aveva più vita, non aveva più respiro, non aveva più pensieri, non sentiva più le mani, non vedeva più né colori né forme, sentiva solo la voce lacerarsi in lamento. Munira sdraiata sul letto con la mantella di lana del marito sulla faccia urlava a squarciagola il nome di Iddio e ne invocava la misericordia. Quanto è triste vivere, Iddio del mare e delle tempeste, quando si deve dare il resto a quel destino che solo Tu hai creato e pagarne la sorte con moneta di sangue e fiato, con respiri giovani e pensieri innocenti? Dove metterai ad asciugare adesso quelle anime? E con quale sguardo di padre riuscirai a guardarle? Dove appoggerai il sole questa notte, prima di accompagnare alla terra quei corpi che Ti appartenevano? Dove nasconderai il dolore, dove metterai a dimora quelle lacrime? Quella notte la luna si affacciò sulla costa un paio di volte, illuminò il cane di Ferruecchiu che malfermo sulle gambe abbassò il muso tra le zampe e chiuse gli occhi. In segno di rispetto Lele Mastroleo 312

313 Lampare Ntru scuru poi vidire l unniversu, Centu fasciddre ntra ddru cupu mare; No, nun è veru ca ieu m aggiu persu: Sta secutu, luntane, ddo lampare! Ntru scuru poi pinzare a quire stelle, Smurfiuse vagnunceddre d ogne mera, Ca mmosciane ca suntu propiu belle, Cu dicune ca è sempre primavera, Ci solu amare nun face sse mpaura, Ci sulu u core ne face cu capimu Ca a vita nun è filu na spentura, Ma vivite emuzioni de scuprire. Comu pe quiri piscaturi de ntra notte, Cu l onda ca ncarizza lene a varca, Ddri clobi lluminati fannu cuida, Luci de nu teatru ntru nititu sulenziu, Ca li ncavarca, malecore e tristu. Comu pe ddra carusa na sira d estate, Ssittata cueta cueta assu i cuti de e Tajiate, Ca scjia spricannu, ntri soi tenniri pinzieri, Cu scucchia ddru rricordu duce duce Di mumenti ca ajie persi allu passatu, Ma se pripara a nu cchiù duce giurnu, Fattu cchiù mejiu de quiru affettu nticu, - L amore, quiru veru -, ca nun ci more mai. Lampare Nel buio puoi vedere l universo, Cento faville nell oscuro mare; No, non è vero che mi sono perso: Inseguo solamente le lampare! Nel buio puoi pensare che le stelle, Vanitose fanciulle della sera, Voglian sembrare a tutti così belle, Per dirci ch è poi sempre primavera, Se solo amare non ci fa paura, Se solo il cuore ci sa far capire Che la vita non è affatto una sciagura, Ma splendide emozioni da scoprire. Come quei bravi pescatori della notte, Lo sciabordio dell onda sulle barche, I globi luminosi a far da guida, Luci della ribalta nel nitido silenzio, Che li sovrasta, austero. Come quella ragazza, Seduta sugli scogli, Intenta, nel suo tenero pensiero, A ripassare il tempo Ormai trascorso, Per prepararsi ad un più dolce giorno, Reso migliore da quell affetto antico, L amore, quello vero, che durerà in eterno. 313

