Memoria di un sublime. Ground Zero di Libeskind

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1 Memoria di un sublime. Ground Zero di Libeskind Simona Chiodo 1. Un museo offre agli oggetti che ospita una condizione paradossale: garantisce protezione e conservazione nel tempo e costringe, perlopiù, a una collocazione innaturale, distante dal destino per il quale l oggetto è stato, in origine, creato. Il filosofo americano Nelson Goodman 1 suggerisce 1 Di Nelson Goodman sull arte cfr.: I linguaggi dell arte, tr. it. di F. Brioschi, Il Saggiatore, Milano 1976 (Languages of Art. An Approach to a Theory of Symbols, Bobbs-Merrill, Indianapolis 1968), nonché Vedere e costruire il mondo, tr. it. di C. Marletti, Laterza, Roma-Bari 1988 (Ways of Worldmaking, Hackett, Indianapolis 1978) e Of Mind and Other Matters, Harvard University Press, Cambridge Mass La meditazione estetica di Goodman è anticipata da alcuni studi, tra i quali: Merit as Means, Art and Philosophy, New York University Press, New York 1966, pp ; Art and Inquiry, Proceedings and Addresses of The American Philosophical Association, Eastern Division, Antioch, Yellow Springs, XLI, 1968, pp Questi e altri interventi, successivi a Languages of Art, sono in gran parte raccolti in Problems and Projects, Bobbs-Merrill, Indianapolis Inoltre, è essenziale per la tematizzazione estetica Reconceptions in Philosophy and Other Arts and Sciences, con C.Z. Elgin (Hackett, Indianapolis 1988). Un accenno va al contributo di Goodman destinato al Convegno italiano Livelli di realtà, organizzato da M. Piattelli Palmarini: Storie su storie, piani su piani, o la realtà in livelli, in M. Piattelli Palmarini, a cura di, Livelli di realtà, Feltrinelli, Milano L interesse al mondo dell arte è sostenuto, tra l altro, da una personale frequentazione dei suoi esiti, per così dire, che è persino più antica degli sviluppi teorici: Goodman diresse la galleria d arte Walzer- Goodman a Boston dal 1929 al 1941, fondò Project Zero presso la Harvard University un programma di ricerca interdisciplinare che 1

2 che il museo, dopo tutto, altro non sia che un anomala e sgraziata istituzione resa necessaria soltanto dalla rarità e dalla vulnerabilità di oggetti che appartengono ad altri luoghi 2. È necessario per conservare, è inadeguato alla restituzione di senso: offre alla visibilità e consegna al futuro un oggetto altrimenti sottratto al pubblico e al tempo che verrà; lo forza, d altro canto, a sopravvivere all interno di confini arbitrariamente tracciati da coloro che si preoccupano di conservare, e che così estraggono l oggetto dalla propria collocazione originaria e lo trattengono in uno spazio artificiale e fittizio, perlopiù predisposto a posteriori, senza che abbia scortato, viceversa, la genesi degli oggetti che raccoglie. Così, nel museo, tutt al più si guarda: non si gode della percezione della relazione dell oggetto con il contesto per il quale è stato pensato. L innaturalità della condizione museale complica l abilità di comprensione dell oggetto alla quale è chiapredilige la formazione estetica, e che continua sotto la direzione di Howard Gardner e David Perkins. E coltivò costantemente un vivo interesse per le arti figurative. Oltre a dirigere la galleria Walzer- Goodman, curò numerose collezioni d arte antica (precolombiana e asiatica) e moderna (dal Seicento al Novecento). Elgin, oltre a collaborare ad alcuni tra gli ultimi studi di Goodman dedicati all estetica (il citato Reconceptions in Philosophy and Other Arts and Sciences), cura la raccolta di interventi critici sul pensiero di Goodman, che comprende, tra l altro, estesi contributi sui temi estetici (The Philosophy of Nelson Goodman. Selected Essays, Vol. I: Nominalism, Constructivism, and Relativism in the Work of Nelson Goodman, Vol. II: Nelson Goodman s New Riddle of Induction, Vol. III: Nelson Goodman s Philosophy of Art, Vol. IV: Nelson Goodman s Theory of Symbols and Its Application, Garland Publishing, New York 1997). Di Elgin su Goodman, oltre agli interventi in The Philosophy of Nelson Goodman. Selected Essays, si veda Reference to Reference, Heckett, Indianapolis N. Goodman, The End of the Museum?, in Id., Of Mind and Other Matters, cit., p. 185 (tr. it. mia, qui e di seguito). 2

3 mato chi lo osserva. Goodman accenna alla differenza tra il compito che deve soddisfare chi entra in una biblioteca e il compito al quale è costretto chi entra in un museo: mentre la maggior parte di fruitori di una biblioteca sanno come leggere i libri là dentro, molti tra i visitatori di un museo non sanno come guardare [ ] le opere che là ci sono 3. La biblioteca offre oggetti indifferenti al contesto fisico che li circonda: non devono interagire con il proprio intorno per avere senso, poiché il senso si risolve con sufficiente soddisfazione tra sé e il proprio lettore. Il resto può non contare, ovvero può non sottrarre senso con necessità. Un oggetto conservato in un museo, viceversa, ha perlopiù subito un trasferimento nel tempo e nello spazio. È stato tolto dall intorno fisico d origine ed è stato collocato altrove, spesso accanto ad altri analoghi esemplari, che con esso condividono anzitutto (o soltanto) il nuovo destino di facilitazione alla pubblica visione. Che alla pubblica visione si affianchi una pubblica comprensione, tuttavia, è cosa che si rende più difficile. Il contesto perduto, lasciato là dov era e non portato con sé, complica, perlopiù, la decodificazione del senso dell oggetto: l osservatore entra in un museo, osserva un esteso numero di oggetti che condividono solo artificialmente uno medesimo spazio e un medesimo tempo e si domanda quali oggetti siano, con pochi indizi di contorno sui quali poter contare. Un libro si risolve con una minor complicazione tra sé e il proprio lettore. Un oggetto ospitato in un museo più difficilmente può prescindere dall intorno originario. Dunque, una domanda: presupposta l innaturalità necessaria necessaria, cioè, alla buona conservazione dell oggetto al di fuori dal tempo dal quale proviene qual è la migliore soluzione da adottare per agevolarne la com- 3 Ibid., p

