Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 251

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1 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato ICTUS ACUTO: MONITORAGGIO E COMPLICANZE NELLA FASE DI STATO La fase acuta dell ictus rappresenta una delle condizioni neurologiche, e più in generale mediche, che richiedono, e indubbiamente beneficiano, di una gestione assistenziale mirata al pronto riconoscimento e cura di possibili complicanze. Tale esigenza nasce da un lato dalle peculiarità fisiopatologiche dell ictus, in cui le disfunzioni del sistema cardiovascolare svolgono un ruolo preponderante, dall altro dalla destabilizzazione neurologica e cardiovascolare che può intervenire imprevedibilmente in via secondaria sia alle alterazioni morfologiche e funzionali del tessuto cerebrale in corso di infarto sia, in alcuni casi, alla sede specifica coinvolta (es. insula). La maggioranza delle complicanze dell ictus può essere affrontata con successo tramite interventi medici tempestivi e una assistenza continua. Circa il 25% dei pazienti con ictus peggiora durante le prime ore di ricovero, 1,2 un rimanente 10% può ancora peggiorare dopo 96 ore, 1 ed è stato descritto un peggioramento anche dopo una settimana dall esordio dei sintomi. 2 Nella maggior parte dei casi è difficile prevedere la comparsa di deterioramento per cui tutti i pazienti dovrebbero essere considerati a rischio di peggioramento neurologico, e tutto il periodo nel quale tale evoluzione è possibile deve essere considerato fase acuta. È in questa fase che la gestione generale del paziente secondo protocolli standardizzati può modificare significativamente l evoluzione clinica. In uno studio pilota, 3 il monitoraggio in fase acuta dell ictus dei parametri fisiologici e il loro mantenimento a livelli omeostatici, si è dimostrato in grado di ridurre il peggioramento neurologico precoce. Vi sono, inoltre, evidenze sperimentali che attribuiscono un ruolo di tipo neuroprotettivo alla pronta correzione dell alterazione dei parametri fisiologici. 4 Tale tipo di approccio all ictus acuto viene raccomandato anche da Consensus Conference di esperti a livello internazionale. 5 Pertanto, le funzioni vitali e lo stato neurologico dovrebbero essere valutati frequentemente durante le prime ore dall esordio di un ictus. Va segnalato per completezza di informazione che per ora non è dimostrata inequivocabilmente l utilità del monitoraggio strumentale continuo agli effetti di un migliore esito, e l argomento rimane controverso in attesa di più chiare dimostrazioni. 6-8 Il monitoraggio neurologico e pressorio dovrebbe proseguire nei primi giorni di mobilizzazione, la quale è indicata il più precocemente possibile ( 11.10) MONITORAGGIO CARDIOLOGICO La stretta correlazione tra ictus ischemico e patologie cardiache è stata ampiamente evidenziata in passato. 9 Nella gestione del paziente con ictus ischemico acuto risulta, quindi, essenziale considerare la possibile coesistenza o insorgenza di disturbi cardiologici tra cui l infarto miocardico acuto, l insufficienza cardiaca congestizia, le aritmie e la morte improvvisa, 10,11 la cui prognosi è fortemente legata alla tempestività dell intervento. Alterazioni del tracciato ECG, come ad esempio l inversione dell onda T, si possono verificare nel 15%-70% dei pazienti con ictus acuto, in particolare in caso di emorragia subaracnoidea o intracerebrale. 12 Nell ictus acuto, il rilascio di catecolamine può precipitare l insorgenza di alterazioni del ritmo e/o della funzionalità cardiaca (scompenso cardiaco, infarto miocardico acuto). 13 Le aritmie cardiache, in particolare la fibrillazione atriale, possono associarsi all ictus. 11,14 Esse raggiungono la massima incidenza nelle prime ore dall esordio dell ictus ed in alcuni casi sono ad elevata mortalità. 15 Pertanto il monitoraggio ECG continuo è indicato durante tutto l arco delle prime 48 ore per rilevare aritmie potenzialmente pericolose, in particolare, in pazienti con una delle seguenti condizioni: cardiopatie preesistenti, storia di aritmie, pressione arteriosa instabile, elementi dell esame obiettivo suggestivi di insufficienza cardiaca, alterazioni dell ECG di base 11,12,16 e nei casi in cui siano coinvolti i territori profondi dell arteria cerebrale media e in particolare la corteccia insulare. 17 In assenza di monitoraggio continuo è auspicabile effettuare controlli ECG ripetuti nelle prime 24 ore. Se le indagini cardiologiche di base evidenziano la presenza di anomalie, può essere indicato l uso di procedure diagnostiche più sofisticate o il prolungamento del monitoraggio. In caso di insufficienza cardiaca clinicamente conclamata è indicata l esecuzione dell ecocardiogramma transtoracico. Raccomandazione 11.1 Nelle prime 48 ore dall esordio di un ictus è indicato il monitoraggio delle funzioni vitali e dello stato neurologico. Questo va proseguito in caso di instabilità clinica. Raccomandazione 11.2 Laddove sia disponibile, il monitoraggio ECG continuo è indicato nelle prime 48 ore dall esordio di ictus nei pazienti con una delle seguenti condizioni: cardiopatie preesistenti, storia di aritmie, pressione arteriosa instabile, elementi clinici suggestivi di insufficienza cardiaca, alterazioni dell ECG di base e nei casi in cui siano coinvolti i territori profondi dell arteria cerebrale media e in particolare la corteccia insulare. In caso di instabilità clinica il monitoraggio va proseguito oltre le 48 ore. Raccomandazione 11.3 Qualora non sia disponibile la strumentazione per il monitoraggio continuo sono indicati controlli ECG ripetuti nelle prime 24 ore. In caso di insufficienza cardiaca clinicamente conclamata è indicata l esecuzione precoce dell ecocardiogramma transtoracico.

2 252 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Raccomandazione 11.4 Il monitoraggio, continuo o discontinuo, dello stato di ossigenazione ematica è indicato almeno nelle prime 24 ore dall esordio di un ictus medio-grave. In caso di anomalie va proseguito fino alla stabilizzazione del quadro respiratorio. Raccomandazione 11.5 Nella fase di stato la somministrazione routinaria di ossigeno non è indicata nei pazienti con ictus acuto. La somministrazione di ossigeno è indicata nei pazienti in stato di ipossiemia (SaO 2 <92%). In caso di ipossiemia moderata, in assenza di alterazioni del respiro, è indicata la somministrazione di ossigeno a 2-4 L/min, avviando la somministrazione con elevate concentrazioni di ossigeno da ridurre successivamente in base ai dati di SaO OSSIGENAZIONE EMATICA Un altro punto critico nella gestione ottimale dell ictus acuto è il mantenimento di una adeguata ossigenazione tessutale. 18 L ipossia, promuovendo il metabolismo anaerobico e la deplezione delle riserve energetiche, ostacola il potenziale recupero della zona di penombra ischemica aggravando l estensione dell area infartuata e peggiorando la prognosi. Le più comuni cause di ipossia sono rappresentate dall ostruzione parziale delle vie aeree, dalla polmonite ab ingestis, dalle atelettasie e dall ipoventilazione relativa, ad esempio, a scompenso cardiaco, ad embolia polmonare, a estesi infarti cerebrali emisferici o vertebrobasilari, ad ampie raccolte emorragiche o a sostenuta attività epilettica da ictus emisferici. La ventilazione può peggiorare durante il sonno. Pertanto il monitoraggio, continuo o discontinuo, dello stato di ossigenazione ematica tramite, rispettivamente, pulsiossimetria o emogasanalisi è indicato almeno nelle prime 24 ore dall esordio dell ictus e va proseguito fino alla normalizzazione e/o stabilizzazione del quadro respiratorio. La posizione sollevata del tronco può essere consigliabile per il suo effetto favorevole sulla saturazione di ossigeno e sulla riduzione della pressione intracranica. 19 Non vi sono tuttora dati a favore dell efficacia della somministrazione routinaria dell ossigeno-terapia, che risulta addirittura sconsigliata negli ictus di gravità lieve o moderata, 20 e che va invece indirizzata a quei pazienti in stato di ipossia documentata dall emogasanalisi o in stato di desaturazione alla pulsiossimetria (saturazione O 2 <92%). In questi pazienti, la somministrazione di ossigeno a 2-4 L/min per via inalatoria in genere migliora lo stato di ossigenazione ematica e risulta sufficiente per la correzione dell ipossiemia moderata in assenza di alterazioni del respiro. 16 È opportuno in questi casi avviare la somministrazione con elevate concentrazioni di ossigeno, riducendole successivamente in relazione ai dati della pulsiossimetria e della emogasanalisi. Se il paziente rimane ipossiemico in ventilazione spontanea ad alti flussi, è possibile applicare una pressione positiva continua alle vie aeree (CPAP: Continuous Positive Airway Pressure) al fine di reclutare il maggior numero possibile di alveoli polmonari. Tale supporto ventilatorio non invasivo (effettuato cioè senza intubazione tracheale, ma attraverso una maschera facciale o nasale) richiede un certo grado di collaborazione da parte del paziente che deve essere in grado di mantenere un adeguato volume corrente spontaneo e di tossire efficacemente; inoltre può provocare distensione gastrica. 21 L assistenza ventilatoria manuale è indicata se il paziente è in apnea, se il suo volume corrente spontaneo è insufficiente, se è opportuno ridurre il lavoro respiratorio. La ventilazione manuale a maschera deve proseguire fino al ripristino di un adeguata ventilazione spontanea o fino al posizionamento di un tubo endotracheale. La protezione delle vie aeree superiori e l assistenza ventilatoria sono indicate in caso di pazienti gravi con alterazione dello stato di coscienza. In questi casi (coma, disfunzione troncoencefalica, assenza dei riflessi troncoencefalici, episodi apneici, rapido deterioramento neurologico) l opportunità di intubazione tracheale e ventilazione meccanica dovrebbe essere valutata tempestivamente Anche se i dati riportati in letteratura non sono molti, si può affermare che la proporzione di pazienti con ictus che richiede intubazione tracheale e ventilazione meccanica è altamente variabile con il tipo di ictus e si pone intorno al 5%-11% nell ictus ischemico, nell ambito 26%-30% nell emorragia intracranica, 25,26 intorno al 50% nell emorragia subaracnoidea, 25 anche se non mancano proporzioni più elevate (fino al 63% dei ricoverati) in specifici centri, 27 mentre negli studi epidemiologici su popolazione il tasso è molto più basso e probabilmente inferiore all 1%. L intubazione tracheale è indicata in presenza di segni di insufficienza respiratoria o di fatica respiratoria, in presenza di alterazioni dello stato di coscienza che non consentano la protezione delle vie aeree e in caso di rischio di aspirazione, 28 come specificato nella Tabella 11:I. È importante sottolineare che le manovre di laringoscopia e di intubazione tracheale possono determinare in via riflessa importanti alterazioni emodinamiche in grado di influenzare il flusso cerebrale e la pressione endocranica. Tali manovre devono quindi essere effettuate dopo aver proceduto alla somministrazione di opportune dosi di farmaci sedativi e miorilassanti. Nel caso sia prevedibile la necessità di un supporto ventilatorio di lunga durata è opportuno procedere alla tracheostomia che facilita le manovre di broncoaspirazione, riduce l incidenza di stenosi laringotracheali da intubazione prolungata e migliora il comfort del paziente. Il cor-

