MESSA SOLENNE DEL GIORNO DI NATALE. PRIMA LETTURA (Is 52,7-10) SALMO 98 (97) (vv. 1-6)

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1 MESSA SOLENNE DEL GIORNO DI NATALE PRIMA LETTURA (Is 52,7-10) 7 Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». 8 Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion. 9 Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. 10 Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio. Il brano fa riferimento all esilio di Babilonia, nel quale gli Ebrei deportati hanno vissuto un esperienza di prigionia e di schiavitù durata per quasi 50 anni ( ). Vivere in Babilonia significava, e significa oggi metaforicamente, vivere in un modo indegno, triste, senza speranza. Un esperienza dura, di sofferenza e di lutto. Inoltre, abbandonare Gerusalemme, era come lasciare una madre, privata dei suoi figli, ridotta ad essere come una sterile, nella povertà, senza gioia, senza futuro, senza speranza. Nel brano odierno, Isaia, il profeta-poeta, riesce ad esprimere, in soli quattro versetti, tutta la festosità per il tanto anelato ritorno in patria. Un esplosione di gioia si diffonde alla notizia data dalle sentinelle che vedono in lontananza l avvicinarsi della colonna degli esuli, alla cui guida c è Dio che ha snudato il suo braccio santo. La gioia è anche quella di aver ritrovato accanto a sé lo stesso Dio dell Esodo dall Egitto, in quel lungo cammino di purificazione, attraverso l aridità del deserto, prova per accedere alla terra promessa «terra bella e spaziosa, dove scorrono latte e miele» (Es 3,8). Messaggeri e sentinelle, con le loro notizie, fanno esplodere, incontenibile, la gioia di tutti gli uni per l arrivo dei fratelli deportati, gli altri per essere nuovamente a Gerusalemme, seppur ridotta ad un cumulo di macerie. Sarà Ciro, l uomo della provvidenza divina, l uomo della riconquistata libertà, ad autorizzare anche la ricostruzione della città santa e del tempio. Tutto il mondo conoscerà la vittoria di Dio, per il suo popolo. Non ci vuole molto per identificare in queste immagini e in queste parole, un chiaro riferimento all esperienza umana nell assenza di Dio, nella lontananza dal suo amore causa d impoverimento di sentimenti, di perdita di dignità, in molti casi di disumanizzazione e di degrado personale. Vi è incapacità di amare, quando il rapporto con Dio è stato rotto dalle nostre scelte sbagliate. In queste condizioni non siamo neppure più capaci di rapporti corretti con gli altri, e talvolta scorgiamo in essi concorrenti temibili o, peggio ancora, nemici. Situazioni tutte che possono causare angoscia, paura, sofferenza. Urge, allora, un grande annuncio: che Dio torni a regnare in noi. Solo con lui accanto, l uomo è uomo. La nascita a Betlemme di quel piccolo-grande essere, l uomo-dio, il Dio fatto uomo, è in grado di far rinascere in noi la speranza che Dio regni in noi, che riusciamo ancora a sentire la vicinanza e la pienezza di santità e di vita che viene da Dio. Quando Egli regna, davvero scompaiono falsità e ingiustizie e così l uomo può rivivere la sua vocazione originaria. SALMO 98 (97) (vv. 1-6) Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie. Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo. 2 Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. 3 Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d Israele. Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio. 4 Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni! 5 Cantate inni al Signore con la cetra, con la cetra e al suono di strumenti a corde;

