APPUNTI PER IL CORSO DI SCIENZA DEI SISTEMI COMPLESSI II:FISICA. Laurea Magistrale in Scienze Ambientali. Università Cá Foscari di Venezia

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1 APPUNTI PER IL CORSO DI SCIENZA DEI SISTEMI COMPLESSI II:FISICA Laurea Magistrale in Scienze Ambientali Università Cá Foscari di Venezia Achille Giacometti Dipartimento di Chimica Fisica, Università Cá Foscari di Venezia, Calle Larga S. Marta DD 2137, I Venezia, Italy

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3 Nota introduttiva Queste note sono l evoluzione di un corso di Meccanica dei Fluidi e processi di trasporto da me tenuto a partire dall anno per la Laurea Specialistica (ora Magistrale) in Scienze Ambientali e che adesso fa parte del Corso di Scienza dei Sistemi Complessi II: Fisica Il corso è pensato per studenti del primo anno della Laurea Magistrale, che abbiano quindi già avuto le nozioni matematiche e fisiche tipiche dei primi anni di un corso di Laurea scientifico. Sappiamo bene tutti la rivoluzione (che non ritengo del tutto positiva) che la riforma degli ordinamenti universitari ha portato nei programmi dei vari corsi di Laurea. Una immediata conseguenza di ciò è stata la mancanza di testi adatti al nuovo sistema, sostanzialmente monografico, dei corsi. Questa è stato il motivo principale (assieme alle insistenze degli studenti!) che mi ha spinto a scrivere queste note, in attesa che qualcuno scriva qualche testo adatto a questo corso. Ritengo però che esse debbano essere prese solo come linea guida e non sostitutiva dello studio dei testi consigliati. Primo perchè esse sono semplicemente delle note di lezione e non un testo. Secondo perchè un maggior numero di chiavi di lettura è strumento insostituibile della pedagogia universitaria. Trattandosi di una prima bozza, queste note saranno senz altro piene di errori e sarò grato agli studenti che volessero segnalarmeli. i

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5 Indice 1 Introduzione Generalità sui fluidi La descrizione Euleriana e la derivata sostanziale Forze di volume e di superfice Idrostatica elementare Definizione di densità e pressione Equilibrio statico di un fluido La legge di Stevino Superfici isobariche Applicazioni: Vasi comunicanti, manometro e barometro L equazione barometrica Il principio di Archimede Paradosso idrostatico Elementi di algebra vettoriale e tensoriale Coordinate cartesiane, polari e cilindiche Calcolo vettoriale Esempio introduttivo al calcolo tensoriale Convenzione sugli indici ripetuti e relazione fondamentale Calcolo tensoriale Operatori differenziali Identità vettoriali Teorema di Gauss e significato della divergenza Teorema di Stokes e significato del rotore Teoria dei fluidi ideali Conservazione della massa ed equazione di continuità iii

6 iv INDICE 4.2 Equazione di Eulero per fluidi ideali Linee e tubi di flusso Fluidi incompressibili e flusso stazionario Sistemi bidimensionali e funzione di corrente Ψ Vorticità e suo significato fisico L equazione per la vorticità nei fluidi ideali ed incompressibili Teorema di Kelvin sulla circuitazione della velocità Fluidi irrotazionali ed equazione di Laplace Applicazioni della teoria dei fluidi ideali L equazione di Bernoulli Legge di Stevino dall equazione di Bernoulli Tubo di venturi e linea piezometrica Superficie di un fluido in rotazione Il paradosso di d Alembert Il teorema di Torricelli L effetto Magnus Teoria dei fluidi non ideali La viscosità Il tensore degli sforzi L equazione di Navier-Stokes Il problema delle condizioni al contorno La legge di similarità ed il teorema di Buckingam Il numero di Reynolds ed il suo significato fisico Condizioni per l approssimazione di fluido incompressibile Applicazioni della teoria dei fluidi non ideali Soluzione unidimensionale con superficie libera per fluido incompressibile Flusso su un piano inclinato con superficie libera Flusso di Poiseuille Flusso di Couette Forza di Stokes per una sfera in moto in un fluido incompressibile Il trasporto nei fluidi Diffusione molecolare, legge di Fick e della diffusione Conduzione termica e legge di Fourier

7 INDICE v 8.3 Convezione e numero di Peclét Convenzione e approssimazione di Boussinesque Numeri di Froude e di Strouhal Cenni sulla Turbolenza Flusso ad alti numeri di Reynolds e instabilità La formulazione statistica e il problema della chiusura A Formule Vettoriali 137 B Teoremi di calcolo vettoriale 139 C Operatori differenziali in coordinate cilindriche e sferiche 141 D Derivazione generale della legge di Stokes 145 E Modello microscopico per la diffusione 153

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9 Elenco delle figure 1.1 Dipendenza di una quantità scalare Φ (la temperatura ad esempio) dalla scala delle lunghezze l. Sull asse delle ascisse sono definiti i confini delle scale miscoscopiche l 1, mesoscopiche l 2 e macroscopiche l Cubo elementare di dimensioni dv = ds dz dove ds = dxdy considerato per le condizioni di equilibrio idrostatico Condizioni di equilibrio lungo l asse ẑ Gemetria nella dimostrazione del principio di Archimede I tre recipienti della discussione sul paradosso idrostatico Coordinate polari Coordinate cilindriche Esempio della massa collegata da due molle Il teorema di Gauss Divergenza in coordinate cartesiane Il teorema di Stokes Rotore in coordinate cartesiane Equazione di continuità Definizione di linee di flusso Tubo di flusso Caso di flusso unidimensionale stratificato Caso di campo di velocità con dipendenza radiale Campo irrotazionale e circuitazione Geometria per il teorema di Kelvin Dimostrazione che I 2 = Il Tubo di Venturi vii

10 viii ELENCO DELLE FIGURE 5.2 Liquido in rotazione in un recipiente cilindrico Geometria per il principio di d Alembert Il teorema di Torricelli Caso di solo rotazione del cilindro rispetto al fluido Caso di solo translazione del cilindro rispetto al fluido Caso generale di translazione e rotazione del cilindro rispetto al fluido Due lastre solide con intercapedine di fluido in moto relativo con velocità costante v 0 una rispetto all altra Dipendenza trasversale della viscosità Forze ideali di superficie Condizioni di parete impermeabile Condizioni all infinito Tipico diagramma di fase di un fluido classico Flusso unidimensionale con superficie libera mantenuta in moto con velocità v Geometria per lo scorrimento di un fluido su un piano inclinato Condotta cilindrica e flusso di Poiseuille Profilo di velocità parabolico nel flusso di Poiseuille Flusso di Couette Moto di una sfera in un fluido incompressibile Sistema composto formato da due sottosistemi ad alta e bassa densità Sistema di due contenitore in contatto termico Flusso a bassi numeri di Reynolds (laminare) Re << Flusso a numeri di Reynolds medi Re Flusso ad alti numeri di Reynolds Re Decomposizione schematica della velocità originale (alto) in una parte lenta (in mezzo) e una fluttuazione (in basso) E.1 Contenitore unidimensionale diviso in tanti E.2 Coppia di contenitori all istante iniziale

