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2 L Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra. Questa è la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire. Sandro Pertini

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4 CREDITI PER LE IMMAGINI Jean Duroc-Dannier (La Guerre Face Aux Marocains) Luciano Petruccelli Damiano Ianniello Fabrizio Cardinale Fototeca Pier Giacomo Sottoriva, da Imperial War Museum di Londra Fototeca Provincia di Latina Fototeca Presidenza della Repubblica Associazione Linea Gustav - Fronte Garigliano - SS. Cosma e Damiano e Castelforte Ricerche iconografiche sui siti internet ed in particolare da Google Cultural Institute - Life Collection (fotografo Carl Mydans), Bundesarchive, ecc: Gabriele Manarini; Paolo Parasmo Copertina (1^ e 4^): sullo sfondo di immagini di guerra nei Comuni di Castelforte, Santi Cosma e Damiano, Formia, Gaeta, Cisterna, in rilievo, alcuni dei militari pontini ai quali è stato dedicato il Percorso della Memoria. La Provincia resta a disposizione nel caso di eventuali diritti d autore sulle immagini. Le didascalie figurano solo per le fotografie del periodo bellico e per bunker e trinceramenti; le altre immagini si riferiscono a momenti delle singole cerimonie del Percorso della Memoria.

5 Indice SOLO UNA TESTIMONIANZA di Salvatore De Monaco...11 SETTANT ANNI FA, SETTANT ANNI DOPO di Domenico Tibaldi Settant Anni Fa LA LINEA GUSTAV di Ezio D Aprano Settant Anni Fa IL FRONTE DEL NORD di Pier Giacomo Sottoriva Settant Anni Dopo LA VISITA A LATINA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CIAMPI. L ITER E IL CONFERIMENTO DELLA MEDAGLIA D ORO AL GONFALONE DELLA PROVINCIA Copyright 2014: Provincia di Latina IDEAZIONE, ORAGANIZZAZIONE E DIREZIONE EDITORIALE Domenico Tibaldi TESTI Ezio D Aprano, Pier Giacomo Sottoriva, Domenico Tibaldi; Progetto editoriale e impaginazione: A2adv Stampa: Tipografia Monti - Latina il documento Relazione di base per il conferimento della Medaglia d oro al Valor Civile al Gonfalone della Provincia di Latina Al Quirinale come sono nati i monumenti del percorso della memoria Finito di stampare giugno

6 Indice Settant Anni Dopo ARMANDO CUSANI Presidente della Provincia: Attraverso i Discorsi, le Storie del Percorso della Memoria: A MARIA, ALLE ALTRE Campodimele, 27 luglio UN MONUMENTO E UNA MOSTRA PER UN RAGAZZO DEL CORSO REX Castelforte, 6 ottobre UNA STELE E UNA CASERMA PER UN EROE DELL ARMA Santi Cosma e Damiano, 18 novembre IN MEMORIA DELL ESODO: UNA STELE PER RIFLETTERE Cisterna di Latina, 19 marzo TRA TOBRUK ed EL ALAMEIN Roccagorga, 3 ottobre IL BERSAGLIERE LAUREATO ALLA MEMORIA Terracina, 15 giugno Settant anni dopo L ALBO D ONORE DELLE ISTITUZIONI Settant anni Dopo COSA RESTA di Pier Giacomo Sottoriva UNA STELE E UNA MOSTRA PER IL SANTO DAL CAPPELLO PIUMATO Ponza, 14 aprile DUE SIMBOLI DI MARINAI CORAGGIOSI Gaeta, 27 giugno IL SACRARIO DEI DECORATI Priverno, 19 marzo L ULTIMA CARICA DEL LANCIERE DI LENOLA Lenola, 10 ottobre IL PARACADUTISTA CHE DIVENNE SINDACO Itri, 25 giugno «TRA CEFALONIA E KOS» Spigno Saturnia, 9 ottobre QUELLE DODICI GAVETTE DI GHIACCIO Minturno, 4 giugno

