La civiltà dell acqua nel Lodigiano

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1 Ferruccio Pallavera La civiltà dell acqua nel Lodigiano Dai pozzi dell Ottocento ai dieci anni di Sal

2 L autore ringrazia Raffaella Ciceri e Lorenzo Luni dell Ufficio Stampa di Sal per il significativo apporto ricevuto nella predisposizione del volume.

3 3 La civiltà dell acqua della Lombardia diventi patrimonio mondiale dell Unesco di Pietro Foroni, assessore al Territorio e alla Protezione civile della Regione Lombardia Narrano i cronisti dell epoca che sul finir del Milleduecento in Lombardia la civiltà delle acque era nel pieno di uno sviluppo quasi tumultuoso, come le torrenziali piogge che stagionalmente gonfiavano fiumi e torrenti e quindi canali e rogge irrigue a fecondare la grande pianura di Po. La nostra regione entrava così a pieno titolo nel novero delle regioni italiane ed europee all avanguardia nel campo dell idraulica teorica e operativa, in virtù di un opera immane alla quale misero mano nei secoli tutte le grandi istituzioni religiose e politiche, grandi monasteri e Comuni medioevali in primis. Questa terra tutta smossa e quasi rifatta dalle nostre mani, quasi una patria artificiale, come la definì Carlo Cattaneo, fu quindi un modello per tutt Europa, e divenne da subito oggetto di ammirazione e di invidia, nonché meta di scienziati che ancora nell Ottocento varcavano le Alpi per studiare questo unicum a livello mondiale. Va da sé che tale primato è anche lodigiano, in quanto la nostra provincia vanta il secondo asse del sistema irrigatorio lombardo ossia la Muzza, la cui costruzione risale ai primi decenni del Duecento e che nel suo percorso, una sessantina di chilometri, dà vita a numerose derivazioni secondarie, talune lunghe decine di chilometri: una rete tale di navigli, rogge, canali, scolmatori e fontanili che pochi possono annoverare, e che hanno forgiato in maniera radicale la nostra identità e i nostri orizzonti. Insomma nessuno dei 5 elementi ai quali la philosophia naturalis riconduce l essenza stessa dell universo e dell uomo, è stato artefice indiscusso della nostra identità quanto l acqua. La fortuna stessa e l incredibile rigoglìo dell agricoltura lodigiana affondano letteralmente le loro radici nell elemento liquido, la cui gestione e manutenzione Regione Lombardia utilizza anche contro il dissesto idrogeologico e per la protezione del suolo. Di più, questo contesto ambientale può diventare anche un volano turistico se adeguatamente valorizzato: da qui la volontà di Regione Lombardia e dei Consorzi di bonifica e regolazione dei laghi di proporre le grandi opere idrauliche e irrigue lombarde nella lista del Patrimonio Mondiale, Naturale e Culturale dell Unesco, progetto attualmente in attesa di essere inserito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nella lista dei siti italiani da candidare alla salvaguardia. Un passo importante, atteso entro l estate,

4 4 che porterebbe alla tutela anche del Giardino della Muzza, quel tratto del canale dove le acque prese dall Adda irrigano con 36 bocche di derivazione gran parte del Lodigiano per poi tornare nello stesso fiume sopra Castiglione d Adda. Linfa vitale del benessere di un intera provincia, ieri come oggi, il Canale della Muzza è un custode del territorio, un vero monumento idraulico la cui funzione non è mai venuta meno. È nello spirito di questa grande tradizione delle opere idrauliche che la Regione Lombardia, unitamente agli Ato e alle istituzioni pubbliche presenti nelle varie province sta portando a termine il completamento del sistema idrico integrato, proseguendo l impegno di garantire l efficienza dei servizi e realizzando maggiori economie di scala nei settori degli acquedotti, delle fognature e della depurazione. Di questo e di tante altre particolarità si legge nella pubblicazione con la quale Sal, la Società Acqua Lodigiana, ricorda i suoi dieci anni di vita, ripercorrendo anche, nel testo scritto da Ferruccio Pallavera, il lungo cammino intrapreso per tutto il Novecento dalle municipalizzate di Lodi e Codogno, dal Consorzio acqua potabile di Milano e dal Consorzio Basso Lambro di Sant Angelo Lodigiano. L acqua è davvero un bene che deve essere difeso, valorizzato, salvaguardato. Da essa dipende il destino del Pianeta.

5 5 Un territorio punteggiato di acquedotti e depuratori efficenti di Antonio Redondi, presidente Sal Vivere la quotidianità di un azienda idrica e lavorare sul presente per realizzare il Piano degli Investimenti rischia a volte di farci perdere la visione d insieme: concentrati sull oggi e sulle pianificazioni di domani, spesso finiamo per dimenticarci della strada che abbiamo compiuto per arrivarci. Questo volume curato da Ferruccio Pallavera è invece un dono straordinario: sfogliarne le pagine, scoprire il come eravamo e rivivere le scelte compiute dagli amministratori del nostro territorio per garantire pozzi, acquedotti e depuratori a servizio di tutti i 60 Comuni della Provincia di Lodi (oltre ai Comuni appartenenti all ex Consorzio del Lodigiano), ha come l effetto di illuminare tutto d un tratto gli ultimi 150 anni di storia locale e di mostrarci gli incredibili risultati che sono stati raggiunti. Noi di Sal abbiamo contribuito a scrivere solo l ultimo decennio - e questo noi vorrei potesse includere idealmente tutti i componenti dei Consigli di Amministrazione che si sono succeduti dal 2009 ad oggi, insieme con i dirigenti, i dipendenti e i collaboratori dell azienda, ma anche tutti i sindaci e gli amministratori degli Enti Locali che si sono caparbiamente impegnati per costruire la prima azienda unica dell acqua lodigiana. Sono stati dieci anni intensi, a volte tormentati, spesso faticosi ma sempre emozionanti. Anni in cui la coesione e l unità di intenti del territorio lodigiano hanno permesso di realizzare alcuni obiettivi che sembravano impensabili anche solo 15 anni fa, quando la gestione del ciclo idrico era frammentata tra quattro grandi aziende alle quali si aggiungevano diversi Comuni che ancora gestivano in economia, vale a dire internamente, i servizi di fognatura e depurazione. Oggi non solo il territorio ha raggiunto lo scopo di creare un azienda unica dell acqua, ma è riuscito anche a mantenerla al cento per cento pubblica: questo significa per esempio che tutti gli utili prodotti da Sal vengono reinvestiti nel servizio, e che la tariffa applicata ai cittadini è definita da un autorità nazionale indipendente (Arera) sulla base del Piano d Ambito e degli investimenti effettivamente realizzati. Una tariffa che, tra l altro, è ancora al di sotto della media italiana, senza dimenticare che l Italia ha una delle tariffe più basse d Europa nonostante sia ai primi posti per la qualità dell acqua erogata. Ecco, se dovessi riassumere gli sforzi compiuti in questi dieci anni, ai primi posti metterei senz al-

