Carlo Goldoni La famiglia dell'antiquario

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1 Carlo Goldoni La famiglia dell'antiquario

2 QUESTO E-BOOK: Questo e-book è stato realizzato anche grazie al sostegno di: E-text Editoria, Web design, Multimedia TITOLO: La famiglia dell'antiquario AUTORE: Goldoni, Carlo TRADUZIONE E NOTE: NOTE: al testo è allegata una scheda introduttiva di Giuseppe Bonghi giuseppe.bonghi@mail.fausernet.novara.it DIRITTI D'AUTORE: no LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: TRATTO DA: "La famiglia dell'antiquario" Signorelli editore, Milano, 1963 CODICE ISBN: informazione non disponibile 1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 18 ottobre 1996 INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it REVISIONE: Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it Informazioni sul "progetto Manuzio" Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associazione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito Internet: Aiuta anche tu il "progetto Manuzio" Se questo "libro elettronico" è stato di tuo gradimento, o se condividi le finalità del "progetto Manuzio", invia una donazione a Liber Liber. Il tuo sostegno ci aiuterà a far crescere ulteriormente la nostra biblioteca. Qui le istruzioni: 2

3 Presentazione a cura di Giuseppe Bonghi, - Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it Col sottotitolo La suocera e la nuora, questa commedia fu messa in scena al teatro Sant'Angelo nel carnevale del All'origine dell'ispirazione goldoniana erano forse certi scandali, scoppiati in seno ad alcune famiglie della buona borghesia veneziana, per contrasti tra diverse generazioni, e certamente anche l'eco delle polemiche tra intellettuali del tempo sui guasti del collezionismo maniaco, della vana erudizione. La famiglia dell'antiquario venne pubblicata per la prima volta nel terzo tomo dell'edizione Bettinelli (1752): per l'edizione Pasquali (1764) Goldoni ne corresse alcune scene. Tradotta in sette lingue, messa in scena a Vienna e Leningrado, questa commedia fu più volte rappresentata sui nostri palcoscenici. In sintesi possiamo dire che la Commedia rappresenta da un lato il decadimento del ceto nobiliare, che si perde tra consiglieri e cicisbei (Isabella), rendite povere e dedizione ad attività assolutamente inutili e perdenti (l'antiquario), servi malfidati che sfruttano spesso la dabbenaggine per tornaconto personale e dall'altro il progressivo affermarsi della produttività imprenditoriale (Pantalone) che fa piazza pulita degli elementi negativi per instaurare un nuovo modello comportamentale, fatto di regole precise che non possono prescindere da un sostanziale rispetto della persona umana, nel seno di un'ideologia illuministica e razionale.

4 La famiglia dell'antiquario ossia La suocera e la nuora di Carlo Goldoni 4

5 Introduzione tratta dal Goldoni Riportiamo ciò che Goldoni scrisse nelle sue Memorie, da Scelte Commedie di Carlo Goldoni, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1811, vol. I, cap. LXI, pp Ma ecco una Commedia di un genere affatto diverso da quello della precedente (L'adulatore, ndr.), essendo questa presa nella classe dei ridicoli, alternativa, non inutile alla successiva produzione di molte rappresentazioni teatrali. Questa è la Famiglia dell'antiquario, che fu la sesta delle 16 progettate Commedie. Dapprima l'aveva intitolata semplicemente l'antiquario, che n'è il Protagonista; ma temendo che i contrasti fra sua moglie e sua nuora producessero un doppio interesse, diedi un titolo alla Commedia, che abbraccia in una volta tutti i soggetti, tanto più che il ridicolo delle due donne, e quello del Capo di famiglia si danno la mano, e contribuiscono egualmente alla condotta comica ed alla moralità della rappresentazione. Il nome d'antiquario s'applica del pari in Italia a quelli che dànnosi allo studio dell'antichità, che a quelli che senza intelligenza raccolgono copie per originali, e cose inutili per preziosi monumenti; ed è appunto fra questi ultimi che il mio soggetto fu preso. Il Conte Anselmo più ricco di danaro, che di cognizioni, fassi dilettante di quadri, di medaglie, di pietre incise, e di tutto ciò che ha l'apparenza di raro e di antico. Si fida nel farne acquisto di certi truffatori che sempre lo ingannano, e formasi a grandi spese una ridicola galleria. Questi ha una moglie, che in età d'esser nonna ha tutte le pretensioni della gioventù, ed una nuora, che non potendo soffrir la subordinazione, freme di non essere l'assoluta padrona. Il Conte Giacinto, figlio dell'una e marito dell'altra, non osando fare alcun dispiacere a sua madre per contentare sua moglie, trovasi imbarazzatissimo, e ne porta le sue lagnanze al Capo di casa. L'Antiquario essendo tutto occupato nell'osservazione d'un Pescenio, medaglia rarissima, che aveva allora comprato a carissimo prezzo, e che vedevasi contraffatta, rimanda indietro bruscamente suo figlio, senza curarsi delle contese domestiche. Intanto le cose van tanto innanzi, che l'antiquario non può fare a meno d'entrarci. Egli teme di parlare a tu per tu con donne così poco ragionevoli, e domanda un congresso di tutta la sua famiglia. Stabilito il giorno, vi si portano ancora diversi comuni amici. Il figlio è uno de' primi che compariscono, e le Dame vengono l'ultime, accompagnate ciascuna dal suo cicisbeo. Posti tutti a sedere, il Conte Anselmo, che aveva il suo posto in mezzo del circolo, comincia il suo discorso sulla necessità della pace domestica. Voltandosi da dritta a sinistra, getta gli occhi sopra una bagattella attaccata all'orologio di sua nuora, e crede di riconoscere in essa un'antichità preziosa. Vuol vederla più da vicino, scioglie il cordone, tira fuor la sua lente, esamina il giojello, e si vede una testa bellissima. Mostrasi desideroso d'averla, e gli viene accordata. Esultante di tal acquisto ne ringrazia distintamente sua nuora, e la moglie offendendosene, si leva dispettosa e va via. Ecco dunque l'assemblea finita, e rimesso l'affare ad un'altra sessione. In questo frattempo succedono molte cose spiacevoli per l'antiquario. Fa vedere a persone intendenti la sua galleria, e queste lo illuminano e lo disingannano. Rimanendone convinto, rinunzia 5

