EFFICACIA DELLA STIMOLAZIONE TRANSCRANICA A CORRENTE ALTERNATA (tacs) NELLA MODULAZIONE DELL'ATTIVITA' ELETTRICA CEREBRALE IN VEGLIA E NEL SONNO

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1 Facoltà di Medicina e Psicologia Corso di Laurea in Psicologia clinica della Persona, delle Organizzazioni e della Comunità Psicofisiologia del sonno normale e patologico EFFICACIA DELLA STIMOLAZIONE TRANSCRANICA A CORRENTE ALTERNATA (tacs) NELLA MODULAZIONE DELL'ATTIVITA' ELETTRICA CEREBRALE IN VEGLIA E NEL SONNO Candidata: Relatore: Correlatore: Claudia Romano Matr.: Prof. Luigi De Gennaro Prof. Carlo Lai Anno Accademico

2 INDICE Introduzione Capitolo 1. Neurobiologia della fase di addormentamento 1.1 Fenomenologia EEG 1.2 Differenze regionali dell EEG nell addormentamento 1.3 Variazioni antero-posteriori nel flusso di informazione EEG Capitolo 2. La stimolazione transcranica a corrente diretta 2.1 La tecnica e i protocolli di ricerca 2.2 Effetti della stimolazione tdcs su specifiche funzioni cognitive Capitolo 3. Effetti della stimolazione tdcs sull elettrofisiologia spontanea 3.1 Effetti sull EEG a riposo Variazioni nelle performance 3.2 Effetti sulla struttura e microstruttura del sonno 3.3 Influenza sull attività onirica Capitolo 4. La ricerca 4.1 Introduzione

3 4.2 Metodo Soggetti Procedura Registrazione EEG Stimolazione tacs Analisi dei dati 4.3 Risultati 4.4 Discussione 4.5 Conclusioni generali Riferimenti bibliografici

4 Introduzione Il presente elaborato ha come oggetto la presentazione di un lavoro di ricerca svolto negli ultimi anni presso l'i.r.c.c.s. San Raffaele di Roma. Tale progetto di ricerca ha avuto come obiettivo la valutazione degli effetti di una tecnica di stimolazione transcranica a corrente diretta (tdcs) sull'attività corticale in veglia e nel sonno. La tdcs è una metodica conosciuta da tempo che ha dimostrato la sua efficacia in diversi ambiti grazie alla sua capacità di modulare l'attività neuronale in modo non invasivo e senza effetti collaterali di rilievo. Essa, oltre che per finalità di ricerca, ha trovato utilizzo anche in ambito clinico per il trattamento di patologie neurologiche e neuropsichiatriche. In particolare, il suo funzionamento avviene mediante l'applicazione sullo scalpo di elettrodi eroganti corrente elettrica, ad un'intensità non pericolosa e non percepibile dal soggetto, sull'area cerebrale che si intende stimolare. Gli effetti da essa provocati, benché transitori, persistono anche dopo la fine della stimolazione e agiscono nella direzione di un aumento o di una diminuzione dell'eccitabilità neuronale, in base all'utilizzo di una carica anodica (positiva) o catodica (negativa). Mediante la modulazione dell'attività corticale, tale metodica ha la potenzialità di incrementare performance cognitive e comportamentali in soggetti sani, e di trovare utilità anche nel trattamento di quelle patologie caratterizzate da un'alterazione dell'attività corticale per ristabilire un livello più stabile di attività. La ricerca presentata in questa sede fa riferimento allo studio dei suoi effetti sul sonno; in particolare sono state indagate le modificazioni sull'eeg di veglia e di sonno in seguito alla sua applicazione con l'attesa, coerente con le evidenze presenti fin ora in letteratura, di riscontrare effetti in direzione di un incremento dell'attività oscillatoria lenta, cioè di uno stato di sincronizzazione corticale compatibile con l'addormentamento. Infatti, l'obiettivo dello studio era quello di testare l'efficacia di questa tecnica nel facilitare l'addormentamento e di modificare il sonno in direzione di una maggiore profondità. La rilevanza di una sperimentazione del genere risiede nella possibilità di trovare in futuro un'alternativa ai farmaci ipnotici che attualmente rappresentano il rimedio principale per il trattamento dei disturbi del sonno, che tuttavia comportano notevoli effetti collaterali e fenomeni di tolleranza e dipendenza nei soggetti che li assumono, diventando di fatto la prima causa di insonnia. Da qui, l'importanza di condurre ricerche che studino e valutino l'efficacia di strumenti alternativi non invasivi e che non provocano effetti collaterali di rilievo nell'indurre sonnolenza e modificare il sonno in termini quantitativi o qualitativi, nella finale aspettativa di identificare un

5 trattamento elettrofisiologico efficace per le insonnie così frequenti e costose in termini sanitari e sociali. Nel Capitolo 1 verrà offerta una panoramica sul fenomeno dell'addormentamento e le sue caratteristiche elettroencefalografiche, verranno inoltre descritte le peculiarità del fenomeno di transizione veglia-sonno. Nel Capitolo 2 verrà introdotta la tecnica di stimolazione utilizzata nella ricerca, ovvero la stimolazione transcranica a corrente diretta (tdcs), verranno spiegate le sue modalità di funzionamento, i suoi campi di efficacia, le potenzialità ed i limiti ad essa collegati, con un approfondimento storico del suo utilizzo; si farà poi particolare riferimento alla letteratura che ne descrive gli effetti su specifiche funzioni cognitive. Nel Capitolo 3 si descriveranno più dettagliatamente i suoi effetti sull'eeg a riposo, su specifiche performance cognitive e comportamentali, sul sonno e l'attività onirica. Nel Capitolo 4 verrà infine presentata la ricerca vera e propria ed il protocollo utilizzato con la descrizione del metodo, della procedura, degli strumenti utilizzati, e mostrata la tipologia di analisi dei dati adottata; in ultimo saranno presentati i risultati ottenuti e alcune considerazioni sul quadro dei risultati riportato.