6 6 tro l impegno per garantire acqua potabile di qualità, a tariffe contenute. Siamo riusciti anche nell intento di sprecare meno acqua possibile: le perdite di rete nella nostra provincia sono decisamente inferiori agli standard nazionali, merito senz altro delle aziende che hanno preceduto Sal e che ci hanno lasciato in eredità reti in buone condizioni, ma anche dell operatività dei nostri tecnici e degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria compiuti in questi anni. Non sappiamo quale in particolare di questi sforzi e impegni probabilmente tutti nel loro insieme - abbia contribuito a far sì che a Sal fosse assegnato, nel marzo 2019 presso la sede di Regione Lombardia, il premio Industria Felix come Migliore azienda per affidabilità finanziaria e crescita della provincia di Lodi. Sappiamo però che è un riconoscimento da condividere con tutti i dipendenti e collaboratori dell azienda, e sappiamo che non è un punto di arrivo ma di partenza. Concludo ricordando che Servizio idrico è anche fognatura e depurazione: un lavoro sotterraneo e spesso invisibile ai nostri utenti, che si traduce nella garanzia di avere a disposizione, in ogni comune del Lodigiano, depuratori in grado di ripulire l acqua in uscita dalle nostre case per restituirla all ambiente riducendo al minimo l impatto delle attività umane. Credo che le sfide del prossimo decennio nel campo dell acqua dovranno concentrarsi sempre di più proprio sulla depurazione, per continuare a potenziare gli impianti e adottare soluzioni tecnologiche che permettano di recuperare energia e nutrienti dagli scarti delle nostre fognature. Investire nell economia circolare insomma, e continuare a offrire soluzioni orientate alla sostenibilità. In questi dieci anni ci siamo impegnati in questa direzione soprattutto per l acqua potabile, per esempio sostenendo le scuole che hanno scelto di servire acqua del rubinetto nelle mense al posto dell acqua in bottiglia, o affiancando le società sportive che si impegnano a distribuire acqua del rubinetto agli atleti evitando inutili bottigliette di plastica. Ma sono solo i primi esempi di una gestione sostenibile del servizio idrico che sarà una scelta sempre più obbligata in un futuro ancora tutto da scrivere. Senza mai dimenticarci, appunto, delle nostre radici, e delle scelte e dei risultati che in 150 anni di storia hanno costruito un territorio punteggiato di acquedotti e depuratori efficienti.

7 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 7 INTRODUZIONE Storie di paludi, di alluvioni e di canali Lodigiano, terra d acqua e di fiumi. Che ne hanno delimitato i confini, costruito l economia, forgiato l identità. Ottocento chilometri quadrati che a occidente si affacciano sulle sponde del Lambro e a oriente sono delimitati dall l Adda che attraversa l intero territorio e va ad annegare nel Po. Il Grande fiume fa da confine meridionale: oltre l argine maestro, le terre di Piacenza. Tre fiumi che circoscrivono il Lodigiano per tre lati. Ai piedi dei terrazzi degradanti verso i corsi d acqua si estendono le terre golenali, caratterizzate fin dall epoca romana da vasti acquitrini. Nel 1158 i Milanesi distrussero per la terza volta Laus Pompeia, l antica Lodi, e i Lodigiani, stanchi di tanti soprusi, decisero di riedificarla altrove, a pochi chilometri di distanza, sulle rive dell Adda. Non per nulla l imperatore Federico, terrore dei comuni lombardi e che tutti chiamavano Barbarossa, acconsentì affinché proprio in quel luogo, e non altrove, venisse fondata una nuova città. Il posto era perfetto: un alto promontorio sotto il quale scorreva il fiume e che per altri due lati era circondato da ampie distese di paludi. Una nuova città circondata dall acqua. L imperatore volle recarsi di persona sul posto. Vide, constatò, e disse che andava bene: lì sarebbe sorta Lodi nuova. Così i profughi di Laus Pompeia, riconoscenti, gli costruirono un busto, che innalzarono tra la facciata del Broletto e la cattedrale. Da lassù ancora oggi il vecchio imperatore veglia sulle sorti dei lodigiani. Lodi medioevale, città d acqua e di paludi. E di alluvioni. Queste si registravano in autunno e in primavera, precedute da piogge torrenziali, e i fiumi gonfi d acqua uscivano dal proprio alveo e invadevano i boschi e i terreni incolti. E se le radici degli alberi non riuscivano ad arrestarne la furia, Adda Po e Lambro si raddrizzavano, scavandosi nuovi letti, lasciandosi alle spalle lunghi alvei di acqua ferma, trasformati in stagni abbandonati. A ogni violenta alluvione corrispondeva, quando le acque si ritiravano, un pullulare di nuovi acquitrini che, nel caso di piene di grande portata, si congiungevano l uno l altro fino a dare l immagine di un grande lago. Un viaggiatore che proveniva da terre lontane, imbattendosi in quell imponente estensione d acqua, pensò si trattasse davvero di un lago. E lo chiamò, chissà perché, Gerundo. Era una palude immensa, che in qualche stagione si allargava per 200 chilometri quadrati tra le odierne province di Bergamo, Milano, Lodi e Cremona, a un altezza sul livello del mare che variava tra gli 80 e i 150 metri, e che in alcuni punti e in talune stagioni dell anno raggiungeva una profondità di 25 metri. Il Gerundo era alimentato da quattro fiumi: l Adda, il Brembo, il Serio e il Molgora. L emissario invece era uno soltanto, l Adda, poco prima del suo ingresso nel Po. Un lago entrato nella storia del Lodigiano. Tanto che quando due piccoli comuni, Camairago e Cavacurta, nel 2017 hanno deciso di fondersi in un unica realtà amministrativa, hanno scelto come nome per il nuovo municipio quello di Castelgerundo. Onore al lago.