11 Elenco delle tabelle ix

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13 Capitolo 1 Introduzione 1.1 Generalità sui fluidi Come sappiamo, esistono tre stati della materia. I solidi hanno un ordine a lungo raggio (ordine reticolare) e di conseguenza hanno un volume proprio e una forma propria. I gas, d altra parte, non presentano nessun tipo d ordine, e a questo è legato il fatto di non avere nè un volume nè una forma propria. I liquidi infine sono una specie di via di mezzo, in quanto presentano un ordine a corto raggio. Legato a ció è il fatto di avere un volume proprio ma una forma non propria. A questo punto sono necessarie alcune osservazioni. a) In realtà noi sappiamo che esistono altri stati della materia (plasma, amorfi ecc), ma una loro discussione esula dagli scopi di questo corso. b) Dal punto di vista microscopico, non esiste nessuna differenza sostanziale tra liquidi e gas, mentre un discorso a parte deve essere fatto per i solidi, dove la simmetria translazionale associata all ordine cristallino, li distingue decisamente da liquidi e gas. Dal punto di vista delle equazioni del moto, quindi, liquidi e gas si possono trattare con lo stesso formalismo. In tale contesto, è quindi di uso comune indicarli con il nome di fluidi, associando i liquidi con i fluidi incompressibili (o incomprimibili), mentre i gas vengono definiti fluidi compressibili (o comprimibili). Questo, ovviamente, per il fatto che i fluidi hanno un volume proprio mentre 1

14 2 Capitolo 1. Introduzione Solidi Liquidi Ordine Reticolare Nessuno o non reticolare Visuale Newtoniana Maxwelliana o Euleriana Descrizione Macroscopica Mesoscopica Equazioni del moto Newton Navier-Stokes Tipo di equazioni Lineari Non-Lineari Dissipazione Attrito Viscosità Massa Conservazione Equazione di continuità Energia Conservazione Equazione di Bernoulli Tabella 1.1: Confronto solidi-fluidi i gas no. Anche se in prima approssimazione possiamo accettare questa affermazione, vedremo più avanti che le cose non stanno proprio così e che anche i gas, sotto certe condizioni, possono essere considerati incompressibili. c) In generale, la descrizione della dinamica (cioè delle equazioni del moto) dei fluidi compressibili è più complessa di quella dei fluidi incompressibili, come vedremo. d) In conseguenza dell ordine reticolare presente nei solidi, sono sufficienti solo 6 gradi di libertà (3 translazionali e 3 rotazionali) per identificare univocamente la posizione di un corpo rigido (solido) nello spazio. Questo comporta che le equazioni del moto per un corpo rigido sono solo 6, le 3 equazioni scalari (o una vettoriale) di Newton associate al moto traslazionale, e le 3 equazioni scalari (una vettoriale) di Newton associata al moto rotazionale. Per i fluidi la cosa è molto più complessa, mancando il vincolo di rigidità, e allo stesso tipo di descrizione sarebbero associate un numero N di equazioni pari al numero di gradi di libertà del sistema, dove N >> 1 sarebbe un numero gigantesco (si pensi al numero di Avogadro). Vedremo quindi che si utilizza un tipo di visuale diverso (detta Maxwelliana o Euleriana) in cui si pensa di considerare un fluido come un mezzo continuo. Un confronto schematico tra le proprietà principali di solidi e liquidi è riportato in Tabella 1.1.

15 Capitolo 1. Introduzione La descrizione Euleriana e la derivata sostanziale Come abbiamo detto, per i fluidi sarebbe impossibile utilizzare la stessa descrizione usata per i solidi in quanto il nujmero di gradi di libertà (e quindi il numero di equazioni del moto) sarebbe un numero virtualmente infinito sulle scale in cui siamo abituati. Se non è quindi possibile seguire le traiettorie di tutte le particelle come si è fatto con i solidi, si utilizza una descrizione di tipo continuo. Ma cosa vuol dire esattamente descrizione di un continuo? Si consideri un punto nello spazio individuato dal punto x = (x, y, z) e definiamo un volumetto elementare dv che sia piccolo da un punto di vista macroscopico (sulle nostre scale abituali) ma che comunque contenga tantissime molecole. Quindi la quantità (dv) 1/3 individua una scale di lunghezze mesoscopica, cioè intermedia tra quella microscopica associata alle dimensioni caratteristiche degli atomi (d) e quella macroscopica V 1/3 associata al volume totale del sistema. Quindi: d << (dv) 1/3 << V 1/3 (1.1) Si noti che questa separazione di scale e la conseguente descrizione continua l abbiamo già incontrata in elettromagnetismo quando si parla del campo elettrico o magnetico nel punto x associata ad una distribuzione continua di carica elettrica (a riposo o in movimento). Per descrivere più in dettaglio l operazione che si deve sottointendere, si consideri la situazione descritta dalla Figura 1.1, dove viene riportata in modo schematico la variazione di una quantità generica scalare Φ al variare della scala considerata. Al di sotto della scala microscopica l 1 d, i volumi elementari sono così piccoli che le varie medie non forniscono risultati stabili e si assiste ad una rapida ed irregolare fluttuazione di Φ. Al di sotto della scala macroscopica l 3 V 1/3 si assiste ad una variazione della Φ per effetto della variazione della posizione nello spazio in cui la quantità viene misurata. La scala mesoscopica è quindi identificata da una misura l 2 (dv) 1/3 al di sotto della quale la descrizione è stabile e quindi sensata. In questo modo, il calcolo è fortemente facilitato. Infatti, tutte gli atomi o le molecole contenute in dv corrispondono alla stessa particella di fluido che è individuata dal

