IL MIRACOLO DELLA FEDE

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1 IL MIRACOLO DELLA FEDE Martedì della Parola Lectio biblica su Luca 7,1-10 Caltanissetta Cappella Maggiore del Seminario Vescovile 4 dicembre Quando ebbe terminato di rivolgere tutte queste parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafarnao. 2 Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l aveva molto caro. 3 Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. 4 Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: «Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, 5 perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga». 6 Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; 7 per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. 8 Anch io infatti sono uomo sottoposto a un autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all uno: Và ed e- gli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa questo, ed egli lo fa». 9 All udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». 10 E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito. 1. Peculiarità e suggestioni del testo Questo racconto del vangelo secondo Luca non è così semplice come può sembrare ad una veloce superficiale lettura. Tante sono le stranezze e le difficoltà da renderlo complesso e addirittura unico, anche nella sua articolazione letteraria e narrativa. Ad una prima lettura sembra che si tratti di un miracolo di guarigione compiuto da Gesù grazie ad una duplice forza: il potere della sua divina efficace Parola e il potere della fede del centurione romano. Eppure a me pare che il racconto non dica questo, o meglio, dica molto di più, proprio a partire da tre suggestioni contenute nel testo stesso. MONITORE DIOCESANO 4,

2 ATTI DEL VESCOVO Lectio - Innanzitutto fra l ammalato, servo di un centurione romano, e il guaritore Gesù non c è né scambio di parola né incontro alcuno. Eppure la guarigione avviene, anche se Luca la pone come semplice constatazione alla fine del racconto. Anche nel caso della donna cananea, che invoca con insistenza l intervento miracoloso di Gesù per la figlia ammalata, notiamo la stessa cosa, cioè un miracolo di Gesù compiuto in assenza di Gesù (Mt 15,21-28). - Diversamente dal caso della donna cananea, però, nel nostro racconto non c è neppure l incontro fra l intercessore e il guaritore, cioè fra il centurione romano e Gesù. - Nel nostro racconto c è un altro particolare importante da notare. Il centurione manda a dire a Gesù: «Comanda con una parola e il mio servo sarà guarito» (Lc 7,7). Ma se leggiamo bene il testo, Gesù questa parola non la pronuncia affatto. Non dice come in altri casi: «Lo voglio, sii guarito», oppure: «Va in pace, sia fatto come desideri». Qui abbiamo la totale assenza di parola guaritrice da parte di Gesù. Quando Lui apre la bocca è solo per constatare una verità ignorata dagli altri: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande» (Lc 7,9). Allora tutto avviene senza l incontro fra Gesù e l ammalato; senza l incontro fra Gesù e il centurione; senza alcuna parola di guarigione pronunciata da Gesù. Eppure l ammalato viene guarito e il centurione pagano viene additato come uomo dalla fede grande più di tutti i credenti ebrei. Forse è proprio in questa senza la forza della fede, e il miracolo si verifica in assenza di Gesù e della sua Parola; anzi, il miracolo germoglia tutto nella fede straordinaria del centurione fondata sulla forza della Parola non detta dell Uomo delle Beatitudini. In fondo è proprio il centurione a compiere quel miracolo di fede, di cui Gesù parlerà più avanti ai suoi apostoli increduli: «Se aveste fede quanto un granellino di senape potreste dire a questo gelso: sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe» (Lc 17,6). 676 MONITORE DIOCESANO 4, 2012

3 Il miracolo della fede 2. L esperienza della Parola Entriamo ora dentro la trama narrativa del testo. Luca colloca questo primo miracolo subito dopo il cosiddetto discorso della pianura (Lc 6,17-49), nel quale Gesù ha proclamato beati i poveri, gli affamati, i piangenti, i perseguitati. In quel discorso il Signore ha anche ordinato di amare i nemici, porgere l altra guancia, fare del bene senza sperarne nulla, perdonare ed essere misericordiosi come il Padre celeste. Ebbene, tutte queste parole divengono ora esperienza e testimonianza credibile in Gesù, che si mette in cammino verso la casa di un centurione romano, espressione dell oppressione del potere dominante, straniero non credente perché non appartenente al popolo eletto di Israele. Nella versione italiana il racconto lucano comincia così: «Quando ebbe terminato di rivolgere tutte queste parole al popolo che ascoltava» (Lc 7,1). Nell originale greco invece abbiamo: «Eplèrosen panta ta rèmata autou eis tas akoàs tou laou», cioè «quando si compirono o arrivarono a pienezza tutte queste parole-eventi-esperienze (remata) dentro le orecchie del popolo». Le parole di Gesù si compiono dentro l orecchio, come il seme si compie dentro la terra, perché come il seme dentro la terra compie le sue potenzialità di seme e fiorisce, germoglia e dà pane, così la Parola seminata nell orecchio si compie nell orecchio, perché l uomo è orecchio, cioè ascolto. E per questo poi capisce, desidera e agisce secondo la Parola che ha dentro. E la parola lo trasforma, in quanto l uomo diventa la parola che ascolta. Gesù compie tutte queste parole che si fanno esperienza già dentro le orecchie. È Lui stesso questa Parola compiuta. Le Beatitudini, infatti, non sono altro che l autobiografia di Gesù: Lui è misericordioso come il Padre, ama i nemici, non condanna ma perdona fino a donare la sua vita per noi. 3. La scena e i personaggi Terminato il discorso della pianura, Gesù entra in Cafarnao, città di confine del piccolo regno di Erode Antipa. A Cafarnao vi è l ufficio doganale, presso il quale lavorava il pubblicano Levi-Matteo, che Gesù chiama fra i suoi MONITORE DIOCESANO 4,

