I MARCATORI GENETICI APPLICAZIONE AL SETTORE FORESTALE

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1 I MARCATORI GENETICI APPLICAZIONE AL SETTORE FORESTALE Un marcatore genetico è un qualsiasi fattore ereditario (quindi trasmissibile alla progenie) di cui esistano più varianti genotipiche. Essi consentono l analisi del genoma sia a livello generale che di singolo gene. Gli alberi forestali possiedono un numero limitato di caratteri mendeliani facilmente rilevabili a livello fenotipico, cosa che ha rappresentato per molto tempo un limite al loro studio. Solo negli anni 70 del secolo scorso è stato possibile utilizzare marcatori biochimici (terpeni e isoenzimi) sviluppati specificatamente per le specie forestali, cosa che ha consentito sostanziali progressi nel campo della genetica forestale, soprattutto per quanto riguarda l entità e la distribuzione della variabilità genetica e la caratterizzazione dei meccanismi riproduttivi. La maggior limitazione dei marcatori biochimici è legata al loro ridotto numero: c è quindi il rischio che le informazioni ottenute dalla loro analisi non possano essere estese all intero genoma. Questo problema è stato superato a partire dal 1980, allorquando si sono resi disponibili i cosiddetti marcatori molecolari, basati su specifiche sequenze del DNA. Essi presentano vasti campi di applicazione, sia nella ricerca di base che nel settore applicativo. Utilizzazione e caratteristiche dei marcatori genetici Come detto, il ricorso ai marcatori genetici consente di perseguire numerosi obiettivi: 1. valutare i sistemi riproduttivi, il livello di inbreeding, la distribuzione spaziale e temporale della variabilità genetica all interno di popolamenti; 2. descrivere i patterns geografici della variabilità genetica; 3. approfondire le relazioni tassonomiche e filogenetiche tra specie diverse; 4. valutare l effetto dei processi di domesticazione, inclusi la gestione delle foreste e il miglioramento genetico, sui livelli di diversità genetica; 5. definire il genotipo di determinati individui (fingerprint) ed identificare il materiale in corso di miglioramento genetico o lungo la filiera propagativa; 6. costruire mappe genetiche 7. rendere più efficace la selezione (MAS, selezione assistita dai marcatori). Nel caso delle specie forestali occorre considerare alcuni fattori, che rendono le analisi più complesse, ma spesso anche più informative rispetto al settore agrario propriamente detto: 1. lunghezza del ciclo vitale (decennale se non addirittura secolare); 2. scarse conoscenze genetiche di base per la maggior parte delle specie; 3. areali di distribuzione molto vasti; 4. scarsa differenziazione a livello morfo-fisiologico. Poiché i tipi di marcatori disponibili sono numerosi, si sceglierà volta per volta quello più adatto al particolare studio che si sta conducendo. In linea generale, comunque, il marcatore genetico dovrebbe possedere le seguenti caratteristiche: 1. economicità nello sviluppo e nell utilizzazione; 2. facilità di rilevazione o analisi; 3. possibilità di valutazione precoce (durante le prime fasi del ciclo vegetativo degli individui); 4. distribuzione uniforme nel genoma; 5. nessun effetto ambientale in grado di influenzarne la manifestazione fenotipica; 6. assenza della necessità di conoscenze preliminari sul genoma della specie analizzata; 7. elevata ripetibilità, intesa sia come materiale in analisi che nel tempo e nello spazio; 8. alto livello di polimorfismo (inteso come elevato numero di loci analizzati e/o di varianti alleliche presenti in ciascuno di essi); 9. espressione codominante. I marcatori genetici possono essere classificati in quattro categorie: - marcatori morfologici - marcatori fisiologici (o fenologici)