6 alla sua follia. Vede il bisogno estremo di ristabilire la tranquillità della sua famiglia, e dimanda un secondo congresso, a cui tutti si portano. Si propongono molti accomodamenti, ma gli uni dispiacciono alla suocera, e gli altri alla nuora. Finalmente ne trovan uno, che rende l'una e l'altra contenta; ed è quello di stabilire due governi domestici, e di separarle per sempre. Tutti si contentano, e la Commedia finisce. Dopo alcuni anni vidi dare a Parma questa Commedia tradotta in francese dal Signor Collet, Secretario degli ordini di Madama l'infanta. Questo Autore per tutti i riguardi stimabilissimo, e notissimo a Parigi per le graziosissime rappresentazioni date alla Commedia francese, ha ottimamente tradotta questa mia Commedia, e fu egli senza dubbio che la fece valere. Ma cambiò lo sviluppo; egli credette che la mia Commedia finisse male, lasciando partir disgustate insieme suocera e nuora, e le riconciliò sulla scena. Se questo accomodamento potesse esser solido, avrebbe ben fatto: ma chi può assicurare che queste due Dame ritrose non rinnovassero nel giorno appresso le lor contese? Posso ingannarmi; ma il mio sviluppo parmi più naturale. 6

7 L'autore a chi legge In questa commedia non ho fatto che scrivere la parte del Brighella e dell'arlecchino, li quali furono da me prima lasciati in libertà, acciocché si sfogassero questi due personaggi, malcontenti forse di me, siccome io non di essi, ma delle loro maschere, non son contento. Osservate però che dopo il primo e secondo anno non ho lasciato le Maschere in libertà, ma dove ho creduto doverle introdurre, le ho legate a parte studiata, mentre ho veduto per esperienza che il personaggio talora pensa più a se medesimo che alla commedia; e pur che gli riesca di far ridere, non esamina se quanto dice convenga al suo carattere e alle sue circostanze; e sovente, senza avvedersene, imbroglia la Scena e precipita la Commedia. Io sono costantissimo a non voler dir nulla sopra le mie Commedie; e molto meno a volerle difendere dalle critiche, che hanno con ragione o senza ragione sofferte. Ho letto il libro ultimamente uscito alla luce, e con una risata ho terminato di leggerlo. Può bene parlar degli altri chi non la perdona a se stesso, ed io sono molto contento di trovarmi colà in un fascio con Plauto, con Terenzio, con Aristofane e con cent'altri ch'io non ho letto, siccome letti non li averà né tampoco quel medesimo che li ha citati. Circa il titolo della Commedia, io l'ho intitolata in due maniere, cioè: La famiglia dell'antiquario, o sia La Suocera e la Nuora, lo stesso trovandosi in quasi tutte le Commedie di Molier e in altre d'antichi Autori. I due titoli mi pare che convengano perfettamente. La Suocera e la Nuora sono le due persone che formano l'azione principale della Commedia; e l'antiquario, capo di casa, per ragione del suo fanatismo per le antichità, non badano agl'interessi della famiglia, non accorgendosi de' disordini, e non prendendosi cura di correggere a tempo la Moglie e la Nuora, dà adito alle loro pazzie e alle loro dissensioni perpetue, onde e nell'una e nell'altra maniera la Commedia può essere intitolata. Aggiungerò soltanto aver io rilevato che alcuni giudicano la presente Commedia terminar male, perché non seguendo alcuna pacificazione fra Suocera e Nuora, manca, secondo loro, il fine della morale istruttiva, che dovrebbe essere, nel caso nostro, d'insegnar agli uomini a pacificare queste due persone, per ordinario nemiche. Ma io rispondo, che quanto facile mi sarebbe stato il renderle sulla scena pacificate, altrettanto sarebbe impossibile dar ad intendere agli Uditori che fosse per essere la loro pacificazione durevole; e desiderando io di preferire la verità disaggradevole ad una deliziosa immaginazione, ho voluto dar un esempio della costanza femminile nell'odio. Ciò però non sarà senza profitto di chi si trovasse nel caso. I Capi di famiglia si specchieranno nell'antiquario, e trovandosi disattenti alle case loro, se non per ragione della Galleria, per qualche altra, o di conversazione, o di giuoco, potranno rimediare per tempo alle discordie domestiche, alle pretensioni delle donne, e soprattutto ai rapporti maligni della servitù. 7

8 PERSONAGGI Il Conte Anselmo Terrazzani, dilettante di antichità La Contessa Isabella, sua moglie Il Conte Giacinto, loro figlio Doralice, sposata al Conte Giacinto, figlia di Pantalone Pantalone de' Bisognosi, mercante ricco veneziano Il Cavaliere del Bosco Il dottore Anselmi, uomo d'età avanzata, amico della Contessa Isabella Colombina, cameriera della Contessa Isabella Brighella, servitore del Conte Anselmo Arlecchino, amico, e paesano di Brighella Pancrazio, intendente di antichità Servitori del Conte Anselmo 8