6 Capitolo 1. Neurobiologia della fase di addormentamento 1.1 Fenomenologia EEG della fase di addormentamento La fase dell addormentamento contrassegna il passaggio dallo stato di veglia allo stato di sonno. Tale passaggio non avviene in maniera immediata e definita, piuttosto, esso può essere descritto come un processo graduale, nel quale sono riscontrabili componenti, elettroencefalografiche e comportamentali, tipiche sia della veglia che del sonno. Risulta, dunque, arduo definire con criteri standard il momento esatto in cui il sonno fa il suo effettivo esordio, dal momento che molte sue componenti confluiscono e si fondono con quelle di altri stadi. Per altro, esso ha una durata variabile in quanto differenze individuali determinano latenze di addormentamento diverse da persona a persona. In alcuni casi, al fine di descrivere questo particolare processo, vengono presi in considerazione gli aspetti comportamentali, in altri vengono invece analizzati i dati delle registrazioni elettroencefalografiche. Ma anche all interno di queste due metodologie, non si è comunque giunti a risultati unanimi. A livello elettroencefalografico, durante il processo di addormentamento si verifica una graduale riduzione dell arousal (Davis et al., 1937; Dement e Kleitman, 1957) la quale è caratterizzata da una de-attivazione talamica (Maquet, 2000). Si verifica inoltre un decremento del ritmo alfa e beta a favore dell insorgenza del ritmo theta, e l inizio dell attività di sincronizzazione. Infatti, durante la veglia è possibile riscontrare due tipi di attività: l attività alpha e l attività beta. La prima caratterizza la veglia rilassata, è quindi presente quando i soggetti sono svegli ma a riposo ed in genere ad occhi chiusi; l attività beta è invece presente quando si è svegli ed impegnati in elaborazioni di informazioni o in compiti cognitivi, o comunque quando si è vigili ed attenti; in questo caso avremo un EEG attivato, dunque una de-sincronizzazione. Per quanto concerne il sonno, esso è invece caratterizzato prevalentemente da attività theta (in fase di addormentamento e sonno leggero), e attività delta (sonno profondo); in questo caso l EEG mostra un attività di sincronizzazione (Rechtschaffen e Kales, 1968). L addormentamento può poi essere descritto anche in base alle variazioni comportamentali, con una progressiva diminuzione della reattività agli stimoli sensoriali esterni, in particolare agli stimoli uditivi, fino ad una completa cessazione della stessa (Ogilvie at al., 2001; Casagrande at al., 1995) ed una diminuzione dei movimenti spontanei; questi fenomeni si verificano, in genere, all inizio dello stadio 2. Ulteriori fenomeni che caratterizzano questa transizione sono l abbassamento del tono muscolare (Hauri e Good, 1975), il rallentamento e la regolarizzazione della frequenza cardiaca (Burgess et al., 1999); per quanto riguarda i movimenti

7 degli occhi, si verifica la scomparsa degli ammiccamenti spontanei e delle saccadi (Santamaria e Chiappa, 1987), che vengono sostituite dai movimenti oculari lenti (De Gennaro et al., 2000). Si riscontrano, inoltre, variazioni nell attività del potenziale elettrico della pelle (Hori, 1982), e cambiamenti nel ritmo respiratorio (Ogilvie et al., 1989). Infine, si riscontra l abbassamento della temperatura corporea (Van Den Heuvel et al., 1998), e variazioni emodinamiche intercerebrali (Spielman et al., 2000). Il metodo più utilizzato per descrivere le differenze tra la veglia ed il sonno è l'elettroencefalogramma anche se non sempre vi è accordo su quale stadio assumere come segnale inequivocabile dell avvenuto addormentamento. Infatti, tale segnale viene da alcuni stabilito con l insorgere dello stadio 1 (Rechtschaffen e Kales, 1968), o dopo almeno un minuto continuativo dello stesso (Carskadon at al., 1986), altri ritengono opportuno attendere l apparizione, nelle registrazioni EEG, di fusi del sonno o di complessi K (Johnson, 1975; Webb, 1979; Wright at al., 1995), che avvengono generalmente con l inizio dello stadio 2. Infine, il processo di addormentamento non si contraddistingue per caratteristiche uniche e specifiche, ma presenta anche alcuni elementi caratteristici della veglia e di altri stadi del sonno REM e NREM e della veglia, essendo un momento di passaggio e di congiunzione tra essi. 1.2 Differenze regionali dell EEG nell addormentamento Ci sono molte evidenze del fatto che il sonno non sia un fenomeno che si verifica contemporaneamente in tutte le aree cerebrali ed allo stesso modo in ciascuna di esse, piuttosto esso sarebbe un processo locale (Krueger e Obal, 1993; Krueger et al., 1999), ovvero apparirebbe nelle diverse regioni del cervello con potenza e tempi differenti. Il sonno, dunque, si sviluppa in maniera asincrona nelle diverse aree cerebrali (Pigarev at al., 1997) e questo si ripercuote anche sulla fase di transizione veglia-sonno, in quanto ciò comporta che alcune di esse vanno incontro al processo di sincronizzazione, tipico dell addormentamento, prima di altre. Le principali differenze riguardano soprattutto l asse antero-posteriore, essendo la principale sede dei cambiamenti topografici in fase di addormentamento (Werth at al., 1996, 1997; Landolt e Borbely, 2001). Infatti esso presenta variazioni di rilievo tra le regioni centro-frontali e quelle occipitali, ovvero tra l area anteriore e quella posteriore dello scalpo. Dalle analisi elettroencefalografiche mediante le quali sono stati indagati i cambiamenti spaziali e temporali dell'attività EEG durante la fase di transizione veglia-sonno (Marzano et al., 2013), è emerso che il cambiamento più rappresentativo è dato dalla frontalizzazione dell'attività ad onde lente,

8 ovvero da una prevalenza delle onde delta e theta nelle nella regioni centro-frontali e delle onde sigma in quelle centro-parietali. Nei minuti precedenti l insorgenza del sonno e in quelli successivi all'addormentamento, dunque, le onde lente sono presenti in maniera predominante nelle regioni centrali e frontali del cervello, che quindi sincronizzano prima di quelle occipitali confermando che non tutte le aree del cervello si addormentano simultaneamente. Altro fenomeno di rilievo emerso dalle analisi EEG è il processo di anteriorizzazione del ritmo alfa, ovvero esso sembra diffondersi dalle aree più occipitali verso quelle anteriori. In effetti, prima che si verifichi l addormentamento, le frequenze alpha registrano una prevalenza nelle zone occipitali, la quale però decresce gradualmente durante la transizione veglia-sonno fino a cessare del tutto con l insorgenza di sonno, per poi avere un nuovo successivo incremento. Quando il ritmo alfa decresce, esso viene sostituito dalle oscillazioni theta che mostrano una diffusione temporo-occipitale. L' EEG dopo l'addormentamento è, inoltre, caratterizzato da un generale decremento dell'attività beta su quasi tutte le aree dello scalpo, soprattutto in quelle temporali e ciò conferma precedenti evidenze di una diminuzione progressiva dell'attività delle frequenze veloci durante questa fase (De Gennaro, Ferrara, Bertini, 2001; Merica, Gaillard, 1992). In definitiva, il sonno non si sviluppa in modo uniforme nel cervello e ha tempi differenti nelle diverse aree cerebrali in cui, durante l'addormentamento, coesiste un'attività elettrica tipica della veglia e tipica del sonno. 1.3 Variazioni antero-posteriori nel flusso di informazione EEG Durante il sonno l'eeg mostra differenze topografiche lungo l'asse cerebrale antero-posteriore (Ferrara et al., 2002; Finelli et al., 2001; Werth et al., 1997), coerente con l'ipotesi del sonno come "processo locale" (Krueger e Obal, 2003). Tali cambiamenti regionali sembrano interessare anche la fase di addormentamento, difatti, il sonno si propaga in modo asincrono nelle diverse aree cerebrali, manifestandosi prima nelle aree frontali e parietali ed infine in quelle occipitali (De Gennaro et al., 2001b). A partire da tali premesse, è stato ipotizzo che al momento dell'insorgenza del sonno la connessione funzionale corticale tra le aree frontali e quelle occipitali ed il flusso di informazione tra esse abbiano una direzione in prevalenza antero-posteriore. Attraverso lo studio delle registrazioni EEG di sonno mediante l'analisi della coerenza spettrale, che misura l'accoppiamento funzionale tra due segnali, e la Directed Transfer Function (DTF) che fornisce