4 ATTI DEL VESCOVO Lectio discepoli (Mc 2,13); vi sono varie piccole aziende familiari dedite alla pesca, come quella di Simone e Andrea, di Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo; vi risiede una guarnigione di soldati comandata da un centurione, che ha alle sue dipendenze una centuria, cioè circa duecento uomini, con la quale presiede il territorio di Cafarnao. Ora «il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l aveva molto caro» (Lc 7,2). È l avviamento della storia. Di questo servo nel racconto si dice che è ammalato e in fase terminale; alla fine lo troviamo risanato. Quattro volte si parla di questo servo: tre volte in bocca al narratore (Lc 7,2.3.10) e una volta nelle parole del centurione riportate dai suoi amici a Gesù (Lc 7,7). Nel testo greco Luca usa due termini differenti: tre volte doulos, cioè schiavo, e una volta pais, cioè figlio. Chi è e cosa rappresenta questo schiavo «molto caro» (Lc 7,2) al centurione, tanto che lo considera come «mio figlio» (Lc 7,7)? Questo schiavo-figlio è figura di ogni uomo, schiavo di chi detiene il potere, schiavo della paura schiavo della vita che è la vera incurabile malattia, anzi, è l unica malattia mortale! E ogni uomo lo sa. Da quando viene messo al mondo, ognuno di noi va prendendo coscienza che sta per finire. La vita è sotto il potere continuo della morte. Quindi siamo tutti schiavi! Ma Gesù è venuto proprio a risanarci da questa malattia mortale. E l unica vera medicina in grado di guarirci davvero è l amore di qualcun altro: un centurione, un gruppo di amici, Gesù con il suo silenzioso venire a noi e con il silenzio dell amore. Allora diventiamo figli, figli molto cari al cuore di Dio, che non è padrone ma Padre di misericordia. Il centurione del nostro racconto è molto diverso dall idea che circolava fra gli ebrei circa i romani: oppressori, crudeli, senza cuore. Il nostro centurionepadrone si presenta con la bontà dell uomo-padre a cui è «molto caro» l altro uomo, fosse pure uno schiavo. Le sue caratteristiche sono fondamentalmente tre: bontà, umiltà, fede. La prima (bontà) gli merita l ammirazione degli ebrei: pur essendo membro del potere romano «ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga» (Lc 7,5). La sua bontà lo porta a farsi carico delle esigenze della società in 678 MONITORE DIOCESANO 4, 2012