4 prensione? È possibile ricorrere, ad esempio, a due rimedi polari: ora la creazione di una relazione quanto più immediata tra l osservatore e l oggetto; ora, differentemente, l accentuata mediazione. Nel primo caso gli oggetti esposti si accompagnano tutt al più a un informazione minimale, che non ricorre ad altro che a una scarna nomenclatura (qualche indicazione essenziale e nient altro); nel secondo caso si enfatizzano le strategie che agevolano le procedure di decodificazione dell oggetto (una ricca documentazione di supporto per via di scrittura, immagini, suoni e altro ancora). In un caso e nell altro, pur nella radicale differenza, l intenzione si conserva: facilitare la comprensione dell oggetto. Ovvero, suggerirebbe Goodman, farlo agire pur nelle peggiori condizioni possibili, ossia all interno di un museo 4. L oggetto conservato in un museo agisce, ad avviso di Goodman, quando, stimolando uno sguardo indagativo, acuendo la percezione, enfatizzando l intelligenza visiva, aprendo prospettive, portando all emersione nuove connessioni e nuovi contrasti e delimitando significativi aspetti trascurati, partecipa all organizzazione e alla riorganizzazione dell esperienza, e quindi alla costruzione e alla ricostruzione dei nostri mondi 5. Un oggetto agisce, dunque, quando non soltanto si rende comprensibile, bensì esercita un ruolo costruttivo che interessa le modalità conoscitive dell osservatore e non semplicemente, per così dire, i suoi contenuti conoscitivi. Non è sufficiente che l oggetto informi. Occorre, piuttosto, che trasformi meccanismi più radicali, agendo con abilità incisiva sulla qualità osservativa del visitatore che incontra, modificandola ogni volta. Ciò che occorre fare, quindi, è trovare altre 4 Ibid., p Ibid., pp

5 vie di estensione dell influenza del museo all interno di un contesto più naturale un contesto di abitazioni e di luoghi di lavoro 6. Goodman pensa a un museo senza pareti a un museo, dunque, che si estenda, agendo, apprezzabilmente oltre i propri confini. Per quale via è possibile far agire un oggetto raccolto in un museo? O, ancora, in quale modo un museo può estendersi al di là delle proprie pareti? Ad esempio, nel caso in cui, infine, si raggiungano esiti di questo genere: la gente acquista opere originali, le gallerie commerciali sopravvivono, artisti di valore cominciano a essere riconosciuti dal pubblico 7. Così possono incoraggiarsi l azione e l estensione, oltre le proprie pareti, degli oggetti che un museo raccoglie. Con una precisazione che funzioni da necessaria premessa, ad avviso di Goodman: uno dei peggiori effetti di un museo, e che occorre aggirare, è generare l impressione che le opere di valore siano esclusivamente quelle così rare e così costose da dover essere confinate all interno di musei o di grandi collezioni, e che non siano oggetti di valore quelli che la gente può possedere o quelli accanto ai quali la gente può vivere 8. Un museo agisce, dovremmo concludere, se e quando stabilisce una connessione con la vita con la quotidianità dell esistenza, modificandola. Non soltanto a posteriori, bensì a priori, per così dire, includendo la quotidianità con i suoi eventi nella memoria da conservare agevolandone la decodificazione e, specialmente, agendo più estesamente sui meccanismi di comprensione, a qualunque oggetto specifico la comprensione, infine, si orienti. 6 Ibid., p Ibid., p Ibid., p

6 2. È possibile che un museo agisca, ad esempio, se raccoglie il passato per offrirlo a un presente che lo impieghi costruttivamente per la progettazione, ideale e materiale, del futuro se, quindi, non raccoglie il passato semplicemente per conservarlo, preoccupandosi di farlo sopravvivere al tempo, bensì se lo dirige all edificazione del futuro, identificando nel passato oggetti o eventi che vanno compresi prima o per di affidarsi il compito di progettare il futuro. Evidentemente, e come suggerisce Goodman, quest idea non presuppone di necessità l esistenza di oggetti che acquisiscano il diritto di abitare un museo essendo irripetibili e auratici, ovvero sopravvissuti faticosamente al corso dei secoli per via dell eccezionalità che ciascun secolo, credibilmente, ha continuato ad attribuire loro. Non si tratta necessariamente, cioè, di riconoscere nel passato tutelato da un museo la rarità del pezzo unico o l essenzialità del documento storico: il museo il museo che agisce può essere altro ancora 9. Può offrire un occasione di meditazione attorno a oggetti difficili da decodificare e assimilare nella propria storia, e che tuttavia vanno compresi per proseguire, per oltrepassare l arresto che altrimenti segnerebbero sulla parabola che volge al futuro. 9 Cfr. le osservazioni di L. Hourston in Museum Builders, Wiley- Academy, Chichester Hourston ripercorre l evoluzione dell idea di museo, che da luogo di conservazione del repertorio storico e artistico diventa anzitutto generatore di conoscenza (ibid., p. 6), declinandosi a un intreccio più denso con la contemporaneità, facendosi strumento di elaborazione e di comunicazione dell identità del tempo nel quale vive (non semplicemente del tempo del quale racconta). A questo proposito, cfr. anche E. Hooper-Greenhill, Museums and the Shaping of Knowledge, Routledge, London and New York

7 Ground Zero è destinato a diventare qualcosa di questo genere: un museo senza pareti nell intenzione di Daniel Libeskind 10, e ricorrendo, di nuovo, alle parole di Goodman. 10 Daniel Libeskind, di origine ebrea, è nato in Polonia nel 1946 e dal 1965 è cittadino americano. Ha tenuto lezioni in numerose Università statunitensi (Harvard, Yale, Ucla, Chicago) ed europee (Londra, Berlino, Copenaghen, Hannover) e ha fondato nel 1986 e diretto fino al 1989 a Milano l Architecture Intermundium, un istituto privato per l architettura. Tra i numerosissimi eventi a cui ha partecipato, la celebre mostra dedicata nel 1988 all architettura decostruttivistica (Museum of Modern Art, New York). Tra gli altrettanto numerosi riconoscimenti, il Leone di Pietra alla Biennale di Venezia del 1985 e il primo premio all International Bauaustellung di Berlino nel Tra i progetti: il Jewish Museum berlinese ( ), il Felix Nussbaum Haus di Osnabrück ( ), il Danish Jewish Museum a Copenhagen ( ), l Extention to the Victoria & Albert Museum londinese ( ), l Imperial War Museum North di Manchester ( ), lo Studio Weil a Port d Andratx ( ), il Jewish Museum di San Francisco ( ), il Maurice Wohl Convention Centre a Tel Aviv ( ), l Extension to the Denver Art Museum ( ), la London Metropolitan University ( ). Tra le pubblicazioni: Between Zero and Infinity, Rizzoli, New York 1981; Chamberworks, Architectural Association, London 1983; Theatrum Mundi, Architectural Association, London 1985; Line of Fire, Electa, Milano 1988; Marking the City Boundaries, Groningen, The Netherlands 1990; Countersign, Academy Editions, London 1992; Kein Ort an seiner Stelle, Verlag der Künste, Dresden 1995; Unfolding, Nai Uitgevers Publishers, Rotterdam 1997; Fishing from the Pavement, Nai Uitgevers Publishers, Rotterdam 1997; The Jewish Museum Berlin, Verlag der Kunst, Berlin 1999; The Space of Encounter, Universe Press, New York Tra le pubblicazioni su Daniel Libeskind: K. Freireiss, Jewish Museum, Ernst & Sohn, Berlin 1992; A.M. Müller, Radix: Matrix. Works and Writings of Daniel Libeskind, Prestel Verlag, Munich 1994; R.C. Levene, F. Cecilia, El Croquis: Daniel Libeskind, El Croquis, Madrid 1996; L. Sacchi, Universale di architettura. Daniel Libeskind, Museo ebraico, Berlino, Testo & Immagine, Torino 1998; T. Rodiek, Museum ohne Ausgang: Das Felix-Nussbaum-Haus des 7