9 La scena si rappresenta in Palermo ATTO PRIMO SCENA PRIMA Camera del Conte Anselmo, con vari tavolini, statue, busti e altre cose antiche Il Conte Anselmo ad un tavolino, seduto sopra una poltrona, esaminando alcune medaglie, con uno scrigno sul tavolino medesimo; poi Brighella. ANSELMO Gran bella medaglia! questo è un Pescennio originale. Quattro zecchini? L'ho avuto per un pezzo di pane. BRIGHELLA Lustrissimo (con vari fogli in mano). ANSELMO Guarda, Brighella, se hai veduto mai una medaglia più bella di questa. BRIGHELLA Bellissima. De medaggie no me ne intendo troppo, ma la sarà bella. ANSELMO I Pescenni sono rarissimi; e questa pare coniata ora. BRIGHELLA Gh'è qua ste do polizze... ANSELMO Ho fatto un bell'acquisto. BRIGHELLA Comàndela, che vada via? ANSELMO Hai da dirmi qualche cosa? BRIGHELLA Gh'ho qua ste do polizze. Una del mercante da vin, e l'altra de quello della farina. ANSELMO Gran bella testa! Gran bella testa! (osservando la medaglia). BRIGHELLA I xé qua de fóra, i voleva intrar, ma gh'ho dito che la dorme. ANSELMO Hai fatto bene. Non voglio essere disturbato. Quanto avanzano? BRIGHELLA Uno sessanta scudi, e l'altro cento e trenta. ANSELMO Tieni questa borsa, pàgali, e màndali al diavolo (leva una borsa dallo scrigno). BRIGHELLA La sarà servida (parte). ANSELMO Ora posso sperare di fare la collana perfetta degl'imperatori romani. Il mio museo a poco a poco si renderà famoso in Europa. BRIGHELLA Lustrissimo (torna con altri fogli). ANSELMO Che cosa c'è? Se venisse quell'armeno con i cammèi, fallo passare immediatamente. BRIGHELLA Benissimo; ma son capitadi altri tre creditori: el mercante de' panni, quel della tela, e el padron de casa che vuol l'affitto. ANSELMO E ben, pàgali e màndali al diavolo. BRIGHELLA Da qua avanti no la sarà tormentada dai creditori. ANSELMO Certo che no. Ho liberate tutte le mie entrate. Sono padrone del mio. BRIGHELLA Per la confidenza che vossustrissima se degna de donarme, ardisso dir che l'ha fatto un bon negozio a maridar l'illustrissimo signor contin, suo degnissimo fiol, con la fia del sior Pantalon. ANSELMO Certo che i ventimila scudi di dote, che mì ha portato in casa in tanti bei denari contanti, è stato il mio risorgimento Io aveva ipotecate, come sai, tutte le mie rendite. BRIGHELLA Za che la xé in pagar debiti, la sappia che, co vago fóra de casa, no me posso salvar: quattro ducati qua, tre là; a chi diése lire, a chi otto, a chi sié; s'ha da dar a un mondo de botteghieri. ANSELMO E bene, che si paghino, che si paghino. Se quella borsa non basta, vi è ancor questa, e poi è finito (mostra un'altra borsa, che è nello scrigno). BRIGHELLA De ventimile scudi no la ghe n' ha altri? ANSELMO Per dir tutto a te, che sei il mio servitor fedele, ho riposto duemila scudi per il mio museo, per investirli in tante statue, in tante medaglie. 9

10 BRIGHELLA La me perdona; ma buttar via tanti bezzi in ste cosse... ANSELMO Buttar via? Buttar via? Ignorantaccio! Senti se vuoi avere la mia protezione, non mì parlar mai contro il buon gusto delle antichità; altrimenti ti licenzierò di casa mia. BRIGHELLA Diseva cussì, per quello che sento a dir in casa; per altro accordo anca mì, che el studio delle medaggie l'è da omeni letterati; che sto diletto è da cavalier nobile e de bon gusto; e che son sempre ben spesi quei denari che contribuisce all'onor della casa e della città. (El vol esser adulà? bisogna adularlo) (parte). Il Conte Anselmo solo. SCENA SECONDA ANSELMO Bravo. Brighella è un servitore di merito. Ecco un bell'anello etrusco. Con questi anelli gli antichi Toscani sposavano le loro donne. Quanto pagherei avere un lume eterno, di quelli che ponevano i Gentili nelle sepolture de' morti! Ma a forza d'oro, l'avrò senz'altro. La Contessa Isabella e detto. SCENA TERZA ISABELLA (Ecco qui la solita pazzia delle medaglie!) ANSELMO Oh, Contessa mia, ho fatto il bell'acquisto! Ho ritrovato un Pescennio. ISABELLA Voi colla vostra gran mente fate sempre de' buoni acquisti. ANSELMO Direste forse che non è vero? ISABELLA Si, è verissimo. Avete fatto anche l'acquisto di una nobilissima nuora. ANSELMO Che! sono stati cattivi ventimila scudi? ISABELLA Per il vilissimo prezzo di ventimila scudi avete sacrificato il tesoro della nobiltà. ANSELMO Eh via, che l'oro non prende macchia. Siam nati nobili, e siamo nobili, e una donna venuta in casa per accomodare i nostri interessi, non guasta il sangue delle nostre vene. ISABELLA Una mercantessa mia nuora? Non lo soffrirò mai. ANSELMO Orsú, non mì rompete il capo. Andate via, che ho da mettere in ordine le mie medaglie. ISABELLA E il mio gioiello quando me lo riscuotete? ANSELMO Subito. Anche adesso, se volete. ISABELLA L'ebreo lo ha portato, ed è in sala che aspetta. ANSELMO Quanto vi vuole? ISABELLA Cento zecchini coll'usura. ANSELMO Eccovi cento zecchini. Ehi! sono di quelli della mercantessa. ISABELLA Non mì nominate colei. ANSELMO Se temete che vi sporchino le mani nobili, lasciateli stare. ISABELLA Date qua, date qua (li prende). ANSELMO Volesse il cielo che avessi un altro figliuolo. ISABELLA E che vorreste fare? ANSELMO Un'altra intorbidata alla purezza del sangue con altri ventimila scudi. ISABELLA Animo vile! Vi lasciate contaminar dal denaro? Mi vergogno di essere vostra moglie. ANSELMO Quanto sarebbe stato meglio, che voi ancora mì aveste portato in casa meno grandezze e più denari. ISABELLA Orsú, non entriamo in ragazzate. Ho bisogno di un abito ANSELMO Benissimo. Farlo! ISABELLA Per la casa abbisognano cento cose. 10