5 Il miracolo della fede cui vive, come pure della malattia mortale del suo schiavo da lui considerato come un figlio. La seconda caratteristica (umiltà) viene espressa anche come rispetto e delicatezza. Rispetto per la legge ebraica, che proibiva ad un giudeo di entrare in casa di un pagano per non contrarre impurità. Per questo motivo con delicatezza egli manda da Gesù come intermediari i presbiteri dei giudei. Poi, apprendendo che Gesù ha accolto con benevolenza la sua supplica, manda un gruppo di amici a dirgli: «Signore, non stare a disturbarti, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te» (Lc 7,4). I presbiteri avevano detto a Gesù: «Egli merita che tu gli faccia questa grazia» (Lc 7,4). Il centurione, invece, per due volte dichiara di non meritare alcunché, anzi non si ritiene degno di incontrare Gesù e, a maggior ragione, di riceverlo in casa sua. Eppure ricopre un importante ruolo sociale e militare. Il centurione non usa le sue credenziali per acquistare la simpatia di Gesù, egli s affida unicamente alla compassione e alla misericordia del Signore. L umiltà oggi viene considerata come una debolezza di carattere. E allora bisogna essere presuntuosi, arroganti e autosufficienti per avere successo. Nella nostra società prosperano superbia e arroganza, uomini e donne in carriera e amanti di titoli, gente che cerca sempre di imporsi sugli altri calpestandone la dignità, gente che si mostra sempre superiore agli altri non calcolandoli affatto. L umiltà è una virtù estranea al mondo, mentre è fondamentale per tessere la trama della civiltà dell amore e per entrare nel Regno di Dio. Il centurione può essere definito l uomo delle Beatitudini, anzi il primo uomo che incarna le Beatitudini appena proclamate da Gesù. Pur essendo benestante non è attaccato al denaro, anzi se ne priva per costruire la sinagoga degli ebrei. Pur essendo funzionario del potere dominante, ama quelli che dovrebbero essere suoi nemici. Pur essendo padrone, si affligge per il servo ammalato mostrandosi pieno di compassione e di misericordia, tanto da considerarlo «molto caro mio figlio». La terza caratteristica (fede) del centurione suscita la meraviglia e l ammirazione di Gesù. Lo schiavo-figlio, infatti, viene guarito non per la sua pro- MONITORE DIOCESANO 4,

6 ATTI DEL VESCOVO Lectio pria fede ma per la fede di un altro, per la fede del centurione. Questi, scrive Luca, «avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo» (Lc 7,3). Fides ex auditu dirà S. Paolo, la fede nasce dall ascolto della Parola. Il centurione ha sentito parlare di Gesù e della sua innovativa straordinaria autorevole Parola, pronunciata nel discorso della pianura. Egli crede nella forza della Parola, perché ogni giorno fa esperienza dell autorevolezza della parola umana: «Anch io sono uomo sottoposto ad autorità e ho sotto di me dei soldati; e dico all uno: va ed egli va, e ad un altro: vieni, ed egli viene, e al mio servo: fa questo, ed egli lo fa» (Lc 7,8). Il centurione è uomo di parola! È uomo che pensa, riflette, approfondisce, obbedisce, comanda. E infatti lungo il racconto compie un vero e proprio cammino di fede nella Parola di Gesù. Tutto parte dall aver «udito parlare di Gesù» (Lc 7,3). Allora in un primo tempo manda i presbiteri dei giudei per chiedere a Gesù di venire; poi ripensa al suo modo di agire e manda alcuni suoi a- mici a dire a Gesù di non venire: «Non stare a disturbarti ma comanda con una parola» (Lc 7,6-7). Egli ha fede nella Parola di Gesù che opera anche in assenza di Gesù! E se gli anziani dei giudei chiedono al Signore un miracolo basandosi sulla logica del merito, il centurione afferma con decisione di non meritare nulla. Sì, il centurione in quanto pagano non può andare in chiesa, ma ha costruito una chiesa agli ebrei. Il suo è un dono gratuito e disinteressato, diversamente dagli interessi e dai meriti avanzati dai credenti praticanti ebrei. 4. L umiltà e la fede 4.1. Umiltà e bontà «Signore io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te» (Lc 7,6-7). In duemila anni di storia la Chiesa non ha trovato parole e sentimenti più belli di questi per esprimere l accoglienza immeritata del dono di Gesù. E le parole del centurione pagano sono entrate a buon diritto nella liturgia cristiana, che le po- 680 MONITORE DIOCESANO 4, 2012

