I modelli atomici 10/12/2018. Thomson. Rutherford

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1 I modelli atomici Thomson Il primo modello atomico fu proposto nel 1904 da Joseph Thomson, lo scopritore dell elettrone. Egli immaginò che l atomo fosse una sfera omogenea all interno della quale sono uniformemente distribuiti elettroni e protoni in ugual numero, così da rendere l atomo complessivamente neutro. Tale modello fu subito battezzato a panettone poiché ricordava la struttura di questo dolce, in cui le particelle atomiche erano immaginate come l uvetta ed i canditi. Nel 1911 Ernest, assieme a Hans Geiger e Ernest Marsden, condusse un esperimento rimasto celebre. Essi si servirono di un minerale radioattivo capace di emanare radiazioni (dotate di carica positiva) che, ridotte ad un piccolissimo fascio, venivano scagliate verso una lamina d oro molto sottile. Tutt intorno alla lamina era posto uno schermo capace di emettere una scintilla ogni volta che veniva investito da una particella, in questo modo si poteva conoscere il loro punto di arrivo e calcolarne la traiettoria. 1

2 , come Thomson, immaginava l atomo come una sfera omogenea e pensava che le particelle non potessero attraversare gli atomi d oro, molto più grandi e pesanti. Per vedere se l idea era giusta ideò un ingegnoso esperimento: I risultati non furono conformi alle aspettative: la maggior parte delle particelle attraversava indisturbata la lamina d oro, un certo numero venivano deviate con angoli molto variabili e solo poche rimbalzavano indietro. Per spiegare questi risultati ipotizzò una particolare struttura dell atomo e propose un modello assai diverso da quello di Thomson. Il modello di consisteva nell immaginare un atomo sostanzialmente vuoto, al cui interno vi era solo una piccola regione centrale dotata di massa elevata e di carica positiva. A questa regione egli dette il nome di nucleo e stabilì che in esso si trovassero i protoni e i neutroni. Al di fuori del nucleo, e molto distanti da esso, si trovano gli elettroni, dotati ciascuno di una carica negativa e di numero pari a quello dei protoni, così da rendere l atomo elettricamente neutro. 2

3 La maggior parte delle particelle non viene deviata perché, passando lontano dal nucleo, non ne subisce l influenza. Le particelle che invece passano vicino al nucleo subiscono, a causa della repulsione esercitata da quest ultimo, una deviazione tanto maggiore quanto minore era la loro distanza Quelle poche che colpiscono il nucleo vengono respinte indietro a causa della sua grande massa. Le differenze del modello di rispetto a quello di Thomson sono notevoli: 1. poiché il nucleo occupa una piccolissima parte del volume atomico, l intero atomo è sostanzialmente vuoto 2. e non è affatto omogeneo in quanto non solo vi è una netta separazione delle cariche positive da quelle negative, ma anche l intera massa atomica è concentrata nel nucleo. Tanto per avere un idea delle dimensioni relative del nucleo rispetto all atomo, se potessimo ingrandire un atomo fino a fargli assumere le dimensioni di uno stadio, il nucleo avrebbe all incirca le dimensioni di un grosso pallone e gli elettroni sarebbero grandi come mosche. Infine, per completare il modello, immaginò che gli elettroni fossero in continuo movimento attorno al nucleo, così che il loro movimento controbilanciasse l attrazione da parte dei protoni. Il modello atomico di venne detto a planetario poiché veniva paragonato ad un piccolo sistema solare: il nucleo era immaginato come un piccolo sole e gli elettroni come altrettanti pianeti che gli ruotano attorno nelle rispettive orbite. 3