8 8 Ferruccio Pallavera Vacche al bagno ai primi del Novecento in un corso d acqua adiacente a una cascina di Livraga A Casalmaiocco alla fine dell Ottocento alcune vacche sono portate ad abbeverarsi a un corso d acqua situato lungo la Via per Dresano

9 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 9 Un capostalla ritratto con il bestiame all abbeveratoio presso una stalla di Secugnago Anche nel medioevo. Un epoca di credenze e dicerie impastate nell acqua, di racconti e di leggende, di maghi e di streghe. Anche di mostri. Nel Lodigiano si raccontava che nelle intricate boscaglie che si estendevano nelle paludi dell Adda vivesse un drago chiamato Tarantasio, che con il suo alito fetido soffocava quanti gli si avvicinavano. Aveva il corpo di serpente, la testa di sauro, una lunga coda e zampe palmate. La sua tana si trovava nelle profondità del Gerundo e quando saliva alla superficie eruttava fuoco dalla bocca e fumo dalle narici, spargendo morte e paura. L ultima sua apparizione sarebbe avvenuta il 31 dicembre 1299, quando venne affrontato da San Cristoforo, il santo delle acque. Questi lo avrebbe ucciso e con la morte del drago il lago si sarebbe prosciugato, e nelle profondità delle paludi i lodigiani trovarono un osso colossale, che dissero appartenere a Tarantasio. Lo portarono in città e lo issarono in alto, nella chiesa di San Cristoforo, dove rimase fino all epoca di Napoleone. Prima di essere fatto sparire uno studioso di paleontologia dichiarò che si trattava della mascella fossile di un cetaceo. Storia di draghi e di acqua, di signorie rinascimentali e di biscioni, di carburanti e di televisioni. I Visconti si presero come emblema il drago Tarantasio e lo immortalarono sul proprio stemma nobiliare. Sarebbe diventato il simbolo di Milano, riprodotto anche dall Alfa Romeo, poi ripreso da Fininvest e da Mediaset. E quando l Agip nel 1945 trovò a Caviaga, sulle rive dell antico lago Gerundo, il primo giacimento di gas metano d Italia, Enrico Mattei, udita la leggenda di Tarantasio, decise di scegliere come simbolo della futura multinazionale l immagine di un drago che sputava fuoco, a sei zampe, perché doveva simboleggiare le quattro ruote dell automobile e le due gambe del guidatore. Il drago campeggia ancora oggi in migliaia di distributori di carburante Eni disseminati per tutta Italia. In realtà non fu San Cristoforo a prosciugare il lago Gerundo. Si trattò di un lavoro durato due secoli e portato avanti a forza di braccia dai benedettini delle abbazie di Abbadia

10 10 Ferruccio Pallavera L antico nucleo di Casalpusterlengo affacciato sul corso del Brembiolo: notare la quantità d acqua presente Numerosi centri abitati piccoli e grandi erano attraversati da una roggia, come Basiasco: nella foto, via Tito Fanfulla alla fine dell Ottocento

11 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 11 L acqua nelle cascine era insostituibile, soprattutto per dissetare il bestiame che, nell immagine scattata ai primi del Novecento, è stato condotto da tre bergamini a un abbeveratoio Cerreto, Ospedaletto Lodigiano, San Vito di Camairago e Santo Stefano al Corno. Ora et labora: alternando le ore trascorse salmodiando negli stalli del coro a quelle vissute nei campi, con zappe e badili riuscirono a trasformare in campi coltivati decine di migliaia di pertiche di terra incolta e paludosa. Erano impareggiabili nelle opere idrauliche, tanto che nel Seicento, stanchi di erigere inutili riparazioni alle sponde dell Adda che a ogni alluvione metteva a repentaglio le terre dell abbazia di Cerreto, decisero di risolvere il problema in modo radicale: in piena estate raddrizzarono il corso del fiume, scavandogli un nuovo letto nelle terre di Cavenago. Alluvioni che erano peggio delle tempeste d agosto, alcune delle quali registrate in epoca contemporanea. Negli ultimi cinquecento anni l Adda ha cambiato direzione tante volte: attorno al 1475, all inizio del Seicento, nel 1888 e nel I vecchi ricordavano ancora con la paura negli occhi la piena di vastissima portata del 1917, quando invase il piccolo centro di Meleti e il genio pontieri di Piacenza a stento portò in salvo gli abitanti che avevano trovato rifugio sui tetti delle case. L ultima volta, e fu nel 1976, con la rotta di Casellario, l Adda accorciò la sua corsa verso il Po e si lasciò alle spalle otto chilometri di tratto paludoso, diventato oggi un patrimonio ambientale di inestimabile bellezza, dove nidificano gli aironi e sulla sommità degli alberi più alti si posano le cicogne. Una lanca, questa di Soltarico, protetta da una legge del parlamento europeo. Storie d acqua e di porti fluviali. Come il Lambro, che era navigabile e veniva solcato dai barconi che arrivavano dal mare, risalendo il Po e diretti a Milano, carichi di seta e di spezie. E soprattutto di sale, con il quale si conservavano la carne e il pesce. Poco distante da Laus Pompeia, l antica Lodi, un castellazzo si innalzava a guardia di un porto dove le chiatte scaricavano il loro carico prezioso. Barili di sale. Vi sorse un piccolo agglomerato di case, che si chiamò per questo Salerano. Storie d acqua e di fiumi. Come l Adda, che dalla Valtellina trascinava a valle anche mi-

12 12 Ferruccio Pallavera La storia del Lodigiano è stata scandita da alluvioni terribili, come quella del In alto, la piazza di Maccastorna invasa dalla piena dell Adda; in basso, un battello del Genio pontieri di Piacenza nelle vie di Meleti allagate dall Adda: notare le due donne affacciate a una finestra del primo piano

13 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 13 Ciò che resta della celebre fontana musicale di Comazzo. Fu fatta costruire dai Pertusati nella loro Villa di delizie : i salti d acqua vennero realizzati con accorgimenti tali da produrre suoni particolari nuscoli frammenti d oro, e c era chi viveva raccogliendo quel metallo prezioso. Cercatori non di pepite, ma di pagliuzze d oro. Era un professione ben remunerata, tanto che Arduino, marchese d Ivrea e re d Italia, concesse ad Andrea vescovo di Lodi il ricavato delle pagliuzze aurifere che si ritrovavano sulle spiagge dell Adda tra Galgagnano a Cavenago. Era all inizio del secondo millennio, il 15 febbraio Pagine di storia intinte nell acqua, che rievocano i momenti di intenso travaglio per un popolo che trovò nei suoi fiumi aiuti e risorse per vivere, spesso facendo il cavatore di ghiaia, e fino ai primi anni del Novecento c era ancora chi poteva dichiarare sulla carta d identità di svolgere la professione di barcaiolo o di pescatore. Dal rapporto di forza e spesso di sfida con la natura si è temperato il carattere di una gente, ponderata e risoluta, animata dalla volontà di affrontare con sfide aperte i problemi della vita. Dall alba al tramonto sopra una barca in mezzo al fiume. Ci si fermava solo a gennaio per Sant Agnese, la patrona dei barcaioli. Veniva il prete, benediva le acque. Poi si andava tutti all osteria, per una gamella di brodo caldo e un tasìn di vino rosso. E a luglio si attendeva con trepidazione la ricorrenza di Santa Maria Maddalena, che si diceva pretendesse sette annegati prima e sette altri dopo la sua festa. Vicende d acqua. Che faceva da confine tra uno stato all altro. Di qui il ducato degli Sforza, di là, nel Cremasco, quello del leone di San Marco. Milano e Venezia per cinquant anni se le diedero di santa ragione, e lungo l Adda andavano avanti e indietro galeoncelli e barbote, burchielli e zatteroni. Su una di queste navi si era imbarcato anche Bartolomeo Colleoni con i suoi mercenari, e tenevano in bella vista una bombarda, pronti a mettersi al servizio di chi tra Milano e Venezia pagava meglio, e subito.

