Corte di Cassazione - copia non ufficiale
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- Modesto Pippi
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1 Penale Sent. Sez. 1 Num Anno 2015 Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA Data Udienza: 27/01/2015 SENTENZA sul ricorso proposto da Tafa Evis, nato il 3/05/1983 a Elbasan (Albania), avverso l'ordinanza del 3/07/2014 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Piacenza; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Aurelio Galasso, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso. RILEVATO IN FATTO 1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Piacenza, in funzione di giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 3 luglio 2014, ha respinto l'istanza avanzata da Tafa Evis, diretta ad ottenere la sospensione dell'ordine di esecuzione emesso nei suoi confronti dal Procuratore della Repubblica di Piacenza, a seguito del decreto di inammissibilità delle misure alternative richieste (affidamento in prova al servizio sociale o, in subordine, detenzione domiciliare), emesso de plano dal Presidente del Tribunale di sorveglianza di
2 Bologna, ai sensi dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., in data 13 giugno A sostegno della decisione il Giudice dell'esecuzione ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cassazione e, segnatamente, la sentenza n del 2008, statuente la legittima emissione dell'ordine di esecuzione da parte del pubblico ministero, previa immediata revoca del decreto di sospensione, non solo nel caso in cui l'istanza di ammissione del condannato a misure alternative alla detenzione in carcere sia respinta, ma anche in quello in cui sia dichiarata inammissibile dal presidente del tribunale con provvedimento emesso de plano. 2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Tafa tramite il difensore, avvocato Ilaria Crema del foro di Brescia, che deduce violazione di norma processuale per erronea applicazione dell'art. 666, comma 7, cod. proc. pen., in relazione al comma 2 dello stesso articolo. La norma citata precluderebbe la sospensione dell'esecuzione, in deroga alla disposizione generale di cui all'art. 588, comma 1, cod. proc. pen., solo nel caso di ordinanze pronunciate dal tribunale di sorveglianza come da testuali disposizioni di cui all'art. 666, commi 6 e 7, cod. proc. pen., in tema di procedimento di esecuzione, cui rinvia l'art. 678 dello stesso codice per la disciplina del procedimento di sorveglianza, e non anche nel caso di decreto di inammissibilità emesso, in sede esecutiva, dal giudice o dal presidente del collegio a norma dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., cui corrisponde l'analogo decreto del presidente del tribunale di sorveglianza. E ciò per l'espresso riferimento alla sola "ordinanza" come ostativa alla sospensione dell'esecuzione, salvo che il giudice emittente disponga diversamente, operato dal comma 7 dello stesso art. 666, senza trascurare la differenza tra decreto e ordinanza posta dall'art. 125 cod. proc. pen., e l'adozione del primo de plano mentre la seconda suppone il previo contraddittorio delle parti, donde la ragionevole esclusione della sospensione dell'esecuzione della sola ordinanza e non anche del decreto di inammissibilità. 3. Il Procuratore generale, nella requisitoria depositata il 18 settembre 2014, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza del motivo, sulla base dell'art. 656, comma 8, cod. proc. pen., che, in caso di dichiarata inammissibilità della richiesta di ammissione a misure alternative, così come nel caso di rigetto di essa, espressamente prevede la revoca del decreto di sospensione dell'esecuzione e l'emissione dell'ordine di 2
3 esecuzione; l'art. 666, comma 7, cod. proc. pen., inoltre, avrebbe una portata generale e non distinguerebbe tra decreti e ordinanze nel prevedere l'immediata esecutività di tutti i provvedimenti adottati dal giudice dell'esecuzione e, conseguentemente, anche dei provvedimenti del presidente del tribunale di sorveglianza. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. Premesso che il provvedimento di inammissibilità di cui si contesta l'immediata esecutività è stato emesso dal presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna, a norma dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., la tesi del ricorrente, fondata su risalente giurisprudenza di legittimità (sent. n del 1997, Rv e n del 1998, Rv ), risulta superata dalla giurisprudenza formatasi successivamente alla sostituzione dell'art. 656 cod. proc. pen., ad opera della legge 27 maggio 1998, n. 165, art. 1. Il ricorrente confonde la sospendibilità della decisione del tribunale di sorveglianza, che abbia dichiarato l'inammissibilità di misure alternative alla detenzione, con la possibilità di sospendere l'ordine di esecuzione della condanna emesso dal pubblico ministero, e non considera la chiara disposizione di cui all'art. 656, comma 8, cod. proc. pen., che espressamente prevede, nel caso di declaratoria di inammissibilità come in quello di rigetto