11 ANSELMO Orsú, tenete. Questi, con i cento zecchini che vi ho dato, sono quattrocento zecchini. Fate quel che bisogna per voi, per la casa, per la sposa. Io non me ne voglio impacciare. Lasciatemi in pace, se potete. Ma ehi! questi denari sono della mercantessa. ISABELLA Il fate apposta per farmi arrabbiare. ANSELMO Senza di lei la faremmo magra. ISABELLA In grazia delle vostre medaglie. ANSELMO In grazia della vostra albagìa. ISABELLA Io son chi sono. ANSELMO Ma senza questi non si fa niente (accenna i denari). ISABELLA Avvertite bene, che Doralice non venga nelle mie camere ANSELMO Chi? vostra nuora?isabella Mia nuora, mia nuora, giacché il diavolo vuol così (parte). II Conte Anselmo solo. SCENA QUARTA ANSELMO È pazza, e pazza la poverina. Prevedo che fra suocera e nuora vi voglia essere il solito divertimento. Ma io non ci voglio pensare. Voglio attendere alle mie medaglie, e se si vogliono rompere il capo, lo facciano, che non m'importa. Non posso saziarmi di rimirare questo Pescennio! E questa tazza di diaspro orientale non è un tesoro? Io credo senz'altro sia quella in cui Cleopatra stemprò la perla alla famosa cena di Marcantonio. Doralice e detto. SCENA QUINTA DORALICE Serva, signor suocero. ANSELMO Schiavo, nuora, schiavo. Ditemi, v'intendete voi di anticaglie? DORALICE Sì,signore, me n'intendo. ANSELMO Brava! me ne rallegro; e come ve n'intendete? DORALICE Me n'intendo, perché tutte le mie gioje, tutti i miei vestiti sono anticaglie. ANSELMO Brava! spiritosa! Vostro padre prima di maritarvi doveva vestirvi alla moda. DORALICE Lo avrebbe fatto, se voi non aveste preteso i ventimila scudi in denari contanti, e non aveste promesso di farmi il mio bisogno per comparire. ANSELMO Orsù, lasciatemi un po' stare; non ho tempo da perdere in simili frascherie. DORALICE Vi pare una bella cosa, che io non abbia nemmeno un vestito da sposa? ANSELMO Mi pare che siate decentemente vestita. DORALICE Questo è l'abito ch'io aveva ancor da fanciulla. ANSELMO E, perché siete maritata, non vi sta bene? Anzi sta benissimo, e quando occorrerà, si allargherà. DORALICE Non è vostro decoro, ch'io vada vestita come una serva. ANSELMO (Non darei questa medaglia per cento scudi) DORALICE Finalmente ho portato in casa ventimila scudi. ANSELMO (A compir la collana mì mancano ancora sette medaglie). DORALICE Avete voluto fare il matrimonio in privato, ed io non ho detto niente. ANSELMO (Queste sette medaglie le troverò). DORALICE Non avete invitato nessuno de' miei parenti; pazienza. ANSELMO (Vi sono ancora duemila scudi, le troverò). DORALICE Ma ch'io debba stare confinata in casa, perché non ho vestiti da comparire, è una indiscretezza. 11

12 ANSELMO (Oh, son pur annoiato!). Andate da vostra suocera, ditele il vostro bisogno; a lei ho dato l'incombenza: ella farà quello che sarà giusto. DORALICE Con la signora suocera non voglio parlare di queste cose; ella non mì vede di buon occhio. Vi prego, datemi voi il denaro per un abito, che io penserò a provvederlo. ANSELMO Denaro io non ne ho. DORALICE Non ne avete? I ventimila scudi dove sono andati? (parla sempre flemmaticamente). ANSELMO A voi non devo rendere questi conti. DORALICE Li renderete a mio marito. La dote è sua, voi non gliel'avete a mangiare. ANSELMO E lo dite con questa flemma? DORALICE Per dir la sua ragione, non vi è bisogno di scaldarsi il sangue. ANSELMO Orsú, fatemi il piacere, andate via di qua; che se il sangue non si scalda a voi, or ora si scalda a me. DORALICE Mi maraviglio di mio marito. E un uomo ammogliato, e si lascia strapazzare Così. ANSELMO Per carità, andate via. Il Conte Giacinto e detti. SCENA SESTA GIACINTO Ha ragione mia moglie, ha ragione; una sposa non va trattata così. ANSELMO (Uh, povere le mie medaglie!). GIACINTO Nemmeno un abito? ANSELMO Andate da vostra madre, le ho dato quattrocento zecchini. GIACINTO Voi, signor padre, siete il capo di casa. ANSELMO Io non posso abbadare a tutto. GIACINTO Maledette quelle anticaglie! DORALICE Dei ventimila scudi dice che non ne ha più. GIACINTO Non ne ha più? Dove sono andati? DORALICE Per me non si è speso un soldo. GIACINTO Io non ho avuto un quattrino. DORALICE Signor suocero, come va questa faccenda? GIACINTO Signor padre, ho moglie, sono obbligato a prevedere il futuro. ANSELMO (Non posso più, non posso più; ho tanto di testa; non posso più) (prende le medaglie, le mette nello scrigno, e le porta via). Il Conte Giacinto e Doralice. SCENA SETTIMA DORALICE Che ne dite, eh? Ci ha data questa bella risposta. GIACINTO Che volete ch'io dica? Le medaglie lo hanno incantato. DORALICE Se egli è incantato, non siate incantato voi. GIACINTO Cosa mì consigliereste di fare? DORALICE Dir le vostre e le mie ragioni. GIACINTO Finalmente è mio padre; non posso e non deggio mancare al dovuto rispetto. DORALICE Avete sentito? Vostra madre ha quattrocento zecchini da spendere. Fate che ne spenda ancora per me. GIACINTO Sarà difficile cavarglieli dalle mani. DORALICE Se non vuol colle buone, obbligatela colle cattive. GIACINTO È mia madre. DORALICE E io son vostra moglie. 12