14 14 Ferruccio Pallavera Due fotografie risalenti al 1917, scattate dall argine maestro del fiume Po, quando l alluvione costrinse gli abitanti di San Rocco al Porto ad abbandonare le proprie case con le poche masserizie e con tutto ciò che possedevano, compreso il bestiame

15 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 15 La fotografia di primo Novecento che ritrae la roggia Venere, nell abitato di Livraga, tra la chiesa parrocchiale e il municipio. Nella didascalia si legge: Via Dante a Livraga, nel punto ove cadde la Beata Cabrini (notare l asterisco bianco, che segnala il luogo in cui scivolò nell acqua la futura patrona dei migranti) Più mercenari che capitani di ventura. Viva la Francia viva la Spagna, purché se magna. Storie d acqua e di fiumi. Come il Po, ricordato dal grande Francesco Petrarca, ospite nel 1353 di Giovanni Visconti, arcivescovo di Milano, nel castello di San Colombano al Lambro. Il 21 ottobre il poeta scrisse all arcivescovo di Genova, fornendo una precisa descrizione del luogo in cui era alloggiato: Veggo infine sotto ai miei piedi il Po che con vasto giro serpeggia fra i pingui colti della sottoposta pianura. Dall umanesimo al rinascimento, non solo letterati ma anche illustri scienziati. Nel 1494 Leonardo da Vinci fu ospite di Ludovico il Moro nel castello di Sant Angelo Lodigiano. Lo testimoniano gli studi che fece sul corso del Lambro e dell Adda, con lo scopo di progettare una fitta rete di canali, chiuse e dighe. Gli archivi ci hanno conservato il documento: in un foglio del Codice Atlantico spicca il disegno di un fossato e il testo delli soni che far si possono nell acque, come di là dalla fossa a Santangelo. La scrittura è rovesciata, perché Leonardo scriveva da destra a sinistra e ci voleva uno specchio per intendere la sua calligrafia. Per utilizzare i traghetti sul Po occorreva mettere mano al portafoglio. Più merce facevi solcare sulle acque, più pagavi. E mentre Cristoforo Colombo scopriva l America, a Codogno quanti si recavano a Piacenza per smerciare forme di formaggio grana e tele di lino, dovevano pagare caro e salato il balzello al traghettatore. Scrissero così una petizione al podestà di Piacenza chiedendo di diventare, in campo commerciale, suoi sudditi. I Piacentini si fecero convincere solo dopo che ebbero intascato 200 lire imperiali in monete d argento. Dal 21 aprile 1492 i Codognesi divennero cittadini di Piacenza e accettarono di inserire nel proprio stemma il simbolo della città emiliana, che era la lupa romana. Ma non vollero rinunciare al proprio, che era l albero di mele cotogne, e se ne inventarono uno nuovo, nel quale la lupa di Piacenza era quasi assoggettata a Codogno,

16 16 Ferruccio Pallavera La roggia a Zorlesco di Casalpusterlengo, nella località che aveva un nome inconfondibile: il Guado Il corso d acqua, oggi tombinato, situato all ingresso di Villa Braila a Lodi, all inizio di corso Mazzini. Notare, sulla destra, l insegna dell antichissima osteria della gatta

17 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 17 Due foto scattate nel primo Novecento a Lodi, caratterizzate dalla presenza dei corsi d acqua. A sinistra la roggia Molina (oggi tombinata) che scorre ai piedi della salita Federico II e che con un salto d acqua alimentava la Cooperativa del Lanificio Varesi Lombardo (visibile sullo sfondo). A destra un ponte pedonale gettato sulla roggia Tibera a San Fereolo; sullo sfondo a destra l edificio dell asilo infantile cav. Boggiate perché vi appariva legata alla pianta di mele. Piacenza si infuriò per quella scortesia, e ancora oggi sul gonfalone codognese la lupa è tenuta al guinzaglio, seppure con una catena d oro. Carte e scritture del rinascimento. Carte papali, anche in questo caso legate all acqua. Non solo di Leonardo, ma di altri artisti entrati nella storia dell arte universale. Ce n è una, curiosissima, che riguarda Michelangelo Buonarroti e San Rocco al Porto, il paese affacciato sulle rive del Grande fiume, dirimpetto a Piacenza. Qui le legioni romane avevano attraversato il Po per dilagare nella pianura, verso Mediolanum. Qui avevano guadato tutti i grandi condottieri, i re, i principi e gli imperatori diretti o di ritorno da Roma. Michelangelo aveva ottenuto da papa Clemente VII la promessa di un ingente vitalizio per aver dipinto il Giudizio universale nella Cappella Sistina. Era una rendita annua di 1200 scudi d oro, troppi anche per le casse pontificie, tanto che il suo successore, Paolo III, non avendoli tutti in contanti, nel 1535 mise per iscritto che metà del pagamento sarebbe stata garantita dall incasso del pedaggio che veniva versato da quanti attraversavano il Po tra il Lodigiano e Piacenza. Ma i portulani messi lì dal Buonarroti a riscuotere le somme trovarono molto comoda la distanza che li separava dall artista. E tennero spesso nelle proprie tasche il balzello. Michelangelo e Roma erano lontani. Acque del rinascimento e opere che oggi sembrano impossibili. Fittissime di calcoli, numeri, moltiplicazioni. Come quelle del Nella Bassa il Po non si limitava a fare le bizze: le sue piene erano accompagnate da una violenza che terrorizzava gli abitanti dei cascinali dislocati sotto l argine maestro. A Caselle Landi, a metà Quattrocento, aveva eroso più di tremila pertiche di terra. Fu per questo motivo che i due padroni del luogo,