9 una stima della direzione del flusso di informazione sottostante l'accoppiamento funzionale cortico-corticale, è stato possibile confermare tali ipotesi (De Gennaro et al., 2004). Difatti si è osservato che, se durante la fase precedente all'addormentamento vi è una prevalenza del flusso di informazione dalle aree occipitali a quelle parieto-frontali, al momento dell'insorgenza del sonno il flusso di informazione va dalle aree frontali a quelle parieto-occipitali. Quando il sonno ha inizio si osserva, quindi, un'inversione della direzione dell'accoppiamento funzionale ottenendo così una variazione antero-posteriore del flusso di informazione elettroencefalografica. Tale inversione avviene in anticipo quando la pressione al sonno viene incrementata a seguito di una deprivazione selettiva di sonno ad onde lente (De Gennaro et al., 2005). Utilizzando, infatti, nuovamente la DTF si osserva che la direzione antero-posteriore dell'accoppiamento funzionale corticale fa la sua comparsa, durante la notte di recupero in soggetti deprivati selettivamente di sonno ad onde lente, già nella fase precedente all'addormentamento e non soltanto durante la transizione veglia-sonno. Ciò permette di inferire che tale deprivazione provoca un anticipo dell'inversione della direzione dell'accoppiamento funzionale in senso antero-posteriore, probabilmente come conseguenza di una aumentata pressione omeostatica al sonno. Questi dati forniscono ulteriori conferme della propagazione antero-posteriore del sonno mostrando, inoltre, che il processo di addormentamento è favorito dal coordinamento funzionale del network corticale antero-posteriore. Infine,essi sostengono l'idea che la diffusione dei segnali di sincronizzazione dalle aree prefrontali associative a quelle posteriori hanno un ruolo importante nella transizione veglia-sonno.

10 Capitolo 2. La stimolazione transcranica a corrente diretta 2.1 La tecnica e i protocolli di ricerca La stimolazione transcranica a corrente diretta (tdcs) è una tecnica di neuro-stimolazione non invasiva in grado di produrre una selettiva modulazione nell'eccitabilità neuronale attraverso l'erogazione di corrente elettrica di bassa intensità per mezzo di elettrodi posizionati sullo scalpo. Gli effetti ottenuti variano in base all'intensità della corrente e alla polarità utilizzata, al posizionamento degli elettrodi e alla durata della stimolazione (Nitsche e Paulus, 2000, 2001; Nitsche et al., 2003) e perdurano anche per alcuni minuti dopo la sua somministrazione, sebbene siano lievi e transitori. In genere per dieci minuti di stimolazione si ottengono effetti che persistono per circa un'ora (Priori et al., 2002). Per poter comprendere il modo in cui la tdcs è in grado di produrre stimolazioni cerebrali, è opportuno descrivere cosa accade ai neuroni quando si utilizza questa tecnica. L interno dei neuroni è caricato negativamente rispetto all esterno, tale carica elettrica negativa è il potenziale di membrana; quando un neurone riceve una scarica positiva avviene una depolarizzazione, ovvero viene sottratta una parte della carica elettrica negativa riducendo il potenziale di membrana, caricando così positivamente l interno della cellula, il che aumenta l'eccitabilità neuronale. Quando invece il neurone riceve una scarica negativa, si verifica un iperpolarizzazione del potenziale di membrana, che riduce l eccitabilità dei neuroni. Quindi la tdcs, con la trasmissione di cariche positive o negative, agisce sui potenziali di membrana dei neuroni, provocando rispettivamente depolarizzazione o iperpolarizzazione (Bindman et al., 1964; Purpura and McMurtry, 1965). Infatti in base alla polarità utilizzata si ottengono effetti differenti: attraverso una stimolazione anodica (elettrodo caricato positivamente) è possibile ottenere un incremento dell'eccitabilità neuronale, mentre con una stimolazione catodica (elettrodo caricato negativamente) si ottiene l'effetto opposto ovvero un decremento dell'eccitabilità neuronale (Bindman et al., 1962; Purpura e McMurtry, 1965). Tuttavia la tdcs non ha l'effetto di eccitare un neurone a riposo, quindi di produrre un potenziale d azione, ma può solo agire sulla modulazione dell attività della cellula, provocando un aumento o una diminuzione della scarica spontanea del neurone. In altre parole, la corrente continua non è in grado di provocare eccitabilità in una cellula neuronale inattiva ma può efficacemente modulare il suo spontaneo eccitamento. Per stimare gli effetti della tdcs viene attualmente utilizzata la stimolazione magnetica transcranica (TMS) che testa l'eccitabilità della corteccia in modo diretto, non invasivo e

