Incontro con Marco Palmieri, light designer É facile parlare di luci: si diventa tutti poeti...
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- Aloisio Pugliese
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1 Incontro con Marco Palmieri, light designer É facile parlare di luci: si diventa tutti poeti... di Claudia Federici É con questa frase che voglio iniziare l intervista a Marco Palmieri: professione light designer. Marco Palmieri è giovane per l esperienza e la fama che ha. E non è facile bloccarlo per un intervista, è spesso in giro per l Italia o all estero, dove è richiesta la sua professionalità. Sono riuscita trovarlo oggi, nel teatro dove ha, quello che definisco un campo base. Facciamo l intervista sul palcoscenico in un momento di pausa. É un entusiasta del suo lavoro, e anche dopo tanti anni non nasconde l emozione di lavorare in uno spettacolo e la grande responsabilità che questo comporta. Inizio subito chiedendogli se, secondo lui, l illuminotecnica sia oggi la nuova frontiera della scenografia. La risposta è immediata e sicura: In qualche modo lo è sempre stata. Forse all estero. In Italia mi sembra che solo negli ultimi 15 anni, abbia avuto una diffusione più organica. Probabilmente perché in Italia bisogna sempre fare i conti con l aspetto finanziario e con una poca conoscenza dei mezzi e delle loro potenzialità. É questo che purtroppo ne ha rallentato lo sviluppo. Una volta bastava dare una luce frontale omogenea: tutto veniva illuminato, dichiarato e bastava così. É molto importante invece il lavoro delle luci. É la combinazione dei vari ruoli che si possono giocare all interno dello spettacolo. Interagire con il suono, la scenografia, con gli attori e soprattutto con il pubblico. É un lavoro emozionante, molto tecnico ma di grande immaginazione e di gusto artistico: questo è il light designer. Come nasce un progetto luci? L illuminazione parte da un progetto e il progetto parte dall autore, dal regista che lo mette in scena e dall idea dello scenografo. Si legge il copione, si parla prima con il regista delle sue idee per lo spettacolo e delle necessità di effetti collegati alle azioni presenti nel testo; poi si parla con lo scenografo per la costruzione della scena e per il tipo di materiale da usare per dare o meno dei riflessi. Si passa quindi alla fase grafica. La situazione grafica iniziale è la piantina dello scenografo. Si inizia a disegnare graficamente lo spettacolo dando, ad esempio, valore ad una scultura (colonna o poltrona che sia) 1
2 prevedendo oltre alla luce, un controluce o un taglio. Piano piano si costruisce questa piantina finché non si arriva sul palcoscenico, al momento del montaggio, quando tutto è già posizionato e cablato. Allora inizia il gioco per dare movimento e il movimento comprende tutti questi stili: controluce, selettività ecc. che insieme interagiscono per dare un effetto. E dare questo effetto compete sia al light designer, sia al regista, sempre in armonia con movimenti e suoni. Ogni scenografia è diversa, ogni palcoscenico è diverso, quindi sono diversi anche gli strumenti. Affrontiamo il rapporto con la scenografia... Prima di affrontare l argomento scenografia, c è un discorso fisico-ottico da analizzare perché, in teatro, il pubblico ha una visione del palcoscenico in due dimensioni: larghezza e altezza. La profondità esiste, ma è meno evidente. Si usano, infatti, diverse tecniche per evidenziare questa terza dimensione. Gli scenografi usano spesso prospettive esagerate per dare più profondità. I registi chiedono agli scenografi diversi livelli, ma usano anche il movimento degli attori per enfatizzare la profondità del palco. E con la luce, il light designer deve mediare... Il light designer può anche demolire tutti questi sforzi, usando una luce sbagliata, in particolare da un angolazione sbagliata, cosicché la scena risulterà completamente piatta. Tuttavia con un illuminazione più