4 Il modello di, tuttavia, creò subito alcune difficoltà concettuali perché era impossibile giustificare la stabilità dell atomo: le forze repulsive agenti tra le cariche positive nel nucleo, confinate in un limitato volume, dovrebbero dar luogo ad un istantanea disgregazione del nucleo stesso in base alle leggi dell elettrodinamica, ogni carica che si muove perde energia irradiando onde elettromagnetiche: quindi, in un tempo molto piccolo (circa 10-8 sec) un elettrone dovrebbe cadere sul nucleo e annichilirsi con le cariche positive Bohr Il primo problema fu risolto con l introduzione di forze agenti solo all interno dei nuclei: la cosiddetta interazione nucleare forte che mantiene l integrità del nucleo. Il secondo problema fu risolto nel 1913 dal chimico norvegese Niels Bohr ricorrendo a nuove ipotesi connesse con la teoria dei quanti elaborata da Max Planck nei primi anni del 900. Secondo la teoria dei quanti l energia, così come la materia, non può essere suddivisa all infinito, ma esiste una quantità minima al di sotto della quale essa perde le sue qualità. Questa minima quantità è detta quanto e di conseguenza l energia viene emessa o assorbita solo in quanti o multipli interi di esso. Bohr Sulla base di queste considerazioni Bohr avanzò due ipotesi: 1. nell atomo gli elettroni in movimento non emettono energia perché sono collocati in orbite stabili la cui energia è inferiore ad un quanto 2. Un elettrone può assorbire energia e trasferirsi in un orbita differente per poi ritornare alla sua posizione originaria emettendo uno o più quanti di energia 4

5 Bohr Il modello atomico che ne deriva è rappresentato da elettroni che si muovono su orbite circolari, concentriche attorno al nucleo e descritte dall equazione: 2πr = n h mv dove m è la massa dell elettrone, v la sua velocità, r il raggio dell orbita e h una costante detta costante di Planck. Secondo questa equazione dunque il raggio dell orbita dell elettrone non può assumere un valore qualsiasi, ma deve essere un multiplo n di h/mv. Il valore di n viene detto numero quantico principale e poiché al variare di n varia la distanza dell elettrone dal nucleo i valori di n sono detti livelli energetici. Bohr Secondo il modello di Bohr gli elettroni occupano quindi determinati livelli energetici nei quali l elettrone non irradia energia. Si ha emissione o assorbimento di energia soltanto nella transizione tra i vari livelli energetici. Sommerfeld Purtroppo il modello atomico di Bohr risultò valido solo per spiegare il comportamento dell idrogeno che ha un solo elettrone. Per questo, nel 1915, il fisico tedesco Arnold Sommerfeld ampliò il modello aggiungendo ad ogni livello energetico alcuni sottolivelli descritti da altri due numeri quantici: il numero quantico secondario (l) e il numero quantico magnetico (m). Il primo determina l eccentricità dell orbita dell elettrone ed il suo valore dipende da n, potendo assumere qualunque valore intero da 0 a n-1. Il secondo determina l orientamento spaziale dell orbita ed il suo valore dipende da l, potendo assumere qualunque valore intero da -l a +l (0 compreso). 5

6 Il modello attuale L introduzione della fisica quantistica nei modelli atomici aprì la strada a tutta una serie di ricerche sulla struttura dell atomo che perfezionarono ulteriormente il modello di Bohr-Sommerfeld. Numerosi sono stati i ricercatori che hanno contribuito a sviluppare il modello attuale dell atomo, ma più di tutti hanno dato un fondamentale apporto De Broglie, Heisenberg e Schrödinger. Grazie al lavoro di questi ed altri scienziati disponiamo oggi di un modello atomico che regge bene alle osservazioni sperimentali: è il modello quanto-meccanico detto anche modello a orbitali. De Broglie Nel 1924 il fisico francese, Louis De Broglie, avanzò una rivoluzionaria ipotesi: come esiste un comportamento corpuscolare delle onde, deve esistere anche un comportamento ondulatorio delle particelle Secondo questa ipotesi anche l elettrone avrebbe un moto ondulatorio descritto dall equazione λ = h/mv, dove m è la massa dell elettrone, v la velocità e λ la lunghezza d onda ad esso associata. Unendo l equazione di De Broglie con quella di Bohr si ottiene: 2 r = n De Broglie Ciò significa che i livelli energetici, di forma circolare e dimensioni 2 r devono contenere un numero intero n di lunghezze d onda. Si ottengono gli stessi risultati di Bohr, ma questa volta la quantizzazione dell energia dell elettrone non è più un ipotesi, bensì diviene una conseguenza logica delle caratteristiche ondulatorie e corpuscolari dell elettrone. Nel 1927 l ipotesi di De Broglie trovò la sua conferma sperimentale in quanto furono osservati tipici fenomeni di diffrazione (una proprietà esclusiva delle onde) prodotti da un fascio di elettroni. 6