11 indolore. In questo modo si può stimare l'ampiezza dei potenziali motori evocati (MEP) che rappresenta il livello di eccitabilità della corteccia motoria (Nitsche, 2000). L effetto della tdcs di modulare l' eccitabilità corticale è stata ampiamente documentata in molti studi e ricerche: in particolare, molta attenzione è stata data all influenza della stimolazione sulla corteccia motoria (Priori et al., 1998) e sul sistema vestibolare (Day et al.,1997); da queste sperimentazioni è emerso che, anche con impulsi brevi e di bassa intensità, la corrente continua è in grado di attraversare il cranio e di rimanere abbastanza forte da stimolare il sistema vestibolare. Anche gli studi che hanno testato gli effetti della corrente continua sull eccitabilità della corteccia cerebrale, hanno dimostrato che impulsi anodici e catodici influenzano le risposte motorie agendo effettivamente su di essa. (Priori et al.,1998). Anche diversi studi di Nitsche e Paulus (2000) si sono concentrati sull'effetto della tdcs sulla corteccia motoria registrando un incremento dell'eccitabilità della corteccia motoria con la stimolazione anodica ed una pari diminuzione con quella catodica. Da questi e successivi studi emerge come questa metodica sia promettente per la ricerca ed i campi di applicazione che fanno riferimento alla neuro-plasticità, essendo una tecnica non dolorosa, non invasiva, non dannosa, reversibile e selettiva di modulazione cerebrale; sono tuttavia necessari ulteriori studi per chiarirne i meccanismi d'azione e per prolungare ed intensificare gli effetti dopo la stimolazione. La tecnica viene inoltre ritenuta capace di incrementare alcune funzioni cognitive e comportamentali; tuttavia uno studio di Horvath et al. (2014) solleva alcuni nodi problematici in merito, mettendo in evidenza il fatto che spesso i risultati ottenuti da tali studi che ne declamano l'efficacia non sono ancora conclusivi e affronta alcune questioni rimaste aperte, spesso trascurate o sottostimate durante le sperimentazioni. In particolare emergono cinque aspetti cruciali, quali: la variabilità degli effetti della stimolazione tra e all'interno di gruppi di persone diverse, l' affidabilità delle risposte da parte degli stessi soggetti a distanza di tempo, la necessità di confrontare gli effetti della tdcs con condizioni di controllo e di effettuare esperimenti in cieco, le interferenze di attività motorie e cognitive effettuate durante o subito dopo la stimolazione sui suoi effetti, e l'influenza di alcune variabili che influenzano il flusso e la densità della corrente elettrica erogata. In effetti in diversi studi (Fricke et al., 2011; Nitsche et al, 2004; Nitche e Paulus, 2011) con l'utilizzo della tdcs si è ottenuta una variazione negli effetti tra gruppi di persone diverse ed anche all'interno di gruppi di persone con caratteristiche simili; infatti, all'interno e tra differenti gruppi sottoposti al medesimo protocollo sono scaturiti effetti differenti. Le possibili cause di tali variazioni sono riconducibili sia al non corretto posizionamento della bobina per la TMS (stimolazione magnetica transcranica) per la rilevazione degli effetti della tdcs durante gli

12 esperimenti (Herwig et al., 2001; Sparing et al., 2008; Ahdab et al., 2010) sia alle differenze individuali, per cui ogni soggetto risponde in modo diversificato alla stimolazione in base alle proprie caratteristiche neurofisiologiche, anatomiche e psicologiche che di fatto modificano il flusso e la densità di corrente (Datta et al., 2012; Truong et al., 2013). Per altro, non è stato ancora dimostrato che i soggetti rispondono in modo simile e prevedibile a sessioni di tdcs ripetute a distanza di tempo. Fin ora pochi studi dai risultati contrastanti sono stati effettuati a tal proposito; è probabile che queste variazioni nel tempo avvengano a causa dell'influenza dei ritmi circadiani, metabolici ed ormonali sugli effetti della stimolazione, oltre che a causa del mancato riferimento puntuale alle linea guida per il posizionamento della bobina per la TMS già citato precedentemente. Fondamentale risulta l'utilizzo di appropriate condizioni di controllo durante le sperimentazioni, come ad esempio la stimolazione sham, per poter differenziare le naturali modificazioni neuronali dagli effetti indotti dalla tdcs. Per la validità dei risultati è anche importante svolgere esperimenti in cieco, sebbene sia una condizione spesso difficile da ottenere. Un altro aspetto controverso riguardante le sperimentazioni sulla tdcs, è che qualsiasi attività motoria e/o cognitiva sottoposta durante o subito dopo la stimolazione può interferire negativamente o addirittura contrastare del tutto i suoi effetti, come confermato da molti studi (Quartarone et al., 2004; Antal et al., 2007; Milyaguchi et al., 2013). Infine, esistono diverse variabili in grado di influenzare la densità ed il flusso di corrente elettrica da considerare quali la densità di corrente, il posizionamento degli elettrodi, la durata della stimolazione, lo spessore dei capelli ed il sudore (Dawson et al., 2001). Infine, gli stessi strumenti con cui è effettuato il montaggio delle elettrodi possono esercitare un'influenza sulla corrente. Per quanto riguarda il montaggio elettrodi ancora oggi si cerca di capire quale possa essere considerato il più efficace e quale debba essere la misura dell'elettrodo ed il suo preciso posizionamento. Fare luce su questi aspetti è di fondamentale importanza se si considera che la posizione degli elettrodi di stimolazione determina il flusso di corrente attraverso il corpo e i campi elettrici indotti nel cervello, pertanto da essa dipendono variazioni nei risultati delle sperimentazioni (Bikson et al., 2008). I criteri di montaggio elettrodi più semplicistici considerano soltanto la regione di aumentata eccitabilità sotto l'elettrodo anodico e quella di diminuita eccitabilità sotto quello catodico; questo modello però non considera altre variabili, quali: che la densità di corrente è più alta sotto la punta dell'elettrodo (Nitsche et al., 2007; Miranda et al., 2006, 2009), le differenze individuali (Madhavan e Stinear, 2010), che vi è un significativo flusso di corrente anche nelle regioni intermedie (Datta et al., 2009), i montaggi per la modulazione unidirezionale (Rossini et al., 1985; Saypol et al., 1991; Datta et al., 2008) e la

13 posizione del relativo elettrodo, inclusa la distanza tra gli elettrodi (Stecker, 2005; Datta et al., 2008) e l'uso di elettrodi extracefalici (Accornero et al., 2007; Ferrucci et al., 2008; Baker et al., 2010). In particolare, Moliadze e colleghi (2010) hanno studiato il ruolo dell'elettrodo di riferimento nell'influenzare la neuro-modulazione dell'elettrodo attivo trovando che in effetti la posizione della referenza può influenzare la neuro-modulazione e, pertanto, i due elettrodi non possono essere considerati separatamente visto che la posizione di entrambi influenza la distribuzione del flusso di corrente attraverso la corteccia che, inoltre, è anche fortemente influenzata dalla diversa conduttività elettrica dei tessuti su cui vengono applicati gli elettrodi. Data tale complessità nel flusso della corrente appaiono evidenti i limiti degli schemi di montaggio elettrodi troppo semplicistici. Alcuni ricercatori hanno cercato di predire il flusso di corrente attraverso il cervello utilizzando simulazioni al computer (Bickson et al., 2010); in particolare sono stati analizzati tre diversi schemi di montaggio in cui la misura e la posizione dell'elettrodo attivo sulla corteccia motoria rimaneva invariato, mentre quelli della referenza venivano cambiati. Da questi studi è emerso che la posizione e la misura dell'elettrodo di ritorno influenza la distribuzione del campo elettrico attraverso l'intera corteccia e che cambiandone la posizione viene modificata la distribuzione del campo elettrico direttamente sotto l'elettrodo attivo. Questi modelli di simulazione confermano quanto trovato da Moliadze e colleghi, ovvero che l'azione dell'elettrodo di riferimento è mitigata dalla sua posizione e misura e che influenza il percorso della corrente proveniente dall'elettrodo attivo attraverso il cervello. Da qui la considerazione che le regioni coinvolte nella modulazione cerebrale non sono solo quelle immediatamente sotto l'elettrodo attivo (Lang et al., 2005; Datta et al., 2009; Sadleir et al., 2010) e l'importanza di seguire procedure di montaggio elettrodi standardizzate nei protocolli di ricerca. Moliadze e colleghi (2010) hanno anche condotto degli studi per valutare l'importanza della distanza tra gli elettrodi, in diversi montaggi, sulla capacità della tdcs e della stimolazione random noise (trns) di indurre cambiamenti prolungati nell'eccitabilità corticale. La trns è un'altra tecnica di stimolazione elettrica transcranica, che è in grado di produrre un incremento dell'eccitabilità neuronale utilizzando una corrente alternata a frequenze random. L'intento dei ricercatori era di capire se la distanza tra gli elettrodi potesse influenzare la durata e l'ampiezza degli effetti a lungo termine indotti da queste due tecniche di stimolazione. Hanno quindi confrontato gli effetti di queste tecniche quando l'elettrodo di stimolazione e quello di riferimento erano entrambi applicati sullo scalpo dei soggetti e quando invece veniva utilizzata una referenza extracefalica. Dai risultati emerge che gli effetti che perdurano dopo la