7 Presentazione SOLO UNA TESTIMONIANZA Con molto piacere adempio al dovere di presentare l ultimo lavoro della Provincia sul filone della memoria, dopo averne vissuto e condiviso, nel ruolo di Vice Presidente, l iter ed il conferimento della Medaglia d Oro al Gonfalone della Provincia, gli eventi, i monumenti, le mostre allestite dal nostro personale perché quel nuovo simbolo di unità dinanzi all immane tragedia della guerra fosse un valore condiviso da tutti. Penso alle migliaia di persone, giovani, bambini che abbiamo incontrato in ciascun evento; penso ai sindaci che hanno partecipato al nostro Percorso della Memoria, penso ai militari dell Esercito Italiano, dell Aeronautica Militare, della Marina militare, dell Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato schierati per gli onori (o per rappresentanza) ed appartenenti nel presente agli stessi Battaglioni, Reggimenti, Gruppi aerei o Reparti navali dei giovani pontini nati nei primi vent anni del Novecento caduti sui fronti di guerra non per un credo politico, bensì per un giuramento di fedeltà allo Stato e ai suoi simboli. Per noi è stata una lezione di vita, una iniezione di entusiasmo e di ottimismo nel constatare che i valori del Dovere, della Responsabilità, del Sacrificio, della Pace, della Libertà, della Democrazia sono un unica benefica fiamma nel cuore della nostra gente, ne esprimono l integrità, la determinazione e l impegno a far si che quei valori vengano tramandati nel tempo, perché quei ragazzi ai quali la guerra portò via speranze e gioventù non venissero dimenticati ancora una volta, ma consegnati alla storia più semplice di questa provincia percorsa profondamente da vicende belliche approfondite ed ampiamente ricostruite in anni ed anni di ricerca. Si, abbiamo scelto un filone inedito nel vasto campo della ricostruzione degli avvenimenti di settant anni fa quasi ad aprire una pista agli studiosi di storia patria, agli storiografi del nostro territorio perché le storie di altri soldati siano oggetto di ricerca e di narrazione ai giovani, perché gli esempi aiutano a crescere, a maturare, ad acquisire responsabilità e rispetto. Siamo arrivati fin dove ci è stato possibile, ma qualcuno raccolga il testimone e continui, continuino le Scuole, continuino i Comuni, continuino le Associazioni nate perché la Memoria di cosa avvenne settant anni fa sulla parte pontino-aurunca della Linea Gustav fino ad Ortona (Gaeta, Formia, Minturno, Spigno Saturnia, SS. Cosma e Damiano e Castelforte) e sul fronte Anzio, Littoria, oggi Latina-Cisterna- Aprilia si traduca in Lanterna destinata ad illuminare nuove conoscenze storiche e vicende umane, militari e civili, spesso 11

8 percorse da sentimenti di umanità e solidarietà: ne ha bisogno questa società per rigenerarsi e comprendere che il suo destino di libertà e di pace sarà assicurato solo se la Democrazia si consoliderà nella certezza del rispetto delle regole e dell equità tra le persone. Così questo libro aspira ad avere valenza puramente documentale, a raccogliere le cose che sono state prodotte perché altri possano produrne ancora, e di meglio, perché la nostra storia di comunità e di territorio si arricchisca a vantaggio delle nuove generazioni. Settant anni fa, Settant anni dopo, questo libro è solo una testimonianza. La testimonianza di una istituzione, la Provincia, che ha coltivato la Memoria come ha potuto, fin dove ha potuto, prima che il Legislatore decidesse, con un colpo di spugna, di trasformarla in qualcosa che non ci piace e che nel tempo non piacerà ai cittadini. Salvatore DE MONACO Presidente della Provincia 12