8 L idea di un museo che agisca con invadenza nella contemporaneità dalla quale si genera, costringendo il passato del quale racconta a interagire con il presente e con il futuro, ha, in Libeskind, celebri tentativi che precedono il progetto dedicato alla ricostruzione di Ground Zero 11. Alcuni tra questi ripropongono il delicatissimo quesito che anche al destino di Ground Zero resta da sciogliere: come testimoniare, con una forza non semplicemente documentativa, la storia di una tragedia? Si tratta, cioè, di un problema di questo genere: come far agire nella contemporaneità un oggetto che la contemporaneità vuole perlopiù rimuovere o vuole tutt al più maneggiare all interno di un archivio, per così dire, che lo sigilli qualificandolo passato, scongiurandone l azione? Nel 1988 Libeskind 12 partecipa al bando di concorso per la costruzione del museo ebraico di Berlino, vincendolo. Dell opportunità di dedicare, proprio a Berlino, un museo alla storia tedesca degli ebrei e alla loro tragedia si discusse a lungo (per oltre vent anni), concludendo con la decisione di procedere all edificazione di un luogo di memoria che, nell intenzione di Libeskind, esplicitasse persino con invadenza il rifiuto della rimozione: Libeskind Kulturgeschichtlichen Museums Osnabrück. Daniel Libeskind, Wasmuth Verlag, Tübingen 1998; E. Dorner, Das Jüdische Museum Berlin, Gebrüder Mann Verlag, Berlin 1999; B. Schneider, The Jewish Museum Berlin. Daniel Libeskind, Prestel Verlag, Munich Si tratta del progetto vincitore, nel 2003, del concorso bandito per la ricostruzione dell area distrutta dall attacco terroristico dell 11 settembre I lavori cominceranno nel corso del Il nucleo del nuovo centro, il Performing Arts Center previsto e ugualmente i grattacieli e la torre saranno costruiti entro il 2007, mentre occorrerà più tempo per gli altri edifici del nuovo complesso. 12 Che alla propria origine ebrea aggiunge, in effetti, una tragedia familiare, avendo perso nel dramma dell Olocausto la maggior parte dei membri della propria famiglia (tutti, a eccezione del padre). 8

9 pensa a un Jewish Museum centralissimo, sulla Lindenstrasse, accanto alla linea che separava la Berlino Est dalla Berlino Ovest, e attiguo al Kollegienhaus, l antico tribunale prussiano. Il museo raccoglie la storia sociale, culturale e politica degli ebrei berlinesi dal quarto secolo alla contemporaneità, dedicando un attenzione viva e costante all Olocausto. Accanto al nome ufficiale ( Jewish Museum ), Libeskind aggiunge un Between the lines, alludendo a due linee che, strutturalmente e allegoricamente, si intersecano con complessità, eppure con necessità: l una ebraica, l altra tedesca, ugualmente berlinesi, come a suggerire che la secolare storia degli ebrei a Berlino sia inscindibile dalle radici di una città che pur è stata, per gli ebrei tedeschi, così dolorosamente incisiva. La connessione è intricata ma indissolubile, se non altro essendo storicamente radicata. Ed è questa l idea che il museo vuole tradurre in visibilità immediatamente accessibile allo sguardo: la dolorosa contorsione è esplicitata da una struttura architettonica che si compone di moduli che disegnano una linea violentemente spezzata, ricordando, con manifesta evidenza (il materiale è un luminosissimo zinco rivestito di titanio, che riflette con particolare vigore la luce), una stella di David dissolta. E che letteralmente ricorda, quasi per via di una citazione, il contorno delle fabbriche di periferia, uno dei simboli che alludono alle abitazioni ebraiche. La scelta di costruire il Jewish Museum accanto alla linea di confine tra la Berlino Est e la Berlino Ovest enfatizza l idea di incontro di un incontro, infine, doloroso tra due alterità, differenti e che pur si invadono con reciprocità. Così, materialmente, ha vita un edificio che somiglia a una matrice irrazionalmente risolta, come fosse il risultato di due linee che, incontrandosi, generassero distorsione, pur richiedendo l una la presenza dell altra. Con una nota quasi ottimistica, l edificio è anticipato da 9

10 un giardino articolato lungo quarantotto colonne che racchiudono piante verdi, a simboleggiare, per via del loro numero, l anno di fondazione dello Stato di Israele (il 1948, appunto). L ingresso si dipana attraverso la Kollegienhaus e si articola, infine, lungo un entrata vuota intensamente drammatica, attraverso una scala che scende al di sotto delle fondamenta dell edificio, materializzandosi in una struttura indipendente soltanto al di fuori, successivamente riemergendo. Così, l edificio preesistente si unisce al nuovo solo sottoterra, rilevando la contraddittoria autonomia delle due strutture sulla superficie e concedendo una connessione strutturale solo al di sotto dell apparenza. Ci sono tre vie sotterranee, dedicate a tematizzazioni indipendenti l una dall altra: la prima, più lunga, conduce agli spazi espositivi del museo; la seconda porta all esterno, rappresentando l esilio e l emigrazione degli ebrei dalla Germania; la terza si inoltra in un percorso senza uscita, di drammatica intensità allusiva. Passando da un settore all altro del museo, il visitatore è invitato ad attraversare sessanta ponti, sotto ai quali si apre uno spazio vuoto, che, simbolicamente, orienta la vertigine strutturale alla constatazione dell assenza degli ebrei vittime dell Olocausto. Ricorrono con assidua frequenza i nomi degli ebrei deportati da Berlino durante gli anni dell Olocausto, tratti dai Gedenkbuch. Oltre ai settori espositivi, il museo contiene un archivio, un centro di documentazione, un foro per manifestazioni pubbliche e un centro pensato per istruire, specialmente, i visitatori più giovani. 10