314 Come si chiama quel dolce di pastafrolla che ho mangiato a Lecce? (Lele Mastroleo) Per chi come me è al ventesimo anno di lavoro con una multinazionale di trasporti il minimo che possa capitargli e di svegliarsi, per decine di volte l anno in un letto d albergo a centinaia e centinaia di chilometri da casa; ed il minimo che possa capitargli, se è una persona che ama fare colazione in maniera tradizionale cioè con un sano caffè espresso, magari macinato sul momento e servito bollente, e una calda, simpatica, genuina brioche, è quello di imparare a fermarsi negli alberghi che asso-ciano una buona ristorazione al culto di una santa e ricca colazione. La conseguenza del girovagare in lungo e in largo per la penisola è quella di acquisire una conoscenza diretta dei posti ideali nei quali trovare al mattino la brioche più adatta alle vostre pretese ed ai vostri de-sideri. Perché, diciamocelo pure, noi italiani siamo il popolo più variegato e diversificato nel momento della scelta della brioche, del dolcetto, della pastarella per completare il rito mattutino della colazione. Quanti di voi potrebbero in questo momento menzionarmi a memoria almeno venti tipi di brioche che hanno nel corso della loro vita assaggiato prima di arrivare alla scelta definitiva, alla scelta assoluta, quella che esclude immediatamente tutte le altre scelte. Cornetto maritozzo, babà, sfogliatella, brioche, codadaragosta e via discorrendo sino a farne un elenco chilometrico che sfiancherebbe anche il più stakanovista dei catalogatori. Però, dicevamo, a un certo punto della vostra vita, ognuno di noi sceglie, decide di darsi un unica compagna di vita, lei! Eccola lì, è lei, proprio lei, la mia pasta preferita! E vi si illumina la giornata, vanno via le nubi, vi si accendono tutti le idee da secoli sopite e il lavoro diventa l ultimo dei vostri pensieri in un solo momento. Cosa vi porto stamattina dottò?, per i ragazzi del bancone del bar tutti sono dottò. E voi pensate che sia bello trovare un uso univoco, una consuetudine comune in tutto lo stivale, una frase che unisce idealmente il Nord ed il Sud di questo meraviglioso paese, ma poi venite a sapere che il ragazzo che fa i caffè al bar è meridionale e che anche il ragazzo del bar dell albergo in cui siete sceso ieri era meridionale, e ancora il cameriere dell albergo di Treviso era meridionale ed anche quello di Ferrara e così via per tutta la penisola; e quell idea meravigliosa che l Italia fosse almeno unica nei banconi dei bar viene a cadere e si fa strada il pensiero che i baristi di tutta la nostra amata nazione siano tutti figli di un unico genitore, che per diritto acquisito, possano essere sistemati dietro il bancone di ogni albergo di ogni città. Ma torniamo al molteplice universo delle brioche da colazione e vedia-mo in maniera veloce di catalogare alcuni tipi di dolcetto mattutino. Per poter decidere quale possa essere, in base ad alcuni vostri criteri, il vostro dolce per eccellenza, quello con il quale condividerete le vostre prossime colazioni: 1) La brioche milanese La brioche milanese è milanese non solo nel nome; la brioche milanese è milanese anche nell essenza, nell intimo, nello spirito. La pastarella meneghina ha una forma tonda, precisa, schematica, con un unico vezzo concesso all estetica: dei granelli di zucchero spolverati sopra. Appena si stacca il dischetto di pasta lievitata dalla sua base tondeggiante sembra che il profumo intenso (burro fuso) possa essere la vera anticamera di paradiso gustativo, invece al morso rimane esile, effimera, papposetta, oseremo dire: loffia. Il gusto predominante rimane quello della farina di manitoba che i milanesi aggiungono alle loro farine per dare più carat-tere al dolce, l effetto è quello opposto: 314

315 diventa un ibrido angosciante senza cuore e senza sapore. Eppoi la maggior parte delle volte è surge-lata e poi riscaldata al microonde. Bocciata! 2) La pinza emiliana La pinza emiliana è un calderone di materie e di rimandi che se fosse un proclama politico troverebbe di certo il vostro appoggio incondizionato per una società multirazziale, ma trattandosi del dolce per un vostro sa-cro risveglio, rimane un vero e proprio guazzabuglio senza costrutto. Basti pensare che la ricetta originale prevede solo per il ripieno: 1/2 kg di mostarda di cotogne, 1 hg di pinoli, 400 g di uvetta, 50 g scarsi di cioccolato in polvere dolce misto a cacao amaro, cedro candito finemente tritato (quantità a piacere), vino bianco dolce (la quantità è anche qui variabile), rusco, a piacere (miscela finemente tritata di cannella chiodi di garofano e anicini per la maggior parte). Non aggiungerei altro. Bocciata! 3) Il maritozzo romano Il maritozzo come dolce non esiste. Il maritozzo è solo una palata di pane al burro non riuscita alla quale qualche fornaio buontempone ha aggiunto una quantità industriale di panna e zucchero a velo, e siccome non riusciva ancora a rifilarlo a nessuno, ci ha aggiunto bacche di vaniglia per addolcirlo ulteriormente sino a fargli avere il patentino di terrorista colesterolico. Poi aggiungerete, come si fa a concepire un dolce con il quale appena fatto colazione dovete tornare subito a casa a cambiarvi camicia e pantaloni: anche perché la panna, è logica matematica, che in un panino senza forma, né idea, non riesce a stare ferma e schizza violentemente e senza riguardi sul povero mentecatto che ha avuto il coraggio di assaggiarlo. Bocciato! 4) La sfogliatella napoletana La sfogliatella napoletana è un baluardo. Una difesa storica. È il posto castrum dei dolci. La sfogliatella napoletana è rassicurante. È arte culi-naria prestata ai dolci. È l emblema della napoletaneità. Il suo essere ispida e ruvida ma comunque soffice e tenera all esterno ed invece completamente molle e cremosa all interno è l icona rappresentativa della città di Napoli, dei suoi vicoli, dei suoi quartieri. Però ha un grosso difetto: non si può accompagnare al caffè. La sfogliatella è mamma di sapori e di profumi, è incinta di burro e crema, è scivolosa di mammella lievitata, il caffè l ammazza, la distrugge, l annienta, la rende inutile. La rende arida, anche perché non riesce ad assorbirne il respiro, il tatto, non riesce a riconoscerne il gusto. Vi dispiacerà molto per la sfogliatella, però Bocciata! 5) Il pasticciotto leccese Il dolce leccese inventato per puro caso dal buon Ascalone da Galatina alla fine del XVIII secolo, ha il pregio intellettuale di associare nella costruzione di sé due elementi sacri della cucina povera : la crema pasticciera e la pasta frolla. La forma, volontariamente non omogenea del pasticciotto, simile ad un tondo-ovale, lo rende dolce unico e assolutamente inimitabile nel suo genere. La degustazione iniziale, che avviene con lo staccare irregolarmente uno degli spuntoni laterali del dolce portandolo a sfiorare il palato prima del morsettino degli incisivi per saggiare la consistenza della pastafrolla e la successiva penetrazione linguea per gustarne la bollente densità della crema pasticcera, riescono a coinvolgere i cinque sensi completamente. I morsi successivi (per carità di Dio, non usate mai nessun tipo di coltello!) servono poi a suggellare definitivamente l eccellente compenetrazione tra i profumi di burro e uova e zucchero semolato della farcitura di crema con l avvolgente involucro friabile della pasta frolla. La presenza del caffè a questo punto diventa necessità, essenzialità, soprattutto se il caffè è bollente. Diventa corroborante. Da non sottovalutare, alla fine, la ricerca nel tovagliolo di quei pezzetti di pastafrolla che si sono staccati durante la consumazione del pasticciotto, 315