3 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 253 Tabella 11:I Indicazioni all intubazione tracheale (Hacke W. et al 1995) 28 po 2 <50-60 mm Hg pco 2 >50-60 mm Hg capacità vitale > ml segni di fatica respiratoria: tachipnea (<30) dispnea auto PEEP coinvolgimento dei muscoli respiratori accessori acidosi respiratoria significativa alterazione dello stato di coscienza rischio di inalazione impossibilità di mantenere la pervietà delle vie aeree retto timing di tale procedura è tuttora controverso, sebbene alcuni Autori consiglino la sua esecuzione anche in terza giornata. 29 La ventilazione meccanica può essere effettuata con diverse modalità; le più comunemente impiegate sono le seguenti: 30 ventilazione meccanica controllata (CMV; Controlled Mechanical Ventilation); ventilazione assistita-controllata (ACV; Assist-Control Ventilation); ventilazione obbligatoria intermittente sincronizzata (SIMV; Synchronized Intermittent Mandatory Ventilation); ventilazione con supporto pressorio (PSV; Pressure Support Ventilation). Durante la ventilazione meccanica controllata (CMV) tutti gli atti respiratori sono a carico dell apparecchio di ventilazione; questa modalità è applicabile solo in pazienti che non effettuano alcuno sforzo respiratorio (drive assente o pazienti sedati ed eventualmente curarizzati). La modalità di ventilazione assistita-controllata (ACV) consente al paziente di incrementare la frequenza respiratoria: ogniqualvolta il paziente compie uno sforzo respiratorio raggiungendo un valore soglia prefissato, il ventilatore eroga un flusso inspiratorio pari ai valori preimpostati. La ventilazione obbligatoria intermittente sincronizzata (SIMV) eroga un volume corrente prestabilito ad una frequenza programmata; a ciò si possono aggiungere atti respiratori spontanei del paziente la cui frequenza e volume sono determinati dalle possibilità di ventilazione spontanea del paziente stesso. La ventilazione con supporto pressorio (PSV) garantisce un incremento meccanico della pressione inspiratoria, consentendo una notevole riduzione del lavoro respiratorio. La scelta della modalità di ventilazione e l impostazione dei parametri ventilatori dipendono dalle condizioni cliniche del paziente. È opportuno iniziare con una concentrazione di ossigeno del 100% (FiO 2 =1) riducendola poi fino a valori che consentano di ottenere livelli adeguati di PaO 2 (saturazione periferica 95%). Può essere utile l applicazione di una pressione positiva di fine espirazione (PEEP). Il volume corrente iniziale deve essere di 8-10 ml/kg. La frequenza respiratoria deve essere regolata sul ph piuttosto che sulla CO 2. Se l adattamento al ventilatore risulta difficoltoso è necessario procedere alla sedazione del paziente o, più raramente, alla curarizzazione. Il supporto ventilatorio può essere progressivamente sospeso ( weaning ) quando siano risolte le condizioni cliniche che ne avevano imposto l adozione. Nella Tabella 11:II 31 sono precisati i criteri clinici che consentono di avviare le procedure di svezzamento dal ventilatore. Tabella 11:II Criteri per la sospensione del supporto ventilatorio (Wijdicks E.F.M. 1997) 31 PaO 2 Volume corrente Capacità vitale Pressione inspiratoria > 60 mm Hg > 5 ml/kg > 15 ml/kg > -30 mm Hg

4 254 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Raccomandazione 11.6 Per il trattamento d emergenza dell ipertensione nei pazienti con ictus acuto è indicato il seguente algoritmo: (da Stroke Coding Guide of the American Academy of Neurology, febbraio 2003, modificata) 1. Lo sfigmomanometro automatico dovrebbe essere verificato contro uno di tipo manuale. 2. Se i valori di pressione diastolica, in due misurazioni successive a distanza di 5 minuti, superano i 140 mm Hg, iniziare l infusione continua e.v. di un agente antipertensivo come la nitroglicerina o il nitroprussiato di sodio (0,5-1,0 mg/kg/min), di cui però va attentamente monitorizzato il rischio di edema cerebrale, particolarmente nei grandi infarti, data la loro capacità di aumentare la pressione intracranica. Pazienti con tali rilievi non sono candidati al trattamento trombolitico con t-pa. 3. Se i valori di pressione sistolica sono >220 mm Hg, o la pressione diastolica è tra mm Hg, o la pressione arteriosa media è >130 mm Hg in due misurazioni successive a distanza di 20 minuti, somministrare un farmaco antipertensivo facilmente dosabile come il labetalolo, 10 mg e.v. in 1-2 minuti. Tale dose può essere ripetuta o raddoppiata ogni minuti fino ad un dosaggio cumulativo di 300 mg. Successivamente a tale approccio iniziale, il labetalolo può essere somministrato ogni 6-8 ore se necessario. Il labetalolo è sconsigliato nei pazienti con asma, scompenso cardiaco o gravi turbe della conduzione. In questi casi può essere usato l urapidil (10-50 mg in bolo, ovvero infusione 0,15-0,5 mg/min). I pazienti che richiedono più di due dosi di labetalolo o altri farmaci antipertensivi per ridurre la pressione arteriosa sistolica <185 mm Hg o diastolica <110 mm Hg, non sono generalmente candidati alla terapia trombolitica. 4. Se il valore di pressione sistolica è di mm Hg o diastolica di mm Hg, la terapia d emergenza dovrebbe essere rimandata, se non coesiste una insufficienza ventricolare sinistra, una dissecazione aortica o un infarto miocardico acuto. Pazienti candi- La gestione del supporto ventilatorio impone il ricovero in unità di terapia intensiva e la consulenza di specialisti rianimatori. L opportunità di procedere alla ventilazione meccanica in pazienti colpiti da ictus è da tempo dibattuta in considerazione della elevata mortalità riscontrata (si veda anche la discussione sulla formulazione dell ordine di non rianimare, 8.7.2). La ventilazione meccanica è un intervento terapeutico indispensabile per la sopravvivenza ed al tempo stesso un indice della gravità dell ictus cerebrale. 27 La prognosi dei pazienti colpiti da ictus cerebrale sottoposti a ventilazione meccanica è peraltro migliore di quanto si ritenesse in passato. 22 Berroushot e coll. hanno recentemente effettuato uno studio prospettico in pazienti con ictus ischemico evidenziando una mortalità dell 81% nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica a fronte di una mortalità globale del 24%. 32 Nei pazienti in ventilazione meccanica la causa più frequente di morte è stata il deterioramento neurologico con ernia cerebrale. Emerge da questo studio la conclusione che ciò che conta non è stabilire la reale opportunità della ventilazione meccanica, quanto riuscire ad evidenziare precocemente i segni di deterioramento neurologico in modo da porre in atto ogni possibile intervento terapeutico PRESSIONE ARTERIOSA Sebbene la presenza di ipertensione arteriosa sia frequente in pazienti con ictus acuto (>80%), 29,33 il suo trattamento non deve essere generalmente iniziato precocemente e la sua gestione ottimale non è stata ancora definita in maniera conclusiva, soprattutto in considerazione della necessità di garantire, particolarmente in questa fase, un flusso di perfusione cerebrale sufficiente alla sopravvivenza della penombra ischemica, non protetta dai meccanismi di autoregolazione. 38,39 Una revisione Cochrane conclude che manca ancora sufficiente evidenza per valutare l effetto sull esito conseguente ad una modifica della pressione arteriosa nella fase acuta dell ictus. 40 Valori pressori elevati possono essere legati a molteplici cause, quali l ictus stesso, il riempimento vescicale, il dolore, una ipertensione preesistente, la risposta fisiologica all ipossia cerebrale o l ipertensione intracranica, lo stress da ospedalizzazione. 41 I valori pressori spesso si normalizzano non appena il paziente viene lasciato riposare in ambiente tranquillo, o la vescica viene svuotata, o il dolore controllato, o l ipertensione intracranica trattata: a distanza di 4-10 giorni dall esordio dell ictus circa il 60% dei pazienti presenta una risoluzione spontanea dell ipertensione. 42 In caso di ipertensione marcata, la sua correzione deve avvenire gradualmente e con cautela per evitare una risposta esagerata al trattamento antipertensivo e un possibile peggioramento neurologico. 18,35,43 Non sono disponibili ad oggi valori definitivi sui cut-off pressori per l indicazione al trattamento urgente dell ipertensione nell ictus acuto. 44 Tuttavia sulla base delle evidenze e Consensus finora ottenuti è possibile identificare un algoritmo operativo che integri rilievi clinici e strumentali (Tabella 11:III). La terapia antipertensiva precoce è indicata in caso di ipertensione associata a trasformazione emorragica dell infarto, a infarto miocardico acuto, scompenso cardiaco, insufficienza renale secondaria allo stato ipertensivo, encefalopatia ipertensiva, dissezione dell aorta toracica, o nei pazienti che necessitino di trattamento trombolitico o con eparina per via endovenosa. 37 Al di fuori di queste condizioni il trattamento in fase acuta non è indicato fino a valori di pressione media 130 mm Hg o di sistolica <220 mm Hg. 18,37 In questi casi la migliore scelta terapeutica endovena è rivolta all uso di farmaci facilmente dosabili, di breve durata d azione, e con minimo effetto vasodilatatorio cerebrale, per il pericolo di incremento della pressione intracranica, quali il labetalolo o l enalapril (non disponibile in Italia in formulazione e.v.). 45 La maggior parte dei pazienti può essere trattata per via orale con captopril o nicardipina. Non è indicato l uso di calcioantagonisti per via sublinguale per la rischiosa rapidità d azione di questo tipo di somministrazione. 16,46 In caso di emorragia cerebrale è indicata la terapia antipertensiva qualora i valori pressori siano: pressione sistolica >180 mm Hg o pressione diastolica >105 mm Hg. 47 L ipotensione arteriosa è infrequente nell ictus acuto 48 e generalmente è legata ad una ipovolemia. 49 Sebbene non vi siano dati per definire una soglia per il trattamento dell ipotensione

5 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 255 Tabella 11:III Algoritmo per il trattamento d emergenza dell ipertensione nei pazienti con ictus acuto (Stroke Coding Guide of the American Academy of Neurology, febbraio 2003, modificata) 1. Lo sfigmomanometro automatico dovrebbe essere verificato contro uno di tipo manuale. 2. Se i valori di pressione diastolica, in due misurazioni successive a distanza di 5 minuti, superano i 140 mm Hg, iniziare l infusione continua e.v. di un agente antipertensivo come la nitroglicerina o il nitroprussiato di sodio (0,5-1,0 mg/kg/min), di cui però va attentamente monitorizzato il rischio di edema cerebrale, particolarmente nei grandi infarti, data la loro capacità di aumentare la pressione intracranica. Pazienti con tali rilievi non sono candidati al trattamento trombolitico con t-pa. 3. Se i valori di pressione sistolica sono >220 mm Hg, o la pressione diastolica è tra mm Hg, o la pressione arteriosa media è >130 mm Hg in due misurazioni successive a distanza di 20 minuti, somministrare un farmaco antipertensivo facilmente dosabile come il labetalolo, 10 mg e.v. in 1-2 minuti. Tale dose può essere ripetuta o raddoppiata ogni minuti fino ad un dosaggio cumulativo di 300 mg. Successivamente a tale approccio iniziale, il labetalolo può essere somministrato ogni 6-8 ore se necessario. Il labetalolo è sconsigliato nei pazienti con asma, scompenso cardiaco o gravi turbe della conduzione. In questi casi può essere usato l urapidil (10-50 mg in bolo, ovvero infusione 0,15-0,5 mg/min). I pazienti che richiedono più di due dosi di labetalolo o altri farmaci antipertensivi per ridurre la pressione arteriosa sistolica <185 mm Hg o diastolica <110 mm Hg, non sono generalmente candidati alla terapia trombolitica. 4. Se il valore di pressione sistolica è di mm Hg o diastolica di mm Hg, la terapia d emergenza dovrebbe essere rimandata, se non coesiste una insufficienza ventricolare sinistra, una dissecazione aortica o un infarto miocardico acuto. Pazienti candidati alla terapia con t-pa, che presentano persistenti valori pressori elevati sistolici >185 mm Hg o diastolici >110 mm Hg, possono essere trattati con piccole dosi di antipertensivo e.v. per mantenere i valori di PA giusto al di sotto di tali limiti. Tuttavia la somministrazione di più di due dosi di antipertensivo per mantenere sotto controllo la PA rappresenta una controindicazione relativa alla terapia trombolitica. 5. Non è indicato l uso di calcio-antagonisti per via sublinguale per la rischiosa rapidità d azione di questo tipo di somministrazione. 6. In caso di emorragia cerebrale è indicata la terapia antipertensiva qualora i valori pressori siano: pressione sistolica > 180 mm Hg o pressione diastolica >105 mm Hg. 7. La correzione della pressione arteriosa tramite agenti antipertensivi nella fase acuta dell ictus dovrebbe essere associata ad un attento monitoraggio dello stato neurologico per rilevare prontamente la comparsa di deterioramento. 8. Nei pazienti con ictus ischemico acuto e pressione sistolica <185 mm Hg o diastolica <105 mm Hg, la terapia antipertensiva non è usualmente indicata. 9. Sebbene non vi siano dati per definire una soglia per il trattamento dell ipotensione arteriosa nei pazienti con ictus acuto, questo viene raccomandato in caso di segni di disidratazione e/o di valori pressori significativamente inferiori a quelli usuali per il dato paziente. Le opzioni terapeutiche prevedono la somministrazione di fluidi e.v., il trattamento dello scompenso cardiaco congestizio e la bradicardia, ed eventualmente agenti vasopressori quali la dopamina. arteriosa nei pazienti con ictus acuto, questo viene raccomandato in caso di segni di disidratazione e/o di valori pressori significativamente inferiori a quelli usuali per il dato paziente. Le opzioni terapeutiche prevedono la somministrazione di fluidi e.v., il trattamento dello scompenso cardiaco congestizio e della bradicardia, ed eventualmente agenti vasopressori quali la dopamina. 16,17 L emodiluizione ipervolemica e l incremento pressorio farmacologico sono stati usati con successo in pazienti con ischemia secondaria a vasospasmo in corso di emorragia subaracnoidea. 37 La regolazione della fluidoterapia è di estrema importanza nel trattamento del paziente colpito da ictus, in considerazione dell influenza sulla perfusione e sul metabolismo cerebrali esercitata dal tipo e dalla quantità dei liquidi somministrati. In passato la restrizione dei fluidi era considerata essenziale per limitare l insorgenza di edema cerebrale. Tale approccio è stato oggi sottoposto a revisione essendo stati dimostrati gli effetti negativi dell ipovolemia sull evoluzione delle lesioni neurologiche. 50 In presenza di lesioni intracraniche, infatti, in conseguenza dell alterazione dei meccanismi di autoregolazione del flusso cerebrale, i valori di pressione sistemica diventano il determinante fondamentale del flusso cerebrale: il mantenimento di un adeguata volemia è quindi il primo obiettivo da raggiungere. Peraltro, l alterazione della barriera ematoencefalica provocata dalle lesioni intracraniche determina l accumulo di liquido extravascolare che non deve essere in alcun modo aggravato. La quantità di fluidi da somministrare deve essere stabilita sulla base della valutazione di parametri clinici e di laboratorio: peso corporeo, diuresi, ematocrito, elettroliti sierici, urea, creatinina, osmolalità plasmatica, osmolalità urinaria, elettroliti urinari, parametri emogasanalitici. dati alla terapia con t-pa, che presentano persistenti valori pressori elevati, sistolici >185 mm Hg o diastolici >110 mm Hg, possono essere trattati con piccole dosi di antipertensivo e.v. per mantenere i valori di PA giusto al di sotto di tali limiti. Tuttavia la somministrazione di più di due dosi di antipertensivo per mantenere sotto controllo la PA rappresenta una controindicazione relativa alla terapia trombolitica. 5. Non è indicato l uso di calcio-antagonisti per via sublinguale per la rischiosa rapidità d azione di questo tipo di somministrazione. 6. In caso di emorragia cerebrale è indicata la terapia antipertensiva qualora i valori pressori siano: pressione sistolica >180 mm Hg o pressione diastolica >105 mm Hg. 7. La correzione della pressione arteriosa tramite agenti antipertensivi nella fase acuta dell ictus dovrebbe essere associata ad un attento monitoraggio dello stato neurologico per rilevare prontamente la comparsa di deterioramento. 8. Nei pazienti con ictus ischemico acuto e pressione sistolica <185 mm Hg o diastolica <105 mm Hg, la terapia antipertensiva non è usualmente indicata. 9. Sebbene non vi siano dati per definire una soglia per il trattamento dell ipotensione arteriosa nei pazienti con ictus acuto, questo viene raccomandato in caso di segni di disidratazione e/o di valori pressori significativamente inferiori a quelli usuali per il dato paziente. Le opzioni terapeutiche prevedono la somministrazione di fluidi e.v., il trattamento dello scompenso cardiaco congestizio e della bradicardia, ed eventualmente agenti vasopressori quali la dopamina. Raccomandazione 11.7 Nei pazienti con ictus acuto è indicato il mantenimento di una adeguata volemia, calcolando la quantità di fluidi da somministrare sulla base di un accurato bilancio idrico.