14 stimolazione effettuata con entrambe le tecniche sono paragonabili, e che aumentando la distanza tra gli elettrodi è necessaria una più elevata intensità di stimolazione per ottenere gli stessi effetti; ovvero quando si usano elettrodi di riferimento extracefalici con le tecniche di stimolazione elettrica, l'intensità della stimolazione deve essere adattata per tener conto della distanza tra gli elettrodi, che infatti risulta essere collegata negativamente con la durata e con l'ampiezza degli effetti e che pertanto va tenuta in considerazione nelle ricerche. La necessità di utilizzare elettrodi extracefalici risiede nel fatto che quando la referenza è anch'essa posizionata sullo scalpo controlateralmente all'elettrodo di stimolazione, viene prodotto un indesiderato cambiamento di eccitabilità anche al di sotto di esso; per ovviare a ciò, può essere usato un elettrodo di riferimento più grande in modo da ridurre la densità della corrente che eroga (Nitsche et al., 2007), o utilizzare per l'appunto referenze extracefaliche posizionate o sul braccio (Cogiamanian et al., 2007; Priori et al., 2008) o sulla gamba (Lippold e Redfearn, 1964; Meyer- Schwickerath e Magun, 1951). Sempre in riferimento al montaggio, secondo alcuni ricercatori (Nitsche et al., 2007) uno degli aspetti problematici della tdcs è il fatto che i suoi effetti risultano talvolta poco selettivi a causa della larghezza dell'elettrodo di stimolazione che provoca effetti non soltanto nell'area di interesse ma anche in quelle adiacenti; in più l'elettrodo di riferimento, quando localizzato sullo scalpo, esercita anch'esso un effetto, contrario a quello di stimolazione, sulle sottostanti aree corticali complicando ulteriormente l'interpretazione dei risultati delle sperimentazioni o causando effetti controproducenti in ambito clinico quando invece sarebbe necessario un cambiamento omogeneo dell'eccitabilità corticale. Per rendere l'azione della tdcs più circoscritta ed evitare gli effetti inversi sotto l'elettrodo di riferimento, si potrebbe ridurre la grandezza dell'elettrodo di stimolazione, mantenendone costante la densità di corrente, oppure aumentare la grandezza di quello di riferimento, in modo da ridurne la densità di corrente. Nitsche e colleghi (2007) hanno verificato tali ipotesi e dai risultati ottenuti si evince che riducendo del 10% la grandezza dell'elettrodo di stimolazione viene ridotta l'estensione spaziale dell'area che viene stimolata ma viene mantenuta inalterata la sua efficacia; inoltre aumentando la misura dell'elettrodo di riferimento, esso diventa inattivo senza alterare però gli effetti indotti da quello di stimolazione. In questo modo si è perciò ottenuta una maggiore selettività della stimolazione della corteccia motoria. Stesse considerazioni sono valide per gli effetti che perdurano anche dopo la fine della stimolazione. Una soluzione che sembrerebbe ancor più efficace e semplice per arginare gli effetti indesiderati dell'elettrodo di riferimento sembrerebbe a prima vista quella di non applicarlo sullo scalpo, ma su un'altra zona del corpo in modo da evitarne l'influenza nelle aree corticali; tuttavia questa non è la soluzione più adeguata in quanto

15 la capacità della tdcs di indurre cambiamenti nell'eccitabilità corticale dipende anche dal posizionamento della referenza data l'interdipendenza tra la direzione del flusso della corrente e l'orientamento dei neuroni (Nitsche e Paulus, 2000; Purpura e McMurtry, 1965). Inoltre, posizionare la referenza in altre zone del corpo potrebbe causare la stimolazione del tronco encefalico con conseguenze pericolose per i soggetti (Lippold et al., 1964). Seguendo questi accorgimenti si aumenta l'applicabilità della tecnica e se ne limitano gli effetti indesiderati, dal momento che i cambiamenti indotti dalla tdcs vengono limitati all'area sotto l'elettrodo di stimolazione e non alle aree adiacenti e vengono eliminate le ambiguità date dalla referenza (Miranda et al., 2006). Alcuni ricercatori (Merzagora et al., 2010) hanno poi cercato di fare luce su quali siano i meccanismi di funzionamento della tdcs in parte ancora oggi non del tutto chiari. Partendo dall'ipotesi che l'attività corticale potrebbe essere causata da variazioni nel flusso e nel metabolismo del sangue nella zona della stimolazione (Roy e Sherrington, 1890), essi hanno misurato tali variazioni con la spettroscopia funzionale prossima all' infrarosso (fnirs) che è uno strumento che permette di misurare in maniera non invasiva lo stato di ossigenazione del sangue nel tessuto corticale. Sono stati dunque analizzati con questa tecnica i cambiamenti nello stato di ossigenazione del sangue in relazione all'utilizzo della tdcs, dopo la stimolazione attiva e dopo quella sham per poterne comprendere gli effetti. La fnirs permette di stimare il livello di ossigenazione dell'emoglobina nei tessuti (Chance et al., 1993; Edwards et al., 1993; Paulus, 2004), e di monitorare le variazioni delle concentrazioni locali di ossimoemoglobina (HbO2) e deossiemoglobina (HHb) indotte dall attivazione cerebrale, senza l'invasività e la scomodità di altre tecniche tradizionali; i cambiamenti nel HbO2 e HHB possono essere considerati un buon indice delle variazioni nel rcbs e la fnirs può fornire queste informazioni metaboliche rilevando anche piccoli cambiamenti nell'emodinamica cerebrale (Obrig et al., 1996). Per indagare la relazione tra l'rcbs e l'attività neuronale modulata dalla tdcs, gli elettrodi di stimolazione sono stati posizionati sulla corteccia prefrontale per indurre un cambiamento nell'attività neuronale di quest'area, in particolare è stata effettuata una stimolazione anodica sulla parte sinistra della corteccia prefrontale, mentre quella anodica sulla destra in modo tale da poter valutare contemporaneamente gli effetti di entrambi i tipi di stimolazione, che sono stati poi confrontati con la condizione sham. Da quanto emerso, la stimolazione anodica produce un incremento locale della concentrazione di HbO2 nel tessuto cerebrale sottostante, mentre con la sham non si verifica nessun effetto, mentre la stimolazione catodica ha effetti trascurabili. I meccanismi attraverso cui la tdcs anodica può incrementare la disponibilità di ossigeno dopo la fine della stimolazione non sono ancora del