11 Fig. 1. Il Jewish Museum di Berlino da un angolazione esterna, che evidenzia le quarantotto colonne all interno delle quali crescono piante verdi, simboleggiando la data della costituzione dello Stato di Israele (1948). Fig. 2. Il Jewish Museum da una prospettiva aerea, che ne restituisce l articolata struttura, generata dall incontro violento tra linee destinate a scomporsi. 11

12 Fig. 3. Una focalizzazione interna del Jewish Museum, che dà conto della vertigine strutturale ottenuta attraverso uno stridente accostamento di pieni e di vuoti. 12

13 Libeskind si orienta sulla scia di tre idee essenziali: l impossibilità di comprendere la storia della città di Berlino senza comprendere il vigoroso contributo intellettuale, culturale ed economico offerto alla città dai cittadini ebrei; la necessità di introdurre il significato dell Olocausto nella memoria conscia collettiva della città; la convinzione che soltanto attraverso il recupero del passato sia possibile, a Berlino e all Europa, costruire un futuro più promettente. Commentando il proprio lavoro, Libeskind parla di un museo che si rivolge a tutti i cittadini di Berlino: non soltanto a quelli della Berlino presente, ma specialmente a quelli della Berlino che verrà, ai quali affida la cura di un eredità da custodire consapevolmente affinché agisca, nel tentativo di assimilare il senso di una contraddizione complicata da comprendere, generata dal dissidio tra presenza ed estraneità, amore per Berlino e odio per Berlino, che strutturalmente si traduce in un contrasto irrisolto tra ordine e disordine, linearità e spezzatura, spazio pieno e spazio vuoto, fino alla soglia della vertigine. Nell intenzione di Libeskind, il Jewish Museum non costituisce la risposta a un progetto specifico, ovvero circoscritto, bensì rappresenta un emblema, sensibilmente più esteso, di speranza, affidando all architettura e all apparenza visibile il compito di un suggerimento che sia, infine, etico. 3. Qualche anno più tardi, dal 1997 al 2002, Libeskind lavora a un nuovo museo della memoria: l Imperial War Museum North di Manchester. Ancora un tema di intensa drammaticità: le guerre del ventesimo secolo. E, ancora, il tentativo di esplicitare con forza la permanenza di un dissidio irrisolvibile per via dell oblio. Così, la struttura è di 13

14 nuovo generata attraverso l assemblamento di corpi contrastanti: evocando la singolare estensione dei conflitti novecenteschi, che hanno coinvolto spazi terrestri, marini e aerei, Libeskind propone una struttura che unisca tre differenti moduli, a rappresentare terra, acqua e aria, dunque la totalità dello spazio del tragico combattimento. La ricostruzione di elementi dissonanti che s incastrano in un armonia che testimonia, ugualmente, qualche irrisolto contrasto (per via di una faticosa giustapposizione strutturale, ad esempio) è il risultato di un percorso ideale di questo genere: a cominciare da un mondo ordinato (da un mondo che è cosmos, dunque), il conflitto genera caos, rompendo un unità in frammenti scomposti, riavvicinabili soltanto attraverso l esplicitazione delle saldature che occorrono per tenere insieme una struttura unitaria irrimediabilmente perduta. L unità finale corrisponde al museo, così come appare allo sguardo di un visitatore che lo osserva dall esterno: un unità artificiale, ottenuta per via di una ricostruzione che non può che testimoniare la scissione avvenuta, irricucibile senza manifestarne le origini e le successive dolorose articolazioni. Si tratta, ancora una volta, di un ricorso a una strategia simbolica che sceglie una via decostruttivistica: l unità deve ricomporsi, potendolo fare solo evidenziando la rottura, che va assimilata alla propria struttura genetica, per così dire, rendendola riconoscibile. Il ricorso al simbolo è paradossalmente la via ideale, ad avviso di Libeskind, per restituire il senso di qualcosa che sia tanto violentemente concreto quanto una tragedia universalmente estesa, e che universalmente ha inciso sulla materialità dell esistenza quotidiana: è attraverso il ricorso all astrazione che si mostrano i contorni più distintamente riconoscibili del concreto, rilevandone l essenzialità invariabile e approfittando 14

15 dell efficacia espressiva, talvolta più violenta delle cose stesse, che il simbolo può restituire. Analogamente a quanto accade nel Jewish Museum, Libeskind tenta di rendere conscia una dolorosa memoria collettiva. Così, arricchisce di documentazione ogni scenario interno, progettando estese pareti che ospitano memorabilia personali: cassetti che raccolgono, ciascuno, gli oggetti che degli individui morti in guerra sono restati, enfatizzando, laddove possibile, l evidenziazione della connotazione personale del ricordo, che non è ricordo generico, bensì ricordo di singoli uomini, ciascuno con un nome e, nel caso, con qualche foto personale, con qualche oggetto sopravvissuto al massacro che ne qualifichi l individualità specifica e irriducibile. La cura del dettaglio si estende alla documentazione storica che rende conto dei conflitti: al visitatore sono offerte numerose occasioni di accesso alla memoria sia attraverso le immagini (frequenti sono gli spazi dedicati alle proiezioni) sia attraverso la scrittura (con didascalie accurate, ad esempio), volte, in ciascun caso, a qualificare il conflitto come evento di deprivazione, di assottigliamento della soglia della dignità dell individuo, di caotico depotenziamento di lucidità e di cosmos. In nessun caso, da qualunque parte si collochi la vittoria di una battaglia o persino di una guerra, l intenzione va alla celebrazione, all esaltazione di un atto di eroismo. Della tragicità dei conflitti si ripropone specialmente, e pressoché esclusivamente, la memoria di un individuo che agisce contro un altro individuo, rilevandone, senza cura per un rassicurante ammorbidimento, la violenza distruttrice, infine in arginabile tant è che, come è la struttura dell Imperial War Museum North a ricordare, coinvolge l intero cosmo nella totalità degli elementi naturali che lo compongono, in ultimo faticosamente riaccostati per via, tutt al più, del ricorso a una giustapposizione. 15

