Schema 11 La Privatizzazione
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- Giacinta Barone
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1 Schema 11 La Privatizzazione La fornitura di beni e servizi da parte del settore pubblico può assumere la forma di diversi mix di finanziamento (pubblico/pri vato) e produzione (pubblica/privata) cfr. schema 6. Di conseguenza, il termine privatizzazione si riferisce a politiche diverse, accomunate dal fine di rafforzare il mercato e ridurre il ruolo del settore pubblico. Tuttavia, la percezione più popolare è che la privatizzazione si ottenga attraverso il trasferimento della proprietà: imprese di proprietà del settore pubblico o gestite dal settore pubblico vengono privatizzate attraverso il trasferimento della proprietà al settore privato. Le ragioni per la produzione pubblica risiedono in argomenti positivi a favore della sua superiorità rispetto a quella privata in particolari situazioni (presenza contemporanea di investimenti specifici, razionalità limitata e comportamento opportunistico, come evidenziato nella transaction costs economics; azzardo morale; costi irrecuperabili; ecc. v. schema 6) o argomentazioni negative quando meccanismi di intervento pubblico alternativi (ad es. la regolamentazione v. schema 9) presentano delle debolezze. Di converso, l argomento principale a favore della privatizzazione è l aumento dell efficienza. In proposito ci sono due scuole di pensiero critiche della produzione pubblica: la scuola della public choice e la scuola dei diritti di proprietà. La scuola della public choice evidenzia gli effetti negativi dell influenza di politici e burocrati sulla gestione quotidiana delle imprese pubbliche e ne dimostra l incompatibilità con l efficienza. Ad esempio, i politici possono tentare di influenzare i manager delle imprese pubbliche a fini elettorali, premendo per investimenti nelle aree geografiche che portano loro maggior sostegno politico o impedendo aumenti delle tariffe impopolari. 1
2 Secondo la scuola dei diritti di proprietà i cittadini, non considerandosi azionisti delle imprese pubbliche, non controllano l operato dei manager, come fanno invece gli azionisti delle imprese private che, perseguendo i profitti, hanno un incentivo ad assicurare che i manager prendano decisioni efficienti. Se dunque l efficienza è l obiettivo, la domanda è se il trasferimento della proprietà dal settore pubblico a quello privato costituisca il modo migliore per raggiungerlo. In proposito ci sono alcuni motivi di scetticismo: La struttura degli incentivi interni al settore pubblico è causa di inefficienza; questa è rappresentata da costi maggiori di quelli delle imprese private; ciò si traduce in perdite per l impresa pubblica; la situazione permane nel tempo grazie alla possibilità di ricorrere a sussidi statali. Se la privatizzazione elimina, o quanto meno riduce, questa possibilità, ciò implica che la produzione sarà più efficiente? La cartina di tornasole in questo caso sarebbe il fatto che l impresa privatizzata, a differenza di quella pubblica, ottiene dei profitti. Tuttavia non è corretto fare coincidere profitti ed efficienza: in situazioni di monopolio naturale, le perdite sono inevitabili se il livello di output è quello efficiente, quindi, per contrasto, l esistenza di profitti implicherebbe che il livello di output è inefficiente. Studi comparativi suggeriscono che i costi di produzione nel settore privato siano più bassi che nel settore pubblico; ma i risultati sono ambigui e quello che sembra in realtà emergere è che, più che il trasferimento di proprietà, il fattore che conta sia l esposizione alla concorrenza. Gli incentivi del settore privato sono sufficienti? Anche nelle società private gli azionisti, soprattutto i piccoli, non hanno incentivi a controllare i manager: è troppo costoso per loro partecipare alle assemblee degli azionisti, ecc. D altra parte i manager possono ben avere obiettivi diversi da quelli degli azionisti (ad esempio, il loro prestigio e la loro remunerazione possono essere legate al fatturato piuttosto che ai profitti). Secondo la scuola dei diritti di proprietà, un intervento attivo dei singoli azionisti non sarebbe necessario: un impresa gestita male subirebbe una diminuzione del valore delle azioni, rendendo possibile una scalata; ciò potrebbe comportare la perdita del posto 2
3 per i manager e la paura di questo esito agirebbe come un vincolo sul loro operato. Ma l evidenza empirica a supporto di questa argomentazione teorica non è molto forte; inoltre, scalate per compagnie di grandi dimensioni come, di norma, quelle privatizzate, sono molto difficili. Quindi, in molti casi il trasferimento della proprietà al settore privato non assicura l introduzione della concorrenza nel mercato, ma rischia solo di sostituire un monopolio privato a quello pubblico. In tali situazioni l alternativa all impresa pubblica non è la privatizzazione, ma la regolamentazione (v. lezione 9): le agenzie di regolamentazione dovrebbero offrire una salvaguardia dal monopolio. Tuttavia, alcune forme di regolamentazione possono avere effetti anticoncorrenziali; inoltre, il regolare può essere catturato dalle imprese