18 18 Ferruccio Pallavera L abbondanza d acqua che caratterizzava i centri lodigiani alla fine dell Ottocento era tale che le storiche case padronali potevano permettersi anche di alimentare laghi artificiali di discreta estensione, come a Meleti i fratelli Cristoforo e Manfredi Landi, decisero di mettere mano a un opera ciclopica: cambiare corso al Po, scavandogli un nuovo alveo e allontanandolo per sempre dal paese, dalla chiesa e dal castello. Tutto a loro spese. I lavori iniziarono nel Vi furono impegnati centinaia di uomini, che a forza di braccia, con le vanghe e le carriole, e con i carri trascinati da file di buoi, scavarono il nuovo letto al Grande fiume. Ci vollero solo tre anni, l intervento fu ultimato nel La grande ansa venne raddrizzata. Caselle Landi si trovò così sull altra sponda : passò dalla riva destra di Piacenza alla riva sinistra, in Lombardia, e ancora oggi i suoi vecchi parlano un dialetto scandito da antichi vocaboli piacentini. Anche la storia di San Rocco e di Mezzana è stata forgiata con l acqua del fiume. Le vecchie abitazioni portano ancora il segno delle alluvioni, con l umidità dei secoli che sale dalle fondamenta e trasuda sui muri delle case. Era nei pressi di Mezzana Casati, in un posto chiamato Noceto, che in epoca antica il Lambro confluiva nel Po. Lambiva le colline di San Colombano e si gettava nel Grande fiume molto più avanti dei giorni nostri. Fu nei primi anni del Duecento che il Po ruppe gli argini, invase la golena di Orio Litta e costrinse il Lambro ad accorciare il proprio corso. Il suo estuario oggi è a Corte Sant Andrea, un paese fantasma che pullula di cascine scheletrite e di case diroccate, che si estende ai piedi di un argine altissimo che protegge dalla furia dei due fiumi la chiesa, un obsoleto arco trionfale e l osteria. Ancora alluvioni. Così violente che la posizione di Corte Sant Andrea variava rispetto alle bizze del Lambro e del Po e alle loro improvvise deviazioni: ora sulla sinistra del Lambro, ora molto distante dal Po. Impossibile seguire tutti quei bruschi cambiamenti di corso. Alluvioni su alluvioni, una più terribile dell altra. Per le cascine che si trovavano in golena, oltre l argine, non c era scampo. Il Po poco per volta spazzò via il Botto di Senna Lodigiana, con le sue stalle con dentro le vacche. Nel 1839 cancellò dalla faccia

19 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 19 Un caratteristico angolo della frazione San Fereolo di Lodi, in un immagine scattata ai primi del Novecento, in via della Marescalca della terra Noceto e i suoi duecento abitanti si salvarono a stento dalla furia della piena. Era capitato più di una volta che il Po si portasse via interi paesi, tirando giù anche i campanili delle chiese e scoperchiando le tombe dei cimiteri. Delle case di Noceto non è rimasto che un campo, che ancora oggi porta quel nome, e una strada. Lo stesso capitò al Berghente di Valloria. Cinque le alluvioni degli ultimi cento anni. La prima nel 1907, un anno di carestia e di pellagra, quando nel tentativo di salvare il paese i Sanrocchini andarono a tagliare l argine maestro per mandare sott acqua il vicino paese di Guardamiglio. Mors tua, vita mea. I Guardamigliesi se ne accorsero, suonarono le campane a martello e tutti gli uomini corsero sull argine, assalirono quelli di San Rocco al Porto a colpi di badili e di bastoni, ne nacque un parapiglia tra povera gente affamata che cercava di difendere le proprie case nel timore che venissero spazzate via dall acqua. E il Po invase San Rocco. Penetrò nella chiesa, salì sugli altari, si portò via candelabri e ornamenti, staccò dalla sacrestia i grandi armadi rovesciandoli a terra. Non ancora pago, tornò nel 1917, quando invase tutta la golena e San Rocco fu sgomberato, e un fotografo immortalò l immagine drammatica della popolazione ammassata sulla sommità dell argine, sconvolta e inebetita, intenta a osservare le acque fangose che entravano nelle case. E poi la piena del 1951, quella che inondò il Polesine, quando il fiume ruppe l argine al Berghente, aprì fontanazzi con getti di oltre 10 metri e a stento riuscirono a fermarlo a San Sisto. Ancora: l alluvione del 1994, che per un soffio non travolse gli argini e il paese si salvò per miracolo dopo due notti di incubo. E l ultima, datata 2001, quando il prefetto aveva già firmato lo sgombero totale del centro abitato. Via tutti, come deportati, nelle palestre dei paesi vicini. Poi il livello delle acque limacciose iniziò a calare. Non solo alluvioni. Fonti d acqua. Come quella sulfurea che sgorga ai piedi delle colline di San Colombano, a pochi passi dal Lambro, alle Gerette, e che fa da contraltare all al-

20 20 Ferruccio Pallavera L acqua per secoli ha mosso le pale di duecento mulini del Lodigiano, buona parte dei quali ormai distrutti. Nel sopravvivono una trentina. Nella foto, il mulino delle Gualdane di Lodi Vecchio tra, situata sull altro versante delle colline, in territorio pavese, che ha fatto aggiungere al nome di Miradolo quello altisonante di Terme. E fonti d acqua medicamentosa, ritenuta un toccasana per i viandanti che percorrevano la Francigena prima di traghettare il Po e sostavano nei pressi di un minuscolo ospizio, che finì per dare il nome a un paese: Ospedaletto, e sulla sorgente fu innalzato il santuarietto della Madonna del Fontanone. Altra acqua ritenuta miracolosa, che ancora oggi si riversa dentro un antico sarcofago romano trasformato in vascone, sulle rive del Calandrone, in quel di Merlino, talmente taumaturgica che vi fu innalzata una chiesa dedicata a San Giovanni Battista, dove il 24 giugno di ogni anno arrivano pellegrini pure dalle terre bergamasche, nella certezza di essere guariti, anche gli storpi e gli zoppi, perché a San Giuàn del Calandròn chi va no a pè, el va a gatòn. Acqua sgorgata nella terra dei fontanili, come alla Madonna della Fontana alla periferia di Lodi. O affiorata nelle terre golenali dell Adda, ai piedi del rivone: alla Madonna della Costa di Cavenago e all altra Madonna della Fontana, a Camairago. Acque usate per le fontane. Come quelle che i Pertusati, signori di Comazzo, fecero realizzare nel parco all italiana situato dietro al loro palazzo padronale. Un area che vollero scandita dai giochi d acqua e da altre meraviglie, tra cui spiccava una fontana musicale. Che esiste ancora, ma è un rudere senz acqua. Acqua per i battesimi: a Lodi, al centro del cortile del Broletto, spicca l antica fonte battesimale della cattedrale, un opera d arte ottagonale, scolpita da unico blocco di marmo rosso di Verona. Storie di acqua, di battaglie vittoriose e di ponti passati alla storia, con vicende che non si immortalano solo sulla carta ma si incidono anche nel marmo bianco di Carrara. Nel 1796 Napoleone irruppe in Italia alla testa di un esercito che era tutto fuorché un armata. Attraversò il Grande fiume a Piacenza e penetrò nel Lodigiano a San Rocco. Poi passò