16 4 Capitolo 1. Introduzione Φ micro meso macro continuo l l l l Figura 1.1: Dipendenza di una quantità scalare Φ (la temperatura ad esempio) dalla scala delle lunghezze l. Sull asse delle ascisse sono definiti i confini delle scale miscoscopiche l 1, mesoscopiche l 2 e macroscopiche l 3. punto x. Possiamo quindi passare dalle somme agli integrali nel modo seguente Φ (x) dv V x dv dv<<1 V dvφ (x) (1.2) Per descrivere la dinamica di un sistema in tale contesto, si usa quella nota come descrizione Euleriana in cui si considerano le coordinate fisse nello spazio (ovvero nel sistema di riferimento del Laboratorio, e si considera cosa accade al punto x al variare del tempo. Si noti che esiste un altra possibilità, detta descrizione Lagrangiana in cui invece le coordinate sono solidali con la particella di fluido in moto. Noi useremo sempre la descrizione Euleriana in quanto più intuitiva e di più semplice utilizzo. Nella descrizione Euleriana, nasce il problema della derivata temporale. Si consideri infatti la solita quantità scalare φ (x) (ma considerazioni analoghe valgono anche per i vettori). Al variare del tempo questa quantità puó variare esplicitamente ma anche in seguito al fatto che la particella di fluido si è fisicamente spostata. Consideriamo dapprima il caso semplice di una sola coordinata spaziale x. Dopo un intervallo di tempo t la particella di fluido originalmente in x si troverà nel punto x + x = x + v x T, dove v x è la componente della velocità del fluido nella direzione x. La

17 Capitolo 1. Introduzione 5 conseguente variazione Φ della quantità Φ sarà dunque: Φ = Φ (x + v x t, t + t) Φ (x, t) = Φ Φ t + t x v x t + o ( t 2) (1.3) Quindi dividendo ambo i membri per t e prendendo il limite t 0, gli ordini di ordine superiore scompaiono e si ottiene dunque dφ dt Φ = lim = Φ Φ + v x t 0 t t x (1.4) Aggiungendo le altre due coordinate y, z si ottiene quindi con ovvia generalizzazione dφ dt = Φ t Φ + v x x + v Φ y y + v Φ z z (1.5) La derivata totale dφ/dt si definisce anche derivata sostanziale e si indica anche con DΦ/Dt. È possibile riscrivere l eq.(1.5) in modo più compatto introducendo le seguenti notazioni (x, y, z) (x 1, x 2, x 3 ) ( vx, v y, v z ) (v1, v 2, v 3 ) (ˆx, ŷ, ẑ) (ê 1, ê 2, ê 3 ) (1.6) dove l ultima definizione riguarda i versori (vettori di modulo unitario) fondamentali. Si ottiene quindi dφ dt = Φ t + 3 i=1 v i Φ x i (1.7) Ricordando ora la definizione di gradiente di una funzione scalare Φ in coordinate cartesiane, e cioè Φ (x) = Φ Φ ˆx + x y ŷ + Φ z ẑ = 3 i=1 Φ x i ê i (1.8) che si ottiene applicando l operatore nabla alla funzione scalare Φ (ottenendo così un vettore), la

18 6 Capitolo 1. Introduzione seconda parte dell equazione (1.7) puó essere considerata come un prodotto scalare v Φ = 3 i=1 v i Φ x i (1.9) Di conseguenza possiamo scrivere l eq.(1.7) nel modo seguente dφ dt = Φ t + (v ) Φ (1.10) Si noti che la derivata sostanziale puó quindi essere considerata l operatore d dt = + (v ) (1.11) t Quanto detto finora puó chiaramente essere generalizzato ad una campo vettoriale F (x, t) = (F 1 (x, t), F 2 (x, t), F 3 (x, t)) (1.12) nel modo seguente df dt = F t + (v ) F (1.13) e dato che vale in generale per qualunque campo vettoriale F vale in particolare per il vettore (campo vettoriale) velocità v dv dt = v t + (v ) v (1.14) espressione che apparirà di frequente nel seguito di questo corso in quanto rappresenta l accelerazione di una particella di fluido.

19 Capitolo 1. Introduzione Forze di volume e di superfice Come vedremo in dettaglio più avanti, le forze che agiscono su un fluido sono sempre di due tipi: Forze di Volume Agiscono sempre su una particella singola del fluido, e la loro azione è la stessa in ogni singola parte della particella del fluido. Quindi è una forza di intensità proporzionale al volume dv della particella di fluido. Queste forze sono di solito a lungo raggio (ad esempio: forze gravitazionali, elettromagnetiche ecc) Forze di Superficie Hanno la loro origine nell interazione molecolare, e agiscono solo tra elementi di superfice (forze di contatto). Sono quindi forze a corto raggio (ad esempio: pressione, attriti, forze elastiche ecc). Come vedremo più avanti, di entrambe queste forze bisogna tenere conto nell equazione del moto del sistema fluido.

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21 Capitolo 2 Idrostatica elementare 2.1 Definizione di densità e pressione Vediamo ora 2 quantità fisiche estremamente importanti per il proseguio del corso. Supponiamo di avere un piccolo volume V centrato nel punto x e sia m la sua massa. Definiamo come densità di un fluido la seguente quantità: m ρ (x) = lim V 0 V = dm dv (2.1) Chiaramente in generale l equazione (2.1) dipende dal punto x. Se in particolare il fluido è omogeneo, allora il limite è costante e quindi la ρ è indipendente dal punto: ρ = dm dv = m V (2.2) La densità è uno scalare e ha le dimensioni di una massa su un volume, e quindi nel sistema MKS kilogrammi/metri 3 Più in generale, la rho puó dipendere anche dal tempo e quindi si deve scrivere ρ = rho (x, t). Dal punto di vista fisico, la densità è associata ad una forza di volume (come vedremo in dettaglio più avanti). Consideriamo ora una piccola superficie S centrata in x (punto della superficie) e sia F la 9

22 10 Capitolo 2. Idrostatica elementare forza che agisce normalmente alla superficie. Si definisce pressione la quantità F P (x) = lim S 0 S = df ds (2.3) Anche in questo caso, in generale, la pressione puó essere una funzione del tempo t, e nel caso omogeneo si riduce alla consueta P = F/S. La pressione è una quantità scalare con dimensioni di una forza su una superficie, e quindi (in MKS) Newton/metri 2 = Pascal. D altra parte si noti che sia la forza che la superficie sono, viceversa, dei vettori, e quindi la (2.3) si dovrebbe scrivere più in generale come df = Pda = PdS ˆn (2.4) dove ˆn è un vettore unitario che definisce la direzione della normale esterna alla superficie (orientata). 2.2 Equilibrio statico di un fluido Un fluido si dice in equilibrio idrostatico se è in quiete, e cioè se tutti gli elementi del fluido hanno velocità nulla. Vediamo ora come si puó esprimere matematicamente tale condizione di equilibrio. Per semplicità si consideri un cubetto elementare di dimensioni dv = dxdydz = ds dz (si veda 2.1). In condizioni di equilibrio, le forze totali (di volume e di superficie) agenti su tale cubetto devono annullarsi, e quindi df (Tot) = df (Vol) + df (S up) (2.5) L equazione vettoriale (2.5) equivale a 3 equazioni scalari, una per ognuna delle componenti x, y, z. Consideriamo la componente lungo l asse ẑ. Sulla superficie superiore, situata alla quota z + dz agisce una pressione P(z+dz), mentre su quella inferiore alla quota z, agisce una pressione P(z) (vedi Figura (2.2). Quindi le forze totali di superficie e di volume lungo l asse ẑ sono rispettivamente:

23 Capitolo 2. Idrostatica elementare 11 x z y ds dz Figura 2.1: Cubo elementare di dimensioni dv = ds dz dove ds condizioni di equilibrio idrostatico. = dxdy considerato per le P(z+dz) z+dz z ds ds P(z) Figura 2.2: Condizioni di equilibrio lungo l asse ẑ. (S up) df z = P(z)dS P(z + dz)ds (2.6) df (Vol) z = f z ρdv (2.7) dove f z rappresenta la componente z della forza totale di volume per unità di massa (accelerazione) e P(z) è la pressione totale che agisce alla quota z. Quindi la proiezione lungo l asse ẑ dell equazione

24 12 Capitolo 2. Idrostatica elementare (2.5) è f z ρdv + [P (z) P (z + dz)] = 0 (2.8) Dato che dz è infinitesimo, possiamo allora sviluppare la P(z + dz) secondo Taylor P (z + dz) = P (z) + P z dz + o ( dz 2) (2.9) Gli infinitesimi di ordine superiore o(dz 2 ) si possono trascurare in quanto spariscono nel limite dz 0. Sostituendo nella (2.8), dividendo per dv, nel limite dz 0 si ottiene P z = ρ f z (2.10) In modo analogo si ottengono equazioni simili lungo le altre due componenti ˆx e ŷ. Quindi l equazione originale (2.5) si trova essere equivalente all equazione vettoriale P = ρf (2.11) che rappresenta quindi la condizione di equilibrio idrostatico. L interpretazione fisica di questa equazione è la seguente. Se su un fluido agisce una forza esterna di volume (ad esempio la gravità), deve esistere un gradiente di pressione per essere in equilibrio idrostatico. Si noti che tale interpretazione fisica ha un analogo nel caso della tensione che appare in un filo inestensibile soggetto ad una forza esterna. Nel caso un cui la forza esterna sia la gravità, allora chiaramente f = gẑ (si ricordi che la gravità agisce verso il basso). Si noti inoltre che in assenza di forze esterne di volume, f = 0, P = 0 e quindi P è una costante (caso del gas perfetto). Vedremo più avanti come la (2.11) possa essere considerata come un caso particolare di una equazione per la dinamica.

25 Capitolo 2. Idrostatica elementare La legge di Stevino Vogliamo ora vedere unàpplicazione della legge di equilibrio idrostatico. L equazione (2.11) quando la forza esterna è la gravità si scrive P = ρgẑ (2.12) Supponiamo ora che la densità sia una costante cosa sicuramente vera per un liquido che, per quanto detto, identifichiamo con un fluido incompressibile. Proiettando lungo le componenti x, y, z, si ottiene P x P y P z = 0 (2.13) = 0 (2.14) = ρg (2.15) da cui si deduce che P è indipendente sia da x che da y. Usando come condizione al contorno P(z 0 ) = P 0 e cioè la pressione di riferimento P 0 come valore alla quota di riferimento z 0, si ottiene per semplice integrazione P (z 0 ) = P 0 ρg (z z 0 ) (2.16) Questa legge, detta di Stevino, descrive la variazione della pressione al variare della quota, nel caso di fluidi incompressibili. Si noti che la pressione aumenta al diminuire di z, e questo spiega il perchè la pressione sul fondo del mare sia molto superiore che in superfice. Se infatti si considerasse una profondità di circa 10 Kilometri rispetto alla pressione atmosferica P 0 1bar (dove si ricordi che 1bar = 10 5 Pa e che il Pascal è l unità caratteristica della pressione in unità MKS, 1Pa = 1Newt/metri 2 ), si trova facilmente che la pressione sul fondo è dell ordine di 10 3 bar.

26 14 Capitolo 2. Idrostatica elementare 2.4 Superfici isobariche Consideriamo il caso in cui la forza esterna sia conservativa, e cioè derivabile da un potenziale. Questo significa che esiste una funzione scalare φ tale che f = φ. In questo caso l equazione (2.11) diventa P = ρ φ (2.17) Di conseguenza, essendo la densità sempre considerata non nulla, P = 0 se e solo se φ = 0. Quindi le superfici isobariche (superfici sulle quali la pressione è costante) concidono con le superfici equipotenziali (superfici sulle quali il potenziale è costante). Da questo possiamo ricavare tre conseguenze: 1 a conseguenza La densità è costante lungo una superfice isobarica. Per dimostrare questa affermazione, si considerino due superfici isobariche (e quindi equipotenziali) vicine tra loro. Siano A e B due percorsi qualunque che connettono le due superfici. In conseguenza dell equazione (2.17), si ottiene: dp dn dp dn dφ A = ρ A dn A dφ, (2.18) B = ρ B B Ma per definizione di superfici isobariche ed equipotenziali, abbiamo che dp dn dφ dn dn A = dp dn B = A dφ, (2.19) B da cui discende immediatamente che ρ A = ρ B = ρ, il che dimostra l asserto.. dn 2 a conseguenza La quota piezometrica di un liquido è costante.

27 Capitolo 2. Idrostatica elementare 15 La (2.17), nel caso di densità costante (liquido), si puó riscrivere (P + ρg) = 0 (2.20) È facile vedere che la funzione φ deve essere φ = gz, e quindi d [ ] P + ρgz dz = 0 (2.21) ed essendo ρ e g costanti, si ottiene che P + z = h = costante (2.22) ρg e la quantità h, che si chiama altezza piezometrica, è costante, come si doveva dimostrare. 3 a conseguenza La superfice di separazione tra due liquidi non miscibili è piana. Torniamo alla legge di conservazione (2.22), applicata a due liquidi non miscibili di densità rispettivamente ρ 1 e ρ 2. È conveniente definire la quantità γ = ρg. Quindi la relazione (2.22) diventa P 1 γ 1 + z 1 = P 2 γ 2 + z 2 (2.23) Supponiamo ora di fare una variazione P 1 nel liquido 1 (di densità ρ 1 ). Sempre per la stessa legge di conservazione, deve esistere una variazione di pressione P 2 nel liquido 2 in modo che P 1 + P 1 γ 1 + z 1 = P 2 + P 2 γ 2 + z 2 (2.24) Ma affinchè le equazioni (2.23) e (2.24) possano coesistere, è necessario che P 1 = P 2 (si noti che questa espressione è detta legge di Pascal). D altra parte ricordando la relazione