13 GIACINTO Vi vorrei pur vedere in pace. DORALICE È difficile. GIACINTO Ma perché? DORALICE Perché ella è troppo superba. GIACINTO E voi convincetela coll'umiltà. Sentite, Doralice mia, due donne che gridano, sono come due porte aperte, dalle quali entra furiosamente il vento; basta chiuderne una, perché il vento si moderi. DORALICE La mia collera è un vento, che in casa non fa rumore. GIACINTO Sì è vero; è un vento leggiero; ma tanto fino ed acuto, che penetra nelle midolle dell'ossa. DORALICE Vuol atterrar tutti colla sua furia. GIACINTO E voi non vi perdete colla vostra flemma. DORALICE Sempre mette in campo la sua nobiltà. GIACINTO E voi la vostra dote. DORALICE La mia dote è vera. GIACINTO E la sua nobiltà non è una cosa ideale. DORALICE Dunque date ragione a vostra madre, e date torto a me? GIACINTO Vi do ragione, quando l'avete. DORALICE Ho forse torto a pretendere d'esser vestita decentemente? GIACINTO No, ma per mia madre desidero che abbiate un poco più di rispetto. DORALICE Orsú, sapete che farò? Per rispettarla, per non inquietarla, anderò a star con mio padre. GIACINTO Vedete, ecco il vento leggiero leggiero, ma fino ed acuto. Con tutta placidezza vorreste fare la peggior cosa del mondo. DORALICE Farei sì gran male a tornar con mio padre? GIACINTO Fareste malissimo a lasciare il marito. DORALICE Potete venire ancor voi. GIACINTO Ed io farei peggio ad uscire di casa mia. DORALICE Dunque stiamo qui, e tiriamo avanti Così. GIACINTO È poco che siete in casa. DORALICE Dal buon mattino si conosce qual esser debba essere la buona sera. GIACINTO Mia madre vi prenderà amore. DORALICE Non lo credo. GIACINTO Procurate di farvi ben volere. DORALICE È impossibile con quella bestia. GIACINTO Bestia a mia madre? DORALICE Si, bestia; è una bestia. GIACINTO E lo dite con quella flemma? DORALICE Io non mì voglio scaldare il sangue. GIACINTO Cara Doralice, abbiate giudizio. DORALICE Ne ho anche troppo. GIACINTO Via, se mì volete bene, regolatevi con prudenza DORALICE Fate che io abbia quello che mì si conviene, e sarò pazientissima. GIACINTO Il merito della virtú consiste nel soffrire. DORALICE Sì, soffrirò, ma voglio un abito. GIACINTO L'avrete, l'avrete. DORALICE Lo voglio, se credessi che me ne andasse la testa. Sono impuntata, lo voglio. GIACINTO Vi dico che lo avrete. DORALICE E presto lo voglio, presto. GIACINTO Or ora vado per il mercante. (Bisogna in qualche maniera acquietarla). DORALICE Dite: che abito avete intenzione di farmi? 13

14 GIACINTO Vi farò un abito buono. DORALICE M'immagino vi sarà dell'oro o dell'argento. GIACINTO E se fosse di seta schietta, non sarebbe a proposito? DORALICE Mi pare che ventimila scudi di dote possano meritare un abito con un poco d'oro. GIACINTO Via, vi sarà dell'oro. DORALICE Mandatemi la cameriera, ché le voglio ordinare una cuffia. GIACINTO Sentite: anche con Colombina siate tollerante. È cameriera antica di casa; mia madre le vuol bene, e può mettere qualche buona parola. DORALICE Che! Dovrò aver soggezione anche della cameriera? Mandatela, mandatela, ché ne ho bisogno. GIACINTO La mando subito. (Sto fresco. Madre collerica, moglie puntigliosa: due venti contrari. Voglia il cielo che non facciano naufragare la casa) (parte). Doralice e poi Colombina. SCENA OTTAVA DORALICE Oh, in quanto a questo poi non mì voglio lasciar soverchiare. La mia ragione la voglio dir certamente. Mio marito si maraviglia, perché dico l'animo mio senza alterarmi. Mi pare di far meglio così. Chi va pazzamente in collera, pregiudica alla sua salute e fa rider i suoi nemici. COLOMBINA Il signor Contino mì ha detto che la padrona mì domanda, ma non la vedo. È forse andata via? DORALICE Io sono la padrona che ti domanda. COLOMBINA Oh! mì perdoni, la mia padrona è l''illustrissima signora Contessa. DORALICE Io in questa casa non son padrona? COLOMBINA Io servo la signora Contessa. DORALICE Per domani mì farai una cuffia. COLOMBINA Davvero che non posso servirla. DORALICE Perché? COLOMBINA Perché ho da fare per la padrona. DORALICE Padrona sono anch'io, e voglio essere servita, o ti farò cacciar via. COLOMBINA Sono dieci anni ch'io sono in questa casa. DORALICE E che vuoi dire per questo? COLOMBINA Voglio dire che forse non le riuscirà di farmi andar via. DORALICE Villana! Malcreata! COLOMBINA Io villana? Lei non mì conosce bene, signora. DORALICE Oh, chi è vossignoria? Me lo dica, acciò non manchi al mio debito. COLOMBINA Mio padre vendeva nastri e spille per le strade. Siamo tutti mercanti. DORALICE Siamo tutti mercanti! Non vi è differenza da uno che va per le strade, a un mercante di piazza? COLOMBINA La differenza consiste in un poco di danari. DORALICE Sai, Colombina, che sei una bella impertinente? COLOMBINA A me, signora, impertinente? A me che sono dieci anni che sono in questa casa, che sono più padrona della padrona medesima? DORALICE A te, sì, a te; e se non mì porterai rispetto, vedrai quello che farò. COLOMBINA Che cosa farete? DORALICE Ti darò uno schiaffo (glielo dà, e parte). SCENA NONA 14