6 256 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Raccomandazione 11.8 Nei pazienti con ictus acuto la somministrazione di soluzioni ipotoniche (NaCl 0,45%, glucosio 5%) non è indicata per il rischio di incremento dell edema cerebrale. Raccomandazione 11.9 Le soluzioni contenenti glucosio non sono indicate dati gli effetti sfavorevoli dell iperglicemia sull esito neurologico. Raccomandazione Nei pazienti con ictus acuto la soluzione fisiologica è indicata quale cristalloide di scelta per fluidoterapia. Sintesi 11-1 Dati sia sperimentali che clinici indicano che l ipertermia è dannosa a livello della lesione ischemica ed è associata sia ad un peggioramento clinico che ad un peggior esito funzionale. L ipotermia ha un effetto neuroprotettivo. Circa il 50% dei pazienti con ictus cerebrale presenta ipertermia nell arco delle 48 ore dall insorgenza dell evento. Devono essere inoltre calcolati e attentamente rimpiazzati i liquidi persi per via gastrointestinale, respiratoria e cutanea. La scelta dei fluidi da somministrare deve tenere in considerazione i meccanismi che regolano il movimento dei fluidi nel sistema nervoso centrale: la pressione osmotica, la pressione oncotica, la pressione idrostatica e la funzione della barriera ematoencefalica. 51 È dimostrato che gli effetti negativi dei fluidi sull edema cerebrale sono indotti dalle variazioni della tonicità. 52 Le soluzioni per fluidoterapia di impiego clinico si distinguono in cristalloidi e colloidi. I cristalloidi contengono esclusivamente soluti di basso peso molecolare (< dalton) che possono essere ionici (ad esempio Na o Cl), o non ionici (ad esempio glucosio). I cristalloidi possono essere ipotonici, isotonici o ipertonici. Le soluzioni ipotoniche (NaCl 0,45%, glucosio 5%) sono assolutamente controindicate, in quanto possono incrementare l edema cerebrale nelle regioni lese, ma anche in quelle perilesionali ed in quelle integre in conseguenza della riduzione dell osmolalità plasmatica che inducono. Le soluzioni contenenti glucosio devono essere evitate, essendo stata dimostrata un associazione tra elevati livelli glicemici e peggioramento del danno neurologico in pazienti con ischemia cerebrale; ciò sembra determinato dall accumulo di acido lattico e dalla conseguente riduzione del ph nel tessuto cerebrale indotti dall iperglicemia. 53 Le soluzioni isotoniche di più comune impiego sono la soluzione fisiologica e le soluzioni di Ringer. Queste ultime sono in realtà lievemente ipotoniche rispetto al plasma, tanto da poter indurre effetti negativi a livello cerebrale, specie se somministrate in notevole quantità. Il cristalloide di scelta nei pazienti con lesioni cerebrali è quindi la soluzione fisiologica. L infusione di piccoli volumi di soluzioni saline ipertoniche sembra indurre un rapido miglioramento della volemia con effetti positivi sulla pressione endocranica. 54 È possibile la comparsa di effetti collaterali provocati dall eccessivo rapido aumento della sodiemia; inoltre, è stato segnalato che l impiego delle soluzioni ipertoniche sembra più efficace in pazienti con edema cerebrale postraumatico o postoperatorio, piuttosto che in pazienti con edema cerebrale conseguente ad ictus ischemico o emorragico. 55 I dati al momento disponibili non sono sufficienti per stabilire precise indicazioni nel paziente con danno neurologico. 56 I colloidi contengono soluti ad elevato peso molecolare che inducono con meccanismo osmotico il richiamo di liquidi nello spazio intravascolare. La loro maggior efficacia rispetto ai cristalloidi nel rimpiazzo volemico è limitata dalla possibile insorgenza di effetti collaterali; inoltre il loro costo è notevolmente più elevato. Le soluzioni di destrano 40 e 70 contengono polimeri del glucosio di peso molecolare medio rispettivamente e dalton. Il destrano 70 ha una pressione osmotica ed una capacità di espansione volemica simili a quelle del plasma. Il destrano 40 è iperosmotico rispetto al plasma ed ha quindi maggiore efficacia. La loro somministrazione può provocare reazioni allergiche anche gravi, alterazioni dei processi coagulativi ed interferenza con la tipizzazione del gruppo sanguigno. Anche le soluzioni colloidali contenenti amidi possono provocare effetti collaterali analoghi. Le gelatine inducono un espansione volemica estremamente limitata. Sebbene l albumina possa teoricamente essere considerata un espansore plasmatico naturale, il suo ruolo e la sua efficacia clinica rimangono controversi. Il plasma non deve essere impiegato come espansore plasmatico TEMPERATURA CORPOREA Circa il 50% dei pazienti con ictus cerebrale sviluppa ipertermia nell arco di due giorni dall insorgenza dell evento acuto. 57 Le cause più comuni di febbre nei pazienti con ictus sono: infezioni intercorrenti, disidratazione, alterazione dei meccanismi di regolazione cerebrale della temperatura e reazione di fase acuta. L ipertermia in fase acuta risulta associata ad una prognosi peggiore dell ictus in termini di mortalità ed esiti, così come evidenziato da una recente metanalisi, 58 persino per aumenti della temperatura corporea dell ordine di mezzo grado. L ipertermia svolge un ruolo importante nella reazione a cascata che modula il danno neuronale, durante l insulto ischemico. In modelli sperimentali una temperatura di 39 C attiva ed

7 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 257 accelera nel cervello danneggiato meccanismi neuropatologici che inducono danno anche nelle strutture indenni. Al contrario la riduzione della temperatura corporea ha effetto neuroprotettivo, mentre l azione dei farmaci neuroprotettivi può essere contrastata dall ipertermia. L ipertermia in particolare promuove: 1. la mobilizzazione del calcio intraneuronale; 2. l attivazione dei recettori glutammatergici; 3. le disfunzioni della barriera emato-encefalica; 4. la proliferazione delle cellule microgliali; 5. la produzione di anioni superossido e di ossido nitrico; 6. il rilascio dei neurotrasmettitori; 7. il danno ischemico da depolarizzazione nell area di penombra ischemica; 8. la riduzione del recupero energetico e l inibizione del rilascio di protein-chinasi. È stato inoltre dimostrato che valori di temperatura superiori alla norma inibiscono in maniera determinante il re-uptake del glutammato extracellulare, determinandone l accumulo in tale compartimento. Concentrazioni più elevate di glutammato e glicina sono state riscontrate in pazienti cerebrolesi ischemici ipertermici rispetto ai normotermici Studi sperimentali hanno dimostrato inoltre che la temperatura corporea è correlata significativamente con le dimensioni dell area ischemica. 63 L esatto periodo entro cui la febbre può contribuire al danno cerebrale post-ischemico, non è stato tuttora ben definito. Recenti studi hanno tuttavia evidenziato che più precoce è l esordio dell ipertermia, maggiori sono le dimensioni dell area ischemica. Nello studio di Castillo e coll. 62 durante le prime 72 ore il 60% dei pazienti presentava ipertermia. La mortalità a tre anni era dell 1% nei pazienti normotermici e del 5%-8% in quelli con elevati valori di temperatura corporea. Tuttavia, secondo alcune evidenze, solo l esordio di ipertermia entro le prime 24 ore sembrerebbe significativamente associato ad un peggiore esito clinico ed a un aumento di dimensioni dell area ischemica. 64 Pertanto è indicato il trattamento antipiretico assiduo nella fase acuta dell ictus e anche lievi rialzi della temperatura dovrebbero essere corretti mantenendosi entro valori inferiori a 37 C, almeno nei primi giorni. 59 Nel trattamento della febbre, il farmaco comunemente usato è il paracetamolo 65 e, se necessario, è possibile il ricorso a mezzi fisici di raffreddamento corporeo. 59,66,67 Bisogna inoltre ricordare che numerosi studi clinici stanno valutando l efficacia di una moderata ipotermia (32-33 C) nei pazienti con ischemia cerebrale. I risultati degli esperimenti su cavie sono incoraggianti. 68 In pazienti con ictus la comparsa di febbre è attribuibile ad infezioni nel 60%-85% dei casi; 69,70 si tratta di infezioni urinarie nel 10%-30% dei casi, polmoniti nel 10%-20% ed altre infezioni (batteriemie o sepsi, infezioni di ulcere da decubito) nel 5%-30% dei casi Le polmoniti sono una importante causa di morte dopo ictus, 74,75 in particolare in pazienti che sono immobilizzati o che non sono in grado di tossire efficacemente. 75 La comparsa di febbre dopo un ictus impone una immediata valutazione di una possibile complicanza infettiva ed un adeguato trattamento antibiotico. 76 In pazienti immunocompetenti non è raccomandata l attuazione di profilassi antibiotica, antimicotica o antivirale. 77 I trattamenti antimicrobici andranno istituiti sulla base del sospetto clinico di infezione e di appropriate indagini microbiologiche. La scelta della terapia antimicrobica deve essere effettuata in relazione alla sede dell infezione e alla presenza di fattori concomitanti (insufficienza renale, insufficienza epatica, allergie, etc.). L approccio empirico andrà effettuato tenendo presente l eziologia presunta più frequente stabilita sulla base dei dati epidemiologici generali e locali di ogni singolo ospedale. La terapia verrà poi corretta sulla base dei risultati delle indagini microbiologiche e colturali Trattamento delle complicanze infettive nel paziente con ictus Tra le varie complicanze mediche dell ictus acuto (neurologiche, psichiatriche, tromboemboliche, algiche, da immobilità), quelle infettive costituiscono una delle più frequenti cause di morbosità dopo la depressione, le cadute a terra e la sintomatologia dolorosa della spalla. Raccomandazione Nei pazienti con ictus acuto è indicata la correzione farmacologica dell ipertermia, preferibilmente con paracetamolo, mantenendo la temperatura al di sotto di 37 C. Raccomandazione In presenza di febbre in pazienti con ictus acuto è indicata l immediata ricerca della sede e della natura di una eventuale infezione finalizzata ad un trattamento antibiotico adeguato. Raccomandazione In pazienti immunocompetenti non è indicata l attuazione di profilassi antibiotica.