16 tutto chiari. Una prima ipotesi è che la tdcs anodica incrementando l'eccitabilità neuronale faccia sì che le cellule abbiano bisogno di una maggiore disponibilità di ossigeno; una seconda ipotesi è che la tdcs oltre ad influenzare le proprietà elettriche dei neuroni, influenzerebbe anche le proprietà elettriche degli astrociti, importanti per la regolazione dell rcbf (Gordon et al., 2008; Koehler et al., 2009). La possibilità di indurre cambiamenti emodinamici nel cervello usando la tdcs e la possibilità di monitorare tali effetti con la fnirs può avere interessanti applicazioni cliniche e scientifiche, ad esempio la tdcs potrebbe essere utilizzata in pazienti con ictus o disturbi degenerativi per aumentare la disponibilità di ossigeno, in modo da facilitare l'eliminazione delle sostanze neurotossiche. Da quanto emerso fin ora, appare chiaro che c'è ancora molto da capire sui meccanismi di funzionamento, sull'efficacia e sull' affidabilità di tali tecniche prima che esse possano essere utilizzate efficacemente in ambito clinico. Ad ogni modo la tdcs non è una tecnica scoperta recentemente, infatti da più di due secoli ci sono esempi di utilizzo della corrente elettrica trasmessa sullo scalpo di esseri umani per la cura di malattie mediche e disturbi mentali. Nonostante ciò, solo negli ultimi anni sono stati condotti studi per verificarne l'effettiva efficacia sugli esseri umani. In Italia, nel Settecento, gli scienziati i cui lavori per primi hanno maggiormente contribuito alla comprensione e all'utilizzo dell'elettrofisiologia furono Galvani e Volta, grazie ai quali si diffuse l'utilizzo dell'elettricità in medicina. Infatti, a partire da questo momento, moltissimi studi e sperimentazioni furono effettuati in questa direzione. In seguito, grazie ad Aldini (1804) l'utilizzo di corrente elettrica iniziò ad essere utilizzata per il trattamento dei disturbi mentali, in particolare per la depressione, riportando risultati incoraggianti. Studi successivi, però, non riportano gli stessi esiti e sembrò che la corrente continua non avesse alcun effetto significativo; questo accadde probabilmente a causa di una mancanza di una procedura precisa e standardizzata. Per tale ragione questa metodologia fu messa da parte, anche a causa della concomitante scoperta della terapia elettroconvulsiva (TEC) ad opera di Bini e Cerletti (1940) che mise in ombra ogni altra tecnica. La TEC è però molto diversa dalla stimolazione a corrente continua: infatti la prima induce un'attività convulsiva, mentre la seconda produce cambiamenti fisiologici influenzando la normale attività neuronale (Terzuolo e Bullock, 1956), senza produrre alcuna crisi convulsiva e senza portare a effetti collaterali, quali perdita di memoria e perdita di coscienza, né richiede la sedazione dei pazienti o la somministrazione di farmaci mio-rilassanti. Per quanto riguarda la sicurezza di questa tecnica, sebbene sia non dolorosa e priva di effetti collaterali gravi per i soggetti che vi si sottopongono, è necessario seguire alcuni parametri

17 standard affinché possa essere eseguita in totale sicurezza. I fattori da considerare per eseguire la tdcs senza arrecare danni ai soggetti sono l'intensità della corrente, la durata della stimolazione e la grandezza dell'elettrodo (Agnew e McCreery, 1987). Trattandosi di una stimolazione transcranica non vi è un contatto diretto degli elettrodi con il tessuto cerebrale, quindi i criteri da monitorare si riferiscono ai possibili danni della pelle quando questa è in contatto con gli elettrodi (Agnew e McCreery, 1987); pertanto andrebbero utilizzati elettrodi di gomma conduttiva non metallici e ricoperti di spugna imbevuta di soluzione salina (Nitsche e Paulus, 2000). I protocolli, inoltre, seguono anche parametri che garantiscano che i cambiamenti indotti nell'eccitabilità corticale siano lievi e non dannosi per il tessuto cerebrale, per cui deve essere mantenuta costante la densità di corrente. Inoltre comporta conseguenze dannose la stimolazione del tronco cerebrale e del nervo cardiaco (Lippold e Redfearn,1964) che dunque andrebbe evitata. Altri criteri di sicurezza fanno riferimento al fatto che la durata della stimolazione non dovrebbe durare più di un'ora e i cambiamenti a lungo termine nell'eccitabilità corticale non andrebbero indotti per più di una volta a settimana. Ci sono, comunque, alcuni effetti collaterali minori che possono essere percepiti dalla persona durante la ricezione della stimolazione quali nausea, cefalea, vertigini e prurito sotto l'elettrodo. Ad ogni modo, quando viene applicata seguendo i protocolli di sicurezza, essa è considerata una metodologia sicura di stimolazione cerebrale, che non provoca danni evidenti a breve termine. Alcuni ricercatori (Davis at al., 2013), tuttavia, non concordando con la definizione della stimolazione transcranica, sia a corrente diretta (tdcs) che alternata (tacs), come una metodica non invasiva, dal momento che così facendo se ne trascurano i possibili effetti collaterali ed effetti a lungo termine, desiderabili o meno, che ne possono derivare. Infatti essi ritengono che nessuna procedura di neuro-stimolazione possa essere considerata totalmente sicura, e che una tecnica possa essere ritenuta invasiva anche se non contempla l'incisione o l'applicazione di dispositivi nel corpo. In linea generale sono considerate non-invasive le tecniche che non "entrano" nel corpo direttamente, come invece accade per altre tecniche definite invasive come la stimolazione cerebrale profonda (DBS) (Butson et al., 2006), ma anche se questo non avviene, esse possono produrre dei cambiamenti neuronali in zone cerebrali più ampie di quelle previste (Miranda et al., 2006) e portare a cambiamenti a lungo termine. Infatti, la stimolazione erogata in una specifica area cerebrale tende a propagarsi anche nelle aree circostanti bel oltre il punto dove è applicato l'elettrodo, e questo è già di per sé un elemento che ne contraddice la non-invasività. Inoltre possibili rischi derivanti dall'uso di questa tecnica, dipendono dagli effetti che possono derivare da sessioni ripetute di stimolazione. Queste osservazioni non dovrebbero scoraggiarne l'utilizzo, in quanto sicura se applicata seguendo correttamente i parametri di sicurezza, ma