ragionata, la scena e gli attori possono apparire a tre dimensioni e non solo figurine di cartone. Oltre a lavorare per dare un atmosfera, si deve anche lavorare per dare fluidità di movimento di luci e per costruire la realtà delle luci e la realtà che lo scenografo vuol dare alla scena. Presumo non sia sempre facile lavorare e ottenere risultati senza scontrarsi con problemi organizzativi ed economici. Talvolta, alcune produzioni non si affidano a professionisti in grado di capire le potenzialità di uno strumento rispetto ad un altro. E talvolta, per risparmiar e, le produzioni chiedono ai tecnici di assumere questo ruolo, con il rischio di demolire tutto il lavoro. Tutto ciò è sbagliato perché con le giuste luci puoi rendere al pubblico particolari stati d animo; arrivare ad un livello inconscio e coinvolgere con un uso appropriato dei colori. Infatti, uno dei modi per controllare l atmosfera è quello di miscelare luci calde e luci fredde. Dovendo rappresentare un atmosfera tetra, non puoi usare un colore caldo come il giallo, che la renderebbe solare e gioiosa ma tonalità fredde. Mentre un contrasto esagerato di ombre può indurre nel pubblico una sensazione di terrore e claustrofobia. In momenti dello spettacolo particolarmente drammatici, è indispensabile saper lavorare con le luci, altrimenti tutto si trasforma in una farsa. Con un controllo dei controluce e la conoscenza degli strumenti, aiutiamo molto lo scenografo. A sua volta, lo scenografo deve aiutare noi. Vedo però, che talvolta, nel progettare, alcuni scenografi non tengono conto delle eventuali difficoltà di illuminazione, chiudendo la parapettata con plafoni e non lasciando possibilità di tagli laterali o dall alto. Si, è vero, purtroppo non tutti gli scenografi hanno un dialogo diretto con noi, però è anche vero che noi light designers dobbiamo mettere a disposizione la nostra professionalità e in un certo modo la personalità. Sta anche a noi, con la tecnica e l esperienza, con l utilizzazione di tanti strumenti, sopperire a questo gap che può essere, non un idea sbagliata dello scenografo, ma un suo modo di lavorare: «Graficamente la scena è bella così, le luci in qualche modo si risolvono...». In quel caso serve un gran professionista. Ma per quanto mi riguarda, anche con gli scenografi che mi mettono in difficoltà, cerco sempre si superare me stesso nel lavoro, trovare tecniche, fare delle sperimentazioni, in modo tale da dare tranquillità. E anche se c è un plafone, riesco ad inventare qualche cosa. Per fare un esempio, per lo spettacolo Dissonanze al Festival mozartiano di Rovereto, lo scenografo aveva creato una vetrata bellissima. Purtroppo la profondità non c era e questo comportava seri problemi per tutta l illuminazione che doveva entrare da quella vetrata. Era impossibile spostare in avanti la scena ed era impossibile rovinare mesi di lavoro del regista per i movimenti di attori e coro. Quindi ho dovuto inventare: ho preso uno specchio di sei metri, la vetrata era di otto, l ho attaccato al muro ed invece di puntare sulla finestra, ho puntato l illuminazione sullo specchio. Lo specchio, rimandando la luce alla finestra, ha creato un effetto fantastico. Ho illuminato solo con quello. 2
3 Gli errori, o altri modi di vedere, come li chiami tu, non sono poi così rari... Di scenografi veramente bravi, e lo dico perché ho lavorato molto e con molti scenografi, ce ne sono pochi. Io ne amo due in particolare: Alessandro Chiti e Francesco Zito. Sono anni che lavoriamo insieme ed oltre ad essere dei grandi professionisti, hanno un grande amore per questo lavoro. Con loro facciamo insieme ricerca sui materiali e sui colori che utilizzano per le scene. E sta a me dare valore alla loro scenografia e questo mi inorgoglisce e mi da un riscontro professionale che mi permette di mettermi sempre in discussione. Perché cose facili in questo lavoro non esistono; devi sempre metterti in rapporto con tante persone. E