9 SETTANT ANNI FA, SETTANT ANNI DOPO di Domenico Tibaldi Sono trascorsi settant anni da quei giorni di guerra, tra il settembre 1943 ed il maggio 1944, quando, dopo mesi di bombardamenti da terra e dal cielo, l esodo forzato di quasi tutta la popolazione locale e l infausta offensiva della seconda metà di gennaio, la decima compagnia di fucilieri algerini, guidata dal Capitano Louisot, riuscì a far breccia tra le postazioni di mitragliatrici dei fanti della Wermacht, poste dal generale Von Senger nel punto della Linea Gustav, che l alto, colto ed umano ufficiale tedesco, riteneva cruciale per reggere l offensiva finale degli Alleati: Castelforte, al quale, allora, era unito Santi Cosma e Damiano. Mario Puddu, Pier Giacomo Sottoriva, Duilio Ruggiero, Ezio D Aprano, Livio Cavallaro, Jean Cristopher Notin, Jaques Robichon, René Chambe, Janus Piekalkiewicz ed altri, hanno scavato a fondo e raccolto ogni fonte credibile per documentare che, prima che a Cassino (dal quale i paracadutisti tedeschi si erano ritirati imbattuti), la Linea Gustav cadde in questo paese, così ischeletrito dalla furia devastante degli spezzonamenti delle <fortezze volanti> e delle granate degli obici e dei cannoni di là dal Garigliano, mentre parte della popolazione, a piccoli gruppi, tentava di superare i campi minati del Rio Rave, presto trasformato in una valle della morte, dominata dall odore nauseabondo di cadaveri orrendamente mutilati dallo scoppio delle mine e in avanzato stato di decomposizione: <Castelforte scrisse il Gen. Chambe, mentore delle gesta del Corpo di Spedizione Francese è morto!>. A cento chilometri di distanza, il fronte Anzio-Littoria-Cisterna-Aprilia, con battaglie senza esclusione di colpi tra Alleati e Tedeschi ed una interminabile scia di sangue, morte, distruzione, sfollamenti. Nel mezzo tante altre cittadine pontine nel concorrere al triste, originale primato di una Provincia nata neanche dieci anni prima eppure al centro di due grandi fuochi, dei quali è ancora vivo il ricordo. Da questo contesto e dall esigenza di un simbolo forte di unità, dinanzi alla tragedia di allora, è partito il progetto della Medaglia d Oro al Merito Civile conferita al Gonfalone della Provincia di Latina e quel Percorso della 15