15 Colombina sola. COLOMBINA A me uno schiaffo? Me lo dà, e poi dice: te lo darò? Così a sangue freddo, senza scaldarsi? Non me l'aspettavo mai. Ma giuro al cielo, mì vendicherò. La padrona lo saprà. Toccherà a lei vendicarmi. Sono dieci anni che sto in casa sua. Senza di me non può fare; e non mì vorrà perdere assolutamente. Maladetta! uno schiaffo? Se me l'avesse dato la padrona, che è nobile, lo soffrirei. Ma da una mercante non lo posso soffrire (parte). SCENA DECIMA Camera della Contessa Isabella La Contessa Isabella, poi il Conte Giacinto. ISABELLA Questa signora nuora e un'acqua morta, che a poco a poco si va dilatando; e s'io non vi riparo per tempo, ci affogherà quanti siamo. Ho osservato che ella tratta volentieri con tutti quelli che praticano in questa casa; e mì pare che vada acquistando credito. Non è già che sia bella; ma la gioventú, la novità, l'opinione, può tirar gente dal suo partito. In casa mia non voglio essere soverchiata. Non sono ancora in età da cedere l'armi al tempio. GIACINTO Riverisco la signora madre. ISABELLA Buon giorno. GIACINTO Che avete, signora, che mì parete turbata? ISABELLA Povero figlio! tu sei sagrificato. GIACINTO Io sagrificato? Perché? ISABELLA Tuo padre, tuo padre ti ha assassinato. GIACINTO Mio padre? Che cosa mì ha fatto? ISABELLA Ti ha dato una moglie che non è degna di te. GIACINTO In quanto a mia moglie, ne sono contentissimo; l'amo teneramente, e ringrazio il cielo d'averla avuta. ISABELLA E la tua nobiltà? GIACINTO La nostra nobiltà era in pericolo, senza la dote di Doralice. ISABELLA Si poteva trovare una ricca che fosse nobile. GIACINTO Era difficile, nel disordine in cui si ritrovava la nostra casa. ISABELLA Con questi sentimenti non mì comparir più davanti. GIACINTO Signora, sono venuto da voi per un affar di rilievo. ISABELLA Come sarebbe a dire? GIACINTO A una sposa, che ha portato in casa ventimila scudi, mì pare che sia giusto di far un abito. ISABELLA Per quel che deve fare, è vestita anche troppo bene. GIACINTO Se non le si fa un abito buono, io non la posso condurre in veruna conversazione. ISABELLA Che? La vorresti condurre nelle conversazioni? Un bell'onore che faresti alla nostra famiglia. Se le faranno un affronto, la nostra casa vi andrà di mezzo. GIACINTO Dovrà dunque star sempre in casa? ISABELLA Signor sì, signor sì, sempre in casa. Ritirata, senza farsi vedere da chi che sia. GIACINTO Ma tutti sanno che Doralice è mia moglie; gli amici verranno a visitarla; alcune dame me l'hanno detto. ISABELLA Chi vuol venire in questa casa, ha da mandare a me l'ambasciata. Io sono la padrona; e chiunque ardirà venirci senza la mia intelligenza, ritroverà la porta serrata. GIACINTO Via, si farà tutto quello che voi volete. Ma anch'ella, poverina, bisogna contentarla. Bisogna farle un abito. 15

16 ISABELLA Per contentar lei, niente affatto; ma per te, perché ti voglio bene, lo faremo. Di che cosa lo vuoi? Di baracane o di cambellotto? GIACINTO Diavolo! vi pare che questa sia roba da dama? ISABELLA Colei non è nata dama. GIACINTO È mia moglie. ISABELLA Ebbene, di che vorresti che si facesse? GIACINTO D'un drappo moderno con oro o con argento. ISABELLA Sei pazzo? Non si gettano i denari in questa maniera. GIACINTO Ma, finalmente, mì pare di poterlo pretendere. ISABELLA Che cos'è questo pretendere? Questa parola non l'hai più detta a tua madre. Ecco i frutti delle belle lezioni della tua sposa. Fraschetta, fraschetta! GIACINTO Ma che ha da fare quella povera donna in questa casa? ISABELLA Mangiare, bere, lavorare e allevare i figliuoli, quando ne avrà. GIACINTO Così non può durare. ISABELLA O così, o peggio. GIACINTO Signora madre, un poco di carità. ISABELLA Signor figliuolo, un poco più di giudizio. GIACINTO Fatele quest'abito, se mì volete bene. ISABELLA Prendi, ecco sei zecchini, pensa tu a farglielo. GIACINTO Sei zecchini? Fatelo alla vostra serva (parte). La Contessa Isabella, poi il Dottore. SCENA UNDICESIMA ISABELLA È diventato un bell'umorino costui. Causa quell'impertinente di Doralice. DOTTORE Con permissione; posso venire? (di dentro). ISABELLA Venite, Dottore, venite. DOTTORE Fo riverenza alla signora Contessa. ISABELLA È qualche tempo che non vi lasciate vedere. DOTTORE Ho avuto in questi giorni di molti affari. ISABELLA Eh! le amicizie vecchie si raffreddano un poco per volta. DOTTORE Oh signora, mì perdoni. La non può dire Così. Dal primo giorno che ella mì ha onorato della sua buona grazia, non può dire che io abbia mancato di servirla in tutto quello che ho potuto. ISABELLA Datemi quella sedia. DOTTORE Subito la servo (le porta una sedia). ISABELLA Avete tabacco? (sedendo). DOTTORE Per dirla, mì sono scordato della tabacchiera. ISABELLA Guardate in quel cassettino, che vi è una tabacchiera; portatela qui. DOTTORE Sì signora (va a prendere la tabacchiera). ISABELLA (Mi piace il dottore, perché conosce i suoi doveri; non fa come quelli che, quando hanno un poco di confidenza, se ne prendono di soverchio). DOTTORE Eccola (presenta la tabacchiera alla Contessa). ISABELLA Sentite questo tabacco (gli offerisce il tabacco). DOTTORE Buono per verità. ISABELLA Tenete, ve lo dono. DOTTORE Anche la tabacchiera? ISABELLA Sì, anche la tabacchiera. DOTTORE Oh! le sono bene obbligato. ISABELLA Oggi starete a pranzo con me. 16