8 258 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Un punto importante è rappresentato dalla gestione dei pazienti con ictus acuto che manifestano febbre, che però può anche essere dovuta ad un meccanismo centrale legato al danno cerebrale indotto dall ischemia ed in questo caso la prognosi dell ictus è ancora più sfavorevole. 78 L esclusione di un infezione è un fattore di diagnostica differenziale molto importante perché evita l inutile somministrazione di antibiotici ad ampio spettro con evidenti risparmi sui costi economici e sui rischi di insorgenza di effetti collaterali e di resistenze batteriche. D altro canto, la conferma della presenza di un infezione e, soprattutto, l identificazione dell agente responsabile mediante apposite indagini microbiologiche è altrettanto fondamentale perché permette, dopo un iniziale terapia antibiotica empirica ad ampio spettro, di effettuare un trattamento mirato con molecole a spettro più ristretto. Sintesi 11-2 L infezione delle vie urinarie è la più comune complicanza infettiva nel paziente con ictus acuto, ed il rischio dipende sostanzialmente dalla durata della cateterizzazione. La terapia iniziale è empirica e basata sulla prescrizione di una penicillina semisintetica protetta o, in pazienti allergici, di un fluorochinolone (tenendo conto del rischio convulsivo associato); nei casi gravi si potrà associare un aminoglicoside oppure somministrare un carbapenemico in monoterapia. Il trattamento antibiotico potrà essere modificato sulla base dei risultati dell urinocoltura e relativo antibiogramma Infezioni urinarie L infezione delle vie urinarie (IVU) è la più comune complicanza infettiva nel paziente con ictus acuto oltre a rappresentare, fino a pochi anni fa, la più frequente infezione nosocomiale. Nel 1990, ad esempio, le IVU nosocomiali presentavano un incidenza del 30%-40% ma negli ultimi anni la loro prevalenza è diminuita, forse in relazione al miglioramento delle misure di prevenzione e sorveglianza e alla migliore gestione dei cateteri urinari, che sono responsabili di almeno l 80% delle IVU. Il rischio di IVU dipende infatti dalla durata della cateterizzazione: la percentuale di infezione è bassa nei primi 3-5 giorni ma dopo giorni metà dei pazienti presenta batteriuria e dopo 30 giorni la stragrande maggioranza. Tuttavia altri fattori contribuiscono ad aumentare il rischio di IVU: ritenzione urinaria, ipertrofia prostatica, sesso femminile, cateterizzazione peripartum, diabete mellito, età avanzata, condizioni generali scadenti. È stato osservato che in pazienti con IVU associata a catetere il tasso di mortalità è tre volte più alto che nei pazienti non infetti, probabilmente per la possibile insorgenza di batteriemia e sepsi. Lo 0,5% dei pazienti cateterizzati sviluppa infatti una batteriemia ed il 15% delle batteriemie nosocomiali è dovuto ad IVU associate a catetere, presentando un tasso di letalità del 30%. 79 La batteriuria che si produce durante la cateterizzazione a breve termine (durata <1 mese) è di solito dovuta a un singolo microrganismo come Escherichia coli ma vengono isolati anche Pseudomonas æruginosa, Klebsiella sp., Enterobacter sp., Staphylococcus epidermidis, Staphylococcus aureus e Serratia sp. La cateterizzazione a lungo termine (>1 mese) è più spesso polimicrobica ed è causata prevalentemente da E. coli, P. æruginosa, Proteus mirabilis e, meno comunemente, Providencia stuartii, Morganella morganii e Acinetobacter baumanni. 79 Secondo i dati statunitensi del sistema NNIS (National Nosocomial Infections Surveillance), i principali agenti eziologici di IVU in generale sono E. coli (24%), enterococchi (16%), P. æruginosa (11%), Candida sp. (11%), Klebsiella sp. (9%) ed Enterobacter sp. (5%). 80 Tra questi microrganismi, problemi di resistenza possono emergere con enterococchi (multiresistenza, ivi compresa la resistenza ai glicopeptidi), P. æruginosa (multiresistenza), E. coli, K. pneumoniæ ed Enterobacter sp. (resistenza alle cefalosporine di III generazione mediata dalla produzione di beta-lattamasi a spettro espanso per i primi due batteri, di beta-lattamasi cromosomiche per il terzo genere) L urinocoltura è un metodo semplice, relativamente rapido ed economico per la diagnosi di IVU. Almeno 10 ml di urine dal mitto intermedio (o dalla porta urinaria nei pazienti cateterizzati) devono essere raccolti ed inviati in laboratorio entro un ora per evitare la crescita batterica, altrimenti dovrebbero essere conservati in frigorifero. La batteriurie sono da considerarsi significative se la conta batterica supera le ufc/ml di urina, ma anche conte comprese tra e ufc/ml in presenza di febbre e piuria (associare sempre l analisi delle urine all urinocoltura, a maggior ragione in pazienti cateterizzati!) devono essere ugualmente giudicate significative. 71 Inizialmente, la terapia antibiotica delle IVU è empirica e, secondo le considerazioni eziologiche sopra ricordate, basata sulla prescrizione di una penicillina semisintetica protetta (piperacillina/tazobactam 4,5 g 3-4, ticarcillina/clavulanato 3,2 g 3-4) o, nei pazienti allergici alle beta-lattamine, di un fluorochinolone (levofloxacina 500 mg/die, ciprofloxacina mg 2; tenendo conto del rischio convulsivo associato); nei casi gravi si potrà associare un aminoglucoside (amikacina 15 mg/kg/die, gentamicina o tobramicina 5,1 mg/kg/die) oppure somministrare un carbapenemico in monoterapia (meropenem 1 g 3, imipenem 500 mg 4). Ovviamente il trattamento potrà essere modificato allorquando dal laboratorio

9 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 259 di microbiologia si rendano disponibili i dati dell urinocoltura relativi all identificazione del microrganismo responsabile ed al suo profilo di sensibilità antimicrobica, 79,84 in particolare se dovessero essere presenti cocchi gram-positivi multiresistenti (enterococchi vancomicino-resistenti) o funghi del genere Candida (C. albicans o le più temibili specie non-albicans quali C. krusei e C. glabrata, resistenti ai comuni triazolici fluconazolo ed itraconazolo). Nel primo caso potranno essere impiegati nuovi antibiotici appartenenti alla classe delle streptogramine (quinupristin/dalfopristin) o degli oxazolidinoni (linezolid), nel secondo caso nuovi antifungini della classe delle echinocandine (caspofungina) o dei triazolici di seconda generazione (voriconazolo) Polmoniti La polmonite è una delle principali cause d infezione ospedaliera e la seconda più frequente complicanza infettiva nel paziente con ictus acuto. 71,73 La sua importanza epidemiologica è testimoniata dagli elevati tassi di letalità (20%-50%) e dai notevoli costi economici (prolungamento del ricovero di 4-9 giorni con un costo aggiuntivo, negli Stati Uniti, di 1,2 miliardi di dollari l anno) che essa comporta. Tra i fattori di rischio di polmonite nosocomiale vanno annoverati alcuni correlati al paziente (età anziana, condizioni generali scadenti, immunosoppressione, pneumopatia cronica, alterazione dello stato di coscienza) ed altri iatrogeni (somministrazione di antibiotici, inserimento di sondino nasogastrico, terapia con H 2 -antagonisti, recente intervento chirurgico o broncoscopia). 79 Per quanto riguarda l eziologia delle polmoniti nosocomiali, è di fondamentale importanza discriminare tra forme ad inizio precoce (entro cinque giorni dal ricovero) e tardivo. Le prime sono per lo più causate da patogeni classici facenti parte della normale flora batterica orofaringea (Streptococcus pneumoniæ, Hæmophilus influenzæ, S. aureus generalmente meticillino-sensibile) mentre una particolare tipologia d infezione delle basse vie aeree è rappresentata dalla polmonite da aspirazione, che si produce soprattutto in soggetti con alterazione dello stato di coscienza come quelli con ictus di entità medio-grave in seguito al deficit dell azione ciliare e della tosse ed in virtù dell azione favorente esercitata dalla disfagia e dalla presenza di sondino nasogastrico. 71 Viene infatti impedita l espulsione all esterno del materiale salivare deglutito contenente una discreta quantità della flora batterica orale, costituita per lo più da batteri anaerobi sia gram-positivi (peptostreptococchi, Streptococcus intermedius) che gram-negativi (Bacteroides fragilis, Fusobacterium sp., Prevotella sp.). Sul piano clinico la polmonite da aspirazione si manifesta in modo del tutto simile alle comuni polmoniti alveolari se si eccettua la produzione di un escreato dall aspetto putrido e dall odore fetido. 85 Le polmoniti ad esordio tardivo (oltre cinque giorni dal ricovero) sono invece delle classiche infezioni ospedaliere, determinate cioè da quei patogeni tipicamente riscontrabili in ambiente nosocomiale ed invariabilmente caratterizzati dalla loro antibiotico-resistenza, spesso multipla: Enterobacteriaceæ con resistenza alle cefalosporine di III generazione mediata dalla produzione di beta-lattamasi a spettro espanso (E. coli, K. pneumoniæ) o di beta-lattamasi cromosomiche (Enterobacter sp.), P. æruginosa ed Acinetobacter sp. multiresistenti, S. aureus meticillino-resistente Purtroppo, anche in ambiente nosocomiale una diagnosi microbiologica di polmonite può essere ottenuta in non più della metà dei casi. L esame batterioscopico e colturale dell escreato è da una parte gravato da un elevata frequenza di falsi positivi dovuti alla contaminazione con la flora residente delle alte vie aeree e dall altra difficilmente ottenibile in pazienti con alterazioni dello stato di coscienza come in caso di ictus. D altronde le altre metodiche se si eccettua l emocoltura, da effettuare sempre e comunque sono tutte invasive: broncoaspirato, fibrobroncoscopia, agoaspirato transtoracico, biopsia polmonare transbronchiale o a cielo aperto. Tra le indagini invasive appena citate, la fibrobroncoscopia con cultura quantitativa da BAL o brushing protetto rappresenta l indagine complessivamente più idonea, purché effettuata prima di iniziare una terapia antibiotica (od almeno due giorni dopo la sua sospensione). È della massima importanza inviare il più rapidamente possibile i campioni di materiale respiratorio al laboratorio (entro due ore) e chiedere l effettuazione non solo dell esame colturale ma anche di quello batterioscopico, che con il minimo sforzo ed in tempi rapidissimi può fornire informazioni preziosissime. Devono inoltre essere prese tutte le precauzioni possibili (rigorosa anaerobiosi) in occasione della raccolta, trasporto e lavorazione di campioni microbiologici delicati come quelli per l eventuale identificazione di batteri anaerobi obbligati. 86 Sintesi 11-3 La polmonite, che include la polmonite da aspirazione, è la seconda più frequente complicanza infettiva nel paziente con ictus acuto. La terapia sarà almeno inizialmente empirica utilizzando una monoterapia con un carbapenemico o con una cefalosporina ad amplissimo spettro o una penicillina semisintetica ad ampio spettro in associazione al metronidazolo. Considerato il possibile ruolo eziologico di S. aureus e la sua frequente meticillino-resistenza, può essere opportuno aggiungere alla terapia un glicopeptide. Il trattamento dovrà essere protratto per 7-10 giorni nelle infezioni da S. aureus meticillino-sensibile o da patogeni respiratori classici; per giorni in quelli dovuti a S aureus meticillino-resistente e bacilli aerobi gram-negativi; per giorni in caso di coinvolgimento multilobare, cavitazioni, gravi condizioni di fondo. Il trattamento antibiotico potrà essere modificato sulla base dei risultati delle colture e relativi antibiogrammi.