21 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 21 Lungo i corsi d acqua che attraversavano i paesi erano state realizzate apposite postazioni per permettere alle donne di fare il bucato (nella foto dei primi del Novecento, via Ottavio Steffenini a San Colombano) l Adda a Lodi il 10 maggio, vincendo la battaglia del ponte che gli avrebbe assicurato il possesso di Milano e aperta la strada a diventare imperatore. Lodi - e quella battaglia - divennero talmente famose da essere effigiate sull Arco di trionfo di Parigi, davanti ai Campi Elisi. A suo ricordo i francesi chiamarono Lodi una decina di località sparse per il mondo. Tra quelle sopravvissute ce n è una, la Lodi di California - che si trova a poche decine di miglia dalla baia di San Francisco, tra colline coperte di vigneti - che oggi ha 65mila abitanti, ventimila in più della Lodi di Federico Barbarossa. Non solo alluvioni e battaglie, ma lettere d amore intinte nell acqua e nella poesia. La bella lodigiana Carolina Cristofori, moglie del garibaldino Domenico Piva, uno dei Mille, era donna di grande cultura e delicata sensibilità. Lei si innamorò della poesia di Giosuè Carducci, ma Carducci si innamorò di lei. Si scambiarono lettere traboccanti di sentimento. Nel 1872 il futuro premio Nobel la raggiungeva a Lodi. Salivano su una barca e amoreggiavano lungo le rive dell Adda. Carducci le dedicò una poesia dove anche l ambientazione ha la sua parte: Le mura dirute di Lodi fuggono arrampicandosi nere al declivio verde e al docile colle. Addio, storia de gli uomini. I lodigiani e l acqua. Una maestra nata a Sant Angelo Lodigiano non trascorse la sua vita tra i bambini di scuola, perché si fece suora e fondò a Codogno un ordine religioso, l Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore. Il papa Leone XIII la mandò in America per assistere le centinaia di migliaia di Italiani emigrati, malpagati, sfruttati, maltrattati, vittime di organizzazioni criminali. Lei, la suora che si chiamava Francesca Cabrini, attraversò gli States e le Ande a dorso di mulo, per impiantarvi orfanotrofi, asili, collegi, scuole, ospedali, preventori, laboratori, ricoveri, centri sociali. L acqua non le faceva paura: attraversò 17 volte l Oceano, trascorrendo intere settimane a bordo dei bastimenti. Oggi è diventata santa ed è stata proclamata la patrona dei migranti del mondo.

22 22 Ferruccio Pallavera Il legame tra l acqua e i centri abitati del territorio era strettissimo, come è attestato dalle due fotografie scattate ai primi del Novecento. A sinistra una strada di Borghetto Lodigiano prima della tombinatura del Sillaro che attraversa il paese; a destra il pozzo medioevale di proprietà comunale che per secoli ha dissetato gli abitanti di Cavenago d Adda A qualcuno non andò così bene. Nella povertà imperante del Lodigiano di primo Novecento c era chi non voleva saperne di fare il contadino e cercò fortuna in giro per il mondo, come Giulio Casali di Maleo che a 32 anni lasciò il paese per fare il cameriere di sala di un ristorante di lusso, situato su un grande transatlantico. Era la nave più famosa del mondo. Peccato si trattasse del Titanic, colato a picco dopo l impatto con l iceberg. Il cameriere di Maleo morì annegato durante il tragico naufragio nella notte tra il 14 e il 15 aprile del I Lodigiani e l acqua. Da campioni, capaci di immortalare gesta che non saranno più ripetute da nessun altro. Come il 23 ottobre 1934, quando il maresciallo Francesco Agello, entrato nell aristocrazia del volo e passato alla storia, guidando un idrovolante sul lago di Garda, a Desenzano, scivolò sull acqua raggiungendo la velocità dei 709 chilometri orari. Un record tuttora imbattuto, Agello è l uomo più veloce del mondo. Sulle pergamene gli agrimensori del medioevo scrissero con la penna d oca intinta nell inchiostro i loro calcoli per imbrigliare l immensa ricchezza d acqua della pianura lodigiana e regimentarla in una rete in grado di dissetare i campi anche nei periodi di siccità. Tra il 1220 e il 1230 scavarono un canale, la Muzza, che usciva - ed esce - dall Adda a Cassano e dopo aver distribuito acqua a tutto il Lodigiano rientra nel fiume. Quelle

23 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 23 Particolare del canale Muzza, un opera di impeccabile ingegneria idraulica che da ottocento anni fornisce acqua all intero Lodigiano pergamene non ci sono più, ma i calcoli di quei saggi adacquatori, di cui non possediamo neppure i nomi, ancora oggi dissetano ettari di campi coltivati, attraversando 69 comuni, alimentando 36 canali secondari, che a loro volta danno origine ad una rete di oltre 400 condutture che si estendono per più di chilometri. Giovanni Agnelli, padre di tutti gli storici lodigiani, ai primi del Novecento inneggiava alla Muzza e alle sue rogge «che si diramano in tutto il Lodigiano e si dividono e suddividono intrecciandosi in infinito numero di rivoli, a guisa di sistema venoso, versando 5000 metri cubi d acqua ogni minuto primo irrigandolo in ogni parte. È impossibile valutare lo studio, la fatica, il denaro che ebbero a costare i lavori dei nostri agricoltori per raggiungere questo scopo. Orizzontare, livellare il terreno a seconda del deflusso delle acque; abbassare i rialzi, ricolmare gli avvallamenti, scavare acquedotti, circondare ogni campo di fossati, erigere ponti e quei tanti edifizi idraulici che si incontrano ad ogni passo e destano la meraviglia di tutti». L intreccio d acqua che si dirama dalla Muzza come un immensa ragnatela ha cesellato il panorama del Lodigiano. Ha fatto sorgere decine di centri abitati sulle rive dei canali che hanno preso il nome dall acqua: la Muzza di Milano, la Muzza di Sant Angelo, la Muzza Piacentina. Tanti altri paesi devono il loro nome all acqua. Cavacurta e i Bocchi di Comazzo. Il Tormo di Crespiatica e il Bocchirale di Corte Palasio. Monticelli del Sillaro e Villanova del Sillaro. Brembio e il Brembiolo. Cavenago d Adda e Cervignano