2 6 con le trombe e al suono del corno acclamate davanti al re, il Signore. È composto da 9 versetti. Ne saranno letti 6. Questo salmo è utilizzato nella Liturgia eucaristica 11 volte, ben 7 delle quali nelle solennità di Natale e Pasqua. L autore non è conosciuto. Si tratta di un SALMO DI LODE, un inno, come i precedenti 96 e 97 con i quali ha agganci letterari. Il salmo 97 per esempio si conclude con la parola qodšô, che significa la sua santità, che ritroviamo nel primo versetto del 98. È un triplice invito ad acclamare il Signore, quasi un immagine a centri concentrici: dapprima l invito ai singoli (vv. 1-3) ad acclamare il Signore perché ha fatto meraviglie che vengono elencate enumerando gli eventi della storia di Israele. Il cerchio si allarga al creato e non soltanto all uomo: i fiumi battano le mani, esultino le montagne e quanto contiene (vv. 7-8). In fondo le meraviglie del creato non sono forse una lode a Dio? Il cerchio più esterno chiama a raccolta il mondo intero (v. 9b) perché si unisca al canto di lode. In questo salmo la gioia e la riconoscenza esplodono in una successione di verbi, ripetuti anche più volte: cantate inni, gioite, gridate, acclamate, suonate, applaudite. Perché tanta gioia? Per l opera del Signore che c è stata accanto in passato e ci accompagnerà nel futuro: «ha compiuto meraviglie» (v. 1a),«ha dato vittoria» (v. 1b), «ha fatto conoscere la sua salvezza» (v. 2a), «ha rivelato la sua giustizia» (v. 2b), «si è ricordato del suo amore» (v. 3); ma anche «giudicherà il mondo con giustizia» (v. 9), che può essere letta più che come una minaccia, come un atto di misericordia. In questo Salmo, passato e futuro s intrecciano, sono perennemente legati uno all altro. A questo proposito Padre Turoldo insegnava: «I giovani devono sapere; i vecchi non devono dimenticare. Altrimenti gli uni e gli altri rimarranno senza radici». Il ricordo della sua storia ha salvato Israele dall estinzione. Altro messaggio: tutto ciò che Dio dona è suo; lo dona spontaneamente, perciò noi non dobbiamo accampare diritti. A noi spetta solo accoglierlo (o rifiutarlo: siamo pur liberi!). Ed affiora ancora una domanda, peraltro ricorrente: il Dio delle Scritture si rivolge solo a Israele? Nel salmo 98, ancora una volta, è evidente l universalità del messaggio. Il disegno di Dio è rivolto a tutti e tutto; tutti e tutto devono a loro modo lodare Dio. Ciò non esclude la predilezione di Dio per Israele, che incontriamo spesso nell Antico Testamento, perché Dio è fedele alla sua parola. In questo universalismo si inserisce la profezia della regalità di Cristo; cioè, detto in altri termini, c è una lettura cristiana della Bibbia: essa viene sottolineata proprio da queste aperture al futuro e al mondo. LETTERA AGLI EBREI (Eb 1,1-6) 1 Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, 2 ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. 3 Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell alto dei cieli, 4 divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. 5 Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato?? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio? 6 Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio. Non è una lettera, ma una parola di esortazione, cioè una magnifica omelia che, con tutta probabilità è stata esposta a viva voce in una o più assemblee domenicali. ARGOMENTO

3 CENTRALE È IL SACERDOZIO DI CRISTO. Dopo essere stata messa per iscritto, è stata poi inviata a una comunità lontana. È un documento molto importante per la fede e la vita cristiana. Al termine dello scritto (Eb 13,22-25), è stato aggiunto un biglietto accompagnatorio, e questo ha fatto sì che l omelia da allora sia stata considerata come una lettera. Il brano, che sarà letto nella Messa del giorno di Natale, per due terzi è il prologo ad essa, nel quale mancano gli usuali saluti iniziali e questo avvalora l ipotesi accennata all inizio di una lunga, meravigliosa omelia. L autore, che non è Paolo su questo ormai sono tutti d accordo, presenta subito il grande dramma della storia della salvezza, il dramma della rivelazione di Dio nella storia umana al cui centro si trova il Figlio. La manifestazione di Dio all'uomo è lenta e progressiva. Prima della rivelazione nel Figlio, Dio ha avuto modo di manifestarsi agli uomini grazie a molti eventi e con differenti modalità: sogni, visioni, esperienze, epifanie nella natura e nel cuore dell'uomo. Intermediari sono stati uomini da Lui scelti per parlare a suo nome, i profeti, fra i quali sono inclusi Mosè e Abramo, i grandi porta-voce di Dio. Questa scelta va certamente considerata una grande ricchezza per le possibilità che ha offerto al popolo eletto nella sua storia. È stata, tuttavia, a ben considerare, una rivelazione parziale e frammentaria. Ecco allora «ultimamente, in questi ultimi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (v. 2a). La venuta di Cristo inaugura una nuova epoca. Il pensiero giudaico stesso attendeva un'epoca nuova e gloriosa. Cristo, per molti uomini di allora chiamati prima nazareni e più tardi cristiani ha rappresentato il realizzarsi delle attese, ha veramente inaugurato un'era nuova. Perchè? L autore della lettera-omelia, lo indica come il Figlio di Dio, che il Padre ha «stabilito come erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (v. 2b). Cristo ci parla di Dio; lo fa come Suo Figlio e per questo ci può offrire una rivelazione piena e completa, essendo «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (v. 3a). Inoltre «tutto sostiene con la sua parola potente» (v. 3b), cioè è in grado di trasmettere la volontà del Padre e i Suoi insegnamenti, proprio perché è all origine di tutte le cose e ne è, come il Padre, il fine. In forza di quanto detto, l autore descrive la superiorità del Figlio, rispetto alle creature angeliche e a Lui è riservata una vera e propria intronizzazione regale (v. 3b), con ampio ricorso a otto citazioni bibliche, tutti Salmi tranne una citazione dal secondo libro di Samuele (Sal 2,7; 2Sam 7,14; Sal 97,7; Sal 104,4; Sal 45,7-8; Sal 102,26-28; Sal 110,1; Sal 8,5-7). Dapprima il riconoscimento della figliolanza: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato» (Sal 2,7) e, poi, anche quello della Sua Paternità: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (2Sam 7,14). L'intronizzazione di Cristo alla destra del Padre appartiene alla primitiva predicazione cristiana (At 2,35ss; Rm 8,34), sottolinea l irripetibilità dell evento Cristo: un ulteriore avvertimento che si è giunti agli ultimi tempi. VANGELO SECONDO GIOVANNI (Gv 1,1-18) In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta.