16 Figg. 4 e 5. L Imperial War Museum North, strutturato sull innesto di tre blocchi differenti, a rappresentare la totalità degli scenari naturali che hanno ospitato i violentissimi scontri del ventesimo secolo. 16

17 L intenzione di Libeskind si concentra, dunque, sull emersione di quel che, generandosi da una parabola acutamente drammatica, frequentemente incontra tentativi di addolcimento retorico ad esempio ricorrendo alla celebrazione della vita per via del ricordo delle vite perdute o, ancora, enfatizzando quel che di virtuoso all individuo resta, alludendo al coraggio del sacrificio o all atto di eroismo. Libeskind sceglie una via differente da un ammorbidimento che rassicura: del conflitto e degli individui mostra l apice dell energia distruttiva, costringendo il visitatore a un confronto tra sé e quel che di sé o dei propri simili osserva, malgrado il proprio desiderio di rimozione, con sfacciata evidenza. Se l Imperial War Museum North agisce, lo fa attraverso il proposito di scongiurare un oblio che, certificando che il passato è passato e che, pur nella tragedia, l individuo possiede una virtuosa energia vitale, chiude la memoria tra le pareti di un museo, assicurando che non contamini la quotidianità. E tuttavia garantendo che esistano spazi dedicati a quel genere di ricordi che, se totalmente censurati, genererebbero una pericolosa inquietudine, infine poco controllabile. 4. Sarà Libeskind a ricostruire Ground Zero 13. E lo farà con un progetto che conserva l idea, sviluppata attraverso il Jewish Museum e l Imperial War Museum North, d intendere un opera architettonica, qualora sia testimone di un doloroso snodo del passato, come struttura che agi- 13 Tra i concorrenti più prestigiosi: Rafael Vinoly, Shigeru Ban e Frederic Schwartz; Foster & Partners; Meier-Eisenman-Gwathmey-Holl; Peterson e Littenberg; Skidmore-Ownings & Merril. 17

18 sca senza alcun cedimento all oblio: non soltanto non deve operare come fosse un archivio; deve mostrare con intensa chiarezza, ripresentando il passato al presente e agendo, tra l altro, con un emotività quasi invadente. Del resto, l agenzia governativa che ha gestito il concorso per la ricostruzione di Ground Zero ha applicato una procedura insolita per la scelta del progetto vincitore, badando non soltanto a criteri di merito connessi alla procedura concorsuale, bensì alle valutazioni della gente comune, quasi a voler sigillare per via plebiscitaria e, per così dire, democratica, l idea vincitrice 14. L invadenza del passato nel presente si avvia da qui, agevolando una parabola di continuità con una storia così drammatica e così recente da indurre o a un violento oblio o a un difficile tentativo di elaborazione. La gente comune risponde all invito dichiarandosi favorevole a una sorta di compromesso: non dimenticare, me nemmeno reiterare occorre ricordare, ma riprodurre il preesistente è un doloroso affronto alla tragedia, nonché il segno di una ferita che resta, senza potersi rimarginare. Le Twin Towers non vanno duplicate: costituiscono un oggetto irriproducibile, che va oltrepassato sia per celebrarne l irripetibilità, sia per consentire di riprogettare il futuro. Così, la traduzione concreta del desiderio espresso dall opinione pubblica si articola equilibrandosi tra due criteri strutturali polari: edificare un nuovo complesso, che renda conto dell esigenza di futuro, e conservare, ugualmente, uno 14 Tra l altro, ricorda Libeskind al congresso bolognese sull architettura della memoria il 15 ottobre del 2003: Nelle riunioni per l elaborazione del progetto gli incontri hanno visto la presenza di centinaia di persone, perché la visione architettonica deve conciliare le diverse esigenze di un economia di mercato complessa: un progetto amato dai newyorchesi e da loro scelto attraverso cinquanta milioni di voti elettronici via web. 18

19 spazio per il ricordo, con una cura alla conservazione delle tracce fisiche della tragedia. Libeskind pensa a una struttura dotata di elementi di questo genere: un museo della memoria centralissimo, che costituisca l ingresso alla nuova area e al quale venga affidata la conservazione del ricordo; il giardino della memoria ( The Park of Heroes ), dotato di un estensione di 1,8 ettari, edificato sotto il livello stradale, a inglobare l unico frammento di muro sopravvissuto all attacco, e collocato a circa venti metri al di sotto di Ground Zero, fondandone le strutture (così Libeskind: Per realizzare il memoriale ho conservato uno dei muri fondanti della costruzione originale, la cui presenza è venuta alla luce proprio con l attentato: un muro che è anche una diga che protegge l area metropolitana dalle inondazioni dell Hudson. Il muro è anche un icona potente, che dimostra come New York sia stata costruita da una comunità di credenti nella democrazia: questo muro rimarrà a dimostrazione della creatività delle strade di New York 15 ); il cuneo di luce ( The Wedge of Light ), ovvero un fascio di luce naturale che illumini la piazza al centro della struttura ogni 11 settembre dalle 8.46 (l ora del crollo della prima torre) alle (l ora del crollo della seconda torre); un grattacielo destinato a essere il più alto del mondo ( The Antenna Tower 16 ), che rag- 15 Così Libeskind nel suo intervento al congresso bolognese. 16 Di nuovo a Bologna, Libeskind commenta: La torre sarà l unica di New York di cui si potrà vedere sia il piano terra sia la sommità dalla stessa prospettiva. Il primo disegno che ho fatto per il progetto è stato quello visto dalla prospettiva della Statua della Libertà. Sono arrivato in America quando avevo tredici anni, su una nave, da emigrante: mi sembrava incredibile l esistenza di un luogo del genere e per il cuore di un immigrante quella statua e quella vista della città incarnano la possibilità di realizzare un sogno, quello di una società libera in cui sia possibile seguire le proprie inclinazioni e la propria religione. New York non appartiene alla retorica dei discorsi politici, appartiene a 19