delle misure alternative alla detenzione richieste dal condannato, la revoca immediata del decreto di sospensione dell'esecuzione da parte del pubblico ministero. Si richiama, a conforto della tesi qui sostenuta, la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la revoca immediata del provvedimento di sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 656, comma 8, cod. proc. pen., va disposta anche se l'inammissibilità dell'istanza del condannato sia dichiarata con decreto emesso "de plano" dal presidente del tribunale di sorveglianza, la cui efficacia non è scalfita dalla circostanza che contro di esso sia stato proposto ricorso per cassazione, dal momento che quest'ultimo non sospende l'esecuzione del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 356 del 18/01/2000, dep. 04/03/2000, Cerri, Rv ). Tutti i rilievi difensivi sono stati, peraltro, già considerati e superati con motivazione pienamente condivisa dal collegio nel precedente giurisprudenziale addotto a fondamento della tesi accolta nel provvedimento impugnato (Sez. 1, n del 04/12/2008, dep. 18/12/2008, Cazzaniga, Rv ). In esso, pur riconoscendosi all'art. 588, comma 1, cod. proc. pen., secondo cui durante i 3
4 termini per impugnare e fino all'esito del giudizio di impugnazione l'esecuzione del provvedimento è sospesa salvo che la legge disponga altrimenti, una portata di carattere generale non limitata ai soli procedimenti di cognizione, pur tuttavia, con specifico riguardo all'ordine di carcerazione emesso dal pubblico ministero in esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva, si richiama l'autonoma disciplina dettata dal legislatore nell'art. 656 cod. proc. pen. che, nel tempo, si è arricchito di nuovi commi (v. legge 27/05/1998, n. 165, art. 1, cit.; legge 19/01/2001, n. 4, di conversione del d.l. 24/11/2000, n. 341; legge 5/12/2005, n. 251; legge 21/02/2006, n. 49, di conversione del d.l. 30/12/2005, n. 272; legge 24/07/2008, n. 125, di conversione del d.l. 23/05/2008, n. 92; legge 9/08/2013, n. 94, di conversione del d.l. 1 /07/2013, n. 78), al fine di garantire, da un lato, l'esigenza di sospendere l'esecuzione della pena per i reati non particolarmente allarmanti e per i soggetti non pericolosi che potrebbero essere ammessi alle misure alternative, ma anche, da altro lato, di impedire condotte dilatorie da parte del condannato che abbia già proposto la stessa istanza ovvero altra istanza per la medesima misura diversamente motivata o per altra misura (comma 7), o che proponga l'istanza fuori termine o avanzi una richiesta dichiarata inammissibile o respinta dal tribunale di sorveglianza (comma 8). Per tali ultimi casi (e, cioè, quando il tribunale di sorveglianza abbia dichiarato inammissibile o respinto l'istanza di misure alternative) è espressamente previsto che il pubblico ministero proceda alla revoca immediata del decreto di sospensione dell'esecuzione, senza eccezione per i casi di inammissibilità nnonocraticannente rilevata dal presidente del tribunale con decreto, il che vuoi dire che il pubblico ministero non deve attendere il decorso del termine per l'eventuale impugnazione da parte dell'interessato e che, comunque, la successiva impugnazione non comporta il venire meno della revoca già disposta, poiché la specificità della disciplina deroga anche alla previsione dell'art. 666 cod. proc. pen., comma 7. D'altronde, stante la ratio della disposizione, è di tutta evidenza che il legislatore abbia voluto che la revoca immediata della sospensione riguardasse soprattutto i casi di inammissibilità dell'istanza di misure alternative e, cioè, i casi in cui la domanda si riveli pretestuosa e dettata soltanto da finalità dilatorie. Tale autonoma e completa disciplina derogatoria è giustificata dalla specificità della materia ed è fra l'altro prevista dall'art. 588 cod. proc. pen., comma 1, laddove fa salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti. In sintesi può, dunque, riaffermarsi il seguente principio di diritto: in tema di esecuzione di pene detentive, a norma dell'art. 656, comma 8, cod. proc. pen., il 4
5 pubblico ministero è tenuto a revocare immediatamente il decreto di sospensione dell'esecuzione, disposta ai sensi del precedente comma 5 dello stesso articolo, in tutti i casi nei quali la domanda di misure alternative, proposta dal condannato, sia stata dichiarata inammissibile o respinta dal tribunale di sorveglianza, e, in particolare, anche nel caso di inammissibilità dichiarata con decreto del presidente del tribunale di sorveglianza, a norma dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., cui rinvia l'art. 678 cod. proc. pen., restando esclusa, in quest'ultimo caso, la sospensione dell'esecuzione del provvedimento presidenziale di inammissibilità e la conseguente preclusione alla revoca del decreto del pubblico ministero di sospensione dell'esecuzione. 2. Alla luce delle osservazioni che precedono, il ricorso va dunque rigettato con la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 27 gennaio 2015.
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