tutti sanno tutto di tutto... Ma il teatro in fondo è anche questa cosa. Proprio per questo, devi avere una grande professionalità per imporre il tuo lavoro. Nell illuminazione è necessario tenere conto di tante cose: dei costumi, della scenografia, della profondità, della graticcia, dell atmosfera. A volte l atmosfera può andare a scapito della luminosità? Sicuramente. Ma illuminare l attore con una luce frontale mentre in scena c è un momento magico, distrugge completamente l atmosfera. E ripeto, sta alla personalità e professionalità del l.d. far capire questo al regista. Ovvio che arrivati a certi livelli produttivi questo problema non esiste più. Possiamo perciò dire che spesso il problema, a parte la mancanza di esperienza da parte di registi o scenografi, sia di ordine finanziario. Questo, e lo ripeto è anche un mestiere di compromessi, soprattutto finanziari. A me piacerebbe fare sperimentazione, trovar nuovi strumenti. Ma è costoso... Ed in Italia diventa difficile. Tu comunque lavori molto all estero. Trovi differenza? Ci sono dei pro e dei contro. Per fortuna le mie esperienze all estero sono su grandi produzioni. Teatro lirico essenzialmente. Spettacoli molto costosi. Ho quindi a disposizione oltre al materiale, svariati tecnici. Da una parte c è una grande attenzione ai mezzi: non badano al livello economico, mi hanno sempre dato tutti gli strumenti di cui avevo bisogno. Anche di più di quel che chiedevo in fatto di mezzi e personale... Mentre in Italia non è mai successo. Dall altra, c è una rigidità organizzativa. In Italia, ad esempio siamo abituati a cambiar le cose anche all ultimo minuto, se si presenta un problema. All estero non è così: quando parti devi essere ben preciso. C è una pianta luci e quella è. Alla prima prova se il regista cambia qualcosa o sposta un oggetto, si scatena il panico. In Italia due ore prima della prova generale, si continua a lavorare, e non perché si lavori male, ma perché, probabilmente, c è una ricerca maggiore sui particolari. Non fraintendere, non è che all estero non ci sia, ma noi forse abbiamo più manualità e più senso del sacrificio. La necessità aguzza l ingegno? Certamente. In Italia a parte le produzioni degli stabili, sui quali dovremmo aprire un discorso a parte, ci sono tanti privati che, con infinito amore e sacrificio, producono spettacoli. Ed è per questo che mi ha sempre coinvolto. Rinunciando a strumenti e inventando. Queste situazioni mi spronano. É un po l inventiva italiana? Si, è l inventiva italiana. Inoltre in Italia c è un grande gusto artistico nel percepire l anima dello spettacolo. Forse siamo più visionari... Bob Wilson [ The Scenographer, sett. 2004, pag.60, N.d.R.] ha detto che senza luce non c è spazio ed in fondo, già nel 1899 Appia, scriveva che la luce è, nell economia della rappresentazione, ciò che la musica è nella partitura. Rispondo indirettamente. Forse l uso più affascinante e gratificante dell illuminazione è quello relativo alla possibilità di influenzare lo stato mentale del pubblico. Tutto in teatro interagisce. La comunicazione tra attori e pubblico, si basa sul suono e sulla vista, e le luci sono strettamente collegate al suono: attori che sono difficilmente visibili, saranno altrettanto difficilmente udibili. La parola atmosfera può ricoprire un ampia gamma di significati, fino a controllare la felicità o la tristezza del pubblico. 3