7 Heisenberg Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg, analizzando la teoria di Bohr, ne ravvisò un importante difetto. Parlare di orbite presuppone infatti di conoscere contemporaneamente, istante per istante, sia la posizione che la velocità degli elettroni e ciò risulta impossibile. Heisenberg formulò questa impossibilità attraverso il suo famoso principio di indeterminazione: è impossibile conoscere contemporaneamente posizione e velocità di un elettrone in movimento. Heisenberg L impossibilità deriva dal fatto che per effettuare una misura bisogna servirsi di uno strumento che necessariamente interagisce con l oggetto da misurare, provocando un cambiamento più o meno significativo delle sue caratteristiche. Se vogliamo misurare la temperatura di una vasca d acqua possiamo usare un termometro, perché la quantità di calore scambiata tra lo strumento e l acqua è trascurabile; se invece vogliamo misurare la temperatura di una goccia d acqua non possiamo usare il termometro perché in questo caso il calore scambiato non è trascurabile: le dimensioni comparabili della goccia d acqua e del bulbo del termometro comportano una perturbazione sostanziale e la misura perde ogni valore. Heisenberg Quindi ha senso compiere una misurazione solo se la perturbazione può essere contenuta entro limiti trascurabili. Per poter determinare la posizione e la velocità di un oggetto, esso deve esser «visto» o dall occhio dell osservatore o dallo strumento di misura; ciò comporta che l oggetto deve essere colpito da un raggio di luce, ovvero da uno sciame di fotoni. Ora, finché le dimensioni dell oggetto rimangono sufficientemente elevate rispetto ai fotoni, l interazione tra questo e i fotoni non determina nessuna conseguenza, così come un sassolino lanciato contro un automobile in marcia non ne altera il movimento; ma se l oggetto è un elettrone, di dimensioni paragonabili a quelle di un fotone, ne provoca inevitabilmente una variazione nella velocità e/o nella traiettoria. 7

8 Schrödinger Integrando l ipotesi di De Broglie e il principio di Heisenberg, nel 1930 Erwin Schrödinger ottenne una nuova serie di equazioni che descrivono il moto degli elettroni nell atomo. In queste equazioni compare una nuova grandezza chiamata funzione d onda (indicata con il simbolo ψ). Il quadrato di ψ fornisce la probabilità di trovare un elettrone all interno di una certa regione di spazio. Le soluzioni delle equazioni di Schrödinger non descrivono dunque orbite ben definite, ma regioni di spazio in cui si hanno determinate probabilità di trovarvi un elettrone. Schrödinger La regione di spazio entro cui la probabilità di trovare un elettrone è molto alta (convenzionalmente fissata al 90%) è detta orbitale. Il termine è stato introdotto nel 1932 da Robert Mulliken come abbreviazione di funzione d onda orbitale monoelettronica. La funzione d onda è detta orbitale perché descrive in termini quantistici il moto dell elettrone intorno al nucleo ed è monoelettronica in quanto si riferisce ad un unico elettrone. È necessario puntualizzare che gli orbitali sono solo espressioni matematiche, essi quindi non corrispondono a nessuna entità fisica concreta. Schrödinger Da quanto detto si può capire come il concetto di orbitale sia strettamente legato all elettrone cui si riferisce: non esistono gli orbitali di per sé, ma solo in relazione ad un particolare elettrone in movimento attorno ad un nucleo atomico. Ciononostante si continua a parlare, figurativamente, di riempimento degli orbitali e di orbitali vuoti, come se essi fossero dei contenitori in cui collocare gli elettroni. In altre parole, in termini quantistici, un elettrone è contemporaneamente ovunque intorno all atomo, non esistono orbite preferenziali: l atomo NON è vuoto come lo immaginavano e Bohr; l orbitale descrive solo la regione di spazio dove vi è la massima densità elettronica. 8

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