2 - marcatori biochimici - marcatori molecolari Marcatori morfologici Riguardano caratteristiche legate alla morfologia degli individui (ad es. forma delle foglie, colore dei fiori, portamento, tipo di ramificazione, forma dei semi, numero e dimensione degli stomi, forma e dimensioni dei granuli pollinici, ecc.). La loro rilevazione è di solito semplice e poco costosa. Tuttavia, il loro numero è molto ridotto ed anche il livello di polimorfismo spesso è limitato. La loro manifestazione fenotipica è di solito influenzata dalle caratteristiche ambientali, mentre anche la base genetica di controllo solo raramente è nota. In molti casi si tratta di mutazioni, già evidenti a livello di plantula, quali l albinismo (mancanza di clorofilla, carattere che porta rapidamente a morte l individuo), il nanismo o altre aberrazioni. Questi marcatori sono stati ampiamente utilizzati per stimare il tasso di autoimpollinazione in conifere. Il loro uso è tuttavia limitato dalla bassa frequenza e dalla già citata letalità. Marcatori fisiologici (fenologici) Riguardano aspetti legati al comportamento fisiologico degli individui (resistenze e tolleranze contro avversità di natura sia ambientale che parassitaria) o, più comunemente, al loro ciclo vegetativo. Esempi di quest ultimo caso sono rappresentati dal periodo di ripresa vegetativa, di inizio fioritura, di maturazione dei frutti, di caduta delle foglie, ecc. La loro rilevazione è semplice ed i relativi costi limitati. Presentano inoltre di solito un elevato grado di polimorfismo e, analizzando caratteri tipicamente adattativi, sono in grado di fornire indicazioni di rilevante interesse sulla struttura genetica delle popolazioni. Tuttavia, il loro numero è ridotto, la base genetica di controllo sconosciuta e comunque sicuramente poligenica (e quindi molto complessa), mentre gli effetti ambientali esercitano forti influenze sulla loro manifestazione fenotipica. Quest ultimo aspetto potrebbe essere superato mediante l allestimento di prove comparative in cui tutti gli individui sono soggetti alle medesime condizioni ambientali. Tali impianti, dovendosi ripetere in più località (per analizzare la risposta a diverse condizioni ambientali) e durare per più anni, risultano però estremamente costose nella loro realizzazione e gestione. Marcatori biochimici Sono costituiti dai prodotti diretti della trascrizione del DNA (proteine) oppure da metaboliti secondari. Sono poco influenzati dalle condizioni ambientali, la loro analisi è ripetibile e la base genetica di controllo molto semplice (di solito un marcatore corrisponde ad un gene mendeliano). Inoltre, manifestano spesso il fenomeno della codominanza (che consente di distinguere l eterozigote dall omozigote dominante). I limiti al loro impiego sono legati allo scarso numero e alla presenza di un numero ridotto di varianti alleliche. Anche la risoluzione dei metodi analitici spesso è insufficiente per distinguere forme molto simili. Esempi di marcatori biochimici sono i monoterpeni, gli isoenzimi ed altre proteine. Monoterpeni Si tratta di un gruppo di sostanze che si trovano nelle resine e negli oli essenziali delle piante. Sebbene le loro funzioni metaboliche non siano ancora del tutto note, si ritiene che rivestano un ruolo importante nei meccanismi di resistenza nei confronti dei parassiti, soprattutto insetti. Il tipo e la quantità relativa dei vari monoterpeni presenti in ciascun individuo (ad esempio α-pinene, β-pinene, mirceme, limonene, ecc), determinati tramite gas cromatografia, possono essere utilizzati per risalire al suo genotipo. All inizio, i monoterpeni furono utilizzati soprattutto per studi tassonomici e filogenetici; in seguito il loro uso si estese anche allo studio della distribuzione della variabilità genetica intraspecifica. Tuttavia, la complessità della loro analisi, il costo delle relative attrezzature, il basso numero, la frequente presenza di dominanza completa hanno favorito la loro sostituzione con altri