316 autentici pezzi di tesoro, di riecheggianti e riappropriati sapori, quasi come mangiarne una seconda volta, ma con l apporto calorico di uno solo. Cosa aggiungere? Sembra che il pasticciotto leccese sia stato il dolce preferito da Frank Sinatra a cui fu fatto assaggiare, da una coppia di amici del crooner italoamericano, di ritorno da una vacanza nel Salento. A que-sto punto non vi rimane che prender in mano la penna a modo di mi-crofono e iniziare ad intonare I ve lived a life that s full, I ve traveled each and ev ry highway. But more, much more than this. I eat it in my way. Promosso!... Con lode! 316

317 Portami via Prendimi, Thanatos, portami via. Morte pietosa, prendimi per mano: Conducimi verso l oblio. Che senso potrà avere Quest esistenza infame, Fatta sol di melmoso grigiore? Ero, soltanto, misero fasciame, Ma poi ho scoperto un Angelo, E cullo devo farlo! La timida speranza, D un esistenza nuova: Mi fermerò ad attenderla, Poi la vedrò passare, Lei, l Angelo del mare, Che m ha insegnato, un giorno, Cosa vuol dire Amare. 317

318 Ode alla musa Te ne andavi felice volando per i cieli e nell ombra; passavi il tuo tempo a sentirli narrare le storie ammalianti d amanti nel buio, di donne in silenzio, di baci e carezze rubati d abbracci convulsi. Poi di giorno vivevi e seguivi la gente, a cui sussurravi segreti d oblio. Avevi il colore del grano, il profumo dei prati, del cielo, del mare ed allora, smarrito, confuso, le mie tempie a pulsare e, siccome un automa, io cercavo i miei versi, in quel mare in tempesta, i pensieri dispersi E stordita la mente, dolce anima pura, dalla pioggia inclemente fosti meta sicura E com ultima speme, tu, nei sogni e nel pianto e com edera al ramo fosti tu il mio gran vanto Sulla spiaggia deserta, con la sabbia a soqquadro mi rimase negli occhi un sorriso leggiadro Ho smarrito la vena, ma nel cuore corrode, come rime in catena, per te, Musa, quest ode 318

319 Cinque versetti logori False colonne doriche Senza volute ai margini, In questi spazi torpidi, Scene di voli rapidi Di sei fantasmi frivoli, Lungo spirali fertili, Tracciate dalle rondini. Nude sonate attonite Per intelletti amusici: Quanti sorrisi amimici D intolleranti agnostici! Scorgo, in un testo lacero, Cinque versetti logori D un infantile acrostico: Ti salverò, Poesia, Io, che pur odio i versi, Anche se soffrirò, Mostrandoti il mio cuore, Orfano dell amore. S alza la luna candida: Copre i silenzi complici D innamorati languidi. Le rutilanti fragole, Dalle sembianze armoniche, Solcan le gote pallide Di lineamenti asburgici. Tracce d atti vandalici Piraterie informatiche : Hanno distrutto i cantici! Penso a Calliope vergine: Chi c è che t ami più? Voce della mia anima, Pensaci almeno tu! 319

