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1 LA CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI Il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 è la nuova norma quadro di riferimento in materia di rifiuti, in attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio e della Legge delega n. 308 del 15 dicembre Il sistema di classificazione dei rifiuti entrato in vigore con il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (art. 184) si basa, come il precedente D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 ("Decreto Ronchi"), sulla loro origine (distinguendo tra rifiuti urbani e rifiuti speciali) e sulle caratteristiche di pericolosità (distinguendo tra rifiuti pericolosi e non pericolosi). Sono definiti rifiuti urbani: a. i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione; b. i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell'articolo 21, comma 2, lettera g) del decreto medesimo; c. i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; d. i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua; e. i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; f. i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e). Vengono classificati come rifiuti speciali: a. i rifiuti da attività agricole e agro-industriali; b. i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo; c. i rifiuti da lavorazioni industriali; d. i rifiuti da lavorazioni artigianali; e. i rifiuti da attività commerciali; f. i rifiuti da attività di servizio; g. i rifiuti derivanti dalle attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi; h. i rifiuti derivanti da attività sanitarie; i. i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti; j. i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti; k. il combustibile derivato dai rifiuti; l. i rifiuti derivanti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani.

2 I rifiuti sono, inoltre, catalogati in uno specifico Elenco, ai sensi della decisione 2000/532/CE e successive modificazioni. La classificazione dei rifiuti, in particolare, si basa per alcune tipologie sulla provenienza e per altre tipologie sulla funzione che rivestiva il prodotto originario. Diverse tipologie di rifiuto sono classificate, già all'origine, come pericolose o non pericolose mentre per altre è prevista una voce speculare (codice di sei cifre per il rifiuto non pericoloso e codice di sei cifre contrassegnato con asterisco per il rifiuto pericoloso), in funzione della concentrazione di sostanze pericolose da determinarsi mediante opportuna verifica analitica. Al fine di non dover modificare ripetutamente l'elenco dei rifiuti pericolosi, si è previsto un meccanismo automatico: pertanto, ogni volta che verrà classificata una nuova sostanza pericolosa (ai sensi della direttiva 67/548/CE) il rifiuto contenente la suddetta sostanza, qualora caratterizzato da una voce 'speculare', sarà classificato come pericoloso nel caso in cui la concentrazione della sostanza stessa raggiunga i valori limite previsti dall'articolo 2 della decisione 2000/532/CE e successive modificazioni. Non rientrano nel campo di applicazione della gestione dei rifiuti a) Le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell atmosfera; b) In quanto regolati da altre disposizioni normative che assicurano tutela ambientale e sanitaria: Le acque di scarico diretto, eccettuati i rifiuti allo stato liquido; I rifiuti radioattivi; I materiali esplosivi in disuso; I rifiuti risultanti dalla prospezione, dall estrazione, dal trattamento, dall ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave; Le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell attività agricola; c) I materiali vegetali, le terre e il pietrame, non contaminati in misura superiore ai limiti stabiliti dalle norme vigenti, provenienti dalle attività di manutenzione di alvei di scolo ed irrigui. FANGHI, RIFIUTI E AMIANTO Fanghi di depurazione I fanghi di depurazione generalmente presentano buoni contenuti di sostanza organica ed elementi della fertilità vegetale (N, P, K), tali da renderne interessante l'utilizzo come fertilizzanti, anche nell ottica del riciclo degli elementi naturali. Il riutilizzo agronomico dei fanghi diretto o previo compostaggio, è una valida soluzione al problema dello smaltimento dei fanghi di depurazione e assume notevole interesse per l efficacia agronomica ed economica in quanto sostituisce, in tutto o in parte, la concimazione chimica o altri tipi di concimazione organica. L impiego in agricoltura di questi materiali potrebbe però comportare rischi igienico-sanitari per il loro contenuto, spesso elevato rispetto ai fertilizzanti