3 tipi di marcatori biochimici, soprattutto gli isoenzimi, più numerosi, codominanti e di più facile rilevazione. Isoenzimi Gli isoenzimi sono stati per lungo tempo i più importanti marcatori genetici applicati al settore forestale e il loro uso è stato molto ampio, sia a livello di specie che di obiettivi perseguiti. Gli isoenzimi sono forme strutturalmente diverse di uno stesso enzima (catalizzano cioè la stessa reazione chimica), ciascuna codificata da un allele diverso. Nel caso in cui gli alleli appartengano allo stesso gene si usa più propriamente il termine alloenzimi. Mediante elettroforesi (separazione in campo elettrico) è possibile distinguere le varie forme dell enzima presente in un estratto cellulare e risalire così al genotipo dell individuo da cui quell estratto deriva. La maggior parte degli isoenzimi utilizzati come marcatori genetici deriva da enzimi del metabolismo intermedio, tuttavia, almeno in linea di principio, qualunque enzima può essere utilizzato come marcatore genetico. L analisi isoenzimatica è abbastanza semplice e sono disponibili numerosi protocolli per quasi tutte le piante forestali (vedi lo schema della pagina seguente). Le proteine isoenzimatiche possono essere estratte da quasi ogni tipo di tessuto, anche se si preferiscono quelli più teneri e in fase di crescita attiva. Nel caso di conifere è possibile utilizzare l endosperma dei semi, il quale, a differenza delle Angiosperme, è aploide. L estratto, caricato su striscioline di carta assorbente, viene sottoposto ad elettroforesi, cioè migrazione in campo elettrico all interno di un substrato poroso, quale ad esempio gel di amido. Le proteine si muovono a velocità diversa, in funzione della loro carica elettrica ed inversamente al loro peso molecolare. È così possibile separare (in base alla lunghezza del percorso effettuato durante l elettroforesi) le varie forme isoenzimatiche della stessa proteina. La posizione raggiunta da ogni isoenzima al termine del procedimento viene evidenziata ponendo una striscia del gel a contatto con il substrato sul quale agisce l enzima che si sta valutando ed un apposito colorante in grado di evidenziare il prodotto della reazione: si formeranno così delle macchie (o bande) laddove è presente l enzima. Per poter utilizzare gli isoenzimi come marcatori genetici occorre prima valutare che le varie forme individuate vengano codificate da un unico gene e che questo presenti eredità mendeliana. Ciò si può ottenere mediante incroci controllati, utilizzando genitori di cui si conosce il genotipo. Nel caso delle specie forestali, tuttavia, questa procedura risulta di difficile esecuzione e comunque di durata improponibile. Nelle conifere, come detto, il problema può essere facilmente superato analizzando gli endospermi prodotti da un unica pianta madre, possibilmente eterozigote. Poiché gli endospermi sono aploidi, essi rappresentano il risultato della divisione meiotica della macrospora e presentano, alternativamente, i due alleli che costituiscono il genotipo della pianta madre. Oggi è possibile utilizzare da 25 a 40 sistemi isoenzimatici, in funzione della specie e del tessuto in analisi. Essi sono stati impiegati in numerosi studi, soprattutto al fine di valutare la distribuzione della variabilità genetica e nei campi della conservazione delle risorse genetiche e degli studi filogenetici. Altre proteine Un altra categoria di marcatori biochimici prevede l analisi bi-dimensionale su gel di acrilamide (2-D PAGE). In questo caso si valutano tutte le proteine presenti in un estratto cellulare e non solo quelle enzimatiche. Le proteine vengono evidenziate come macchie sul gel e il polimorfismo è rappresentato dalla presenza o assenza di ciascuna macchia. Questa tecnica è stata impiegata sul pino marittimo per studi di associazione genica. Benché la tecnica consenta di analizzare contemporaneamente molti geni, l interpretazione dei risultati è più difficile rispetto agli isoenzimi. Anche la natura dominante di tale tipo di marcatori rende l analisi meno efficace.

4 L analisi isoenzimatica nelle piante forestali. 1) preparazione dei tessuti (ad esempio endosperma, embrioni oppure foglie giovani). 2) omogeneizzazione dei tessuti in apposito extraction buffer e assorbimento dell estratto su piccole striscioline di carta assorbente (wicks). 3) caricamento delle wicks sul substrato (solitamente gel di amido) ed inizio dell elettroforesi. 4) taglio orizzontale del gel e colorazione di ciascuna fetta in base all isoenzima che si vuole analizzare.