10 Parole, Simboli e Segni della Memoria Memoria, intrapreso poco dopo, per raccontare storie di uomini in divisa nati nei nostri Comuni e distintisi per valore, onore, fedeltà al Paese e al Tricolore risorgimentale. Lo abbiamo fatto cercando negli archivi, ascoltando racconti di anziani, raccogliendo immagini ingiallite, lettere con grafie bellissime e parole semplici e profonde e trasformando il tutto in eventi, monumenti, mostre e libri. Il Percorso della Memoria ha compiuto gran parte del tragitto, ma i tagli alla spesa pubblica hanno interessato anche la Provincia di Latina, nonostante i conti fossero a posto. Così non ci è stato dato il tempo di affermare il diritto della Città di Formia (e cosi Cisterna, Gaeta e Terracina) ad avere quella stessa Medaglia d Oro al Valor Civile riconosciuta a Castelforte e Santi Cosma e Damiano. Non ci è stato dato il tempo per affermare che gli attestati di benemerenza pubblica, conferiti ai Comuni di Ventotene e Ponza, non rendono ragione dei circa 70 morti del piroscafo S. Lucia (primo atto di guerra in Provincia) e della storia del confino politico durante il ventennio fascista; non ci è stato dato il tempo per sottolineare, che anche Sezze meriterebbe pari riconoscimento di Priverno, Cori, Fondi fregiati di Medaglia d Argento al Merito Civile. Forse altri, in futuro, potranno proseguire il Percorso della Memoria per far conoscere ai giovani le storie del Ten. Col. Adalgiso Ferrucci (formiano, Medaglia d Oro al Valor Militare alla memoria), del capitano Riccardo De Angelis (due Medaglie d Argento al Valor Militare) di Sonnino e del suo armiere di Sezze, Sergente Ubaldo Piccaro (Croce di Guerra), di altri militari, che non abbiamo fatto in tempo a raccontare con lo stesso stile, che ha permesso di <trasformare> un giovane presidente di Provincia, Armando Cusani, nell appassionato narratore delle storie di <Maria e le altre>, dell <Aquila Disubbidiente> (Alfredo Fusco), del carabiniere Angelo Di Tano, de <Il santo dal cappello piumato> (Mario Musco), de <Il Bersagliere laureato alla Memoria (A. Quartulli), dei <Simboli di marinai coraggiosi> (Alfonso di Nitto ed Osvaldo Uttaro) de <L ultima carica del lanciere di Lenola> (Mario Rosario Liguori), de <Le Dodici Gavette di Ghiaccio> di Minturno (Domenico De Filippis; Angelo De Meo; Pasquale Conte; Augusto di Costanzo: Giovanni Fedele; Mario La Serra; Antonio Mauro; Giuseppe Pensiero; Nicola Rotelli; Antonio Stella; Pasquale Zenobio; Mario Vittorio Tartaglia) e di tanti altri ragazzi, ai quali una pallottola, un esplosione, un naufragio o un abbattimento in volo hanno fermato la vita. Quelle narrazioni che hanno coinvolto la gente, entusiasmato i ragazzi delle scuole, fatto apprezzare i nostri soldati sono raccolte in questo lavoro insieme al racconto di cosa avvenne settant anni fa da Aprilia a Castelforte. E con esse una breve sintesi di oltre fotografie, scattate nel corso degli eventi, sono il corredo di ogni singola narrazione, che accompagna un percorso, anche culturale ed artistico, con la Fonderia Marinelli di Agnone, autrice delle steli, delle campane e delle opere in bronzo erette in tanti Comuni della Provincia, così onorando, con Parole, Simboli e Segni delle Memoria l impegno del giovane presidente, con l allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e di consegnare al prossimo una testimonianza di natura documentale. Il Percorso della Memoria è stato possibile per la sensibilità dello Stato Maggiore Esercito e del 2 Comando Forze di Difesa, dello Stato Maggiore Aeronautica e del 6 Stormo <Alfredo Fusco>, dello Stato Maggiore della Marina Militare, delle famiglie dei caduti e per lo spirito di servizio e di collaborazione di colleghi come Ada Balestra, Delia Farina, Michela Forte, Cinzia Marroni, Stefania Sassu, Angela De Meo, Raffaella De Bonis, Graziella Cicconi, Cristina Battisti, Wanda Mustica, Alessandro Pannone, Manfredo Fantozzi con la squadra del Settore Viabilità dell Ente; per il prezioso il contributo dell Ing. Orlando Giovannone e delle sue collaboratrici, Arch. Emanuela Vitarella, Geometri Angela Rasile ed Angelica Filosa, del Primo Maresciallo dell Aeronautica Militare Marco Costa, del Comandante dei Vigili Urbani di Santi Cosma e Damiano, Enzo Ciavolella. Un attestazione di stima alla <voci> degli eventi del Percorso della Memoria: Eleonora Verzin e Pasqualina Fusco. Un ringraziamento particolare a Giampaolo Grazian e Peter Gazzetta del Servizio Cerimoniale della Camera dei Deputati per la sensibilità con la quale hanno contribuito ai risultati di ciascun evento del Percorso della Memoria. A tutti, ancora grazie. Di cuore! È stata un esperienza dura, bella. Irripetibile, purtroppo. Resta lo spirito e il messaggio che abbiamo inteso trasmettere e condividere con tutti: essere patrioti di un nuovo Risorgimento all insegna della libertà, della democrazia e della pari dignità di tutti gli italiani

