Licenziamento disciplinare e contestazione dell'illecito

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1 Licenziamento disciplinare e contestazione dell'illecito di Fabio Petracci, Piergiuseppe Parisi Da Guida al Lavoro del n. 8 La pronuncia in esame concerne il caso di un dipendente cui veniva intimato il licenziamento per giusta causa senza preavviso, motivato facendo riferimento in maniera del tutto generica a pregresse contestazioni disciplinari e sul presupposto che in forza di esse sarebbe venuto meno il rapporto di affidabilità e fiducia che connota il rapporto di lavoro. Nell'accogliere il ricorso, il Tribunale di Pordenone altro non fa che ribadire il consolidato principio giurisprudenziale in base al quale i provvedimenti disciplinari, ivi compreso il licenziamento disciplinare, devono essere preceduti da idonea e dettagliata contestazione tale da permettere al lavoratore di esprimere le proprie difese. La norma oggetto d'esame è l'art. 7, St. Lav. che predispone una serie di tutele a presidio dei diritti del lavoratore, a fronte del potere disciplinare del datore. Le disposizioni di legge contenute nel citato articolo 7 trovano applicazione anche al licenziamento disciplinare, come si è premurata di precisare la Cassazione, secondo la quale "al licenziamento disciplinare sono in ogni caso applicabili (derivandone, in mancanza, la nullità del licenziamento stesso) non solo le regole procedimentali stabilite dai primi tre commi dell'art. 7 St. Lav. (intesa la disposizione del comma 2 nel senso che la contestazione debba rivestire forma scritta) ma benché non abbia formato oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 204/1982, riferitasi solo ai primi tre commi predetti anche il precetto del comma 5 dello stesso articolo (secondo cui i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa), tenuto conto che tale norma risponde (salvo comunque più favorevoli clausole della disciplina collettiva) all'esigenza considerata anche dalla sentenza costituzionale n. 427/1989 di consentire al lavoratore di difendersi adeguatamente" (Cass., sez. lav., n /1992). Peraltro, la Corte di cassazione, richiamando una precedente pronuncia della Corte costituzionale (n. 427/ 1989), ha avuto modo di sottolineare l'ancoraggio costituzionale delle disposizioni contenute nell'art. 7 St. Lav., affermando che, in tema di applicabilità delle garanzie procedurali ivi contenute ai dirigenti, la procedura garantistica 1

2 relativa alla contestazione degli addebiti prima della intimazione di un licenziamento disciplinare, prevista dall'art. 7 St. lav., trova applicazione anche nei confronti dei dirigenti, dovendo le disposizione di tale articolo essere interpretate, in funzione di un adeguamento della normativa ai principi dettati dalla Costituzione, [...] principi di civiltà giuridica ed esigenze di parità di trattamento garantite dall'articolo 3 della Costituzione richiedono l'applicazione al licenziamento disciplinare, massima delle sanzioni disciplinari, le garanzie previste dall'art. 7, St. lav." (Cass., sez. lav., n. 1641/1995). Al di là dei profili specifici che hanno determinato quest'ultimo intervento della Suprema Corte, và, a parere di chi scrive, rilevato l'aggancio costituzionale all'art. 3, e dunque al principio di eguaglianza, e all'esigenza di consentire a chiunque di poter esercitare il proprio diritto di difesa. Ancora, sempre la giurisprudenza di legittimità afferma che "per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 204/1982, le garanzie procedimentali previste dai commi 1 e 3 dell'art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300 devono applicarsi a qualsiasi tipo di licenziamento ontologicamente disciplinare" (Cass., sez. lav., n. 2414/1995). Si tratta, nello specifico, di garanzie che tutelano il lavoratore nel senso di consentirgli una previa conoscenza dell'illecito disciplinare, nei suoi contorni astratti, nonché in quello di permettergli una effettiva difesa, quando gli venga contestato l'illecito. Giocoforza, dovranno applicarsi anche le ulteriori tutele previste dai commi 2 e 5 dell'art. 7, imponendo queste al datore di lavoro la previa, tempestiva e specifica contestazione dell'illecito alla base dell'irrogazione del provvedimento disciplinare. E, d'altra parte, diversamente non potrebbe essere. Come potrebbe, infatti, un lavoratore difendersi dinnanzi ad una contestazione formulata genericamente e tardivamente? A maggior ragione, laddove il provvedimento disciplinare assuma i contorni del licenziamento. Ma quali sono le conseguenze giuridiche di un licenziamento intimato in spregio alle regole procedurali contenute nell'articolo 7? Secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, cui anche il giudice pordenonese si conforma, il licenziamento ontologicamente disciplinare, adottato in spregio alle regole racchiuse nell'art. 7 St. lav., sarebbe ingiustificato e quindi illegittimo (Cass., sez. lav., n /2004 e n /2000), diversamente a quanto in passato aveva già sostenuto, anche se in maniera non costante, la stessa Cassazione che riconduceva il licenziamento disciplinare intimato in violazione 2

