Cortecostituzionale RELAZIONIINTERNAZIONALI

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1 Cortecostituzionale RELAZIONIINTERNAZIONALI

2 LISBONA 2 OTTOBRE 2006 Non mi sembrano estranee al tema del convegno alcune brevi notazioni su orientamenti della Corte costituzionale italiana in tema di diritto di famiglia, intesa tale espressione nel suo senso più largo e quindi come diritto delle persone con riguardo alla loro posizione nella famiglia, ma anche come disciplina delle provvidenze inerenti alla vita nella famiglia. Come è ben noto, infatti, l art. 2 della Costituzione della Repubblica Italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell uomo non solo come singolo, ma anche nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Si possono ricordare anzitutto alcune sentenze che sotto ben diversi profili hanno ammesso o reso meno difficoltoso l accertamento del rapporto di filiazione in casi in l ordinamento o lo vietava oppure lo rendeva più oneroso. E anzitutto da ricordare la sentenza n. 494 del 2002, con la quale la Corte ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell art. 278 primo comma del codice civile, nella parte in cui escludeva la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui a norma dell art. 251, primo comma del codice civile, il riconoscimento dei figli incestuosi era vietato. Della motivazione ricordo soltanto due passaggi che appaiono di maggior importanza. In primo luogo la Corte ha rilevato che dalla disciplina censurata derivava in capo alla prole nata da genitori legati dai rapporti familiari indicati dall art. 251 del codice civile, una capitis deminutio perpetua e irrimediabile, come conseguenza oggettiva di comportamenti di terzi soggetti; una discriminazione compendiata, anche nel lessico del legislatore, nell espressione figli incestuosi ; la violazione del diritto ad uno status filiationis, riconducibile all art. 2 della Costituzione. In secondo luogo, la Corte ha osservato che la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti: nella specie il diritto del figlio, ove non ricorrano costringenti ragioni contrarie al suo stesso interesse, al 1

3 riconoscimento formale di un proprio status filiationis un diritto che già la Corte aveva affermato (Sentenza n. 120 del 2001) essere elemento costitutivo dell identità personale, protetta oltre che dagli articoli 7 e 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo, dall art. 2 della Costituzione. Con altra pronuncia (sentenza n. 50 del 2006), la Corte è intervenuta sul piano processuale dichiarando l illegittimità costituzionale dell art. 274 del codice civile, il quale ai fini della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale prevedeva un procedimento preliminare di ammissibilità, che in origine era stato predisposto al fine di garantire che indagini su un oggetto di grande delicatezza si svolgesse con una certa riservatezza finché non ne fosse accertata la loro congruità al fine legittimo. La Corte ha ritenuto la irragionevolezza della disciplina una volta che si era consolidata l interpretazione dei giudici comuni che al suddetto procedimento aveva tolto le caratteristiche della rapidità e della riservatezza. Su tutt altro piano la Corte è intervenuta in attuazione dei principi sanciti dal secondo comma dell art. 29 della Costituzione - secondo il quale il matrimonio è ordinato sull eguaglianza morale e giuridica dei coniugi - e dall art. 30 che stabilisce che è diritto e dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, ma non solo in attuazione dei suddetti principi costituzionali, ma anche in aderenza a mutati dati sociologici parificando la posizione del padre a quella della madre e quindi estendendo, soprattutto nell interesse dei minori, al primo provvidenze in origine previste soltanto per la madre. A titolo di mero esempio - esistono anche altre pronunce - posso indicare la sentenza n. 179 del 1993, con la quale la Corte dichiarò la illegittimità costituzionale dell art. 7 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), nella parte in cui non estendeva, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto ai riposi giornalieri previsti dall art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n (Tutela delle lavoratrici madri), per l assistenza al figlio nel suo primo anno di vita). 2

4 Tale orientamento si fonda sul rilievo che il minore ha esigenze non soltanto materiali, ma anche affettive e che ad appagarle può essere anche il padre e non soltanto la madre. In buona sostanza se il principio è quello della parità dei genitori, l interesse che viene in primo piano è quello dell armonico sviluppo della personalità del minore. Ispirato alla tutela dell interesse del minore è anche quell orientamento con il quale la Corte, tenendo conto delle peculiarità della adozione rispetto alla filiazione biologica ha contribuito, sotto il profilo della ragionevolezza, a adattare alla prima istituti in origine modellati sulla filiazione biologica. Indicativa in questo senso è la sentenza n. 104 del 2003, con la quale la Corte ha dichiarato l illegittimità costituzionale dell art. 45, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151 ( Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui prevede che i riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 si applicavano, anche in caso di adozione e di affidamento entro il primo anno di vita del bambino anziché entro il primo anno dall ingresso del minore nella famiglia. Infine, vorrei parlare della sentenza n. 425 del 2005 con la quale la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione dell art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), norma che vieta all adottato l accesso alle indagini sulla propria origine qualora la madre biologica abbia a suo tempo dichiarato di non voler essere nominata. La questione era stata proposta sotto il profilo che il divieto non consentiva neppure di interpellare la madre sul desiderio di mantenere il segreto. Si è trattato di una pronuncia di grande delicatezza come tutte quelle in cui vengono in contrasto diritti fondamentali. Francesco Amirante 3

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