7 Il miracolo della fede ne in bocca a tutti i credenti perché le pronuncino prima di ricevere Gesù Eucaristia. «Signore, io non sono degno»: sono parole che esprimono da una parte la verità della condizione umana e dall altra la coscienza di questa verità, che noi chiamiamo umiltà, virtù assai poco conosciuta e frequentata dagli uomini e dalle donne e, ancor più, dai cristiani praticanti. Dice S. Agostino: «(A Dio) vorrei che tu ti sottomettessi con sincera pietà, senza cercare un altra via per raggiungere stabilmente la verità se non quella che fu tracciata da colui il quale, in quanto Dio, ha veduto l infermità dei nostri passi. Ora, questa via è, la prima, l umiltà; la seconda, l umiltà; la terza, l umiltà. E per quante volte tu mi interrogassi, darei sempre questa risposta. Non già che non vi siano precetti da ricordare: ma se l umiltà non precede, accompagna e segue quanto facciamo di bene, come una meta a cui miriamo, un compagno che ci sta al fianco, un giogo che ci tiene sottomessi, appena ci rallegriamo d aver fatto qualcosa di bene, la superbia ce lo strappa di mano». L umiltà è dimensione che qualifica l uomo in sé e nei rapporti con il suo prossimo. È stile di vita, riconoscimento della dignità umana in sé e negli altri, atteggiamento articolato che si nutre di povertà e verità. È cammino di i- dentità, riconoscimento di derivazione. Non è formalismo farisaico, né servilismo carrieristico, né falsa modestia. Non è un modo di comportarsi o di pensare. Non è un abito da indossare dinanzi alle proprie fallimentari pretese di essere altro, né è fuga dalle proprie responsabilità. L umiltà è verità, è riconoscimento di Dio, è accettare e amare la propria fragilità e creaturalità redente. È equilibrio veritativo che scaturisce dall articolazione tra essere a- mati, volersi amati, amare. È liberazione dalla presunzione di sé, dall orgoglio, dalla pretesa di gratificazione e dalla lode. Scrive ancora S. Agostino: «Fu sottomesso all uomo il Creatore dell uomo, poiché apparve come uomo il Liberatore dell uomo. Fu sottomesso all uomo, ma in condizione d uomo, Dio nascosto uomo manifesto, disprezzato come uomo, riconosciuto come Dio: ma riconosciuto solo dopo essere stato disprezzato... Fratelli miei, basterebbe questo a farci capire che Cristo ci ha insegnato l umiltà L umiltà di Cristo dispiace ai superbi: ma se piace a te, cristiano, cerca d imitarla!». MONITORE DIOCESANO 4,

8 ATTI DEL VESCOVO Lectio Il centurione vive questa umiltà associandovi la gentilezza e la cortesia, due altre virtù umane che raramente trovano casa anche nel mondo ecclesiale. La cortesia è una forma di educazione, che parte dal riconoscimento dell altro come persona con la sua dignità. La parola cortesia viene da corte, la corte del re: indica il comportamento educato e corretto che si doveva tenere alla corte del re e dei principi. La cortesia, proprio perché presuppone l educazione e il rispetto nei confronti dell altro, crea intorno all altro uno spazio di libertà senza soffocarlo. La cortesia si preoccupa di allontanare e di evitare ciò che potrebbe far dispiacere all altro. Gentilezza e cortesia partono dal cuore di una persona educata e si esprimono come rispetto per l altro, accolto e riverito come fosse un re. Solo così l amicizia e la vita in comune possono diventare bellezza e respiro di libertà! 4.2. Fede in Parola «Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire» (Lc 7,2). La fede del centurione comincia a germogliare dalla coscienza della finitudine e del limite, dal bisogno umano e affettivo di far sopravvivere alla morte chi gli è «molto caro». Già questo ci insegna che tutti noi, uomini e donne, siamo precari dell esistenza; ecco perché in noi c è un desiderio infinito di vita e una lotta continua contro la rassegnazione a tutto ciò che ha il sapore di morte nella nostra quotidianità. E la fede vede spuntare i suoi primi germogli proprio dal desiderio di vivere, dalla coscienza del limite e dalla consapevolezza che stiamo per finire. «Avendo udito parlare di Gesù» (Lc 7,3): la fede del centurione passa dalla coscienza della finitudine dell essere all ascolto della Parola di Gesù, della quale gli è arrivata un eco. È la fede nella Parola! Il profeta Isaia presenta una profonda teologia della Parola, che raggiunge il suo vertice nel capitolo 55: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l ho mandata» (Is 55,10-11). 682 MONITORE DIOCESANO 4, 2012

9 Il miracolo della fede La parola di Dio è efficace e potente, realizza ciò che significa, crea ciò per cui è stata pronunciata. Chi ha fiducia nella Parola di Dio ha il potere stesso della Parola, che è Dio! E questo potere nell uomo credente si chiama fede. Gli scribi e i farisei pretendono da Gesù dei segni per credere e il Signore risponde: «In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione» (Mc 8,12). Ogni volta che i farisei o gli stessi apostoli chiedono un segno su cui fondare la fede, Gesù risponde sempre rattristato e addolorato. Ora finalmente esprime con stupore la sua gioia dinanzi alla fede del centurione, fondata sull assenza di segni, sull assenza fisica di Gesù ma sulla forza della Parola. Ecco, i miracoli non li fa Dio ma la nostra fede in Lui e nella sua Parola! Quante volte Gesù ha esclamato pieno di gioia e di meraviglia: «La tua fede ti ha salvato!». È la nostra fede che compie il miracolo della guarigione e della salvezza, perché mediante la fede in Lui esplode in noi la potenza creatrice e risanatrice della sua Parola. E quindi è la fede che, dentro il limite della nostra finitudine, ci permette di vivere e di trasmettere vita con amore e u- miltà, gentilezza e cortesia. MONITORE DIOCESANO 4,

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