20 giunga i 541 metri, ovvero i 1776 piedi, citando la data della dichiarazione d indipendenza americana. Il progetto prevede numerose altre strutture collaterali e funzionali: una stazione ferroviaria, un Performing Arts Center, aree dedicate a uffici, alberghi, ristoranti, negozi 17. Fig. 6. La struttura progettata da Libeskind dalla Statua della Libertà. La torre che svetta sarà la più alta del mondo, con i suoi 541 metri. tutto il mondo ed è proprio per i cittadini di un mondo libero che io voglio ricreare in questo progetto qualcosa di significativo, che parta dalla memoria per rivolgersi alle generazioni future. 17 Ancora al congresso bolognese: Il punto dove ha colpito il primo aereo terrorista sarà il centro della nuova area che presenta una nuova accessibilità al fiume Hudson proprio nel punto di confluenza tra la New York olandese e quella britannica. Abbiamo raccolto la sfida di realizzare un quartiere pieno non solo di spazi per il commercio ma anche di attività culturali, con l obiettivo che tutta l area non chiuda alle ore e dove gli edifici commerciali siano coniugati con la dignità del memoriale. 20

21 Fig. 7. La sezione Est-Ovest, che mostra sia il nuovo skyline sia l esteso utilizzo del sottosuolo, recuperando le mura fondative. Fig. 8. L area dedicata al cono di luce, la struttura che verrà illuminata dalla luce solare ogni 11 settembre dalle 8.46 alle

22 Il ricorso ai simboli costella, di nuovo, il progetto di Libeskind 18. Il museo che funziona da ingresso ne è uno, evidentemente essenziale. E ancora sono simboli la vasta area dedicata ai giardini (la vegetazione come idea di rinnovamento e di rinascita), il cuneo di luce (che affida proprio alla luce del sole, che restituisce un idea di rigenerazione, il compito di segnare gli istanti di ricordo più dolorosi), l allusione alla data dell indipendenza americana, che si aggiunge ai simboli di vita, celebrando la libertà. Non potendo ricondurre il passato allo sguardo degli osservatori del presente, e pur volendo riproporre, del passato, la dolorosa violenza, nella convinzione che vada affrontata per essere ragionevolmente risolta, Libeskind si orienta al simbolo, caricandolo di una radicale energia emotiva che costringa a ricordare, ricordando quel che di più tragico c è, ovvero la responsabilità dell uomo nella distruzione di altri uomini (dichiarava, del resto: Naturalmente abbiamo bisogno di un museo nell epicentro di Ground Zero, un museo dell evento, della memoria e della speranza ). Il museo, che diverrà ingresso, introdurrà a una promenade di meditazione e consentirà l accesso allo spazio sotterraneo che conserva le fondazioni originarie della struttura distrutta. Risalendo da sottoterra, ugualmente con un ricorso al simbolo, si raggiungeranno il cuneo di luce e il giardino della memoria. La riconciliazione con un passato che si orienta alla ricostruzione, qualora sia possibile, avverrà soltanto attraverso un puntuale confronto con il dolore, ancora evitando l oblio: occorre passare attraverso il sottosuolo per ritornare ai simboli di vita. Libeskind sacrifica le ragioni funzio- 18 Non soltanto, del resto: l impiego di simboli, ad esempio nelle misurazioni delle altezze e delle larghezze degli edifici, ricorreva anche nei progetti concorrenti a quello di Libeskind. 22

23 nali all esigenza di un invadente sollecitazione emotiva, che riproponga con costanza il dolore così come accade nel Jewish Museum e nell Imperial War Museum North. Il simbolo, un simbolo a suo modo violento, è necessario per accertare, per così dire, che il passato si unisca effettivamente al futuro: se la storia non può ritornare, per proseguire nel presente e nel futuro, facendolo con responsabilità, occorre progettare un ritorno simbolico del passato che, tuttavia, non si affidi alla retorica dell eufemismo, bensì abbia il coraggio di riportare alla memoria la tragedia, persino ricostruendone i dettagli. Ancora, così si agisce: adoperando soluzioni così cariche di violenza da non risolversi tra le mura che il nuovo Ground Zero, riprogettato e riedificato, possiederà insinuandosi, piuttosto, nella normalità quotidiana. 5. Karlheinz Stockhausen, il celebre musicista d avanguardia tedesco, in occasione della conferenza stampa a introduzione dell Hamburg Music Festival, disse, a soli sei giorni dall attentato terroristico dell 11 settembre: Quello che è accaduto [ ] è la più grande opera d arte possibile nell intero cosmo 19. Il critico d arte Francesco Poli, che ne ricorda le parole, aggiunge: E in effetti, nel caso della catastrofe di Manhattan, non si può negare che quasi tutti (anche molti che si rifiutano di ammetterlo) siano stati affascinati dalla grandiosa spettacolarità dell avvenimento, dalla allucinante perfezione dell azione distruttiva, dalla densità simbolica (quasi assoluta) dei bersagli e dalla de- 19 Cfr. F. Poli, che ne ricorda le parole in Tra Stockhausen e Lucifero, Il Manifesto, 5 ottobre 2001, p

24 vastante efficacia del risultato 20. E conclude che l evento possiede tutte le caratteristiche per rientrare a pieno titolo nella categoria estetica del sublime 21. Ricorrendo a una definizione novecentesca di quel che è sublime, è possibile ricordare, con Lyotard, che il sublime si genera da un contrasto stridente, provenendo da una madre che è forma artistica, che è facoltà d immaginazione, e da un padre che è legge morale. Il sublime, cioè, è un sentimento contraddittorio, che in sé ha dolore e ha, ugualmente, piacere (evocando Kant, con il suo piacere sublime che non è possibile se non mediante un dispiacere 22 ). Accadrebbe qualcosa di questo genere: di fronte a un oggetto naturale che sorprende per la propria smisuratezza, proveremmo il dolore di avvertirci infinitamente inadeguati a un estensione così vasta e il piacere di comprenderci capaci di avvertire, nondimeno, un infinità così lontana dalla nostra distinta limitatezza, concludendo, infine, e quasi paradossalmente, che esista una vicinanza tra l infinito osservato al di fuori di noi e quell infinito che di necessità possediamo, altrimenti incapaci di avvertirlo altrove. Kant esemplifica: Ripide rocce strapiombanti e come gravide di minaccia, nuvole temporalesche ammassanti e avanzanti in cielo con lampi e tuoni, vulcani al colmo della loro furia distruttrice, uragani che lasciano la devastazione dietro di sé, l immenso oceano infuriato, la cascata d un grande fiume, e simili, riducono ad una piccolezza insignificante il nostro potere di resistenza, paragonato con la loro potenza. Ma questi spettacoli, quanto più sono spaventosi, tanto più ci attraggono, se ci troviamo 20 Ibidem. 21 Ibidem. Corsivo mio. 22 I. Kant, Critica del giudizio, tr. it. di A. Gargiulo, riveduta da V. Verra, Laterza, Roma-Bari 1987, p