4 Ho notato che in Italia non esistono molti testi sull argomento, mentre in inglese esistono svariate pubblicazioni. É vero, e questa è una delle ragioni per cui sto scrivendo un libro che possa, tra l altro servire come testo per i miei studenti dell Accademia di Belle Arti (Accademia di Belle Arti di Frosinone, N.d.R.). Trovo studenti completamente all oscuro della materia, che chiedono dove reperire materiale sull argomento. Anche per questo ho accettato di insegnare in Accademia. Per educare i giovani scenografi all utilizzo dei materiali dell illuminotecnica. Per sapere che poi, una scenografia sarà illuminata in un certo modo. E perché capiscano le problematiche di interazione con il pubblico: è basilare valutare i tempi di reazione dell occhio, dell iride dello spettatore. Se ad esempio si passa repentinamente da una luce pomeridiana accesa ad una scena in cui predomina la notte, il blu; l occhio, per mettere a fuoco, impiega un po di tempo. Però in quei pochi secondi, la magia del teatro può essere annullata. Ripeto, sta a noi giocar con movimenti fluidi. É anche questo che sto cercando di portare in Accademia: la conoscenza degli strumenti in base rispetto a ciò che si fa, perché ogni strumento è differente dagli altri. Ogni strumento ha una lente diversa, una sua ben precisa funzione. Saper utilizzare un sagomatore al posto di un proiettore, è la soluzione migliore, ad esempio, per un illuminazione selettiva. Mi è capitato a volte di assistere a spettacoli teatrali con cambiamenti di luce troppo repentini Sondando il pubblico, mi sono resa conto che almeno a livello conscio, le persone non si rendevano conto o non davano particolare importanza alla fonte di ciò che percepivano come un vago disturbo. Tutto il lavoro di puntamento luci e angolature è sviluppato su computer o su consolle e se c è una persona che dà la luce senza armonia e senza amore e la dà di scatto, ecco che si infrange la magia del teatro. Quando io mi immagino un cambio luci, io mi lego ad un suono, a uno sguardo, poi tutto va legato a dei movimenti a delle armonie che si creano. Quindi il l.d. è un po un regista. É un regista, infatti, quando io lavoro in Francia, mi chiamano il regista delle luci. Il l.d. deve stare attento a tutte le componenti dello spettacolo, dalla regia ai costumi, dalla scenografia al lavoro dei macchinisti, dalla musica all attore. Il teatro è fatto quindi soprattutto di tempi. Io nasco musicista. Forse è per questo che mi sono trovato bene in questo lavoro. La musica mi ha aiutato molto perché il teatro, come la musica, è fatto tutto di tempi, di battute, entrate e uscite. Avere il senso del ritmo aiuta molto anche nei cambi: fare dei passaggi da una situazione ad un altra, con armonia e musicalità, senza essere scontati. Da quel che ho visto nel Coriolano con la regia di R. Cavosi e le scene di Alessandro Chiti, il ritmo era basilare soprattutto per il movimento luci. A questo spettacolo sono particolarmente affezionato. Nel Coriolano era difficile mantenere l atmosfera in alcuni momenti, perché avendo tre grandi schermi di proiezione, l equilibrio tra la luminosità che davano sul palcoscenico, creava problemi alla visione dei video. Ho optato per una selezione d atmosfera, usando i controluce e luci soffuse e ho seguito gli attori con strumenti automatici: delle teste mobili. C è stato un finale spettacolare, molto interessante perché era il momento in cui interagiva tutto: video, scenografia, movimento e movimento delle luci. In una situazione di neanche tre minuti, siamo riusciti a fare 62 memorie luci. In un atmosfera di luci basse, con i motorizzati seguivo sia il duello tra i due protagonisti, sia il popolo, sia i soldati e tutto ciò me lo ha permesso la tecnologia di strumenti che, magari sarebbero scartati a priori non conoscendone le potenzialità. I motorizzati, con movimenti ben precisi, seguivano gli spostamenti degli attori. Coriolano (Alessandro Gassman) usciva dal tunnel e le luci lo accompagnavano al centro. Si girava ed entrava il suo nemico e l altra luce entrava su di lui. Piano piano si incrociavano e in quel momento c erano più strumenti in movimento. Veniva avanti il coro, loro si muovevano. Era un lavoro molto particolare. Per tirare fuori i volumi e i video da un atmosfera un po scura, ho optato per una luce che era in movimento, selettiva, che seguiva i personaggi. 4
5 Foto del Coriolano 5
6 The Scenographer 6
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