24 24 Ferruccio Pallavera Una donna al pozzo in una località del Lodigiano, negli ultimi anni dell Ottocento d Adda, per distinguere il primo da quello del Brianza e il secondo dalla comunità del Friuli. E il luogo dove l Adda ha la sua bocca, perché sfocia nel Po, che porta ancora oggi quel nome: Castelnuovo Bocca d Adda. Il lodigiano ha avuto schiere di appassionati adacquatori (i daquadù) che per secoli mirabilmente si sono presi cura della distribuzione dell acqua regolata da mille paratoie, incastri, chiaviche, ponti e canali. Acqua per allagare le risaie, per far muovere le ruote dei mulini, per alimentare i guadi delle rogge dove venivano portate le vacche all abbeverata, per formare i laghetti da cui ricavare in inverno i lastroni gelati con i quali imbottire fino all orlo le ghiacciaie. Acqua per riempire i lavatori pubblici dove le donne il lunedì facevano bucato. Il canale Muzza è veramente un custode per questo territorio, un monumento idraulico al quale tutti i lodigiani e i lombardi devono portare rispetto e riconoscenza, un opera memorabile costruita con l acqua. Un patrimonio che è intrecciato e incarnato nella storia del Lodigiano. L acqua costituisce una ricchezza che non può essere inquinata, dissipata, vilipesa. È quest ultimo aspetto che affrontiamo in particolare nel libro che state leggendo, che intende essere un inno all acqua, e vuol testimoniare come unendo la scienza moderna alle tecnologie del futuro si può lavorare per salvare il pianeta Terra. Partendo proprio dall acqua. Ferruccio Pallavera

25 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 25 CAPITOLO UNO Pozzi senz acqua potabile e case senza latrine Le condizioni igieniche di Lodi nella seconda metà dell Ottocento lasciavano molto a desiderare. In città si registravano focolai epidemici di vaiolo, non sporadici ma continuamente ripetuti; i casi più numerosi si verificarono nel 1863, altri contemporaneamente all epidemia di colera del 1884, esplosero poi in una vera epidemia nel 1870 e nel La presenza del vaiolo fu continuativa, con una decina di pazienti l anno, fino al Da parte delle autorità sanitarie e degli amministratori pubblici c era la consapevolezza che a favorire il diffondersi delle malattie erano tre fattori: la scarsa igiene che caratterizzava la città, l assenza di una rete fognaria e il pessimo approvvigionamento dell acqua potabile. Si approfondì anzitutto il tema dell acqua potabile, ma fu solo nel 1871 che il comune approvò un regolamento d igiene nel quale si prescriveva che Non è permesso usare di un nuovo pozzo d acqua potabile, e di riattivarne uno da lungo tempo chiuso, se non venne l acqua esperimentata dalla commissione municipale di sanità e dalla medesima autorizzato l uso 2. Trascorsero altri dieci anni prima di affrontare di petto il problema. Nel 1881 una relazione fatta predisporre dal comune segnalava che a pochi metri di profondità dalla superficie del suolo si incontra un terreno permeabile, che si presta a meraviglia all estrazione di abbondante copia di acqua potabile ma la qualità di quest ultima variava tra la città alta e la città bassa. C era poi il fatto che all interno della città le acque subiscono, dal punto di vista sanitario, un grande deterioramento. La poca profondità dei pozzi, la vicinanza di latrine, cisterne e colatoi di acque immonde, la permeabilità del terreno, la cattiva costruzione dei ricettacoli delle materie corrotte danno sufficiente ragione di una deplorata situazione 3. Quanto fossero precarie le condizioni dell acqua potabile a Lodi è testimoniato dal fatto che nel 1884 ben 24 pozzi su 30 risultavano inquinati e pericolosi. Un anno dopo, nel 1885, addirittura il consiglio medico dell Ospedale Maggiore lamentava le scarse condizioni igieniche del nosocomio, dovute alla mancanza di un sistema di smaltimento dei rifiuti organici 4. In quello stesso anno la commissione incaricata di esaminare la situazione di Lodi forniva un panorama raccapricciante: Le condizioni igieniche della Città, sibbene siano dichiarate discrete, possono essere di assai migliorate. La mortalità si verifica qui in una proporzione assai riflessibile e molto maggiore che non in altre e più popolose città. La 1. Marco Magrini, Medicina e sanità, in Lodi. La storia. Dalle origini al Lodi, 1989, Banca Popolare di Lodi, p Regolamento di igiene pubblica per la città di Lodi approvato dal consiglio municipale colla deliberazione 14 settembre 1871, Lodi 1872, Società Cooperativo Tipografia. 3. Lodi si alimentava attraverso una trentina di pozzi, pubblici e privati. Nella stragrande maggioranza dei casi l acqua era limpida, incolora e di buon sapore, ma tra i pozzi privati ce n erano anche quelli da cui si estraeva acqua gialliccia, torbida e nauseabonda (Le acque potabili della città di Lodi con nozioni intorno alla scelta delle acque potabili ed alla interpretazione dei risultati analitici, Lodi 1881, Tipografia Costantino Dell Avo). 4. Marco Magrini, Medicina e sanità, come nota 1, p. 365.