320 Timido sogno La finestra della mia speranza Si è dischiusa Al pensiero del profumo Della tua pelle, Stamattina: Spero solo che la luce Dei tuoi occhi Mi penetri nel cuore, Inebriandomi di piacere 320

321 Esistenze anfibie Con lo sguardo proteso nel buio Spettrale del nulla; Nell attesa fremente d un raggio Di luce improvvisa, Non t accorgi che il mare t avvolge Nel vortice scuro, Alla guisa d un umida Atlante, Travolta in abissi. C è bisogno di te sulla terra: Lo dicono in tanti! I tuoi figli, gli amici, la gente Ne hanno bisogno, Com anch io, se ci penso un po su. Reciprocità: Ma che strano concetto, eppur vero, Perché fuso con l animo umano, Perenne connubio. Dimensioni d ambìti segreti, Da sempre bramati Ghigliottina dell umanità: Cavallo di Troia, Tenebroso richiamo alla voglia Di riconoscenza, Al terreno sublime dei sogni, Sopita speranza Di chi giace nel mondo del vago Ma in cerca di pace; Di Platone il maestro agognava, Scrutando nel cielo, A seguir le mutevoli forme Di nubi fuggiasche, Ma inoltrandosi nella palude. Esistenze anfibie: Sordi e fallaci richiami Di mondi lontani; Improvvise folate di vento, crudele flagello Per chi brama soltanto d amare La sua primavera, La stagione dei fiori olezzanti D essenze di vita. Esistenze anfibie: Cagione di storie desolate, D incontri perduti, D assurde fughe verso l ignoto, 321

322 Senza più valori; Ché, smarriti negli immensi spazi, Davvero si è soli. 322

323 S allontana l estate S allontana l estate, La stagione più fredda, Che nulla lascia all emozione, Inaridendo il cuore. La stagione dei fruscianti brusii Delle sue lunghe notti, Cave come il ventre D un antico vulcano, Da secoli silente. Un bisbigliare indistinto Nei vicoli del centro, Sfregiati da improbabili Ristoranti all aperto. L aria infuocata, Ma gelida per lo spirito, Rotta dal chiassoso clamore Degli ubriachi, E dai nevrotici strilli Di non più giovani amanti, Intimiditi dal rituale Del prossimo amplesso. Poco distante, Una torma di cani sfigati, Al consueto notturno raduno, Animatamente discutono Sull immortalità dell anima. Vorrei unirmi a loro, Ma un temibile ringhiare Mi consiglia prudenti distanze Ed ogni notte, così, Dal nascosto balcone vetrato Del piano rialzato, Osservo la tenue luna Levarsi dal mare, Rischiarandolo appena Col suo fioco chiarore E disegnando spettri Che s allungano, poi, In ombre malvagie (O in teneri sogni) Ed ogni notte, così, Da qualche tempo, All ora X, scandita Dal levar della luna, Ricordo con malinconico 323

324 E inesauribile rimpianto Un succo d ananas Consumato troppo in fretta E la mia incapacità Di dirle: Ti amo Alzo gli occhi al cielo Ed osservo la dolce fanciulla, Dal sorriso di seta, Prendere tra le dita Impalpabili nuvole Per metterle a dimora All orizzonte Un immagine dolce, Apparsa senza preavviso, In un grigio garage seminterrato D una città d oriente S è addentrata a fondo Nell inestricabile ginepraio Delle discordi armonie Dei miei monotoni giorni E vuol tirarmi fuori, E ciò mi fa paura A lungo schiavo D un insopportabile abulia, Al solo pensiero di un soave, Salvifico sorriso, Ho scacciato con sdegno I miei fantasmi. E sogno E ritorno alla vita Che ho vissuto un tempo, Ai piedi d Olimpo, Con lo sguardo all insù, Sperando di vederla ancora: Vivido nome, vivido pensiero, Unico splendido fiore D un anima in tormento Sommo portento D un emozione intensa, Dove tra fumi e fiumi Va transitando il vento Un brivido nel cuore: L ho appena vista, è lei! M è passata accanto, In una vicinanza strana, Come riflessa nel lago Incantato d una fiaba: 324

325 Incubo assurdo, Come non fosse vera, Quasi vivesse lontana In un altra, recondita, Irraggiungibile atmosfera Libero dai fantasmi Lievi del passato, Servo d un sogno Cupo del presente: Misteri arcani, segregati Nella valle dell Idro, Un sole freddo Mi ha traghettato accanto E adesso, altro non posso Se non disegnare Un ponte di luce Che ti porti a me, Nell ingenua Ma incrollabile attesa Della tua mano candida, Che s intrecci Dolcemente con la mia 325

326 Le porte del nulla Ecco, è l alba: un rosso d autore, Ma al tramonto m assale il terrore Che la notte spettrale mi schiuda Le porte del nulla 326

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