10 260 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane La terapia antibiotica sarà almeno inizialmente empirica e basata sulla conoscenza dei dati epidemiologici riguardanti la possibile eziologia ed il profilo di chemiosensibilità sia generale che locale dei microrganismi più probabilmente in causa. Nelle forme precoci potrà essere impiegata una penicillina semisintetica protetta (amoxicillina/clavulanato 2,2 g 3, ampicillina/sulbactam 1,5-3 g 4), una cefalosporina di II (cefuroxime 1,5 g 3) o III generazione (cefotaxime 2 g 3, ceftriaxone 2 g/die) o, in pazienti allergici alle beta-lattamine, un fluorochinolone (levofloxacina 500 mg 2, ciprofloxacina mg 2), tutte queste molecole in associazione ad un agente antianaerobio (clindamicina 900 mg 3, metronidazolo 500 mg 4) per la possibilità di trovarsi di fronte ad una polmonite da aspirazione. Nelle forme ad esordio tardivo il medico avrà l'opportunità di scegliere tra una monoterapia con un carbapenemico (meropenem 1 g 3, imipenem 500 mg 4) o con una cefalosporina ad amplissimo spettro (cefepime 2 g 2) ed un'associazione di un aminoglucoside (amikacina 15 mg/kg/die, tobramicina 5,1 mg/kg/die) e di una beta-lattamina ad ampio spettro comprendente gli anaerobi (piperacillina/tazobactam 4,5 g 4, ticarcillina/clavulanato 3,2 g 4). Considerato il possibile ruolo eziologico di S. aureus e la sua frequente meticillino-resistenza, può essere opportuno aggiungere all anzidetta terapia un glicopeptide (teicoplanina 800 mg/die i primi due giorni seguiti da 400 mg/die, vancomicina 500 mg 4). Il trattamento dovrà essere protratto per 7-10 giorni nei casi ascrivibili a S. aureus meticillino-sensibile od a patogeni respiratori classici (pneumococco, Hæmophilus influenzæ), per giorni in quelli dovuti a MRSA (stafilococco aureo meticillino-resistente) e bacilli aerobi gram-negativi e per giorni nei casi impegnativi (coinvolgimento multilobare, presenza di cavitazioni, pazienti con gravi condizioni di fondo). 79,84 Sintesi 11-4 Poiché il principale fattore di rischio di batteriemia è rappresentato dalla presenza di cateteri vascolari, è indicata un adeguata gestione di tali presidi medicochirurgici. La terapia iniziale è empirica e basata sull associazione di una beta-lattamina anti- Pseudomonas e di un aminoglicoside (oppure di una cefalosporina ad ampio spettro o un carbapenemico da soli), insieme con un glicopeptide. Il trattamento antibiotico potrà essere modificato sulla base dei risultati delle emocolture e relativo antibiogramma Batteriemie Statistiche statunitensi evidenziano un incidenza annua di circa 14,5 batteriemie nosocomiali ogni ricoveri con morti ed un aumento, tra il 1979 ed il 1987, da 7,4 a 17,6 casi ogni abitanti. In uno studio su pazienti, tra il 1980 e il 1992 è stata registrata una diminuzione della mortalità grezza dal 51% al 29% ma la mortalità attribuibile tra i pazienti ospedalizzati è aumentata da 3,55 a 6,22 per ricoveri. 79 Il principale fattore di rischio associato all insorgenza di una batteriemia nosocomiale è rappresentato dalla presenza di un catetere vascolare, con importanti diversificazioni a seconda del tipo di catetere usato (il rischio maggiore si ha con i cateteri venosi centrali non tunnelizzati), della durata prolungata e della sede della cateterizzazione (il rischio maggiore si ha con l arteria o la vena femorale e, per quanto riguarda i cateteri venosi centrali, la vena giugulare) e della tecnica di inserimento, che richiede la massima sterilità. 86 In misura molto minore, anche l inserimento di materiali protesici e l effettuazione di altre procedure invasive sono fattori predisponenti alla batteriemia primitiva mentre le batteriemie secondarie conseguono generalmente ad un infezione respiratoria inferiore (in particolare in pazienti intubati), postchirurgica od urinaria (in genere associata a catetere vescicale o a procedura endoscopica). Altri generici fattori di rischio per batteriemia sono rappresentati dalla neutropenia e dalle terapie citotossiche, cortisoniche e soprattutto antibiotiche. 87 Nelle forme secondarie i bacilli aerobi gram-negativi sono preponderanti mentre le infezioni primitive sono dovute in quasi il 60% dei casi ai principali cocchi gram-positivi nosocomiali tra cui S. aureus, stafilococchi coagulasi-negativi (SCN) ed enterococchi. 80 In uno studio condotto in 49 ospedali statunitensi durante un periodo di tre anni, sono stati rilevati episodi di batteriemia nosocomiale, di cui il 31,9% dovuti a SCN, il 15,7% a S. aureus, l 11,3% a bacilli del gruppo K-E-S, l 11,1% ad enterococchi, il 7,6% a Candida sp., il 5,7% ad E. coli ed il 4,4% a Pseudomonadaceæ. In questo studio la letalità variava dal 21% per le batteriemie da SCN al 40% per quelle da Candida sp. 88 Tra tutti questi microrganismi, problemi di resistenza possono emergere con S. aureus e SCN a causa della loro frequentissima meticillinoresistenza negli ospedali italiani (con percentuali che vanno dal 40% ad oltre il 60%), P. æruginosa ed enterococchi (multiresistenza), E. coli, K. pneumoniæ ed Enterobacter sp. (resistenza alle cefalosporine di III generazione mediata dalla produzione di beta-lattamasi a spettro espanso per i primi due batteri, di beta-lattamasi cromosomiche per il terzo genere) L emocoltura è il test di riferimento per la diagnosi di batteriemia ed alcuni punti fondamentali devono essere tenuti ben presenti quali: a) il momento del prelievo all acme febbrile od in presenza di brivido; b) il numero ed il volume dei campioni almeno 3 a distanza di 10-20

11 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 261 minuti l uno dall altro e con almeno 5-10 ml di sangue; c) la tecnica di raccolta sterilità assoluta; d) il sistema di lavorazione in laboratorio; e) la capacità del clinico di interpretare i risultati. Anche quest ultimo aspetto ha la sua importanza: reperire in un emocoltura la presenza di pneumococco o di un bacillo aerobio gram-negativo è sempre indice di infezione certa mentre l isolamento di uno stipite di Staphylococcus epidermidis da un solo campione è indice di contaminazione nella quasi totalità dei casi. 89 La terapia delle batteriemie è fondata sull impiego di farmaci battericidi che assicurino elevate concentrazioni sieriche, somministrati per via endovenosa ad alte dosi, generalmente in associazioni farmacologiche per allargare lo spettro d azione o per sfruttare il sinergismo di potenziamento. Inizialmente, in attesa dei risultati delle emocolture è preferibile l associazione di una beta-lattamina anti-pseudomonas quale ticarcillina/clavulanato 3,2 g 4, piperacillina/tazobactam 4,5 g 4, ceftazidime 2 g 3 (o di un fluorochinolone come la levofloxacina 500 mg 2 o la ciprofloxacina mg 2 nei soggetti allergici alle beta-lattamine) con un aminoglicoside (amikacina 15 mg/kg/die, tobramicina 5,1 mg/kg/die), oppure l'impiego in monoterapia di un carbapenemico (meropenem 1 g 3, imipenem 500 mg 4) o di cefepime 2g 2. Considerata l elevata frequenza con cui negli ospedali italiani vengono isolati stafilococchi meticillino-resistenti (dal 40% per quanto riguarda S. aureus ad oltre il 60% per quanto concerne gli SCN), è altamente consigliabile aggiungere al carbapenemico (od all associazione beta-lattamina/aminoglicoside) un glicopeptide come teicoplanina (800 mg/die i primi due giorni seguiti da 400 mg/die) o vancomicina (500 mg 4). 79, Infezioni delle ulcere da decubito Le ulcere da decubito, prevalentemente localizzate nelle aree declivi sottoposte a pressione quali le zone sacrali, calcaneali e coxofemorali, rappresentano una tipica complicanza medica in pazienti cronicamente allettati come quelli con ictus. L aumento del peso corporeo (obesità) è un fattore di rischio per la comparsa di piaghe da decubito; anche l iperglicemia e l ipoproteinemia rappresentano un fattore precipitante, e devono essere tempestivamente corrette. La prevenzione si basa su un capillare e scrupoloso trattamento infermieristico che comprende l uso di un lettino antidecubito ad aria o ad acqua, di una minuziosa igiene e la mobilizzazione del paziente con intervallo variabile da 1 a 4 ore a seconda dei fattori di rischio per lesioni da decubito. La formazione di ampie piaghe da decubito con tessuto necrotico si avvale di un adeguato trattamento chirurgico. Per le condizioni predisponenti di fondo e l incontinenza urinaria e fecale che spesso contraddistingue tali pazienti, con facilità le ulcere da decubito si infettano prospettando così un infezione che è tipicamente polimicrobica. 71 Possono essere infatti in causa microrganismi sia aerobi gram-positivi (enterococchi, stafilococchi, Streptococcus pyogenes) e gram-negativi (Enterobacteriaceæ, Pseudomonadaceæ), sia anaerobi gram-positivi (peptostreptococchi) e gram-negativi (Bacteroides sp.). Una terapia antibiotica delle ulcere da decubito infette dovrebbe essere intrapresa solo allorquando la patologia sia particolarmente grave da produrre un estesa cellulite oppure un processo settico testimoniato dalla presenza di segni e sintomi generali e dalla positività delle emocolture, che devono essere sempre prelevate in pazienti febbrili. Su queste basi, considerando la molteplice eziologia di tali infezioni, un adeguato trattamento antibiotico è rappresentato da una penicillina semisintetica protetta (piperacillina/tazobactam 4,5 g 4, ticarcillina/clavulanato 3,2 g 4) oppure da un carbapenemico (meropenem 1 g 3, imipenem 500 mg 4) o, in pazienti allergici alle beta-lattamine, dall'associazione tra un fluorochinolone (levofloxacina 500 mg/die) ed una molecola antianaerobia (clindamicina 900 mg 3, metronidazolo 500 mg 4). 84 Sintesi 11-5 Le piaghe da decubito rappresentano una grave complicanza dell ictus acuto associata ad una aumentata mortalità e ad un peggiore andamento clinico e funzionale. Il rischio di piaghe da decubito è più alto nei pazienti obesi, nei diabetici e nei pazienti iponutriti. La terapia antibiotica è indicata solo in presenza di un estesa cellulite, di segni e sintomi di sepsi o di positività delle emocolture. Raccomandazione Nei pazienti con ictus acuto è indicata la prevenzione delle piaghe da decubito basata sul cambiamento di posizione del paziente, con intervallo variabile da 1 a 4 ore a seconda dei fattori di rischio per lesioni da decubito, su una minuziosa igiene e sull uso di un materasso ad aria o ad acqua.