4 Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

5 Il prologo di Giovanni è una splendida ouverture, altamente teologica, della sinfonia evangelica giovannea. Il brano ha un valore intrinseco di alto grado, che gli dona personalità propria tanto da distaccarlo un po dall intero Vangelo, soprattutto per lo spazio riservato al concetto del Verbo di Dio, che non apparirà in seguito. Qualche autore motiva questa anomalia, ipotizzando che il prologo fosse originariamente un inno a sé stante, inserito successivamente nel Vangelo, al quale, in un secondo tempo, sarebbero stati aggiunti i due brani in prosa identificati nei vv. 6-8 e 15. Altri studiosi sostengono che questo inno sarebbe stato composto all interno della scuola giovannea e aggiunto più tardi all inizio del Vangelo. Il prologo si apre con tre brevi frasi parallele incentrate sulla condizione originaria del Verbo e seguite da una conclusione (vv. 1-2). L autore risale alla creazione (Gen 1,1, al «principio» (archê), affermando che il Verbo già «esisteva» (en, era): è un concetto che troviamo anche nel LIBRO DEI PROVERBI «Il Signore mi ha creato è la Sapienza-Parola di Dio che parla come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all origine. Dall eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra» (Pr 8,22-24). Un altra citazione dello stesso tenore la troviamo nel LIBRO DEL SIRACIDE: «La sapienza fa il proprio elogio, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria» (Sir 24,1). Viene poi specificato che il Verbo era «presso [verso] Dio» (v. 1), cioè aveva un rapporto vivo con Lui, che era una cosa sola con Dio: «il Verbo era Dio» (v. 1). Al termine delle tre frasi, l autore riassume con chiarezza indiscutibile: «egli (il Verbo) era in principio presso (pros, verso) Dio» (v. 1). Si passa poi a descrivere il ruolo del Verbo nella creazione: «Tutto è stato fatto (egeneto) per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (v. 3). Ne deriva, alla fine, l esistenza, senza limiti di tempo, del Verbo e la Sua partecipazione attiva alla creazione. Il Verbo ha in sé due beni, la VITA e la LUCE, che dona all umanità (vv. 4-5). Ambedue, nell AT, designano la salvezza che Dio conferisce al suo popolo e sono spesso presentati come doni della sapienza di Dio (cfr. Pr 8,35; Bar 4,2; Sap 7,10.29). In questi versetti (vv. 4-5), per la prima volta appare, inoltre, il problema della resistenza opposta alla luce da parte delle tenebre. La precedente traduzione dice che esse non l hanno «accolta» (compresa). L ultima edizione della CEI 2008, ha seguito l altro significato, quello di soffocata, addolcito, senza perderne la forza, in «vinta». L evangelista prosegue introducendo la figura di Giovanni, il Battezzatore: di lui si dice che è stato mandato da Dio per rendere testimonianza alla luce, affinché, per mezzo suo, tutti potessero credere, anche se, in realtà, egli non era la luce (vv. 6-8). Il compito Giovanni era, perciò, di guidare gli uomini alla fede. In queste parole potremmo vedere un distinguo, che apparirà più chiaro col passare degli anni: i discepoli del Battezzatore hanno a lungo sostenuto che il Messia fosse in realtà Giovanni, il loro maestro, e non Gesù, arrivando fino a contrapposizioni forti con gli apostoli e il loro discepoli. A sostegno di questa linea, sta il fatto che i vv. 6-8 sono stati aggiunti al momento dell inserimento posteriore del prologo nel Vangelo. Poi, il chiarimento, per chi lo vuol capire: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (v. 9). «Ma il mondo non lo ha riconosciuto [al maschile!]» (v. 10). Viene riproposta l opposizione incontrata dal Verbo (vedi v. 5). 5 «Venne tra i suoi e i suoi non l hanno accolto» (v. 11), dove i suoi possono essere tutti gli uomini, in quanto creati da lui, o i membri del popolo eletto. Termina così la prima parte dell inno, in cui è stata descritta l origine del Verbo, la sua opera nella creazione e il suo ruolo di portatore della Luce, la testimonianza del Battista, e infine la sua venuta nel mondo per portare agli uomini una Luce che essi non vogliono accettare. Nella SECONDA PARTE DEL PROLOGO (vv ), l autore prende in considerazione i frutti della presenza del Verbo in questo mondo. Al rifiuto dei molti corrisponde l accettazione di alcuni (vv ): sono quelli che hanno creduto nel suo nome i quali ricevono da lui la possibilità di diventare