5 Marcatori molecolari Intorno agli inizi degli anni 80 del secolo scorso sono stati scoperti nuovi tipi di marcatori, basati direttamente sul DNA: da allora il loro numero è cresciuto considerevolmente e tuttora ne vengono individuati di nuovi di continuo. I marcatori molecolari, in generale, analizzano tratti omologhi di DNA tra vari individui e in questo modo evidenziano similitudini e differenze. Sono totalmente esenti da effetti ambientali e presentano di solito un elevato livello di polimorfismo (come numero di sequenze analizzabili oppure come varianti presenti nell ambito di ciascuna di esse), la loro base genetica di controllo è elementare e di solito consentono un analisi abbastanza rappresentativa dell intero genoma. Alcuni di essi sono inoltre codominanti. Il rovescio della medaglia comprende un analisi non sempre di facile esecuzione ed i costi elevati, nonché la necessità di conoscenze preliminari sul genoma della specie che si analizza (ad esempio le sequenze nucleotidiche che si trovano ai lati di quella che si vuole analizzare), non sempre disponibili soprattutto per le specie meno comuni. Essi possono analizzare un singolo locus genico (anche se in questo caso la definizione è un po forzata, trattandosi in realtà di pezzi di DNA, che possono essere solo una parte di un gene o addirittura far parte del DNA non codificante); in altri vengono invece analizzate più sequenze contemporaneamente: in questo si parla di marcatore multilocus. Il loro utilizzo è stato facilitato dalla scoperta di particolari molecole enzimatiche in grado di agire sul DNA. Ne esistono di due tipi fondamentali: nucleasi e ligasi. Le prime, a loro volta, si dividono in esonucleasi (le quali intervengono sulle estremità di sequenze nucleotidiche eliminando i tratti terminali) ed endonucleasi (che invece agiscono su tratti interni delle sequenze nucleotidiche e risultano quindi efficaci anche su molecole circolari di DNA). Tra queste ultime rivestono una particolare importanza le endonucleasi di restrizione (detti anche enzimi di restrizione). Si tratta di enzimi di origine batterica (ove svolgono un ruolo protettivo nei confronti di DNA estraneo e potenzialmente pericoloso) che tagliano le molecole di DNA in corrispondenza di una specifica sequenza di nucleotidi, costituita da 4, 6 oppure 8 coppie. Il taglio può essere ad estremità piatte (blunt ends: i due filamenti vengono tagliati allo stesso livello) oppure ad estremità asimmetriche (sticky ernds: un filamento viene tagliato sfalsato rispetto all altro, solitamente di 4 nucleotidi). Le ligasi invece favoriscono la formazione di legami fosfodiesterici tra nucleotidi adiacenti ed in questo modo favoriscono la saldatura tra frammenti di DNA. Questa risulta particolarmente facilitata tra frammenti tagliati con enzimi di restrizione a taglio asimmetrico, in quanto la corrispondenza tra i siti di taglio risulta perfetta. Esistono fondamentalmente due tipi di marcatori genetici: quelli che si basano sull ibridazione di due frammenti di DNA e quelli che prevedono l amplificazione artificiale di frammenti di DNA mediante la cosiddetta PCR (DNA-Polymerase Chain Reaction). Tecniche di ibridazione RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism, Polimorfismo della lunghezza dei frammenti di restrizione) Questa famiglia di marcatori molecolari è stata sviluppata negli anni 70 del secolo scorso. Poiché il genoma delle cellule eucariote è molto ampio, non è semplice osservare differenze a livello di particolari geni o specifiche sequenze. Tuttavia, utilizzando una sonda (cioè un breve tratto di DNA costruito artificialmente e complementare ad una sequenza presente nel genoma dell individuo che si sta analizzando) l ipotesi diventa realizzabile. Gli RFLP sono stati i primi marcatori genetici ad essere utilizzati. La tecnica analitica prevede le fasi di seguito elencate (vedi anche lo schema riportato nella pagina seguente). 1. Estrazione e purificazione del DNA. Si utilizzano appositi protocolli, specifici per specie e tessuto su cui si opera. Anche in questo caso, ovviamente, benché praticamente qualsiasi cellula possa essere utilizzata, è preferibile ricorrere a tessuti giovani ed in fase di attiva crescita.