regolate se l agenzia non ha informazioni diverse da quelle fornite dalle imprese stesse, con la conseguenza che i prezzi vengano fissati a vantaggio dei produttori. Va infine considerata la particolarità dei servizi pubblici a particolare valenza sociale (e.g. sanità, istruzione), per i quali l intervento pubblico non ha finalità solo allocative, ma anche redistributive, in particolare per la volontà di garantire a tutti l accesso al servizio. In questo campo, un modello di introduzione della concorrenza è costituito dai quasi mercati. Il meccanismo dei quasi mercati, o mercati interni, è caratterizzato da: a) Lo stato finanzia l acquisto del servizio; b) La forma di finanziamento può essere di vario tipo (buoni, tributi ear-marked, ecc.); c) I fornitori sono in concorrenza tra loro nella produzione del servizio; d) La forma della concorrenza può essere di vario tipo (può essere presente un impresa pubblica, imprese no-profit, ecc.). Come si inquadra in questa cornice teorica il processo di privatizzazione italiano, avviato negli anni 90 in misura così importante da segnare un cambiamento del ruolo economico dello Stato, definito come il passaggio dallo stato imprenditore allo stato regolatore? 3
4 Come evidenziato in Barucci e Pierobon (2010), il processo di privatizzazione italiano non fu tanto il frutto di una scelta politica pro mercato, quanto un mezzo per contribuire a risolvere i problemi della finanza pubblica e della rappresentanza politica derivanti dall emersione della vastità del fenomeno della corruzione, collegata anche al sistema delle imprese pubbliche e delle partecipazioni statali. A ciò va sommata la necessità di ottemperare ai vincoli di finanza pubblica derivanti dal processo di integrazione europea, sia in termini di rapporto deficit/pil e debito/pil, sia in termini di limitazioni alle modalità di intervento dello stato imprenditore, obbligato ad agire secondo la logica del mercato e della disciplina della concorrenza e della regolazione che tende primariamente a garantirla. Non c è problema se un impresa è pubblica, ma dovendo agire come se fosse privata, molte delle ragioni dell intervento pubblico diretto vengono meno. Così, nel 1992 e nel , si verificano due ondate di dismissioni, con il processo che rallenta quando il Patto di Stabilità sposta l obiettivo dal debito al deficit i dividendi delle partecipazioni in società profittevoli sono entrate da mantenere -, per poi fermarsi con il finire dell emergenza. Conseguenza della motivazione risanamento delle finanze pubbliche è che la finalità del trasferimento di proprietà è stata la massimizzazione del ricavo. In un certo senso, lo stato ha agito con obiettivi da privato. Nei settori in cui la privatizzazione non è sufficiente a introdurre la concorrenza (e.g. servizi a rete), il mantenimento di una struttura monopolista aumenta il valore di mercato dell impresa, e il trasferimento di proprietà comporta il passaggio di una posizione di potere di mercato ai privati, non un aumento della concorrenza e, quindi, dell efficienza. E un dato di fatto che, spesso, la privatizzazione abbia preceduto e non seguito l apertura del mercato alla concorrenza (processo di liberalizzazione e istituzione di agenzie di regolazione). Anche il permanere, nonostante il processo di liberalizzazione, di posizioni di fatto monopolistiche, è dovuto in parte alla rinuncia del settore pubblico al ruolo di colmare le mancanze di quello privato. Nell esperienza italiana, infatti, tali posizioni permangono anche per un insufficienza infrastrutturale, che non permette sempre l accesso di più operatori a qualche stadio della produzione/distribuzione. 4
5 Questo sarebbe un tipico campo di intervento pubblico, necessario per superare le difficoltà che gli operatori privati incontrano a causa dell entità degli investimenti, la mancata internalizzazione degli effetti esterni, ecc. Ma il processo di privatizzazione si è accompagnato a una riduzione della spesa in conto capitale (meno sensibile di quella in conto corrente in chiave elettorale) che ha indebolito il ruolo dello stato di investitore di lungo periodo e coordinatore di investimenti privati, cosicché la stessa efficacia dell intervento regolatore, in termini di contenimento dei prezzi, accesso ai mercati e garanzia di qualità, è stata compromessa. La conclusione è che siamo di fronte a un settore pubblico che, pur mantenendo dimensioni molto simili a quelle dei primi anni 90, non colma più, nel settore della fornitura pubblica di beni e servizi, le carenze del privato, ma agisce esso stesso come privato, sfruttando il controllo delle imprese per ottenere introiti, non intaccando le rendite di posizione, non sopperendo alle mancanze infrastrutturali e così non riuscendo a ottenere i risultati che ci si attenderebbe dal suo nuovo ruolo di regolatore. Sarebbe quindi necessario riqualificare l intervento pubblico, uscendo dalla questione più stato-meno stato o da quella stato imprenditore-stato regolatore, affinché questo torni a svolgere consapevolmente e coerentemente il ruolo che il privato non può avere. [Barucci e Pierobon, cap. III e cap. IV] 5
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