17 DOTTORE Mi fa troppo onore. Ho piacere, così vedrò la signora Doralice, che non ho mai veduta. ISABELLA Non mì parlate di colei. DOTTORE Perché, signora? È pure la moglie del signor Contino di lei figliuolo. ISABELLA Se l'ha presa, che se la goda. DOTTORE È vero ch'ella non è nobile; ma gli ha portato una bella dote. ISABELLA Oh! anche voi mì rompete il capo con questa dote. DOTTORE La non vada in collera, non parlo più. ISABELLA Che cos'ha portato? DOTTORE Oh! che cos'ha portato? Quattro stracci. ISABELLA Non era degna di venire in questa casa. DOTTORE Dice bene, la non era degna. Io mì sono maravigliato, quando ho sentito concludere un tal matrimonio. ISABELLA Mi vengono i rossori sul viso. DOTTORE La compatisco. Non lo doveva mai accordare. ISABELLA Ma voi pure avete consigliato a farlo. DOTTORE Io? non me ne ricordo. ISABELLA M'avete detto che la nostra casa era in disordine, e che bisognava pensare a rimediarvi. DOTTORE Può essere ch'io l'abbia detto. ISABELLA Mi avete fatto vedere che i ventimila scudi di dote potevano rimetterla in piedi. DOTTORE L'avrò detto; e infatti il signor Conte ha ricuperato tutti i suoi beni, ed io ho fatto l'istrumento. ISABELLA L'entrate dunque sono libere? DOTTORE Liberissime ISABELLA Non si penerà più di giorno in giorno. Non avremo più occasione d'incomodare gli amici. Anche voi, caro dottore, mì avete più volte favorita. Non me ne scordo. DOTTORE Non parliamo di questo. Dove posso, la mì comandi. Colombina e detti. SCENA DODICESIMA COLOMBINA Signora padrona, è qui il signor cavaliere del Bosco (mesta, quasi piangendo). ISABELLA Andate, andate, ché viene il signor Cavaliere (al Dottore). DOTTORE Perdoni, non ha detto ch'io resti?... ISABELLA Chi v'ha insegnato la creanza? Quando vi dico che andiate, dovete andare. DOTTORE Pazienza. Anderò. Le son servitore (partendo). ISABELLA Ehi! A pranzo vi aspetto. DOTTORE Ma se ella va in collera così presto... ISABELLA Manco ciarle. Andate, e venite a pranzo. DOTTORE (Sono tanti anni che pratico in questa casa, e non ho ancora imparato a conoscere il suo temperamento) (parte). La Contessa Isabella e Colombina. ISABELLA È il signor cavaliere? COLOMBINA Signora si (mesta come sopra). ISABELLA Da Doralice vi è stato nessuno? COLOMBINA Signora no (come sopra). SCENA TREDICESIMA 17

18 ISABELLA Che hai che piangi? (a Colombina) COLOMBINA La signora Doralice mì ha dato uno schiaffo. ISABELLA Come? Che dici? Colei ti ha dato uno schiaffo? Uno schiaffo alla mia cameriera? Perché? Cóntami: com'è stato? COLOMBINA Perché mì diceva che ella è la padrona; che Vossustrissima non conta più niente, che è vecchia. Io mì sono riscaldata per difendere la mia padrona, ed ella mì ha dato uno schiaffo (piangendo). ISABELLA Ah! indegna, petulante, sfacciata. Me la pagherà, me la pagherà. Giuro al cielo, me la pagherà. Il Cavaliere Del Bosco e dette. SCENA QUATTORDICESIMA CAVALIERE Permette la signora Contessa? ISABELLA Cavaliere, siete venuto a tempo. Ho bisogno di voi. CAVALIERE Comandate, signora. Disponete di me. ISABELLA Se mì siete veramente amico, ora è tempo di dimostrarlo. CAVALIERE Farò tutto per obbedirvi. ISABELLA Doralice, che per mia disgrazia è sposa di mio figliuolo, mì ha gravemente offesa; pretendo le mie soddisfazioni, e le voglio. Se lo dico a mio marito, egli è uno stolido che non sa altro che di medaglie. Se lo dico a mio figlio, è innamorato della moglie e non mì abbaderà. Voi siete cavaliere voi siete il mio più confidente, tocca a voi sostenere le mie ragioni. CAVALIERE In che consiste l'offesa? COLOMBINA Ha dato uno schiaffo a me. CAVALIERE Non vi è altro male? ISABELLA Vi par poco dare uno schiaffo alla mia cameriera? COLOMBINA Sono dieci anni ch'io servo in questa casa. CAVALIERE Non mì pare motivo per accendere un sì gran fuoco. ISABELLA Ma bisogna sapere perché l'ha fatto. COLOMBINA Oh! qui sta il punto. CAVALIERE Via, perché l'ha fatto? ISABELLA Tremo solamente in pensarlo. Non posso dirlo. Colombina, diglielo tu. COLOMBINA Ha detto che la mia padrona non comanda più. ISABELLA Che vi pare? (al Cavaliere). COLOMBINA Ha detto che è vecchia... ISABELLA Zitto, bugiarda; non ha detto così. Pretende voler ella comandare. Pretende essere a me preferita, e perché la mia cameriera tiene da me, le dà uno schiaffo! CAVALIERE Signora Contessa, non facciamo tanto rumore. ISABELLA Come? dovrò dissimulare un'offesa di questa sorta? E voi me lo consigliereste? Andate, andate, che siete un mal cavaliere; e se non volete voi abbracciare l'impegno, ritroverò chi avrà più spirito, chi avrà più convenienza di voi. CAVALIERE (Bisogna secondarla). Cara Contessa, non andate in collera; ho detto così per acquietarvi un poco; per altro l'offesa è gravissima, e merita risarcimento. ISABELLA Dare uno schiaffo alla mia cameriera? CAVALIERE È una temerità intollerabile. ISABELLA Dir ch'io non comando più? CAVALIERE È una petulanza. E poi dire che siete vecchia? ISABELLA Questo vi dico che non l'ha detto; non lo poteva dire, e non l'ha detto. COLOMBINA L'ha detto, in coscienza mia. 18