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7 2. L intero DNA estratto viene digerito con un enzima (endonucleasi) di restrizione, il cui effetto è quello di creare un numero variabile (ma molto elevato) di frammenti di DNA di varie dimensioni. Benché siano note centinaia di enzimi di restrizione, in questa fase si utilizzano quasi sempre gli stessi (ad esempio EcoRI, HinDIII, BamH1). 3. I frammenti vengono separati elettroforeticamente su gel di acrilamide: anche in questo caso i frammenti più corti migrano più velocemente, mentre quelli di maggiori dimensioni si spostano con più lentezza. I frammenti possono a questo punto essere visualizzati, utilizzando un colorante specifico, ad esempio bromuro di etidio. Tuttavia, poiché il loro numero è molto alto, di fatto si osserva una striscia continua che non è in grado di fornire alcuna indicazione utile. 4. I frammenti di DNA vengono allora trasferiti, rispettando rigorosamente la loro posizione, su una membrana di nylon, mediante un procedimento detto Southern blotting (dal nome del suo inventore) e denaturati (separazione dei due filamenti). 5. La membrana viene immersa in una soluzione in cui sono presenti le cosiddette sonde marcate: si tratta di frammenti di DNA a filamento singolo, complementari ad una sequenza presente nel genoma dell individuo che si sta analizzando ed individuabili perché radioattive (ad esempio costituite con P 32 ) oppure legate ad un colorante fluorescente. Le sonde possono essere di due tipi: a DNA genomico e a DNA complementare. Le prime vengono sintetizzate copiando frammenti di DNA prelevati da cellule delle piante che si vogliono studiare: possono quindi riferirsi sia a DNA codificante che non. Le sonde a DNA complementare vengono invece realizzate a partire da RNA messaggero (adottando in pratica il processo inverso a quello della trascrizione): di conseguenza non potranno che riferirsi a DNA codificante, condizione questa che spesso le fa preferire alle sonde a DNA genomico. 6. La membrana viene poi risciacquata e posta a contatto con una lastra fotografica (se si sono usate sonde radioattive) oppure osservata in luce UV (nel caso di impiego di sonde fluorescenti). In entrambi i casi si registrerà un segnale (banda) solo dove è presente la sonda, in quanto legata alla sequenza complementare. In definitiva, quindi, la banda indica la posizione (e quindi le dimensioni) del frammento di DNA contenente la sequenza complementare alla sonda. In questo modo è possibile osservare diversità tra gli individui, diversità che derivano dalla presenza o meno dei siti in cui gli enzimi di restrizione hanno tagliato il frammento che contiene la sequenza complementare alla sonda. R1 e R2 sono i siti di restrizione riconosciuti da due differenti endonucleasi. Il rettangolo grigio sui cromosomi rappresenta il tratto di DNA appaiato con la sonda marcata.

8 Ad esempio, con riferimento allo schema riportato nella pagina precedente, si osserva come i genomi A e B, corrispondenti a due individui distinti, presentano una diversità a livello del secondo sito di restrizione per l enzima R2, il quale è presente nell individuo A ma assente in quello B. Ciò rende i frammenti che si originano a seguito della digestione con tale enzima di dimensioni differenti e quindi soggetti a migrazione differenziata, cosa che consente di distinguerli sul gel. La situazione per l enzima R1 è invece identica nei due individui. Gli RFLP presentano il vantaggio di essere molto numerosi (infatti le varie possibili combinazioni sequenza complementare alla sonda/enzima di restrizione sono quasi infinite), ma anche l inconveniente di essere un marcatore di tipo dominante: la banda infatti compare anche se solo in uno dei due cromosomi omologhi è avvenuta la mutazione a livello della sequenza nucleotidica corrispondente al sito di attacco dell endonucleasi che si è utilizzata. Inoltre, nel caso di utilizzo di sonde radioattive, sorgono evidenti problemi di sicurezza e, conseguentemente, di costi. L interpretazione dei risultati di un analisi RFLP è inoltre piuttosto complessa, soprattutto nel caso delle conifere, il cui genoma molto ampio di solito fa sì che vi siano numerose sequenze complementari alla sonda che si sta impiegando. Per questo motivo il loro impiego nel settore forestale è stato piuttosto limitato e incentrato soprattutto su specie appartenenti ai generi Populus ed Eucalyptus. Gli RFLP possono analizzare tutti i tipi di DNA: quello nucleare ma anche quelli mitocondriale e cloroplastico. In questi ultimi casi è stato possibile approfondire le relazioni filogenetiche tra le specie, analizzare la distribuzione della variabilità genetica intraspecifica e studiare le modalità di trasmissione degli organelli intracellulari. Marcatori basati sulla PCR La PCR è stata una delle più importanti scoperte scientifiche del ventesimo secolo e difatti al suo inventore (Kerry Mullis) fu assegnato nel 1990 il Premio Nobel. Prima dell impiego di tale tecnica l analisi del DNA prevedeva il clonaggio dei frammenti in un plasmide batterico, procedura assai complessa. Con questa tecnica, invece, è possibile ottenere, in brevissimo tempo, numerosissime copie di un frammento iniziale, costituito anche da una quantità molto modesta (dell ordine di alcuni nanogrammi): questo è