18 andrebbe denominata non più come non-invasiva, ma semplicemente come "stimolazione cerebrale", per scongiurare una sottovalutazione dei suoi effetti, e risultare fuorviante per i non addetti ai lavori. Per fare chiarezza su alcune perplessità ancora presenti in merito alla sua sicurezza, Nitsche e colleghi (2004) si sono preoccupati proprio di indagare se la tdcs applicata sulla corteccia motoria e prefrontale potesse provocare ai soggetti cui viene somministrata danni come edema cerebrale, disturbi alla barriera emato-encefalica o alterazioni strutturali al cervello, servendosi dell'imaging a risonanza magnetica (RMI) effettuata prima e dopo la tdcs. Il confronto della MRI effettuata prima e dopo una stimolazione di 10 minuti non ha evidenziato alcun danno né i soggetti hanno riportato sintomi o disturbi. 2.2 Effetti della stimolazione tdcs su specifiche funzioni cognitive La stimolazione transcranica, essendo una tecnica in grado di indurre modificazioni nell eccitabilità cerebrale persistenti anche dopo la sua applicazione, potrebbe utilmente trovare impiego in tutte quelle condizioni patologiche caratterizzate da un alterazione (in eccesso o in difetto) dell eccitabilità neuronale, come ad esempio l'emicrania, l'epilessia o il morbo di Parkinson (Nitsche et al., 2004), in cui è necessario raggiungere un livello più stabile di attività. Per questa ragione, negli anni molti autori hanno condotto studi e sperimentazioni per testare gli effetti della tdcs su specifiche funzioni cognitive ed in diverse situazioni cliniche. In particolare molti studi sono stati condotti per testare l'utilità della tdcs per il trattamento della depressione. Già a partire dal 1960 si cominciò a ipotizzare che la stimolazione transcranica potesse essere utilizzare per ridurre i sintomi della depressione e, dai primi studi condotti in questa direzione, emerse che in seguito alla stimolazione anodica si riscontrava nei soggetti sperimentali un aumento della vigilanza e un miglioramento del tono dell'umore, viceversa dopo la stimolazione catodica, essi divenivano più silenziosi, lievemente rallentati e ritirati su di sè (Lippold e Redfearn, 1964). Negli anni seguenti ulteriori studi (Costain et al., 1964; Redfearn et al., 1964; Baker, 1970; Carney et al., 1970; Herjanic e Moss-Herjanic, 1967; Nias e Shapiro, 1974; Ramsay e Schlagenhauf, 1966; Arfai et al., 1970; Koenigs et al., 2009; Sheffield e Mowbray, 1968) vennero condotti ma i risultati ottenuti furono molto contrastanti tra loro. Una causa possibile di tale varietà nei risultati è da ritenersi l'ampiezza ridotta e l'ampia variabilità nel campione di pazienti presa in esame, e l'assenza di protocolli standard per il montaggio degli elettrodi. Negli anni '70 e '80 gli studi sulla tdcs si fermarono per questi motivi ed anche a

19 causa della crescente diffusione degli psicofarmaci antidepressivi. Tuttavia, di recente, c'è stato un rinnovato interesse per questa procedura, considerata promettente nel modificare l'eccitabilità corticale (Nitsche e Paulus, 2000, 2001; Nitsche et al., 2003a). Ad esempio, Nitsche e colleghi (2009) hanno studiato il ruolo della stimolazione transcranica nel trattamento della depressione maggiore: essendo in genere caratterizzata da alterazioni dell'attività e dell'eccitabilità corticale soprattutto nelle aree prefrontali, la tdcs potrebbe agire modulando tale eccitabilità in maniera stabile per alcune ore dopo la sua somministrazione. Che la tdcs possa efficacemente influenzare l'attività prefrontale, coinvolta nei disturbi depressivi, emerge da più studi: se applicata sulla corteccia prefrontale dorsolaterale essa influenza la memoria di lavoro, i processi decisionali, il comportamento di assunzione del rischio, l'impulsività e le emozioni in risposta a materiali visivi (Beeli et al., 2008; Boggio et al., 2008; Fecteau et al., 2007a,b; Fregni et al., 2005); applicata sulla corteccia fronto-polare ha influenza sui compiti di apprendimento (Kincses et al., 2004). Nonostante ciò vi è tutt'oggi una mancanza di prove empiriche di quali sia il collegamento tra anomalie neurofisiologiche ed i sintomi clinici della depressione e, pertanto, ci si muove ancora esclusivamente su basi ipotetiche. Tuttavia è di fondamentale importanza proseguire nello studio di questa tecnica per il trattamento dei disturbi depressivi se si considera che essi sono molto diffusi e comportano un ampio costo in termini socio-economici (Kessler et al., 2003). Per altro non sempre i farmaci antidepressivi, che comportano spesso pesanti effetti collaterali, risultano efficaci (Rush et al., 2006) e le altre tecniche fin ora utilizzate per i pazienti farmaco-resistenti sono spesso molto invasive o non selettive negli effetti indotti, come ad esempio la terapia elettroconvulsiva (TEC) (Pagnin et al., 2004) o la stimolazione magnetica transcranica (TMS), la stimolazione del nervo vago (VNS) e la stimolazione cerebrale profonda (Kennedy e Giacobbe, 2007). Infatti, gli effetti della TMS hanno una durata molto breve, la VNS è una tecnica invasiva e porta a benefici spesso lievi, la TEC, anch'essa invasiva, provoca indesiderati effetti collaterali (Wagner et al., 2007). La tdcs rappresenterebbe dunque un' alternativa non invasiva, indolore, con effetti piuttosto durevoli (Wagner et al., 2007). Pochi minuti di stimolazione provocano cambiamenti dell'eccitabilità corticale che possono perdurare per un'ora o più (Antal et al., 2004; Nitsche e Paulus, 2000, 2001; Nitsche et al., 2003a); questi effetti prolungati sembrano dovuti a cambiamenti neuro-chimici: in particolare dipenderebbero dalle modificazioni indotte nel recettore NMDA il quale, se inibito da sostanze antagoniste provocherebbe il blocco degli effetti a lungo termine della tdcs, viceversa sostanze agoniste ne provocherebbero un prolungamento (Liebetanz et al., 2002; Nitsche et al., 2003b, 2004a). Anche la concentrazione del calcio a livello interneurale avrebbe un ruolo in questo senso, in quanto gli antagonisti del canale del