3 delle norme procedurali di cui all'art. 7 legge n. 300/1970 nell'alveo della nullità (in senso conforme si veda Cass., sez. lav., n. 9390/1993; in senso difforme Cass., sez. lav., n. 2596/1993). Con la recente "riforma Fornero", legge n. 92/2012, si è, peraltro, modificato il regime di tutela previsto dall'art. 18 St. lav., nell'eventualità di un licenziamento disciplinare adottato in violazione delle disposizione contenute nell'art. 7 dello statuto, ovverosia, come si è appena fatto notare, un licenziamento illegittimo per violazione delle garanzie procedurali. In tal caso, infatti, l'articolo 18, al suo comma 6, dispone che "nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione [...] della procedura di cui all'art. 7 della presente legge [...] si applica il regime di cui al quinto comma", ossia "il giudice [...] dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva", ma differentemente determinata rispetto al comma 5. Infatti, nel caso disciplinato dal comma 6, tale indennità viene "determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento", ed in quest'ultima ipotesi si applicherà la più grave sanzione eventualmente determinata. In altre parole, rispetto alla situazione previgente rispetto alla novella legislativa del 2012, viene a mancare la reintegra del lavoratore sul posto di lavoro e viene drasticamente ridimensionata l'indennità risarcitoria, ponendo un limite massimo di dodici mesi. --- Tribunale di Pordenone 29 maggio 2013 Giud. Riccio Cobucci; Ric. GB; Res. J.P. Srl Licenziamento disciplinare - Contestazione ex articolo 7, comma 5, legge n. 300/ Specificità della contestazione - Anteriorità della contestazione rispetto al licenziamento 3

4 La validità del licenziamento disciplinare è subordinata alla tempestività e specificità della contestazione, nonché alla previa contestazione quale garanzia della possibilità di difesa del lavoratore. Nota - La pronuncia in esame concerne il caso di un dipendente cui veniva intimato il licenziamento per giusta causa senza preavviso, motivato facendo riferimento in maniera del tutto generica a pregresse contestazioni disciplinari e sul presupposto che in forza di esse sarebbe venuto meno il rapporto di affidabilità e fiducia che connota il rapporto di lavoro. Nell'accogliere il ricorso, il Tribunale di Pordenone altro non fa che ribadire il consolidato principio giurisprudenziale in base al quale i provvedimenti disciplinari, ivi compreso il licenziamento disciplinare, devono essere preceduti da idonea e dettagliata contestazione tale da permettere al lavoratore di esprimere le proprie difese. La norma oggetto d'esame è l'art. 7, St. Lav. che predispone una serie di tutele a presidio dei diritti del lavoratore, a fronte del potere disciplinare del datore. Le disposizioni di legge contenute nel citato articolo 7 trovano applicazione anche al licenziamento disciplinare, come si è premurata di precisare la Cassazione, secondo la quale "al licenziamento disciplinare sono in ogni caso applicabili (derivandone, in mancanza, la nullità del licenziamento stesso) non solo le regole procedimentali stabilite dai primi tre commi dell'art. 7 St. Lav. (intesa la disposizione del comma 2 nel senso che la contestazione debba rivestire forma scritta) ma benché non abbia formato oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 204/1982, riferitasi solo ai primi tre commi predetti anche il precetto del comma 5 dello stesso articolo (secondo cui i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa), tenuto conto che tale norma risponde (salvo comunque più favorevoli clausole della disciplina collettiva) all'esigenza considerata anche dalla sentenza costituzionale n. 427/1989 di consentire al lavoratore di difendersi adeguatamente" (Cass., sez. lav., n /1992). Peraltro, la Corte di cassazione, richiamando una precedente pronuncia della Corte costituzionale (n. 427/ 1989), ha avuto modo di sottolineare l'ancoraggio costituzionale delle disposizioni contenute nell'art. 7 St. Lav., affermando che, in tema di applicabilità delle garanzie procedurali ivi contenute ai dirigenti, la procedura garantistica relativa alla contestazione degli addebiti prima della intimazione di un licenziamento disciplinare, prevista dall'art. 7 St. lav., trova applicazione anche nei confronti dei dirigenti, dovendo le disposizione di tale articolo essere interpretate, in funzione di un adeguamento 4