un vantaggio rispetto all analisi RFLP, ove invece sono necessari maggiori quantitativi di DNA. Una peculiarità della PCR è l uso dei cosiddetti primers (o inneschi). Si tratta di corte sequenze nucleotidiche a filamento singolo (indicativamente da 10 a 20 nucleotidi), costruite artificialmente in laboratorio. Il numero teoricamente possibile di primers diversi è elevatissimo: ad esempio, nel caso di primers decamerici (dieci nucleotidi) è possibile realizzare 4 10 diversi primers, cioè più di un milione di molecole differenti. Inoltre la possibilità di analizzare un numero così alto di sequenze rende la tecnica in grado di esplorare la totalità del genoma. La PCR prevede tre fasi: 1. denaturazione del DNA (separazione dei due filamenti) 2. appaiamento (annealing) dei primer ai lati del frammento che si vuole studiare 3. estensione della molecola del DNA, resa possibile da un particolare enzima DNA polimerasi resistente al calore (detta Taq, dal nome del batterio Thermus acquaticus, che vive nelle pozze di acqua a temperatura prossima a quella di ebollizione). Una successione di queste tre fasi prende il nome di ciclo: ad ognuno di essi corrisponde un raddoppiamento nella quantità di DNA iniziale (con riferimento al tratto che si sta analizzando). La procedura può essere facilmente automatizzata ed avviene all interno di specifiche apparecchiature dette termociclatori. Prima della scoperta della Taq polimerasi era necessario aggiungere dopo ogni ciclo del nuovo enzima, poiché quello presente veniva disattivato dalle alte temperature. La PCR non viene utilizzata solo nel settore dei marcatori genetici: al contrario trova numerosissime applicazioni in molto settori della biologia molecolare, che hanno consentito grandi progressi scientifici.

9 RAPD (Random Amplified Polymorphic DNA, Amplificazione casuale del DNA polimorfico) I RAPD sono stati per lungo tempo i marcatori molecolari più utilizzati. La relativa tecnica è stata messa punto, in modo indipendente, da Welsh e McClelland e dal gruppo di Williams. Il grosso vantaggio di questi marcatori è legato alla loro semplicità di applicazione: tra le altre cose non sono necessarie conoscenze preliminari sul genoma che si sta analizzando. La procedura di analisi dei RAPD prevede l uso di primers casuali (scelti cioè in modo arbitrario). Se nel genoma dell individuo che si sta analizzando è presente la sequenza complementare a quella del primer, allora potrà avvenire l appaiamento (annealing) e la procedura PCR potrà avviarsi. Al contrario, se la sequenza non c è, non si potrà avere sintesi di nuovo DNA. Pertanto, il polimorfismo risiede nella presenza o assenza della sequenza complementare a quella del primer: nel primo caso si avrà amplificazione del DNA e si potrà osservare sul gel (a seguito di separazione elettroforetica) il segnale corrispondente a una certa banda. In caso contrario, la reazione non parte e sul gel non comparirà alcun segnale. I RAPD sono marcatori di tipo dominante: basta infatti che la sequenza complementare al primer sia presente in uno solo dei due cromosomi omologhi e la reazione PCR può avviarsi: di conseguenza l eterozigote non è distinguibile dall omozigote per la presenza della sequenza. Si tratta anche di marcatori diallelici, che presentano cioè solo due alternative: presenza o assenza di banda, e quindi della sequenza

10 bersaglio. Sono anche marcatori multi locus, dal momento che nel genoma in studio possono essere presenti più siti in cui il primer può appaiarsi: di conseguenza è possibile analizzare più loci contemporaneamente. In questo modo è possibile ottenere una gran quantità di dati in tempi ristretti e a costi relativamente modesti. Un altro problema dei RAPD è quello della ripetibilità dell analisi. Infatti, il processo di amplificazione del DNA è molto sensibile alle condizioni ambientali in cui avviene, per cui, molto spesso, si ottengono risultati differenti anche nella ripetizione di prove con modalità analoghe. AFLP (Amplified Fragment Length Polymorphism, Polimorfismo della lunghezza dei frammenti amplificati) Gli AFLP sono stati sviluppati nel Presentano aspetti riconducibili sia agli RFLP (di fatto analizzano la presenza o meno di sequenze bersaglio per gli enzimi di restrizione) che ai RAPD (prevedono il ricorso alla PCR, sono multilocus ed hanno carattere dominante). La procedura di analisi è più complessa rispetto a quella dei RAPD. Infatti, dopo l estrazione e la purificazione del DNA, si procede ad una digestione dello stesso, solitamente con due diversi enzimi di restrizione. Successivamente a ciascuna estremità dei frammenti così ottenuti vengono aggiunte delle sequenze dette adattatori, legate tramite l enzima ligasi. Si procede poi ad una pre-amplificazione mediante PCR, utilizzando primer costruiti sugli adattatori ma estesi di un nucleotide (in questo modo solo mediamente un quarto dei frammenti verrà amplificato). Una eventuale ulteriore amplificazione (che utilizza gli stessi primer della prima ma con una ulteriore aggiunta di un nucleotide) ridurrà ulteriormente il numero dei prodotti di amplificazione. Questi vengono poi sottoposti ad elettroforesi al fine di separare i frammenti in base alle loro dimensioni. La presenza o meno di tali frammenti identifica il genotipo dell individuo in studio.