25 al sicuro; e queste cose le chiamiamo volentieri sublimi, perché innalzano le forze dell anima al di sopra della mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi stessi un potere di resistenza di tutt altro genere, che ci dà l animo di misurarci con l apparente onnipotenza della natura 23. Lyotard traduce, pressappoco a due secoli di distanza, ricorrendo a una genesi che prevede, per il sublime, una madre infelice, la forma, e un padre felice 24, l idea, che è un idea morale. Analogamente a Kant c è contrasto un contrasto che si articola tra l avvertimento di una forma che dapprima sconcerta e un idea che allude al potere della propria attitudine morale, infine distinta: L immaginazione dev essere violentata perché è attraverso il suo dolore, attraverso la mediazione del suo stupro che si ottiene la gioia di vedere, o intravedere, la legge 25. Ancora, similmente a Kant, il sublime, qualificando infine un attitudine propria di un individuo che osserva l incommensurabile, nulla dice dell oggetto incommensurabile osservato: non sono sublimi le ripide rocce strapiombanti e come gravide di minaccia o le nuvole temporalesche ammassanti e avanzanti in cielo con lampi e tuoni. È sublime il sentimento che è l individuo a provare osservandole. È sublime l attitudine dell individuo ad avvertire l infinitamente esteso. Non l evento naturale, che nulla è più di un occasione formale di individuazione di 23 Ibid., p Cfr. J.-F. Lyotard, Anima minima. Sul bello e il sublime, tr. it. di F. Sossi, Pratiche Editrice, Parma 1995, p. 70. Gli studi raccolti in Anima minima nascono da un attenta interrogazione della Critica del giudizio, articolata nelle lezioni tenute da Lyotard presso l Université de Paris VIII e presso la University of California at Irvine. Cfr. inoltre Id., La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, tr. it. di C. Formenti, Feltrinelli, Milano Ibid., p

26 una destinazione spirituale che si eleva persino al di sopra dell incontenibile smisuratezza della natura. Il sublime di Kant rende conto di una qualità che è propria del soggetto rispetto agli oggetti considerati nella loro forma, o persino nell assenza di forma, in virtù del concetto della libertà 26. Così Lyotard: il sublime è un giudizio non cognitivo addotto dal soggetto, non su un oggetto, ma in occasione di un oggetto, e secondo il solo stato soggettivo dello spirito 27. Ma una differenza c è, essenziale. Quell assenza di forma alla quale Kant allude si articola, nella riflessione di Lyotard, in un aformalità che diventa sfacelo delle forme 28, con un accento così caricato sulla dissoluzione della forma da generare un contrasto che più difficilmente che in Kant possa pacificarsi, infine, in quella stima per le idee morali 29 che proviene da un immaginazione capace di raffigurarsi un animo che avverte la propria sublimità, così da poter giungere alla coscienza della nostra superiorità rispetto alla natura che è in noi, e quindi anche alla natura a noi esterna 30. Lyotard rafforza l idea di assenza di forma, di una radura che si spiana attraverso una recisione 31 violenta, di un anti-paesaggio che eccede ogni messa in forma 32. Enfatizza, più precisamente, il dissidio che resta tra estetica ed etica tra forma e idea. È un altra differenza tra il sublime di Kant e il sublime di Lyotard a suggerire quale possa essere la ragione, 26 I. Kant, op. cit., p J.-F. Lyotard, Anima minima. Sul bello e il sublime, cit., p Ibidem. 29 I. Kant, op. cit., p Ibid., p J.-F. Lyotard, Anima minima. Sul bello e il sublime, cit., p Ibidem. 26

27 o una tra le ragioni, della più invasiva permanenza dell idea di conflitto tra le righe di Lyotard. Lyotard affida all arte (non solo alla natura), il compito di diventare un occasione di esercizio del sentimento del sublime nonché il compito di descriverne, in qualche caso, l articolata dinamica di generazione e di evoluzione. Specialmente, è l arte contemporanea, l arte del Novecento, a documentare l incommensurabile e dolorosa eccedenza della forma che, oltre a restituire qualche indizio sulla specialità della qualificazione morale dell individuo, rende conto di un dissidio profondamente radicato: l arte novecentesca ricorre con frequenza a una dissoluzione della forma e dei contorni che definiscono, a un minimalismo che astrae e che si declina all attitudine evocativa del simbolo. Predilige, quindi, soluzioni espressive capaci di testimoniare che osservando un incommensurabile che disobbedisce a linee di contorno, non resta che descriverlo quasi ammutolendosi, ovvero dimettendo una forma costrittiva. Lyotard, ricorrendo all arte contemporanea, viola il divieto che Kant assegna al sublime, vincolandolo agli oggetti di natura ed escludendone una contaminazione, per così dire, artificiale, che cioè lo diriga agli oggetti creati dagli individui. Così, le differenze tra Kant e Lyotard sono almeno due: un enfatizzazione del dissidio per via di un rilievo dello sfacelo delle forme e un accostamento del sublime all arte, ovvero all artificiale. Oltre alla natura, è un individuo, con i propri artefatti, a poter fornire al sentimento del sublime occasioni di generazione. Così, si torna all osservazione di Stockhausen, che descrive l attentato terroristico dell 11 settembre, ad avviso di Poli, come fosse un oggetto sublime un oggetto, cioè, capace di suscitare un sentimento sublime: Quello che è accaduto [ ] è la più grande opera d arte possibile 27

28 nell intero cosmo 33. Il sublime si è trasferito, qui con un evidenza persino imbarazzante, da un oggetto di natura a un oggetto che è un artificio di individui, e che compete, persino, con gli artefatti artistici, malgrado e, ugualmente, in virtù della tragedia che porta con sé, che qui agisce da occasione di avvertimento di un incommensurabilità non circoscrivibile: la tragedia è necessaria affinché ci sia sublimità, viceversa il senso di infinita estensione o di infinita forza si dissolverebbe depotenziandosi. Che il sublime si vincoli al tragico certamente non corrisponde a una qualificazione novecentesca: sia Burke 34 sia Kant associano il sentimento del sublime alla dismisura che, tra l altro, possiede un attitudine distruttiva (appunto, e con Kant: vulcani al colmo della loro furia distruttrice, uragani che lasciano la devastazione dietro di sé, l immenso oceano infuriato ). Che il tragico si unisca all artificio, al contrario, è una qualità che il sublime dà conto di possedere nel Novecento 35 : un individuo è in grado di produrre occasioni di sublimità generando, ad esempio, tragedie. Probabilmente, è il traghettamento del sublime dalla natura alla cultura a doversi intendere come una tra le ragioni della più rilevante cura dedicata da Lyotard alla permanenza del dissidio. Il conflitto tra il dolore e il piacere si risolve con minor pacificazione che in Kant poiché 33 Cfr. F. Poli, op. cit., p Cfr. E. Burke, Inchiesta sul bello e il sublime, a cura di G. Sertoli e G. Maglietta, Aesthetica, Palermo Lo studio di Burke risale al Oltre a Lyotard, cfr. ad esempio F. Jameson (Il postmoderno o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano 1984) e B. Brecht ( Breviario di estetica teatrale, in Id., Scritti teatrali, Einaudi, Torino 1962). Cfr., inoltre, le riflessioni di H. Bloom sulla poesia di Emerson e di Whitman; Emerson e Whitman: il sublime americano, tr. it. di L. Vallana, in M. Brown, V. Fortunati, G. Franci (a cura di), La Via al sublime, Alinea Editrice, Firenze