3 tradizionali, di microrganismi patogeni, metalli pesanti e composti organici nocivi. Per evitare qualsiasi situazione di rischio per l ambiente e la salute della popolazione deve essere correttamente praticato il riutilizzo del fango nel pieno rispetto della normativa in particolare per quanto riguarda l effettuazione dei controlli sui suoli e sui fanghi. Acque destinate al consumo umano Le caratteristiche qualitative delle acque destinate al consumo umano (vale a dire i limiti massimi di concentrazione dei diversi composti) sono stabilite da una direttiva dell Unione Europea (un tempo la CEE) che i Paesi membri sono tenuti a recepire nel proprio ordinamento normativo. Pertanto lo standard di qualità che deve rispettare un acqua destinata al consumo umano è lo stesso a Roma come a Parigi, a Madrid come a Berlino. La norma con la quale l Italia ha recepito la direttiva UE sulle acque potabili è il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n 31, pubblicato sul Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 52 del 3 marzo 2001, intitolato Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano. Questo decreto che sostituisce il precedente D.P.R.236 del 24 maggio 1988, con cui l Italia aveva recepito una altrettanto precedente direttiva CEE, stabilisce i requisiti di qualità delle acque destinate al consumo umano, definisce responsabilità e competenze dei soggetti fornitori di tali acque e degli organi di controllo, e disciplina i vari aspetti dell attività di vigilanza, quali controlli, deroghe, provvedimenti e sanzioni. Per "acqua destinata al consumo umano" si intende, come definito nel D.Lgs. 31/2001 e successive modificazioni: 1) le acque trattate o non trattate, destinate ad uso potabile, per la preparazione di cibi e bevande, o per altri usi domestici, a prescindere dalla loro origine, siano esse fornite tramite una rete di distribuzione, mediante cisterne, in bottiglie o in contenitori; 2) le acque utilizzate in un impresa alimentare per la fabbricazione, il trattamento, la conservazione o l immissione sul mercato di prodotti o di sostanze destinate al consumo umano, escluse quelle, individuate ai sensi dell articolo 11, comma 1, lettera e), la cui qualitá non può avere conseguenze sulla salubritá del prodotto alimentare finale. Nel decreto i parametri in base ai quali viene definita la qualità delle acque sono distinti in due categorie: una che contiene composti per i quali un eventuale superamento del valore limite di concentrazione comporta in ogni caso un giudizio di non conformità e, quindi, l'adozione di provvedimenti per il ripristino della qualità dell'acqua distribuita; e una che contiene composti detti indicatori, per i quali il superamento del valore di parametro non comporta necessariamente un giudizio di non conformità e l'adozione di provvedimenti se non nel caso in cui tale situazione possa comportare, a parere dell'azienda Sanitaria Locale competente, la sussistenza di un effettivo rischio igienico sanitario

4 Il D.Lgs 31/2001 identifica sanzioni oltre che per il gestore del servizio idrico, anche per i soggetti che distribuiscono direttamente o utilizzano l acqua per produzioni alimentari a valle del punto di consegna, ovvero del contatore. ACQUE POTABILI, DI SCARICO E DI PISCINA Acque di scarico Il D. Lgs. 152/06 ha introdotto una nuova definizione di acque reflue industriali, intendendo qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali acque quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento. In particolare per scarico si intende qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'art.114 (dighe). ACQUE POTABILI e DI SCARICO Acque superficiali e di irrigazione Con il termine irrigazione si intende la tecnica agronomica di apporto artificiale di acqua al terreno agrario. Si tratta di una pratica che ha origini remore, ma che riveste ancor oggi una grande importanza. L'attuale importanza della pratica irrigua traspare da semplici considerazioni: basti pensare, a titolo di esempio, al fatto che molte specie agrarie si sono diffuse fuori del proprio areale di origine trovando condizioni climatiche a volte non ottimali. Tale situazione comporta la necessità di apporti idrici supplementari in aggiunta alle naturali precipitazioni. A prescindere da tali considerazioni, resta la necessità di valutare con attenzione la qualità delle acque irrigue, al fine di evitare condizioni che in alcuni casi potrebbero essere controproducenti. Le normative relative a questo capitolo risalgono al 1933, con Regio Decreto. Le acque utilizzabili a scopo irriguo sono:

5 - Acque superficiali da corsi e invasi naturali o artificiali (fiumi, torrenti, laghi, bacini idrici delimitati da dighe o argini) dai quali l'acqua è immessa in canali mediante opere di deviazione e derivazione. - Acque sotterranee da falde acquifere (freatiche, subalvee, artesiane) e sorgenti (d'emergenza, di trabocco, di contatto, di sbarramento, di fessura, subacquee o risorgenti). - Acque reflue urbane, industriali, zootecniche. Il loro impiego e le caratteristiche chimico-fisiche che esse devono avere per essere utilizzabili sono soggetti ai limiti imposti da precise disposizioni di leggi. I rischi potenziali connessi all'utilizzo delle acque irrigue e le relative limitazioni d'uso sono riconducibili essenzialmente a tre differenti categorie: - Rischi legati alla presenza di elevate concentrazioni di sali. Tale condizione si riflette in una minore disponibilità per la pianta dell'acqua presente nel terreno in risposta a variazioni del potenziale osmotico della soluzione circolante. - Rischi legati alla presenza di elevate concentrazioni di sodio. La progressiva sodicizzazione del complesso di scambio provoca una riduzione della velocità di infiltrazione dell'acqua nel terreno. - Rischi legati alla presenza, oltre certi limiti, di elementi tossici quali il boro, il litio, il cloro, i metalli pesanti, residui di fitofarmaci, ecc. la cui presenza può determinare fenomeni di tossicità in specie vegetali sensibili.

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