28 16 Capitolo 2. Idrostatica elementare (2.18) si ha P 1 = ρ 1 g z nel liquido 1 e analogamente P 2 = ρ 2 g z nel liquido 2, dove z è lo spostamento attraverso l interfaccia tra i due liquidi lungo la normale all interfaccia. Ma essendo, come detto dalla legge di Pascal, le due variazioni di pressione uguali, deve essere quindi che (ρ 1 ρ 2 ) z = 0 (2.25) da cui z = 0 essendo i due liquidi di densità distinte. Quindi l interfaccia è piatta. 2.5 Applicazioni: Vasi comunicanti, manometro e barometro Dalla legge di Stevino si ricavano immediatamente le spiegazioni di tre fenomeni molto noti. Legge dei vasi comunicanti Supponiamo di avere due contenitori aperti in contatto tra loro mediante un condotto e siano z 1 e z 2 le altezze dei livelli di liquido nei due contenitori. Se denotiamo come P(z 1 ) e P(z 2 ) le rispettive pressioni, dalla legge di Stevino si ha P (z 1 ) = P (z 2 ) ρg (z 1 z 2 ) (2.26) Ma essendo i due contenitori aperti, le due pressioni all interfaccia liquido-aria devono essere uguali e concidenti con la pressione atomosferica P 0. Quindi P(z 1 ) = P(z 2 ) = P 0, e dalla (2.26) si ottiene quindi z 1 = z 2. Dunque se anche originalmente le due altezze non fossero state uguali, ci sarebbe un flusso (attraverso il condotto) di liquido dal contenitore con il liquido ad altezza maggiore verso quello ad altezza minore fino a che le due altezze siano uguali. Questa è appunto la famosa legge dei vasi comunicanti. Il manometro Supponiamo di aver artificialmente creato una situazione di non equilibrio tra i due rami di un manometro ad U, in modo che sia le pressioni P 1 e P 2 nei due rami, sia le rispettive altezze z 1 e z 2 siano differenti. Dalla legge di Stevino riferita ad un altezza di riferminto z 0 e

29 Capitolo 2. Idrostatica elementare 17 alla rispettiva pressione P 0, abbiamo P 1 P (z 1 ) = P 0 ρg (z 1 z 0 ) P 2 P (z 2 ) = P 0 ρg (z 2 z 0 ), (2.27) da cui, sottraendo membro a membro, si ottiene che la differenza di pressione P = P 1 P2 è direttamente legata alla differenza di altezza z = z 2 z 1 dalla relazione P = ρg z (2.28) Quindi, la differenza di pressione è misurabile mediante una misura di differenza di altezze relative, e questo è appunto il principio du cui si basa il manometro. Il barometro Il barometro di Torricelli è un dispositivo simile, ma con la differenza che uno dei due rami è chiuso. Supponiamo che il liquido contenuto sia mercurio (Hg). Vedremo dopo il perchè di questa scelta. La sua pressione quindi sarà uguale alla pressione di equilibrio del liquido con il suo vapore (tensione di vapore) P Hg, che è dell ordine di 10 6 bar e quindi circa sei ordini di grandezza più piccola di quella atmosferica P 0 1bar, e puó essere quindi considerata nulla. Quindi nella legge di Stevino, dette z Hg e z 0 le altezze del liquido nel ramo chiuso e nel ramo aperto rispettivamente, si ha P 0 = ρ Hg ( zhg z 0 ) (2.29) e questo fornisce direttamente una misura della pressione atmosferica P 0. Per controllare che le cose sono corrette, basta considerare che g 10metri/sec 2, ρ Hg 10 4 Kg/metri 3, z Hg z 0 760mm, e si ottiene quindi P 0 1bar. Possiamo ora capire il perchè della scelta del mercurio come liquido. Se infatti si fosse scelta l acqua ad esempio, che ha una densità di un ordine di grandezza inferiore (ρ H2 O 10 3 Kg/metri 3 ) avremmo avuto z H2 O z 0 10metri e cioè una casa di circa 4 piani!

30 18 Capitolo 2. Idrostatica elementare 2.6 L equazione barometrica Come abbiamo visto, dall equazione dell equilibrio idrostatico (2.11), che nel caso in cui la forza esterna sia la gravità diventa la (2.12), si ottiene per integrazione la legge di Stevino nel caso particolare in cui la densità sia costante. Nel caso di un gas diluito (come per esempio nell alta atmosfera) questa ipotesi non è sicuramente verificata. Sorge allora il problema su come procedere per ottenere la pressione in questo caso. Dato che la forza esterna (la gravità) agisce solo nella direzione ẑ, è ragionevole assumere che la densità dipenda solo dalla coordinata z. L equazione (2.12) diventa allora un equazione scalare lungo la coordinata z: dp (z) dz = ρ (z) g) (2.30) Per poter procedere con l integrazione, è chiaramente ora necessario trovare un ulteriore relazione tra P e z. Tale relazione è ricavabile da una teoria molecolare dei fluidi, e si chiama equazione di stato. Nel caso di un gas diluito, ad esempio, l equazione di stato è, con buona approssimazione, l equazione delo gas perfetto PV = NK B T (2.31) dove P e V sono la pressione e il volume rispettivamente, N è il numero di molecole contenute nel volume V, K B è la costante di Boltzmann e T è la temperatura assoluta (misurata in Kelvin). Vedremo più avanti l importanza dell equazione di stato anche nel caso più generale della dinamica. Ricordando che, per un gas omogeneo, la densità è massa diviso volume e che la massa contenuta nel volume V è uguale alla massa di una molecola volte il numero di molecole N, è allora chiaro che la (2.31), è equivalente alla P ρ = constante (2.32)