20 calcio impedirebbero l'aumento dell'eccitabilità indotti dalla stimolazione anodica (Nitsche et al., 2003b). Gli studi più recenti che hanno analizzato questi effetti della tdcs sulla depressione differiscono dai primi per densità di corrente utilizzata, posizione degli elettrodi e durata della stimolazione e la loro efficacia è stata analizzata e provata a livello neurofisiologico. In particolare, in uno studio piuttosto recente (Fregni et al., 2006) la sua applicazione, per 5 giorni per la durata di 20 minuti ad una intensità di 1 Ampere, in pazienti con depressione maggiore ha portato ad una riduzione dei sintomi in confronto alla stimolazione sham. Anche altri studi (Boggio et al. 2009), con l'applicazione della tdcs sulla corteccia prefrontale per 10 giorni con un'intensità di 2 Ampere, hanno dato risultati incoraggianti, che perduravano per circa 30 giorni. Rigonatti e colleghi (2008) hanno, inoltre, confrontato gli effetti del trattamento con tdcs con quelli di un farmaco antidepressivo, la fluoxetina. Dai risultati emerge che l'utilizzo della fluoxetina e della tdcs ha portato ad una riduzione dei sintomi, mentre lo stesso effetto non si è ottenuto nella condizione sham. Se è vero che gli effetti del farmaco sono risultati simili a quelli della stimolazione, mentre la fluoxetina comincia a raggiungere la sua massima efficacia dopo 6 settimane dopo l'inizio della sua assunzione, la tdcs ha invece effetti immediati che perdurano per settimane. Pertanto la tdcs sulla corteccia prefrontale sembra avere effetti clinicamente rilevanti come l'utilizzo di antidepressivi, senza però provocare effetti collaterali, agendo immediatamente e con risultati che perdurano per diverse settimane dopo la fine della stimolazione. Tutte queste evidenze rendono la tdcs una tecnica molto promettente per il trattamento della depressione, e potrebbe essere usata nelle prime settimane di assunzione dei farmaci nel lasso di tempo in cui essi ancora non esercitano la loro efficacia. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi con campioni molto ampi, prima che il suo utilizzo possa avvenire in ambito clinico. A tale proposito è necessario infatti analizzare alcuni aspetti importanti: ad esempio non è ancora chiaro su quale specifica area della corteccia prefrontale dovrebbe essere applicata la stimolazione affinché risulti più efficace e se anche altre aree cerebrali possono essere considerate valide alternative per ottenere un'ottimale riduzione dei sintomi; similmente, non è chiaro quale sia il protocollo di stimolazione ottimale per ottenere la massima stabilità degli effetti antidepressivi: ad esempio definire il numero di stimolazioni al giorno ed il numero di sessioni, valutare quando effettuare nuovamente ulteriori sedute di rinforzo, una volta svaniti gli effetti; è inoltre importate effettuare follow-up a distanza di tempo per valutare la stabilità degli effetti dopo le 4 settimane successive alla stimolazione. Inoltre gli studi citati sono stati coinvolti pazienti con diagnosi recente di depressione e sintomi lievi, mentre sarebbe interessante valutarne l'efficacia anche in pazienti con una lunga storia di depressione e con sintomi più gravi.

21 In più, tali studi sono stati condotti coinvolgendo pazienti che non assumevano farmaci antidepressivi, ma poiché gli effetti della tdcs sono influenzati da neuromodulatori quali dopamina e acetilcolina (Kuo et al., 2007, 2008), è fondamentale capire se essa può funzionare anche in coloro che ne fanno uso. Infine, sono ancora poco chiari i meccanismi di azione della tdcs e la relazione tra la neuromodulazione frontale e gli effetti antidepressivi visibili a livello clinico. I risultati fin ora ottenuti quindi, pur essendo promettenti e giustificando ricerche future, sono ancora insufficienti per poter inserire la tecnica tra i rimedi antidepressivi, affiancandola ai farmaci e a trattamenti psicoterapeutici. La tdcs, oltre che potenzialmente efficace per il trattamento della depressione, viene anche ritenuta in grado di modificare le prestazioni in numerosi compiti cognitivi, pertanto è stato studiato il suo effetto su specifiche funzioni cognitive. In particolare, Mengarelli e colleghi (2013) si sono concentrati sulla sua azione nei meccanismi cerebrali che si attivano quando gli individui modificano le loro preferenze in base alle scelte che hanno effettuato in precedenza, in modo che si allineino maggiormente ad esse. Infatti, secondo la Teoria della Dissonanza Cognitiva (Festinger, 1957), quando le persone operano una scelta tra due alternative ugualmente desiderabili, subito dopo tendono a modificare le proprie preferenze ed atteggiamenti verso le due opzioni, in modo da considerare come meno desiderabile di prima quella scartata mentre quella scelta viene considerata migliore e pertanto diviene maggiormente in linea con i comportamenti agiti (Brehm, 1956; Harmon-Jones e Harmon-Jones, 2002). Questo cambiamento di preferenze avviene affinché possa essere ridotto lo stato di dissonanza cognitiva derivante dal fatto di aver preso una decisione in cui entrambe le alternative erano state valutate come positive ma dove solo una di questa è stata scelta. Tale dissonanza cognitiva crea, infatti, uno stato di attivazione emozionale spiacevole che può essere ridotto solo se viene risolto lo stato di incongruenza che lo ha provocato. Questo fenomeno, noto nelle sue implicazioni comportamentali, rimane invece poco conosciuto rispetto ai meccanismi neuronali ad esso sottesi. Da alcuni studi (Qin et al., 2011; Harmon-Jones, Harmon-Jones, et al., 2008) (Botvinick et al., 2001, 2004; Harmon-Jones, Gerdjikov, et al., 2008; Jarcho et al., 2010; Izuma et al., 2010) è emerso che ad essere implicata in questo processo di cambiamento di atteggiamento è la corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC), regione cerebrale coinvolta nei processi di controllo e risoluzione dei conflitti (Botvinick et al., 2001, 2004); dunque essa svolgerebbe un ruolo importante nella risoluzione dei conflitti tra i comportamenti e gli atteggiamenti rendendo questi ultimi coerenti con i comportamenti avuti precedentemente. Per tale ragione, Mengarelli e colleghi (2013) hanno condotto una sperimentazione per studiare il coinvolgimento di questa regione in tale processo, utilizzando la stimolazione transcranica a corrente diretta catodica;

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