19 ISABELLA Va via di qua. COLOMBINA E ha detto di più: che avete da stare accanto al fuoco. ISABELLA Va via di qua; sei una bugiarda. COLOMBINA Se non è vero, mì caschi il naso. ISABELLA Va via, o ti bastono. COLOMBINA Se non l'ha detto, possa crepare (parte). La Contessa Isabella e il Cavaliere Del Bosco. SCENA QUINDICESIMA ISABELLA Non le credete: Colombina dice delle bugie. CAVALIERE Dunque non sarà vero nemmeno dello schiaffo.isabella Oh! lo schiaffo poi gliel'ha dato. CAVALIERE Lo sapete di certo? ISABELLA Lo so di certo. E qui bisogna pensare a farmi avere le mie soddisfazioni. CAVALIERE Ci penserò. Studierò l'articolo, e vedrò qual compenso si può trovare, perché siate soddisfatta. ISABELLA Ricordatevi ch'io son dama, ed ella no. CAVALIERE Benissimo. ISABELLA Ch'io sono la padrona di casa. CAVALIERE Dite bene. E che anche per ragione d'età vi si deve maggior rispetto. ISABELLA Come c'entra l'età? Per questo capo non pretendo ragione alcuna. CAVALIERE Voglio dire... ISABELLA M'avete inteso. Ditelo al Conte mio marito, ditelo al Contino mio figlio, ch'io voglio le mie soddisfazioni, altrimenti so io quel che farò. Cavaliere, vi attendo colla risposta (parte). CAVALIERE Poco mì costa secondar l'umore di questa pazza, tanto più che con questa occasione spero introdurmi dalla signora Doralice, la quale è più giovine ed è più bella (parte). SCENA SEDICESIMA Salotto nell'appartamento del Conte Anselmo Brighella ed Arlecchino vestito all'armena, con barba finta. BRIGHELLA Cussì, come ve diseva, el me padron l'è impazzido per le antichità; el tól tutto, el crede tutto; el butta via i so denari in cosse ridicole, in cosse che no val niente. ARLECCHINO Cossa avi intenzion? Che el me tóga mì per un'antigàja? BRIGHELLA V'ho vestido con sti abiti, e v'ho fatto metter sta barba, per condurve dal me padron, dargh da intender che si un antiquario, e farghe comprar tutte quelle strazzarìe che v'ho dà. E po i denari li spartirem metà per uno. ARLECCHINO Ma se el signor cont me scovre, e inveze de denari el me favorisse delle bastonade, le spartiremo metà per un? BRIGHELLA Nol v'ha mai visto; nol ve conosce. E po, co sta barba e co sti abiti parì un armeno d'armenia. ARLECCHINO Ma se d'armenia no so parlar! BRIGHELLA Ghe vol tanto a finzer de esser armeno? Gnanca lu nol l'intende quel linguagio; basta terminar le parole in ira, in ara, e el ve crede un armeno italianà. ARLECCHINO Volìra, vedìra, compràra; dìghia ben? BRIGHELLA Benissimo. Arecordéve i nomi che v'ho dito per vendergh le rarità, e faremo pulito! 19

20 ARLECCHINO Un gran ben che ghe volì al voster padron! BRIGHELLA Ve dirò. Ho procurà de illuminarlo, de disingannarlo: ma nol vól. El butta via i so denari con questo e con quello; za che la casa se brusa, me voi scaldar anca mì. ARLECCHINO Bravissim. Tutt sta che me recorda tutto. BRIGHELLA Vardé no fallar... Oh! eccolo che el vien. Il Conte Anselmo e detti SCENA DICIASSETTESIMA BRIGHELLA Signor padron, l'è qua l'armeno dalle antigàggie. ANSELMO Oh bravo! Ha delle cose buone?brighella Cosse belle! cosse stupende!anselmo Amico, vi saluto (ad Arlecchino). ARLECCHINO Saludara, patrugna cara. (Dìghia ben?) (a Brighella). BRIGHELLA (Pulito). ANSELMO Che avete di bello da mostrarmi? ARLECCHINO (fa vedere un lume da olio, ad uso di cucina) Questo stara... stara. (cossa stara?) (piano a Brighella). BRIGHELLA (Lume eterno) (piano ad Arlecchino). ARLECCHINO Stara luma lanterna, trovata in Palàmida de getto, in sepolcro Bartolomeo. ANSELMO Cosa diavolo dice? Io non l'intendo. BRIGHELLA L'aspetta; mì intendo un pochetto l'armeno. Aracapi, nicoscópi, ramarcatà (finge parlare armeno). ARLECCHINO La racaracà, taratapatà, baracacà, curocù, caracà (finge risponder armeno a Brighella). BRIGHELLA Vedela? Ho inteso tutto. El dis che l'è un lume eterno trovà nelle piramidi d'egitto, nel sepolcro de Tolomeo. ARLECCHINO Stara, stara. ANSELMO Ho inteso, ho inteso. (Oh che cosa rara! Se lo posso avere, non mì scappa dalle mani). Quanto ne volete? ARLECCHINO Vinta zecchina. ANSELMO Oh! è troppo. Se me lo deste per dieci, ancor ancora lo prenderei. ARLECCHINO No podìra, no podìra. ANSELMO Finalmente... non è una gran rarità. (Oh! lo voglio assolutamente). BRIGHELLA Volela che l'aggiusta mì? ANSELMO (gli fa cenno con le mani che gli offerisca dodici zecchini). BRIGHELLA Lamacà, volenìch, calabà? ARLECCHINO Salamìn, salamùn, salamà. BRIGHELLA Curìch, maradàs, chiribàra? ARLECCHINO Sarich, micòn, tiribio. ANSELMO (Che linguaggio curioso! E Brighella l'intende!). BRIGHELLA Sior padron, l'è aggiustada. ANSELMO Sì, quanto? BRIGHELLA Quattórdese zecchini ANSELMO Non vi è male. Son contento. Galantuomo, quattordici zecchini? ARLECCHINO Stara, stara. ANSELMO Sì, stara, stara. Ecco i vostri denari (glie li conta). ARLECCHINO Obbligàra, obbligàra. ANSELMO E se avera altra... altra... rara, portàra. 20

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