31 Capitolo 2. Idrostatica elementare 19 dove la costante dipende solo dalla temperatura T. Vale dunque la proposizione P (z) ρ (z) = P 0 z 0 (2.33) dove P 0 è, come al solito, la pressione alla quota di riferimento z 0. Sostituendo nella (2.30) si ottiene quindi dp (z) dz = ρ 0 g P (z) P 0 (2.34) A questo punto l equazione differenziale puó essere facilmente integrata per separazione delle variabili. Definendo la lunghezza λ = P 0 /ρ 0 g, l integrazione della (2.34) porge [ ] P (z) log P 0 = 1 λ (z z 0) (2.35) e quindi [ P (z) = P 0 exp (z z ] 0) λ (2.36) che viene detta equazione bariometrica e descrive, con buona approssimazione, la variazione della pressione al variare dell altezza in un gas diluito. Si noti che se si assume P Pa, ρ 0 1Kg/metri 3, e g 10metri/sec 2, si trova che λ 10 4 metri = 10Kilometri!. 2.7 Il principio di Archimede Consideriamo un generico corpo di densità ρ immerso in un liquido di densità ρ l. Il liquido esercita allora una pressione su tutta la superficie del corpo, ma mentre la pressione nelle direzioni ˆx e ŷ si equilibrano, nel senso che per ogni pressione da un lato ne esiste una uguale ed opposta che la controbilancia, la direzione ẑ è speciale in quanto la pressione varia con l altezza secondo la legge di Stevino (2.16) (con ρ L al posto di ρ). Di conseguenza la forza che si esercita sul fondo del corpo

32 20 Capitolo 2. Idrostatica elementare è maggiore di quella che si esercita sulla parte superiore, e questo è vero indipendentemente dalla forma del corpo stesso. È facile calcolare la risultante di queste forze. Supponiamo di sostituire il corpo con un liquido della stessa forma ma di densità ρ L, e calcoliamo la forza che si esercita sul questa parte di liquido per effetto del resto del liquido (se veda Fig.2.3) Se isoliamo dal corpo z z+dz df(z+dz) ρ L z ds df(z) Figura 2.3: Gemetria nella dimostrazione del principio di Archimede. un volumetto cilindrico di volume dv = ds dz dove ds è la superficie (elementare) della base del cilindro, e dz è la sua altezza, possiamo facilmente calcolare la forza che agisce su di esso sulla base dell equazione di Stevino, in quanto df(z) e df(z + dz) sono le forze che si esercitano sulle basi inferiore e superiore rispettivamente. Quindi la forza totale lungo la direzione ẑ è df tot z = ρ L gdv (2.37) essendo P(z) P(z + dz) = ρ L gdz dalla legge di Stevino. Integrando ora su tutto il volume, essendo la densità ρ L costante, otteniamo chiaramente che F tot = M L gẑ (2.38) è la forza che si esercita sul liquido di massa M L avente la forma del corpo originale. Questa peró è anche la forza che si eserciterebbe sul corpo stesso! Quindi un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l alto pare al peso del volume del liquido spostato. Questo risultato è

33 Capitolo 2. Idrostatica elementare 21 noto come principio di Archimede. Si noti che questo risultato vale in tutti i casi in cui vale la legge di Stevino, e cioè in tutti i casi in cui, con buona approssimazione, il fluido puó essere considerato incompressibile. Come detto, questo comprende anche una classe di gas entro determinate condizioni. Il principio di Archimede ha vastissime applicazioni in tantissimi campi della fisica e dell ingegneria, ma una delle più interessanti è quella della possibilità di misurare la densità di un corpo mediante una misura relativa. Questa fu, storicamente, anche la prima applicazione di questo principio, e che viene ricordato come la corona di Archimede. 2.8 Paradosso idrostatico Come ultima cosa, è interessante discutere un risultato, a prima vista paradossale, ma che è una semplice conseguenza della legge di Stevino. Si considerino tre contenitori di base identica (superficie S ) ma di forma differente (Fig.2.4). Tutti tre i recipienti sono riempiti di un liquido fino all altezza h h h S S S Caso A Caso B Caso C Figura 2.4: I tre recipienti della discussione sul paradosso idrostatico. h. Chiaramente il recipiente B conterrà molto più liquido di A che a sua volta ne conterrà di più di C. Ciononostante, la forza esercitata sul fondo sarà sempre la stessa perchè la stessa è la pressione sul fondo (data dalla legge di Stevino). Quindi se ci fossero dei rubinetti collegati al fondo dei tre contenitori, il fluido uscirebbe con la stessa velocità nei tre casi! Spesso questo apparente paradosso viene indicato come paradosso idrostatico.

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35 Capitolo 3 Elementi di algebra vettoriale e tensoriale 3.1 Coordinate cartesiane, polari e cilindiche Com è noto, un punto nello spazio puó essere identificato dando una terna di numeri reali (x, y, z) che rappresentano le coordinate del punto rispetto ad una terna cartesiana. Questa rappresentazione, detta di coordinate cartesiane, non è peró l unica possibile. Ne esistono molte altre ed esiste anche un formalismo generale che permette di indivuarle e studiarle. Per quanto ci riguarda peró, ci limiteremo a definirne altre due particolarmente utili. Coordinate polari Le coordinate polari sono individuate da una terna (r, θ, φ) legate alle coordinate cartesiane dalle seguenti relazioni (Fig.3.1): x = r sin θ cos φ y = r sin θ sin φ z = r cos θ 23, (3.1)

36 24 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale con i limiti: 0 r < + 0 φ 2π 0 θ π (3.2) Si noti che la corrisponenza non è perfettamente biunivoca in quanto il punto corrispondente z θ r y x φ Figura 3.1: Coordinate polari. a r = 0 riveste un ruolo particolare. Coordinate cilindriche Le coordinate cilindriche, sono indivituate da una terna (ρ, φ, z) dove l ultima coordinata coincide con la coordinata z delle coordinate cartesiane, mentre le altre due sono legate a quelle cartesiane dalle relazioni (Fig. 3.2): x = ρ cos φ y = ρ sin φ, (3.3)

37 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale 25 con i limiti: 0 ρ < + 0 φ 2π < z < + (3.4) Anche in questo caso il punto ρ = 0 riveste un ruolo particolare che rompe la biunivocità con z y x φ ρ Figura 3.2: Coordinate cilindriche. le coordinate cartesiane. 3.2 Calcolo vettoriale Ricordiamo che il calcolo vettoriale permette una rappresentazione assoluta, che non dipende cioè dal particolare sistema di riferimento. In questo senso è importante ricolrdare la distinzione tra vettore e la sua rappresentazione in un particolare sistema di riferimento. Ad esempio, al vettore posizione x possono corrispondere molti diversi sistemi di riferimento (polari, cilindrici, ecc) come discusso. Il calcolo vettoriale si basa su delle operazioni vettoriali che non dipendono dal particolare