5 della normativa ai principi dettati dalla Costituzione, [...] principi di civiltà giuridica ed esigenze di parità di trattamento garantite dall'articolo 3 della Costituzione richiedono l'applicazione al licenziamento disciplinare, massima delle sanzioni disciplinari, le garanzie previste dall'art. 7, St. lav." (Cass., sez. lav., n. 1641/1995). Al di là dei profili specifici che hanno determinato quest'ultimo intervento della Suprema Corte, và, a parere di chi scrive, rilevato l'aggancio costituzionale all'art. 3, e dunque al principio di eguaglianza, e all'esigenza di consentire a chiunque di poter esercitare il proprio diritto di difesa. Ancora, sempre la giurisprudenza di legittimità afferma che "per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 204/1982, le garanzie procedimentali previste dai commi 1 e 3 dell'art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300 devono applicarsi a qualsiasi tipo di licenziamento ontologicamente disciplinare" (Cass., sez. lav., n. 2414/1995). Si tratta, nello specifico, di garanzie che tutelano il lavoratore nel senso di consentirgli una previa conoscenza dell'illecito disciplinare, nei suoi contorni astratti, nonché in quello di permettergli una effettiva difesa, quando gli venga contestato l'illecito. Giocoforza, dovranno applicarsi anche le ulteriori tutele previste dai commi 2 e 5 dell'art. 7, imponendo queste al datore di lavoro la previa, tempestiva e specifica contestazione dell'illecito alla base dell'irrogazione del provvedimento disciplinare. E, d'altra parte, diversamente non potrebbe essere. Come potrebbe, infatti, un lavoratore difendersi dinnanzi ad una contestazione formulata genericamente e tardivamente? A maggior ragione, laddove il provvedimento disciplinare assuma i contorni del licenziamento. Ma quali sono le conseguenze giuridiche di un licenziamento intimato in spregio alle regole procedurali contenute nell'articolo 7? Secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, cui anche il giudice pordenonese si conforma, il licenziamento ontologicamente disciplinare, adottato in spregio alle regole racchiuse nell'art. 7 St. lav., sarebbe ingiustificato e quindi illegittimo (Cass., sez. lav., n /2004 e n /2000), diversamente a quanto in passato aveva già sostenuto, anche se in maniera non costante, la stessa Cassazione che riconduceva il licenziamento disciplinare intimato in violazione delle norme procedurali di cui all'art. 7 legge n. 300/1970 nell'alveo della nullità (in senso conforme si veda Cass., sez. lav., n. 9390/1993; in senso difforme Cass., sez. lav., n. 2596/1993). Con la recente "riforma Fornero", legge n. 92/2012, si è, peraltro, modificato il regime di tutela previsto dall'art. 18 St. lav., nell'eventualità di un licenziamento disciplinare adottato in violazione delle disposizione contenute nell'art. 7 dello statuto, ovverosia, come si è 5

6 appena fatto notare, un licenziamento illegittimo per violazione delle garanzie procedurali. In tal caso, infatti, l'articolo 18, al suo comma 6, dispone che "nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione [...] della procedura di cui all'art. 7 della presente legge [...] si applica il regime di cui al quinto comma", ossia "il giudice [...] dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria omnicomprensiva", ma differentemente determinata rispetto al comma 5. Infatti, nel caso disciplinato dal comma 6, tale indennità viene "determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento", ed in quest'ultima ipotesi si applicherà la più grave sanzione eventualmente determinata. In altre parole, rispetto alla situazione previgente rispetto alla novella legislativa del 2012, viene a mancare la reintegra del lavoratore sul posto di lavoro e viene drasticamente ridimensionata l'indennità risarcitoria, ponendo un limite massimo di dodici mesi. 6

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