12 262 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane 11.5 NUTRIZIONE Sintesi 11-6 La malnutrizione proteico-energetica nel paziente affetto da ictus acuto è un evento frequente. La valutazione dello stato nutrizionale è fondamentale per evidenziare precocemente situazioni di malnutrizione per eccesso o per difetto e per mantenere o ripristinare uno stato nutrizionale adeguato. Una nutrizione adeguata è importante per evitare la comparsa di complicanze, per ridurre i tempi di ospedalizzazione, per migliorare la qualità della vita e rendere più semplice ed efficace il percorso terapeutico. Raccomandazione a La valutazione dello stato di nutrizione e l intervento nutrizionale sono indicati come componente essenziale dei protocolli diagnostici-terapeutici dell ictus, sia in fase acuta che durante il periodo di riabilitazione. Raccomandazione b È indicato che figure professionali esperte (medico nutrizionista, dietista) facciano parte del gruppo multidisciplinare che gestisce il lavoro della stroke unit. Raccomandazione c È indicato includere le procedure di valutazione del rischio nutrizionale fra gli standard per l accreditamento delle strutture sanitarie. Sintesi 11-7 I protocolli diagnostici essenziali per la valutazione dello stato nutrizionale e del rischio nutrizionale nel paziente affetto da ictus includono: a) gli indici nutrizionali integrati, che vanno effettuati all ingresso nell ospedale o nella struttura riabilitativa; b) le misure antropometriche, gli indici biochimici, la rilevazione dell assunzione dietetica e delle condizioni mediche associate, da ripetere nel corso del ricovero con periodicità differente, in relazione al rischio nutrizionale individuale Valutazione del rischio nutrizionale Il malato colpito da ictus può presentare una condizione preesistente di malnutrizione per eccesso o per difetto ed è a rischio di malnutrizione proteico-energetica Uno stato di malnutrizione proteico-energetica è presente nell 8%-16% dei pazienti con ictus acuto, nel 26% dopo 7 giorni, nel 35% dopo 2 settimane e nel 40% all inizio della fase riabilitativa Fattori sia strettamente clinici (disturbi della masticazione, disfagia, disturbi della vigilanza e visuo-spaziali) che assistenziali (difficoltà di alimentazione autonoma per concomitanti disturbi di forza e/o di coordinazione all arto superiore) contribuiscono al deterioramento dello stato nutritivo. Inoltre età senile, alterazioni metaboliche, nonché fattori psicologici quali depressione e isolamento, possono causare un ridotto interesse nell alimentazione. 95,96, La presenza di malnutrizione proteico-energetica è correlata ad una maggiore incidenza di infezioni, piaghe da decubito, ridotta capacità di resistere ad insulti di tipo ossidativo ed alla perdita di massa muscolare, che determina o aggrava l inabilità motoria. 95,97, È necessario quindi includere nei protocolli diagnostici la valutazione dello stato nutrizionale e nei protocolli terapeutici gli interventi nutrizionali correttivi, sia in fase acuta che durante il periodo di riabilitazione. 110,111 La valutazione del rischio nutrizionale è una procedura assistenziale che dovrebbe essere inserita negli standard di accreditamento degli ospedali. 112,113 Le stroke unit dovrebbero dotarsi di efficaci protocolli nutrizionali e del personale più adatto alla loro gestione. Il team dovrebbe coinvolgere in modo coerente e continuativo un medico nutrizionista e un dietista che, in collaborazione, possano garantire la massima qualità dell intervento dietetico-nutrizionale, dalle scelte terapeutiche iniziali alla gestione nel tempo. 110 Il medico nutrizionista, in particolare, valuta tipologie e costi/benefici dei protocolli terapeutici alla luce delle condizioni cliniche del malato, assicurandone il sistematico follow up metabolico. Al contempo, il dietista esegue la valutazione dietetica del paziente, collabora al monitoraggio dello stato di nutrizione, alla valutazione dinamica della assunzione dietetica, alla gestione della nutrizione enterale, e coopera nella soluzione delle problematiche legate alla disfagia. 114 Le metodiche a cui fare riferimento per la valutazione dello stato nutrizionale sono molteplici, alcune di esse complesse ed attuabili solo in centri specialistici di nutrizione clinica, tuttavia è possibile ricorrere a protocolli semplificati applicabili in tutti gli ospedali e gli istituti riabilitativi. La valutazione dello stato di nutrizione deve almeno comprendere: 110 a) una prima valutazione o screening del rischio nutrizionale, da effettuarsi utilizzando gli indici nutrizionali integrati entro ore dall ammissione a tutti i pazienti. 110,111 I risultati dello screening nutrizionale devono guidare ad una richiesta appropriata d intervento del dietista per la valutazione ed il trattamento. 111 Il Nutritional Risk Screening (NRS) 112 ed il Malnutrition Universal Screening Tools (MUST) 115,116 possono essere utilizzati anche nel caso dell ictus. Entrambi gli indici, considerando il BMI, il decremento ponderale non intenzionale, la valutazione dell assunzione dietetica, la condizione clinica e/o il trattamento, classificano il paziente a rischio lieve (NRS 2; MUST 1) o moderato/elevato (NRS 3; MUST 2; Tabella 11:IV e Figura 11 1). b) successive e più complete valutazioni dello stato di nutrizione utilizzando misure ed indici antropometrici, indici biochimici, la valutazione dell assunzione dietetica e delle patologie associate. Tali valutazioni devono essere ripetute con periodicità settimanale nei pazienti normonutriti; la Tabella11:V elenca gli indicatori ed i valori soglia da considerare.il sospetto di malnutrizione proteico-energetico necessita di un monitoraggio bisettimanale, viceversa la presenza di una condizione di malnutrizione in atto (identificata dalla presenza di almeno due indicatori, di cui uno biochimico), necessita di un immediato supporto nutrizionale. Gli indici essenziali da includere nel protocollo di valutazione dello stato nutrizionale e del rischio nutrizionale possono essere elencati come segue.

13 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 263 Tabella 11:IV Nutritional Risk Screening (Public Health Commitee, 2003) 112 punti stato nutrizionale punti condizione medica e trattamento 1 perdita peso >5% negli ultimi 3 mesi 1 frattura dell anca; oppure: presenza di patologie croniche anche assunzione dietetica <50-75% rispetto ai in fase di riacutizzazione: fabbisogni nella settimana precedente epatopatie croniche cirrogene, malattie polmonari ostruttive croniche, tumori solidi; radioterapia (ipercatabolismo lieve) 2 perdita peso >5% negli ultimi 2 mesi 2 post-intervento di chirurgia (addominale) maggiore; oppure: pazienti geriatrici istituzionalizzati; IMC 18,5-20,5 associato a condizioni generali scadute ictus; oppure: insufficienza renale nel postoperatorio; assunzione dietetica <25-50% rispetto ai pazienti ematologici; fabbisogni nella settimana precedente chemioterapia (ipercatabolismo moderato) 3 perdita peso >5% nell ultimo mese 3 traumi cranici oppure: trapianto di midollo osseo IMC <18,5 associato a condizioni generali scadute pazienti in terapia intensiva oppure: (ipercatabolismo grave) assunzione dietetica 0-25% rispetto ai fabbisogni nella settimana precedente totale A totale B TOTALE A+B: basso rischio di malnutrizione (punteggio 2); rischio moderato/elevato di malnutrizione (punteggio 3) Raccomandazione d È indicato che, all ingresso nell ospedale e nella struttura riabilitativa, si proceda alla valutazione del rischio nutrizionale utilizzando il Nutritional Risk Screening (NRS) o il Malnutrition Universal Screening Tool (MUST). Raccomandazione e È indicato procedere alla valutazione del rischio nutrizionale entro h dal ricovero. STEP 1 IMC IMC (kg/m 2 ) >20 (>30 obeso) 18,5 20,0 <18,5 punteggio STEP 2 perdita di peso + + decremento ponderale non intenzionale negli ultimi 3-6 mesi decremento % punteggio < >10 2 STEP 3 effetti di malattia acuta se il paziente è affetto da una malattia acuta e si è verificato o si prevede per almeno 5 giorni un introito nutrizionale insufficiente punteggio = 2 Figura Malnutrition Universal Screening Tool. 116 STEP 4 valutazione globale del rischio di malnutrizione sommare STEP 1 + STEP 2 + STEP 3 punteggio 0 basso rischio di malnutrizione punteggio 1 medio rischio di malnutrizione Misure ed indici antropometrici Per il paziente in grado di mantenere la stazione eretta: punteggio 2 alto rischio di malnutrizione peso, altezza, circonferenza vita. Il peso e l altezza consentono il calcolo dell indice di massa corporea (IMC o BMI = peso/altezza 2 in kg/m 2 ), con il quale evidenziare la presenza di malnutrizione per eccesso (BMI 30) o per difetto (BMI<20). 117 La misura ripetuta del peso consente di evidenziare la presenza di decremento ponderale non intenzionale. Un decremento ponderale non intenzionale >5% negli ultimi due mesi può essere riferito ad una situazione di malnutrizione proteico-energetica in atto. La misura ripetuta del peso corporeo va effettuata con periodicità almeno settimanale per tutta la durata del ricovero: un decremento ponderale non intenzionale del 2% rispetto alla precedente settimana è chiaramente indicativo di apporti energetici inadeguati. Raccomandazione f Nel paziente in grado di mantenere la postura eretta sono indicati misure e indici antropometrici essenziali quali circonferenza della vita, calcolo dell Indice di Massa Corporea (IMC) e stima del decremento ponderale non intenzionale. Nel paziente non deambulante sono indicate le misurazioni antropometriche di: peso corporeo, se disponibili attrezzature speciali, e semiampiezza delle braccia, in luogo dell altezza, per il calcolo dell IMC o, in alternativa, la circonferenza del braccio.

14 264 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Tabella 11:V Criteri per la valutazione della malnutrizione proteico-energetica (PEM) sospetto di PEM/PEM lieve PEM BMI (kg/m 2 ) o, in alternativa, 20 <20 circonferenza braccio (cm) 23,5 <23,5 decremento ponderale non intenzionale (%) >5% in 3-6 mesi >5% in 2 mesi albuminemia (g/dl) 3,0-3,5 <3,0 conta linfocitaria (no./mm 3 ) <1 200 assunzione dietetica (copertura % del fabbisogno) 100%-75% <75% gravità della patologia o presenza di patologie associate no sì supporto nutrizionale monitoraggio bisettimanale La circonferenza vita è la misura antropometrica più pratica per la valutazione della quantità di grasso viscerale direttamente correlato, anche nei soggetti normopeso, ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. I valori di attenzione sono: 118,119 rischio moderato: >94 cm nell uomo; >80 cm nella donna rischio elevato: >102 cm nell uomo; >88 cm nella donna Per i pazienti non deambulanti, confinati nel letto o incapaci di mantenere la stazione eretta: peso, semiampiezza delle braccia, circonferenza del braccio. Per i pazienti non deambulanti la misurazione del peso richiede la disponibilità di attrezzature specifiche (sedie e letti a bilancia); la misurazione della semiampiezza della braccia permette una stima dell altezza (secondo apposite tabelle di corrispondenza fra i due dati) mentre la circonferenza del braccio può essere utilizzata, in alternativa al BMI, per evidenziare una situazione di malnutrizione per difetto (<23,5 cm) o per eccesso (>32 cm) Indici biochimici Raccomandazione g Nel protocollo di valutazione dello stato di nutrizione sono indicate la valutazione dell assunzione dietetica e la valutazione clinica; il dosaggio dell albumina e la conta dei linfociti sono indicati quali valutazioni biochimiche essenziali. Gli indici biochimici di più semplice determinazione ed interpretazione sono l albuminemia e la conta linfocitaria. L ipoalbuminemia è un fattore predittivo di una peggiore prognosi nei pazienti affetti da ictus. 93,120,121 I riferimenti diagnostici per albuminemia e conta linfocitaria sono riportati in Tabella 11:V Valutazione dell assunzione dietetica La valutazione dell assunzione dietetica è indicata per la valutazione ed il monitoraggio dello stato nutrizionale, nonché per l impostazione di un adeguato supporto nutrizionale. La prima valutazione dell assunzione dietetica va effettuata all ingresso in ospedale o nella struttura riabilitativa ottenendo informazioni dai familiari o, qualora possibile, direttamente dal malato sui consumi dei 5-7 giorni precedenti; a tale scopo si utilizza l inchiesta alimentare per ricordo (Recall) o questionari semplificati che mirano a valutare i consumi alimentari e le loro variazioni nel periodo che precede l osservazione. Le successive valutazioni si effettuano mediante la determinazione diretta di quanto consumato dal malato (p. es. con la valutazione degli scarti); le valutazioni dell assunzione dietetica vanno eseguite per almeno un giorno a settimana e ripetute nei due giorni consecutivi se l assunzione dietetica è <75% dei fabbisogni stimati. Misurazioni ripetute <75% impongono variazioni della strategia nutrizionale adottata. Valutazione clinica La valutazione clinica deve essere effettuata per evidenziare la presenza di ulteriori patologie e/o trattamenti terapeutici che possano determinare un incremento dei fabbisogni in energia e nutrienti o richiedere modifiche della composizione nutrizionale della terapia dietetica.

15 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato Il trattamento nutrizionale nella fase acuta Il supporto nutrizionale è parte integrante del trattamento dell ictus cerebrale. La mancanza di un adeguato supporto nutrizionale determina il rapido instaurarsi di un deficit calorico-proteico che ha conseguenze drammatiche sull evoluzione del quadro clinico. 122 Obiettivi del supporto nutrizionale sono la prevenzione o il trattamento della malnutrizione proteico-energetica, di squilibri idro-elettrolitici o di micronutrienti. L istituzione del supporto nutrizionale si articola nelle seguenti fasi: a. valutazione dello stato di nutrizione (vedi ); b. valutazione dei fabbisogni di energia e nutrienti; c. timing e scelta delle modalità di somministrazione della nutrizione; d. prevenzione e gestione delle complicanze della nutrizione enterale Valutazione dei fabbisogni di energia e nutrienti Il calcolo del fabbisogno energetico dovrebbe teoricamente essere effettuato mediante la calorimetria indiretta che valuta la spesa energetica sulla base del consumo d ossigeno e della produzione di anidride carbonica. Più semplicemente il fabbisogno energetico si calcola con il metodo fattoriale: il metabolismo di base (MB), predetto con le equazioni riportate in Tabella 11:VI, va moltiplicato per un fattore che considera o il livello di attività fisica o particolari condizione cliniche. 123 Tabella 11:VI Equazioni di predizione del metabolismo di base (MB; kcal/die) a partire dal peso corporeo (Pc)➀ FAO/WHO/UNU 1985; 124 Schofield et al età (anni) uomini donne ,6 Pc ,7 Pc ,9 Pc ,2 Pc ,4 Pc ,8 Pc ➀ peso corporeo in kg misurato (se normopeso) o desiderabile (in caso di obesità o magrezza) Sintesi 11-8 Obiettivi del supporto nutrizionale in fase acuta sono la prevenzione o il trattamento della malnutrizione proteico-energetica, di squilibri idro-elettrolitici o di carenze selettive (minerali, vitamine, antiossidanti, ecc.). Sintesi 11-9 Il fabbisogno di energia si calcola applicando il metodo fattoriale, e cioè misurando o stimando il metabolismo basale e correggendo tale valore per il livello di attività fisica (LAF) o per i fattori di malattia, espressi in multipli del metabolismo basale: sono in genere indicati valori compresi tra 1,2 e 1,5 volte il metabolismo basale. Allo stato attuale non è stato identificato alcun fattore di correzione specifico per le patologie neurologiche: 122 paziente allettato = 1,2 paziente non allettato = 1,3 trauma chirurgico minore = 1,2 trauma scheletrico = 1,35 sepsi grave = 1,6 ustione estesa = 2,1. L apporto proteico consigliato nei casi non complicati è di circa 1 g/kg di peso corporeo misurato (se normopeso) o desiderabile (in caso di obesità o magrezza) e fino 1,2-1,5 g/kg al giorno in presenza di condizioni ipercataboliche o piaghe da decubito. 112,124,125 Se il soggetto è gravemente malnutrito le stime del fabbisogno energetico e proteico vanno personalizzate. Una volta coperti i fabbisogni di proteine, la proporzione dei carboidrati e dei lipidi può variare, rispettivamente, tra il 50% e il 65% dell energia totale per i primi e tra il 20% e il 30% dell energia totale per i secondi. 112 I fabbisogni di minerali e vitamine del soggetto in fase post ictus normonutrito sono simili a quelli della popolazione generale di età, sesso e peso corporeo similare, mentre nel caso di soggetto affetto da malnutrizione i fabbisogni vanno stimati in modo individuale. 125 Nella fase immediatamente post-evento il percorso nutrizionale da intraprendere va attivato in modo differente a seconda della capacità di deglutizione e del sensorio. Per quanto riguarda l apporto idrico, va eseguito un monitoraggio quotidiano per valutare le esigenze del singolo soggetto mediante bilancio delle perdite sensibili (urine e feci) e insensibili (cute e respiro). Sintesi Il fabbisogno minimo di proteine è di circa 1 g/kg di peso corporeo misurato (se normopeso) o desiderabile (in caso di obesità o magrezza) e fino 1,2~1,5 g/kg al giorno in presenza di condizioni ipercataboliche o piaghe da decubito. Il timing e la scelta della modalità di somministrazione della nutrizione sono condizionati innanzitutto dalle condizioni cliniche del paziente.