38 26 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale sistema di riferimento. Ad esempio il prodotto scalare A B = A B cos α dove α è l angolo tra le direzioni dei vettori A e B. Discorso analogo vale per il prodotto vettore, A B = [ A B sin α]ˆn, dove ˆn è il versore (vettore di modulo unitario) perpendicolare al piano individuato dai due vettori A e B. Quando si opera in un particolare sistema di coordinate, peró, tali operazioni assumono delle rappresentazioni particolari. Particolarmente utile si trova essere la rappresentazione cartesiana (in coordinate cartesiane), dove vedremo come sviluppare una simbologia molto utile per semplificare i calcoli. In tale rappresentazione un vettore assume la forma A = A x ˆx + A y ŷ + A z ẑ = ( A x, A y, A z ) (3.5) oppure sostituendo le terne (A x, A y, A z ) e (ˆx, ŷ, ẑ) con la terna (A 1, A 2, A 3 ) e (ê 1, ê 2, ê 3 ) rispettivamente, A = A 1 ê 1 + A 2 ê 2 + A 3 ê 3 = 3 A i ê i (3.6) i=1 Le proprietà di ortonormalità tra i versori fondamentali ˆx ˆx = 1, ˆx ŷ = 0, ˆx ẑ = 0 ecc, si possono scrivere in forma compatta come 1 se i = j ê i ê j = 0 se i j (3.7) È possibile rendere ancora più semplice e compatta la notazione introducendo il simbolo di Kronecker 1 se i = j δ i j = 0 se i j (3.8) in modo che il prodotto scalare fondamentale (3.7) si scrive semplicemente ê i ê j = δi j (3.9)

39 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale 27 Il prodotto scalare tra due vettori, espresso in coordinate cartesiane, si scrive allora in modo molto semplice A B = = 3 3 A i ê i B j ê j i=1 j=1 3 3 A i B j ê i ê j = A i B i i j=1 i=1 (3.10) Per il prodotto vettore la cosa è leggermente più complicata. È necessario ricordare due cose. Prima di tutto, a differenza del caso del prodotto scalare, il prodotto scalare dipende dall ordine in quanto A B = B A. Ció è dovuto al fatto che se si scambia l ordine dei due vettori il versore ˆn cambia segno in virtù della nota regola della mano destra. Quest ultima, d altra parte, altro non è che una rappresenzatione mnemonica di una proprietà matematica sulle permutazioni. In secondo luogo, per una terna cartesiana, il prodotto vettore di due qualunque versori fondamentali fornisce il terzo a meno del segno che è appunto fornito dalla regola della mano destra di cui adesso cercheremo di capire l origine. Quindi ad esempio ˆx ˆx = 0 (perchè l angolo tra i due versori si annulla), ˆx ŷ = ẑ mentre ˆx ẑ = ẑ ˆx = ŷ. Regole simili valgono per gli altri casi. Riassumendo: ˆx ˆx = 0 ˆx ŷ = ẑ ˆx ẑ = ŷ (3.11) ŷ ˆx = ẑ ŷ ŷ = 0 ŷ ẑ = ˆx ẑ ˆx = ŷ ẑ ŷ = ˆx ẑ ẑ = 0 Vediamo di capire l origine della regola della mano destra, sostituendo alla notazione con i versori fondamentali (ˆx, ŷ, ẑ) quella con la numerazione da 1 a 3 per indicare le tre direzioni (ê 1, ê 2, ê 3 ). In tal modo si è associato alla terna destrogira fondamentale (ˆx, ŷ, ẑ) una terna (1, 2, 3). Se scambiamo tra loro due elementi della terna, stiamo eseguendo una permutazione degli indici. In quanti modi

40 28 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale si puó fare questa permutazione? È facile vedere esplicitamente che si puó fare i 6 modi distinti (3.12) e questo è un caso particolare della proprietà combinatoria che il numero di permutazioni semplici di n oggetti è D n = n!, da cui D 3 = 3! = 6 in accordo con il calcolo diretto precedente. La regola della mano destra è dunque collegata alla parità del numero di permutazioni a partire dalla terna fondamentale (1, 2, 3): si avrà un segno positivo se il numero di permutazioni è pari, negativo altrimenti. Se è pari si dice che la permutazione è ciclica. In definitiva quindi, la ciclicità o meno del numero di permutazioni automaticamente seleziona il segno corretto da mettere nelle equazioni (3.12). Usando allora le notazioni compatte suddette, le equazioni (3.12) si riassumono nel modo seguente: ê i ê j = 0 se i = j ê k se i, j, k distinti e ciclici rispetto a 1, 2, 3 (3.13) ê k se i, j, k distinti e non ciclici rispetto a 1, 2, 3 Come nel caso del prodotto scalare, anche in questo caso le operazioni algebriche possono essere fortemente semplificate mediante l introduzione di un nuovo simbolo, questa volta con tre indici, detto simbolo di Levi-Civita ɛ i jk = 0 se due qualunque dei tre indici i, j, k sono uguali 1 se la terna i, j, k è ciclica rispetto alla 1, 2, 3 1 altrimenti (3.14) In tal modo le equazioni (3.12) si scrivono in modo compatto ê i ê j = 3 ɛ i jk ê k (3.15) k=1

41 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale 29 dove i, j = 1, 2, 3. In tal modo anche il prodotto vettore tra due arbitrari vettori diventa A B = 3 ) 3 A i B j (êi ê j = ɛ i jk A i B j ê k (3.16) i j=1 i jk=1 Si noti che la componente k esima del prodotto vettore (3.16) è (A B) k = ɛ i jk A i B j (3.17) e questa osservazione sarà utile nel proseguio del capitolo. 3.3 Esempio introduttivo al calcolo tensoriale Anche se nella sezione precedente abbiamo nominalmente trattato il calcolo vettoriale, in realtà si è implicitamente allargato il campo a strutture più complesse che vanno sotto il nome di tensori, quando si sono trattati i simboli (di Kronecker e di Levi-Citita) con due o più indici (le componenti di un vettore sono infatti identificati da un solo indice, come abbiamo visto). Questi oggetti fanno quindi parte di una descrizione più generale che va sotto il nime di calcolo tensoriale. È ora importante convincerci che questo sforzo nell introdurre nuovo formalismo matematico non è semplicemente un fatto cosmetico, ma, viceversa, è assolutamente necessario nel caso della meccanica dei fluidi, così come nel caso di tutta quella scienza che studia la meccanica dei continui. A tal scopo consideriamo l esempio semplice riportato in Fig.3.3 in cui una massa m sia collegata a due muri fissi (identificati dagli assi ŷ e ˆx) mediante due molle di costanti elastica k 1 e k 2 > k 1 rispettivamente e sia soggetta ad una forza F. Allora la forza elastica a cui è soggetta la massa m è, proiettata sui due assi ˆx e ŷ F x = k 1 x (3.18) F y = k 2 y