26 26 Ferruccio Pallavera Le caratteristiche trombe dell acqua che pullulavano in buona parte dei cortili delle città, dei paesi e delle cascine del Lodigiano assicuravano un alimento insostituibile che non sempre era di ottima qualità. Spesso pescavano a scarse profondità e l acqua era inquinata dalle falde prossime alle concimaie e alle latrine. In alcuni vecchi cascinali (come nella foto in basso a sinistra) agli inizi del Novecento sopravvivevano ancora gli storici pozzi

27 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 27 scrofola, il gozzo, la pellagra sono abbastanza diffuse, massime nelle classi popolari. Malattie di carattere infettivo hanno infierito in città. E ancora, circa la città bassa: Quasi sempre accade di vedere nelle corti di case luride, mal riparate e puzzolenti latrine, vasche da letame senza coperchio e ammalorate, scale e pianerottoli mal connessi e poco solidi, ambienti di pian terreno umidi, male illuminati e peggio arieggiati 5. I PRIMI PROGETTI AVVIATI A LODI Le amministrazioni comunali che si succedettero negli ultimi vent anni dell Ottocento vissero con il terrore di essere costrette ad affrontare improvvise epidemie di colera che, in quelle degradate situazioni abitative, avrebbero avuto un risultato devastante. Fu soprattutto per questo motivo che alcuni tecnici vennero incaricati di predisporre studi finalizzati a rifornire Lodi di una condutture d acqua potabile che potesse sostituirsi a quella dei pozzi privati. Solo dopo ci si sarebbe occupati della rete fognaria. Il progetto di incanalare una sorgente dalla Valle Seriana - La prima proposta per rifornire Lodi di acqua potabile fu identica a quella messa a punto dall impero romano per le proprie città: individuare sorgenti abbondanti, incanalarle e attraverso l utilizzo di acquedotti appositamente costruiti, trasportarle per decine di chilometri nel luogo prefissato. Lodi - si leggeva in un progetto di Carlo Besana pubblicato nel potrebbe derivare buone acque dalle nostre prealpi che sono ricchissime di polle perenni d acqua potabile salubre. Trattandosi di fornire un migliaio di metri cubi d acqua al giorno o poco più, si potrebbero trovare sorgenti da acquistarsi da privati evitando contrasti; una sorgente in Valseriana sufficiente allo scopo sarebbe già a disposizione di Lodi quando volesse acquistarsela. A tale proposito fu lanciata l idea di costituire un Consorzio per la condotta di acqua potabile dalla Valseriana a Lodi 6. L ipotesi fallì. Il problema non fu tanto l individuare sorgenti ricche d acqua, quanto il trasporto del loro contenuto fino a Lodi. La spesa di una canalizzazione così distante e gli ostacoli geografici da superare (strade, ponti, canali irrigui) si sarebbe rivelata ingentissima. La ricerca di sorgenti più vicine e sufficientemente abbondanti d acqua in grado di dissetare la città di Lodi non portò a risultati positivi. Al di sotto di Cassano d Adda - scrissero al comune di Lodi i tecnici incaricati - sembra impossibile trovar sorgenti da condurre a Lodi sotto pressione sufficiente per salire ai piani superiori; condurre acqua di sorgente in una vasca di raccolta, e da questa innalzarla in un serbatoio di carico, parve pure provvedimento non consigliabile 7. L acquedotto dentro il torrione del Castello - Il comune di Lodi nel 1896 fece scavare un pozzo artesiano sperimentale in un area di proprietà comunale, situata a tramontana 5. Relazione della Commissione Speciale incaricata dello studio sulle condizioni sanitarie della Città di Lodi, Lodi 1885, in Archivio Storico Comunale, c.345, f Continuava l articolo: In tal modo la nostra città, appunto perché piccola, può schivare una difficoltà che da più anni tien ferma la questione dell acqua potabile nella vicina Milano. Infatti gli utenti del Brembo non avrebbero fatta così energica opposizione ad una condotta di millimetri cubi d acqua al giorno, mentre con ogni forza cercano di impedire che il loro fiume venga diminuito di metri cubi al giorno (Condotta d acqua potabile per la città di Lodi, in Fanfulla da Lodi, 12 marzo 1887). 7. In quegli anni anche Milano abbandonò il suo progetto di trasportare in città una grande conduttura d acqua potabile incanalata in balle Brembana.

28 28 Ferruccio Pallavera Nel 1907 l amministrazione comunale di Lodi deliberò di far scavare i primi pozzi dell acqua potabile in prossimità del vecchio castello. A tale scopo il moncone che rimaneva dell antico torrione (in alto, a sinistra) fu sopraelevato con una nuova torre (in alto a destra) destinata a contenere al suo interno l acquedotto. Ulteriori pozzi vennero poi trivellati poco distante, nell area dell Isola Carolina (in basso)

29 La civiltà dell acqua nel Lodigiano 29 Un impianto ormai obsoleto risalente all inizio del Novecento interno allo storico acquedotto di Lodi del Castello. Era una lista di terra in quegli anni chiamata Siberia e oggi Isola Carolina. Da quel primo tubo, affondato a più di 150 metri sotto il livello del suolo, sgorgò acqua buona 8. La municipalità incaricò a quel punto l ingegner Gino Soncini, capo ufficio tecnico comunale, di studiare il problema. Soncini calcolò che Lodi aveva bisogno di 1200 litri d acqua potabile al giorno e che un tale quantitativo si poteva ottenere solo con lo scavo di nuovi pozzi, il primo sull area dei vecchi giardini pubblici e gli altri in località Siberia. L acqua sarebbe stata pompata all interno di un capiente serbatoio da costruirsi sopra il torrione del castello. Il 25 aprile 1905 il comune di Lodi deliberò all unanimità la spesa di lire per rialzare il moncone che caratterizzava l antico torrione del castello, con l edificazione di un nuovo manufatto che all esterno avesse le fattezze di una torre medioevale e all interno contenesse il serbatoio dell acquedotto, l impianto elettrico e una pompa per l innalzamento dell acqua: Coll esecuzione delle opere - scrissero i giornali del tempo - sarà possibile iniziare subito la distribuzione dell acqua potabile a domicilio, anche ai piani superiori, usando delle tubazioni ora in opera per le fontane pubbliche, fino a che le aumentate richieste renderanno necessaria la costruzione graduale della nuova rete di tubazione con diametri maggiori L acqua che usciva dal pozzo forniva un litro al minuto secondo; defluiva in una vasca di raccolta e da questa era innalzata fino a un serbatoio allestito nel cortiletto del Castello; da questo partiva un tubo metallico che alimentava le fontanelle pubbliche, le scuole comunali e la caserma della cavalleria (Acqua potabile, in Fanfulla da Lodi, 27 febbraio 1904). Vedere anche Il servizio dell acqua potabile. Due parole sul nuovo pozzo, in Corriere dell Adda, 21 luglio La perforazione di detto pozzo ha dato risultati soddisfacentissimi. Essa fu spinta fino a metri 126,50. Lo strato acquifero di acqua buona ed abbondante si manifestò alla profondità di metri 122,50. Assicurata la fornitura dell acqua, l amministrazione comunale si occupò subito del modo più sollecito di goderla. Di qui la proposta dell immediata costruzione del grande serbatoio di carico, da collocarsi sul torrione del castello debitamente innalzato, e dell esecuzione dei lavori occorrenti per tradurre allo stesso l acqua del vecchio e del nuovo pozzo (Acqua potabile, in Fanfulla da Lodi, 6 maggio 1905).

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