6 figli di Dio, cioè di essere nuovamente generati non in forza delle leggi biologiche, ma per una decisione divina. Colui che «era» (v. 2), è apparso nella debolezza di una creatura mortale. La testimonianza viene da Giovanni Battista il quale riconosce nel Verbo fatto carne l uomo del quale aveva detto: «Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me» (v. 15; cfr. Mc 1,7). L immagine è quella di uno che cammina dietro un altro (non è esclusa l idea di discepolo) e a un certo punto lo sorpassa. Nel passo successivo l autore riprende il tema dei beni portati dal Verbo: noi tutti, cioè i credenti, abbiamo ricevuto «grazia su grazia» (v. 16) e questo viene così comunicato agli uomini in forza del suo rapporto con Dio. L espressione «grazia su grazia» può significare una grazia (il vangelo) in sostituzione di un altra (la legge), oppure una grazia dopo l altra, o infine una grazia che corrisponde a quella del Verbo (pieno di grazia e di verità). È giunto il tempo in cui la legge data da Mosè lascia il posto alla grazia e verità donateci per mezzo di Gesù Cristo (v. 17). Per la prima volta il Verbo viene qui identificato con la persona storica di Gesù di Nazareth. Il versetto conclusivo del prologo ritorna sul tema della vita eterna del Verbo presso il Padre: a differenza di ogni altro essere umano, al quale è preclusa in vita la visione di Dio (cfr. Es 33,20; Is 6,5), Gesù Cristo «ha rivelato» (da exêgeomai,, spiegare, interpretare) Dio perché è il figlio unigenito che è nel suo seno (v. 18), rivelando, come nel v. 1, 1 un rapporto dinamico Fra Figlio e Dio Padre, caratterizzato dalla comunicazione di segreti e di confidenze reciproche. In conclusione: Il prologo di Giovanni appare come un tentativo di esprimere in sintesi chi è Gesù di Nazaret così come lo ha compreso la primitiva comunità cristiana al termine di una lunga esperienza di fede. Alla luce del concetto di parola/sapienza, la figura di Gesù appare come il luogo per eccellenza della presenza di Dio in mezzo all umanità. Egli rappresenta il compimento dell alleanza conclusa da Dio con Israele, diventando così la Parola che si sostituisce alle tante parole della legge. È il nuovo tempio in luogo dell antico, ormai profanato. In lui si realizzano le attese messianiche del suo popolo e, questo, sarà compreso alla sua morte sulla croce e con il suo ritorno al Padre, confermando così di esser stato inviato da Lui a manifestare il suo infinito amore per l umanità.

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