29 nell occasione di smisurata forza, ovvero di violenza, che si osserva, ci si ritrova sia nell avvertimento, consueto, della propria alta qualificazione morale, sia nell accertamento, drammatico, che alla propria legalità morale, pur viva, si accosta un energia prepotentemente distruttiva. Quel che esteticamente inquieta o sorprende con stupore si declina, in Kant, a un esaltazione etica (così, il celebre cielo stellato attorno al quale si riflette nella Critica della ragion pratica diventa un occasione per alludere alla legge morale che distingue ciascun individuo). Quel che di artificiale esteticamente terrorizza ed esteticamente, ugualmente, affascina, si declina, in alcune tra le meditazioni novecentesche, a un profondo turbamento etico, che poco pacifica e poco risolve tanto da incontrare, frequentemente, tentativi di censura (o da produrre scandalo, nel caso delle parole pronunciate da Stockhausen). Dalla tragedia siamo terrorizzati e attratti. Dunque, stavolta essendone responsabili, avvertiamo un doloroso senso di colpa che si genera dalla più o meno cosciente attrazione per la distruzione. 6. Così, accade che ricostruire laddove una tragedia artificialmente prodotta ha distrutto equivalga ad affrontare un quesito di questo genere: come riconciliare estetica ed etica? Ovvero, come agire superando quel dissidio che nella contemplazione della tragedia resta drammaticamente e quasi inaccettabilmente irrisolto, accostando alla tragicità dell evento un vivo fascino estetico? La soluzione può tradursi nell intenzione di aggirare l oblio, ad esempio: con evidenza si esplicita la memoria della tragedia, fondando precisamente sulla memoria il cuore strutturale di quel che di nuovo si edifica. Dunque, 29

30 si invita chi osserva, ogni volta, a riproporsi, per via di un simbolo, di fronte a quell occasione di terrore e di fascino che, allora, ha generato un profondo conflitto. Si itera, per così dire, l evento, attraverso un generoso ricorso ai simboli, che ne custodiscono la memoria, enfatizzandola. Non si agevola una fuga, tutt al più indifferente al corso del dissidio da pacificare. Si incoraggia, al contrario, una dolorosa immersione nel passato, così accurata da riportarne alla memoria ogni nodo: prima il terrore, poi il fascino, infine un senso di colpa frequentemente archiviato o rimosso, insieme all avvertimento del fascino. Riproponendo il passato e riproponendone, specialmente, l articolazione attraverso la quale è stato osservato e accolto, chi ora osserva è costretto a misurarsi con la divaricazione tra estetica ed etica, affrontandone la dolorosa complessità. Il Jewish Museum ripropone una condizione di profondo disorientamento, ricorrendo a una struttura che induce alla vertigine. Si alternano, quasi senza mediazioni, possenti pieni a estesi vuoti, dei quali a fatica si intravede la fine. Si costringe a un percorso labirintico, introdotto dallo sviluppo strutturale dell edificio lungo una linea violentemente spezzata, a formare perlopiù angoli acuti, che chiudono e invitano alla distanza. D altro canto, e continuamente, si sollecita il vigoroso affioramento del ricordo, per via di allusioni alla Berlino del passato e alla Berlino del presente e, anzitutto, per via di una reiterata restituzione degli oggetti che hanno costellato la tragedia dell Olocausto. L Imperial War Museum North ricorre, ancora, alle vertigini di un violento accostamento di masse piene e di estensioni vuote. E si annuncia al visitatore attraverso una struttura che è il simbolo di un violentissimo scompiglio ricomposto, tutt al più, per via di ricuciture drammaticamente riconoscibili, universalmente diffuse tra terra, acqua e aria. All interno, agli spazi aperti verso il basso del 30

31 Jewish Museum si sostituiscono, perlopiù, vuote estensioni verso l alto, analogamente inducendo alla vertigine. Ground Zero riproporrà un tributo alla memoria, da dover inevitabilmente da attraversare, impiegando un museo dedicato alle sue tragiche nuove origini a segnarne l ingresso e ricorrendo a una generosa frequenza di simboli che riporteranno il dramma a una distinta evidenza. Così, Libeskind sembra suggerire una soluzione di questo genere al dissidio tra estetica ed etica: se quel che esteticamente affascina eticamente terrorizza, il conflitto va riprodotto, non obliato e va riprodotto esteticamente, cercando una ricomposizione costruttiva che pur renda conto del dissidio. Il progetto per la ricostruzione di Ground Zero ripropone, attraverso una risoluzione estetica indiscutibilmente affascinante (a cominciare dall edificio destinato a essere il più alto del mondo), il dissidio tra la seduzione estetica (o paradossalmente artistica) e il turbamento etico, proprio di un individuo che, nelle radici della fascinazione estetica che pur prova, riconosce la propria attitudine alla distruzione. Se il dissidio è sublime essendo ogni sublime il prodotto di un dissidio occorre che la soluzione espressiva dedicata alla ricomposizione sia, sui generis, sublime a propria volta cioè manifesti, con coraggiosa evidenza, ciascuno dei segni della profonda contraddizione non totalmente risolta che testimonia. Come a suggerire che non si possa autenticamente riparare: si può, tutt al più, puntare a una consapevolezza lucida che non ceda all oblio. Che può bastare, del resto, a risolvere accettabilmente, ricucendo con sufficiente efficacia per proseguire a progettare (o riprogettare) il futuro. Così può agire un museo o una struttura che documenta una memoria: costringendo a un invadenza che da estetica diviene etica, alludendo a un doloroso evento con il quale riconciliarsi, se non altro misurandosi con la frattura della quale è testimone. 31

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