42 30 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale y k 1 m F k 2 x Figura 3.3: Esempio della massa collegata da due molle. Supponiamo dapprima che le due molle siano uguali, e cioè che k 1 = k 2 = k. Allora F = F x ˆx + F y ŷ = k (xˆx + yŷ) = kx (3.19) In questo caso, dunque, la forza F è parallela allo spostamento x. Se peró le costanti elastiche sono diverse, allora F = F x ˆx + F y ŷ = k 1 xˆx + k 2 yŷ kx (3.20) e la forza non è più parallela allo spostamento in questo caso. Come si procede dunque in questo caso? Si noti che il sistema di equazioni (3.19) si puó metter nella forma matriciale F x F y = k k 2 x y (3.21) che è un caso particolare della forma più generale F 1 F 2 = a 11 a 12 a 21 a 22 x 1 x 2 (3.22)

43 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale 31 che corrisponde al sistema F 1 = a 11 x 1 + a 12 x 2 (3.23) F 2 = a 21 x 1 + a 22 x 2 È evidente che entrambe le equazioni (3.22) e (3.24) dipendano da una matrice a i j, ed entrambe possono essere messe nella forma compatta F i = 2 a i j x j i = 1, 2 (3.24) j=1 che risulta essere la forma più conveniente per la nostra discussione seguente che introdurrà il calcolo tensoriale. 3.4 Convenzione sugli indici ripetuti e relazione fondamentale Abbiamo visto come i prodotti scalare e vettore di due vettori arbitrari si scrivono, in coordinate cartesiane, come A B = A B = 3 A i B i (3.25) i=1 3 i, j,k=1 ɛ i jk A i B j ê k (3.26) Espressioni come queste (e più complesse, come vedremo in seguito) in cui compaiono molti simboli di sommatoria si semplificano sottointendendo l indice di sommatoria sugli indici ripetuti. Così, ad esempio, nella prima equazione della (3.26) appare un indice ripetuto i, mentre nella seconda ne appaiono tre i, j, k. Con tale convenzione, detta convenzione degli indici ripetuti, o di Einstein, tale

44 32 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale equazione si scrive più semplicemente: A B = A i B i (3.27) A B = ɛ i jk A i B j ê k (3.28) dove si sono semplicemente sottointese le somme, come detto. Si ricordi che tale convenzione funziona solo se applicata agli indici ripetuti, che appaiono cioè due volte nell espressione a destra del segno di uguaglianza. Si ricordi inoltre che la prima espressione della (3.28) è stata ottenuta con l aiuto del simbolo di Kronecker δ i j in quanto puó essere scritta anche come A B = A i B j δ i j, dove questa volta si sottointende la somma sugli due indici i, j. Le proprietà del simbolo di Kronecker δ i j riportate nell equazione (3.8) farà sí che il valore dell indice j sia non nullo solo quando coincide con quello dell indice i. In definitiva quindi, il prodotto scalare è legato al simbolo δ i j mentre quello vettore è legato al simbolo di Levi-Civita ɛ i jk. Sorge allora spontanea la domanda se questi due simboli siano in qualche modo legati tra loro. La risposta è positiva, ed è sintetizzata nella seguente relazione fondamentale ɛ i jk ɛ i jk = 6 (3.29) ɛ i jk ɛ i jl = 2 δ kl ɛ i jk ɛ i jm = ( δ jl δ km δ jm δ kl ) Dimostramo la prima delle (3.29), ricordando che per la convenzione degli indici ripetuti, c è una sommatoria sottointesa sugli indici i, j, k. Quindi scritta esplicitamente tale equazione diventa ɛ i jk ɛ i jk = ɛ 111 ɛ ɛ 112 ɛ ecc su tutti i = 3 3 = 27 termini della sommatoria. Le proprietà del simbolo di Levi-Civita (3.14) peró, fan si che 0 se due qualunque dei tre indici i, j, k sono uguali ɛ i jk ɛ i jk = 1 se ɛ i jk = 1 oppure 1 (3.30)

45 Capitolo 3. Elementi di algebra vettoriale e tensoriale 33 Quindi restano non nulli nella sommatoria solo i 3! = 6 termini corrispondenti alle possibili permutazioni della terna fondamentale 1, 2, 3, e il valore di ogni termine vale 1 come detto. Da cui il risultato 6. Vediamo ora di dimostrare la seconda delle (3.29). Si noti innanzi tutto che adesso ci sono solo 3 2 = 9 termini nella somma e cioè ɛ i jk ɛ i jl = ɛ 11k ɛ 11l + ɛ 12k ɛ 12l +... e cosí via, e il valore di ogni termine dipende dal valore di k e l. Supponiamo dapprima che k l, ad esempio k = 1 e l = 2. Allora tutti i termini della somma sono nulli in quanto se il primo simbolo ha tutti gli indici distinti, necessariamente il secondo deve averne almeno due uguali e viceversa. Quindi si ottiene un valore non nullo solo se k = l, e in questo caso il risultato è sempre uguale a 2 in quanto solo due dei nove termini risultano diversi da zero e uguali a 1 come prima. Ció dimostra anche la seconda delle (3.29). Infine dimostramo il terzo risultato. In questo caso ci sono solo tre termini nella somma che possiamo scrivere esplicitamente: ɛ i jk ɛ ilm = ɛ 1 jk ɛ 1lm + ɛ 2 jk ɛ 2lm + ɛ 3 jk ɛ 3lm. Si noti ora che gli indici j, k, l, m sono fissati ad un qualsiasi valore tra 1 e 3. Quindi se ad esempio fosse diverso da zero il primo dei tre termini, allora necessariamente i valori di j, k, l, m dovrebbero essere o j = 2 e k = 3 oppure viceversa, e quindi sarebbero nulli gli altri due termini. In definitiva sono diversi da zero solo in modo mutuamente esclusivo e dunque ad esempio ɛ 1 jk ɛ 1lm = ( ) δ jl δ km δ jm δ kl e la stessa cosa (in modo mutuamente esclusivo) per gli altri due termini. E quindi anche la terza delle (3.29) risulta dimostrata. 3.5 Calcolo tensoriale Riassumiamo ora quanto capito per il calcolo vettoriale. Abbiamo visto che ad ogni vettore v possiamo associare una rappresentazione che in coordinate cartesiane risulta (v x, v y, v z ) che, in notazione compatta, dipende da un solo indice v i con i = 1, 2, 3. Questa rappresentazione dipende peró sia dal particolare sistema di coordinate (cartesiane, polari, cilindriche, ecc), sia, all interno dello stesso sistema di coordinate, dal particolare sistema di riferimento scelto. Se cambiamo sistema di rife-

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