16 266 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane Raccomandazione a Grado B Nei pazienti in cui è possibile l alimentazione per os, non è indicata l utilizzazione routinaria di integratori dietetici, in quanto non associata ad un miglioramento della prognosi. L utilizzazione di integratori dietetici deve essere guidata dai risultati della valutazione dello stato nutrizionale. Raccomandazione b Il programma nutrizionale del soggetto affetto da ictus in fase acuta prevede le seguenti opzioni: soggetti non disfagici normonutriti: alimentazione per os seguendo il profilo nutrizionale delle Linee Guida per una Sana Alimentazione; soggetti non disfagici con malnutrizione proteico-energetica: alimentazione per os con l aggiunta di integratori dietetici per os; soggetti con disfagia: adattamento progressivo della dieta alla funzionalità deglutitoria e alla capacità di preparazione del bolo o nutrizione enterale, eventualmente integrate. Raccomandazione a Grado B Nel soggetto affetto da ictus in fase acuta la terapia nutrizionale artificiale di scelta è rappresentata dalla nutrizione enterale. È indicato iniziare il trattamento di nutrizione enterale precocemente e comunque non oltre 5-7 giorni nei pazienti normonutriti e non oltre le ore nei pazienti malnutriti. Raccomandazione b La nutrizione parenterale è indicata esclusivamente laddove la via enterale non sia realizzabile o sia controindicata o quale supplementazione alla nutrizione enterale qualora quest ultima non consenta di ottenere un adeguata somministrazione di nutrienti Timing e scelta delle modalità di somministrazione della nutrizione Il timing e la scelta della modalità di somministrazione della nutrizione sono condizionati innanzitutto dalle condizioni cliniche del paziente. Come discusso in dettaglio nel , molti pazienti con patologie cerebrovascolari, ed in particolare quelli che necessitano di trattamento intensivo, non sono in grado di alimentarsi per via orale, anche in considerazione dell elevato rischio di aspirazione polmonare, particolarmente frequente nei pazienti con disturbi della deglutizione. Soggetto non disfagico Nei soggetti con stato nutrizionale normale è indicata l alimentazione per os con eventuale assistenza, se presenti altre alterazioni funzionali (paresi, ecc.). I risultati del FOOD Trial hanno evidenziato che la somministrazione routinaria di integratori dietetici non si associa, nel paziente affetto da ictus, ad un miglioramento della prognosi e ad un decremento della mortalità a sei mesi, 126 tuttavia i dati a disposizione non consentono di effettuare un analisi separata nei soggetti classificati come malnutriti e non sono confermati in altri studi. 93,127 Pertanto, allo stato attuale, in presenza di malnutrizione proteico-energetica è indicata l aggiunta di integratori dietetici per os. Tali integratori dietetici vanno prescritti e somministrati con modalità chiare e precise alla stregua di altre terapie, per evitare che non vengano in realtà assunti. 110 Soggetto disfagico L impostazione del trattamento nutrizionale del paziente disfagico richiede uno studio preliminare della deglutizione, come indicato nel , 128,129 e va pianificata in relazione al rischio di broncopolmonite ab ingestis, al grado di autonomia e allo stato nutrizionale del paziente. Il programma nutrizionale prevede la dieta progressiva per disfagia o la nutrizione artificiale. 111,130,131 Se il tipo ed il grado di disfagia presentato dal soggetto lo consentono, si può programmare una dieta con alimenti e bevande a densità modificata; per ulteriori approfondimenti sulle caratteristiche della terapia dietetica in corso di disfagia, si rimanda al In caso di disfagia completa è indicata la nutrizione artificiale. 110,124,125 Nel paziente neurologico la terapia nutrizionale artificiale di scelta è rappresentata dalla nutrizione enterale, poiché l apparato gastroenterico è abitualmente integro; l orientamento verso la nutrizione enterale si basa su quanto le linee guida per la nutrizione artificiale delle principali società scientifiche internazionali e nazionali sostengono da tempo. 125,132 Una metanalisi condotta dalla Cochrane Collaboration sull efficacia degli interventi di nutrizione artificiale in corso di disfagia conclude che non sono presenti studi sufficienti per porre raccomandazioni conclusive né sul periodo ottimale in cui iniziare il trattamento, né sulle modalità di somministrazione. 133,134 Più di recente i risultati del FOOD Trial evidenziano un decremento non significativo della mortalità (riduzione assoluta del rischio pari a 5,8%; IC 95 0,8% a 12,5%; P=0,09) e dell endpoint combinato morte/esito sfavorevole pari a 1,2% (IC 95 4,2% a 6,6%; P=0,7) nei pazienti sottoposti a nutrizione enterale precoce; 135 sulla base di tale evidenza, ragionevolmente si può indicare di iniziare precocemente la nutrizione enterale quando necessario e comunque di non superare, nel soggetto normonutrito, i 5-7 giorni di attesa 135 e, nel soggetto con malnutrizione proteico-energetica, i 2-3 giorni. 110,125 Nutrizione enterale del paziente in fase acuta post-ictus È ormai dimostrato che la via enterale è da preferirsi rispetto a quella parenterale: essa favorisce il trofismo della mucosa intestinale, consente il mantenimento della sua funzione immunitaria e di barriera riducendo la traslocazione batterica, ha una incidenza minore di complicanze infettive e metaboliche ed è meno costosa. 125 Se il soggetto non presenta altre patologie concomitanti (diabete, insufficienza renale, epatica) sono utilizzabili le miscele polimeriche presenti in commercio dotate di tutti i macro e micronutrienti necessari prive di lattosio e glutine, a basso o normale residuo, a concentrazione calorica differente da 0,5 kcal per ml a 2 kcal per ml. L impiego di tali miscele sterili e liquide, oltre a garantire in modo noto i fabbisogni nutrizionali, riduce in modo rilevante le complicanze gastrointestinali legate a contaminazioni batteriche e quelle meccaniche a livello delle sonde nasogastriche, frequenti con l uso di miscele allestite in modo artigianale.

17 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato Prevenzione e gestione delle complicanze della nutrizione enterale Nei soggetti con patologie cerebrovascolari e nei soggetti con postumi di ictus il rischio di aspirazione è consistente. Peraltro, il rischio di aspirazione sussiste anche in caso di svuotamento gastrico ritardato, particolarmente nei cerebrolesi più gravi. 136,137 È necessario valutare la presenza di reflusso gastroesofageo e la somministrazione della nutrizione enterale va effettuata con la posizione del tronco inclinata di 30, valutando periodicamente la presenza e l entità del ristagno gastrico che non deve superare ml. 125 La somministrazione della nutrizione enterale tramite sondino naso-gastrico e mediante l uso di enteropompe è una buona scelta finalizzata ad un supporto nutrizionale a breve termine in pazienti con grave disfagia da ictus. Infatti, in almeno il 50% dei casi la disfagia migliora entro una settimana. 138 L utilizzo di enteropompe e di programmi di induzione graduali riducono in modo consistente la probabilità di comparsa di complicanze gastroenteriche. Negli anziani vi è spesso ridotta tolleranza del sondino naso-gastrico con conseguente auto-estubazione; il riposizionamento del sondino è stressante e necessita del supporto radiografico per valutarne il corretto posizionamento. La rimozione involontaria comporta il rischio di aspirazione polmonare. 139,140 Nel paziente disfagico post-ictus il raggiungimento della quota calorica entro 3-4 giorni è un obiettivo clinicamente ipotizzabile. In caso di reflusso gastroesofageo accertato, è indicato considerare dall inizio la somministrazione distalmente al legamento di Treitz o mediante posizionamento in digiuno della sonda nasoenterica con manovra endoscopica o tramite digiunostomia. Le principali complicanze meccaniche (occlusione, dislocazione, decubiti sonde nutrizionali) e gastroenteriche (nausea, vomito, diarrea) della nutrizione enterale sono prevenibili mediante l uso delle seguenti procedure: 125,141 complicanze meccaniche: lavaggio regolare della sonda; utilizzo della enteropompa; utilizzo di sonde di materiale e calibro adeguato; complicanze gastroenteriche: protocolli di induzione adeguata; soluzioni nutrizionali idonee; manipolazioni con tecniche di asepsi di soluzioni nutrizionali e deflussori: uso di enteropompe. La PEG (percutaneous endoscopic gastrostomy), è un alternativa in pazienti che necessitano di nutrizione enterale prolungata. Nel 95% dei casi vi è successo di inserzione, eccellente tolleranza da parte del paziente, bassa morbosità (6-16%) e mortalità (0-1%). 142,143 È un metodo più invasivo rispetto alla alimentazione con sondino, 133,144,145 e possibili complicanze sono: perforazione gastrica, emorragia gastrica, fistola gastro-colica, infezione sulla zona dello stoma ed aspirazione polmonare. I risultati di uno studio randomizzato controllato, che conclude affermando che nel medio-lungo periodo la PEG si è dimostrata essere più sicura ed efficace del trattamento con nutrizione enterale post ictus, 145 non sono confermati dal più recente FOOD Trial, che evidenzia un possibile eccesso di mortalità (aumento assoluto di rischio pari a 1,0%; IC 95 10,0% a +11,9%; P=0,9) e un aumento del rischio combinato di morte ed esito sfavorevole pari al 7,8% (IC 95 0,0% a 15,5%; P=0,05) nei pazienti con inserzione precoce di PEG. 135 Pertanto, allo stato attuale, la messa in posizione di PEG va presa in considerazione nei soggetti con disfagia persistente post ictus entro 30 giorni, e se è ipotizzabile una durata superiore a due mesi Disfagia La disfagia è una possibile conseguenza dell ictus con ricadute negative sia sulla gestione della fase acuta, sia sui tempi di degenza che sull esito (morbosità e mortalità). 146 La disfagia è presente nei pazienti con ictus in misura variabile fra il 13% (lesione unilaterale) e il 71% (lesioni bilaterali o del tronco). 138, La deglutizione sembra essere mediata da una serie neurale che interessa entrambi gli emisferi cerebrali con input discendenti verso il midollo. 151 Raccomandazione c Grado B Nei pazienti che non deglutiscono, è indicato attendere uno o due giorni prima di posizionare il sondino, idratando il paziente per via parenterale. Sintesi La nutrizione enterale tramite sondino naso-gastrico e con l ausilio di pompe peristaltiche è ritenuta più appropriata rispetto alla nutrizione parenterale per il supporto nutrizionale a breve termine in pazienti con grave disfagia da ictus; l uso del sondino nasogastrico può essere problematico, specie nei pazienti anziani. Sintesi Il posizionamento del sondino in sede gastrica può non abolire il rischio di inalazione in caso di svuotamento gastrico ritardato, particolarmente nei pazienti con lesioni cerebrali più gravi. In questi casi il rischio di inalazione si riduce se il bolo viene immesso lontano dal piloro, oltre l angolo di Treitz. Raccomandazione Grado B Nei soggetti con disfagia persistente post ictus e se è ipotizzabile una durata superiore a due mesi, entro 30 giorni è indicato considerare il ricorso alla PEG (gastrostomia percutanea endoscopica), da praticarsi non prima di 4 settimane dall evento. Sintesi La disfagia è una conseguenza frequente dell ictus con ricadute negative sull esito clinico e funzionale, sulla mortalità e sui tempi di degenza. Oltre alla malnutrizione, possibili complicanze determinate dalla disfagia sono: l aspirazione di materiale estraneo con conseguente broncopneumopatia ab ingestis; la disidratazione e l emoconcentrazione con effetti secondari negativi sulla perfusione cerebrale e sulla funzione renale.