11 La scelta degli enzimi di restrizione e dei due nucleotidi arbitrari permette una scelta elevatissima di combinazioni, che amplificheranno tratti diversi di DNA. Con una combinazione enzima-estensione si riescono ad amplificare fino a 100 frammenti (potenzialmente loci) diversi. SSR (Simple Sequence Repeat, Ripetizioni di sequenze semplici o micro satelliti) I micro satelliti furono sviluppati intorno al 1989 allo scopo principale di mappare il genoma umano. Si basano sulla presenza nel genoma di sequenze ripetute, solitamente costituite da un numero di nucleotidi variabile tra due e quattro. Ad esempio, la sequenza AC è molto comune nel genoma dei pini. Poiché il numero di ripetizioni di tali sequenze è estremamente variabile, gli SSR risultano essere tra i marcatori genetici più polimorfici. Per l analisi degli SSR occorre procedere alla loro amplificazione tramite PCR. Questo è reso possibile dal fatto che le sequenze fiancheggiatrici il microsatelliite sono di solito molto conservate, non solo tra individui della stessa specie, ma addirittura tra specie appartenenti alla stessa famiglia. 3 5 Forward primer ACGAGTA Allele a TGCTCAT CACACACACACA AAGAAT ACGAGTA GTGTGTGTGTGT TTCTTA AAGAAT Reverse primer ACGAGTA Allele b TGCTCAT CACACACACACACACA AAGAAT ACGAGTA GTGTGTGTGTGTGTGT TTCTTA AAGAAT Allele a Allele b aa ab bb

12 L analisi dei microsatelliti è abbastanza dispendiosa, in quanto occorre individuare e sequenziare i tratti che li fiancheggiano, per poter costruire i primer necessari per la loro amplificazione. I primi SSR sviluppati in alberi forestali appartenevano al DNA dei cloroplasti. Il loro studio è stato facilitato grazie al fatto che l intero genoma plastidiale di Pinus thunbergii è stato decofìdificato. I dati ottenuti su questo hanno poi potuto essere estesi anche alle altre specie del genere Pinus. I mocrosatelliti plastidiali sono solitamente ereditati per via materna; fanno eccezione le conifere, in cui invece i plastidi vengono forniti allo zigote dal genitore maschile. Il loro studio, in questo gruppo di specie, può pertanto fornire indicazioni sulla diffusione del polline. SNP (Single Nucleotide Polymorphism, Polimorfismo di un singolo nucleotide) Questo marcatore prevede l identificazione di variabilità dovuta alla presenza di singoli nucleotidi diversi. Pur essendo più comuni nel DNA intronico (dove le mutazioni non sono soggette a pressione selettiva e quindi si conservano con maggior facilità), spesso si studiano SNP appartenenti a sequenze geniche di cui si conosce il prodotto di trascrizione e quindi la funzionalità. È naturalmente necessario conoscere le sequenze delle zone fiancheggiatrici il tratto coinvolto da mutazione, al fine di poterlo amplificare tramite PCR. Dopo l amplificazione, il SNP viene identificato mediante sequenziamento del DNA.

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