18 268 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane La disfagia è la conseguenza del danno a carico delle vie cortico-bulbari che connettono il centro di controllo della deglutizione (localizzato nella regione corticale frontale inferiore bilateralmente) con i nuclei bulbari che mediano la via finale del meccanismo della deglutizione. Daniels et al. 153 hanno proposto l importanza del ruolo dell insula anteriore nel meccanismo della deglutizione, poichè questa era la sede di lesione più comune nei pazienti con ictus e disfagia esaminati. L insula anteriore ha collegamenti con la corteccia motoria primaria e supplementare, il nucleo mediale ventroposteriore del talamo ed il nucleo del tratto solitario, strutture rilevanti nella mediazione dei meccanismi di deglutizione orofaringea. Di conseguenza, le lesioni dell insula anteriore possono produrre disfagia, interrompendo questi collegamenti. La compromissione della motilità del faringe determina disfagia per la concomitante ipomobilità della base linguale, per la ritardata e/o incompleta chiusura dello sfintere laringeo e per la disfunzione dello sfintere esofageo superiore con conseguente significativo aumento del rischio di aspirazione. 138, Per quanto i meccanismi ed i substrati neuronali che regolano la coordinazione linguale durante la deglutizione non siano esattamente definiti, l incoordinazione della lingua durante la deglutizione nei disfagici non sembra essere associata ad aprassia bucco-linguale, a disturbi del linguaggio od aprassia degli arti. La gravità della compromissione della funzione deglutitoria dipende naturalmente dalla sede dell ictus. I risultati di uno studio recente indicano tuttavia che la gravità della disfagia dopo un ictus ischemico emisferico unilaterale è in relazione alle dimensioni dell area di rappresentazione faringea a livello dell area corticale motoria dell emisfero non interessato dal danno ischemico e pertanto vicariante. 157 Tutti i tipi di ictus possono causare disfagia. In oltre il 20% dei casi, l infarto lacunare si associa a disfagia. L ictus a carico del tronco encefalico è generalmente associato a disfagia più grave e più frequente rispetto alle lesioni emisferiche. 158,159 Le lesioni sottocorticali possono causare disconnessione fra le regioni corticali implicate nel controllo orale e nella coordinazione della deglutizione, producendo cosi un disturbo della deglutizione. 160 Nell infarto nel territorio della ACM di destra è stata evidenziata una maggiore durata di stazionamento faringeo degli alimenti, una più alta incidenza di deviazione laringea con conseguente ingresso di materiale nel vestibolo laringeo ed una più frequente aspirazione di liquidi sotto le corde vocali vere. Anche per quanto riguarda l ictus emisferico la gravità e le caratteristiche della disfagia variano in base alla sede della lesione, secondo lo schema di Tabella 11:VII. Recentemente è stato dimostrato che la muscolatura per la deglutizione è somatotopicamente rappresentata nella corteccia motoria e pre-motoria di entrambi gli emisferi, ma è stata dimostrata anche una asimmetria emisferica individuale, indipendente dalla dominanza emisferica. 152 La topografia dei muscoli miloidei è più laterale, mentre quella per il faringe e l esofago appare più rostromediale. I pazienti con più pronunciata disfagia sembrano essere quelli con danno dell emisfero in cui è localizzato il centro dominante motore per la deglutizione. La prognosi a breve termine della disfagia è generalmente considerata favorevole. Di norma il tempo medio di recupero è una settimana, (il 50% di tali pazienti presenta una regressione del Tabella 11:VII Alterazioni della deglutizione per tipo di ictus tipo di ictus tipo di lesione gravità tipo di alterazione ictus emisferico monolaterale sinistro FASE ORALE DELLA DEGLUTIZIONE Incoordinazione labio-glosso-mandibolare, disprassia orale, aumento tempo di transito orale del bolo. ictus emisferico monolaterale destro FASE FARINGEA DELLA DEGLUTIZIONE Ridotta escursione verso l alto della laringe, ristagno del bolo verso l alto, rischio di inalazione (soprattutto per i liquidi) ictus emisferico lesioni corticali bilaterali TUTTE

19 Capitolo 11 Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato 269 sintomo dopo 7 giorni), anche se il recupero è in funzione delle condizioni generali e dell età del paziente. 146,161 Anche la prognosi a distanza (6 mesi) è generalmente buona. In una coorte di 128 pazienti nell 87% dei casi i pazienti tornavano alla dieta pre-ictus seppur durante il periodo di osservazione di 6 mesi circa il 20% aveva sofferto di infezioni polmonari. Un controllo tardivo con videofluoroscopia in pazienti con significativi problemi di disfagia all esordio evidenzia una disfunzione delle false corde vocali nel 50% dei casi ed aspirazione nel 20%-25%. Il riflesso di deglutizione assente o ritardato è indicativo di rischio maggiore di infezioni polmonari nei 6 mesi successivi all evento cerebrale, cosi come di difficoltà al ritorno ad una dieta normale per il transito orale ritardato. L evidenza di transito orale ritardato e/o la presenza di liquido di contrasto nel vestibolo laringeo, l età superiore a 70 anni ed il sesso maschile, predicono una più difficoltosa ripresa deglutitoria ed il maggior rischio di polmoniti da aspirazione a 6 mesi. 146 La malnutrizione dopo la prima settimana di ospedalizzazione predice un esito clinico negativo ed è correlata a una maggiore frequenza di infezioni urinarie e polmonari. La disfagia aumenta di 2,6 volte il rischio di esito negativo. 162 A trenta giorni dal ricovero per ictus, la malnutrizione ingravescente è fortemente correlata alla disfagia. 96,163 La disfagia determina, in corso di ictus, disabilità funzionale ed aumento della mortalità. 147,164,165 La valutazione della deglutizione, attraverso le varie fasi: orale, velofaringea e faringea, dovrebbe essere attuata in ogni paziente con ictus. Sebbene la valutazione con videofluoroscopia possa essere necessaria in una percentuale intorno al 20% dei pazienti, l approccio con il test dell acqua è molto utile come metodo di screening ed è attualmente il più usato. La videofluoroscopia e il videocounter timer sono stati usati per registrare le caratteristiche di motilità orofaringea durante la deglutizione. 149,150,166 Numerosi studi associano significativamente l evidenza videofluoroscopica di aspirazione di bario al rischio di sviluppare complicanze polmonari L aspirazione silente rappresenta un grave rischio per i pazienti con ictus acuto. In uno studio su 114 pazienti con ictus, l aspirazione silente, evidenziata alla videofluoroscopia, aumentava di 5,5 volte il rischio relativo di pneumopatie. 170 Il tempo di transito faringeo correla con il rischio di infezioni broncopolmonari: il tempo di transito di meno di 2 sec si traduce in rischio lieve o assente; da 2 a 5 sec in rischio moderato (40%); maggiore di 5 sec. in rischio elevato (90%). 168 Il test al bario modificato per l identificazione della disfagia (TBM) rivela l aspirazione dei liquidi e dei semisolidi. Nei pazienti clinicamente disfagici dopo un ictus, il TBM può distinguere i potenziali soggetti con rischio di aspirazione. Tramite il TBM può essere inoltre definito chiaramente il rischio di aspirazione di alimenti di varia consistenza, guidando così la definizione della dieta più appropriata. 171 La prova con 99m Tc è particolarmente utile nella gestione della disfagia asintomatica in pazienti anziani con ictus. Alcuni Autori hanno sperimentato questa tecnica di valutazione della disfagia in pazienti affetti da ictus per ridurre il rischio di polmonite da aspirazione; 172 è stato somministrato 1 ml di tecnezio ( 99m Tc) al paziente durante il sonno attraverso un catetere nasale disposto nella bocca e verificando l eventuale aspirazione a distanza di 9 ore. Tuttavia, tutti questi test sono difficilmente eseguibili al di fuori di centri altamente specializzati. Peraltro, il rischio di disfagia è definibile in maniera sufficientemente accurata con una valutazione clinica semplice come il Bedside Swallowing Assessment (BSA) che tiene in considerazione parametri come il livello di coscienza e segni clinici di potenziale disfagia come la presenza di disfonia, disartria, difficoltà nell espettorare o nell eliminare le secrezioni e/o il cibo, ridotto gag reflex. 149,155,170,173 Quindi, la capacità di deglutizione si può valutare con un semplice test. La prima fase prevede che il paziente tenti di deglutire 10 ml di acqua in tre tempi diversi. Se il paziente riesce a deglutire i 10 ml, dare 50 ml di acqua in un bicchiere. La difficoltà nel bere da 10 a 50 ml di acqua o la comparsa di colpi di tosse (più di una volta) in due circostanze diverse permettono di valutare l eventuale disfagia. Va notato che sebbene Raccomandazione Un monitoraggio standardizzato della funzione deglutitoria è indicato al fine di prevenire le complicanze secondarie alla disfagia. Raccomandazione Una valutazione clinica standardizzata del rischio di disfagia (usando il BSA: Bedside Swallowing Assessment) e un test semplice, quale il test della deglutizione di acqua, sono indicati in tutti i pazienti con ictus acuto. In centri specializzati possono essere utilizzati approcci più sofisticati quali un esame condotto dal logopedista o dal foniatra o la videofluoroscopia.

20 270 SPREAD Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane il 20% dei pazienti con aspirazione alla videofluoroscopia non abbia una disfagia evidenziabile con il test della deglutizione di acqua, tuttavia questo ha una soddisfacente predittività nella prognosi dei pazienti con ictus ischemico. 174,175 Infatti, l insorgenza di complicanze infettive, la mortalità, la disabilità residua e la durata della degenza sono risultate significativamente correlate alla presenza di disfagia, ma non al riscontro di aspirazione evidenziata con la videofluoroscopia. 163 L utilità della videofluoroscopia durante la fase acuta dell ictus è pertanto limitata e non è quindi giustificato il suo uso routinario. 176 Se c è dunque qualche segno di disfagia al test della deglutizione dell acqua non iniziare l alimentazione per os. Un programma di trattamento riabilitativo precoce della deglutizione nei pazienti con ictus e disfagia è sicuramente indicato. 177 Tali valutazioni dovrebbero essere ripetute nell arco della prima settimana mediante lo schema di Tabella 11:VIII. Tabella 11:VIII Bedside Swallowing Assessment (BSA) FATTORI basso rischio alto rischio 1. livello di coscienza 1. vigile 1. sonnolenza, stupor o coma 2. secrezioni bronchiali 2. no 2. sì 3. disfonia 3. no 3. sì 4. grave disartria 4. no 4. sì 5. gag reflex diminuito o abolito 5. no 5. sì 6. movimenti palato 6. simmetrici 6. asimmetria, paralisi 7. tosse volontaria 7. normale 7. assente per una settimana 8. funzioni deglutitorie 8. normale o lieve disfagia 8. disfagia franca 9. sbavamento di acqua 9. no/minimo 9. franco 10. movimenti laringei 10. sì 10. no 11. tosse all atto di deglutire 11. no/qualche volta o più 12. voce gorgogliante 12. no 12. sì I pazienti in grado di bere non più di 5-10 ml di acqua con un sorso senza manifestare disfagia, possono iniziare con una dieta semisolida usando tecniche compensatorie di deglutizione. È importante un supporto medico, infermieristico, dietologico e di logopedisti. Pazienti capaci di deglutire con un sorso 10 ml di acqua, tollerano una alimentazione orale se si controlla la struttura della dieta (semisolida), la dimensione del bolo e la postura durante l alimentazione. La manipolazione della fluidità degli alimenti usando le misure obiettive di un viscosimetro può migliorare la gestione dietetica del paziente disfagico. 178 Utili accorgimenti per il compenso di lievi deficit deglutitori sono i seguenti: 173, assunzione di una posizione eretta del tronco durante l alimentazione; 2. assunzione di una posizione di capo e collo appoggiata; 3. utilizzo di alimenti semisolidi; 4. utilizzo di dimensione del bolo inferiore ad un cucchiaino da tè; 5. restrizione di cibi liquidi; 6. usare una tazza o un cucchiaino, e non una cannuccia per i liquidi; 7. tossire delicatamente dopo ogni deglutizione; 8. deglutire più volte, anche per piccoli boli, per svuotare completamente il faringe. Le indicazioni per la nutrizione artificiale e la terapia dietetica del paziente disfagico sono discusse nei paragrafi e

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