11 SETTANT ANNI FA LA LINEA GUSTAV Gli Alleati entrano a Formia

12 La Linea Gustav Vite Disperse di Ezio D Aprano Forse non è sufficientemente evidenziato, nei reportage di guerra e nei manuali di storia, che la Provincia di Littoria è stata teatro di importanti avvenimenti bellici ed ha pagato il suo non trascurabile tributo di sangue e di rovine. Neppure il dramma della sua popolazione, trovatasi al centro dei combattimenti, ha meritato la giusta attenzione da parte degli studiosi dei fatti di guerra. La gente di Littoria, in quel tragico periodo, è stata costretta ad abbandonare la propria casa e la propria terra, volontariamente o d autorità, a seguito dell incalzare dei tragici eventi e dei conseguenti ordini di sgombero o dei numerosi rastrellamenti attuati dai soldati tedeschi. Per diverse zone si è trattato di un esodo biblico. Con la disfatta delle forze dell Asse in Nord-Africa e il successivo sbarco degli Alleati in Sicilia, avvenuto il 10 luglio 1943, la situazione del Paese diviene drammatica. In precedenza gli effetti della guerra erano visibili solo con i bombardamenti aerei sulle grandi città; ora il nemico è giunto sul territorio nazionale. Il 19 luglio il quartiere di San Lorenzo di Roma è sottoposto ad un violento bombardamento. Nel Paese lo scoramento è generale; si diffonde la convinzione che la guerra ormai è persa e che bisogna evitare ulteriori distruzioni ed inutili lutti, sollecitando la caduta del Fascismo, colpevole della disfatta militare. Sull onda di tale convinzione, il 25 luglio 1943 Mussolini è destituito. Cade il Regime fascista dopo circa un ventennio. Il re affida l incarico di formare il Governo al Maresciallo Badoglio. La situazione del Paese peggiora con il passare dei giorni. Gli Alleati intensificano i bombardamenti delle città, per fiaccare ulteriormente il morale della popolazione e indurla ad esercitare una forte pressione sul Governo, per convincerlo a chiedere la resa. Nel Paese il caos è indescrivibile e la situazione diviene sempre più insostenibile con l incalzare degli avvenimenti. Al Governo non resta che chiedere l armistizio incondizionato agli Alleati. L armistizio, firmato non troppo segretamente a Cassibile (Siracusa), cinque giorni prima, è annun- ciato l 8 settembre Il giorno successivo, gli Alleati sbarcano a Salerno e si dirigono verso Napoli. Alle prime ore del mattino del 9 settembre, il re, con la sua famiglia e il suo Governo, fugge da Roma e si rifugia a Brindisi, sotto la protezione degli Alleati. Il Paese è allo sbando e regna l anarchia completa. In pratica, è consegnato ai Tedeschi, i quali, da alleati, divengono dominatori. In pochi giorni essi assumono il controllo del territorio frettolosamente abbandonato, impossessandosi dei comandi militari, delle industrie, delle infrastrutture e dei punti strategici; sono decisi ad arrestare la risalita delle forze angloamericane nella piana del Garigliano. A tale proposito approntano sul fiume Volturno una linea di difesa, denominata Bernhard, per ritardarne la risalita e avere, così, il tempo di predisporre, più a nord, un fortificato baluardo difensivo: la Linea Gustav. Questa linea si estende dal Mar Tirreno al Mare Adriatico, da Gaeta ad Ortona, lungo le valli dei corsi dei fiumi Garigliano, Rapido e Sangro; comprende i Monti Aurunci situati a sud della Provincia di Littoria. Con questo sbarramento difensivo il territorio nazionale è diviso in due. Sulla zona a nord della linea Gustav, i Tedeschi ormai esercitano il dominio assoluto, con l avallo della Repubblica Sociale Italiana. In pratica è un territorio di occupazione, su cui vige la legge di guerra. In conseguenza di tali eventi, la Provincia di Littoria per i Tedeschi assume un ruolo strategico di grande rilevanza; infatti, nel suo ambito si svolgeranno epici e cruenti scontri tra i contrapposti eserciti, che porteranno, dopo otto lunghi mesi, alla liberazione di Roma e alla svolta decisiva della guerra in Italia a favore degli Alleati. La Provincia di Littoria, situata a nord di tale linea, che comprende anche parte del suo territorio, costituito dai Monti Aurunci, subisce pesanti conseguenze con gli scontri che vi si svolgono, divenendo importante teatro di guerra. I Tedeschi, intanto, si insediano in tutti i punti strategici della provincia. Nei giorni precedenti lo sbarco di Salerno, gli Alleati effettuano bombardamenti aerei e navali su vari centri, tra i quali Castelforte, Minturno, Fondi, Formia, Gaeta, Itri, Spigno Saturnia e Terracina. I bombardamenti, soprattutto terrestri nelle zone di prima linea, nel corso delle ostilità sono estesi a tutti i paesi della provincia, con pesanti distruzioni e gravi perdite di vite umane. Gli Alleati, che hanno la supremazia incontrastata del mare 20 21

13 La Linea Gustav Intanto la Quinta Armata americana attacca la Linea Bernhard, sul Volturno, tra il 7 e il 14 ottobre 1943; poi si dirige verso la piana del Garigliano, completandovi lo schieramento intorno alla metà di novembre. Da questa data gli scontri si fanno durissimi con gravi perdite da ambo le parti. È una anacronistica guerra di posizione, tipica della prima guerra mondiale, combattuta con gli strumenti moderni di morte. I paesi che si affacciano sul Golfo di Gaeta si trovano in prima linea e sono i più esposti alle azioni di guerra. La popolazione, pur di fronte all ordine di sgombero, tranne sporadici casi, non abbandona la propria terra, decide di restare. D altronde, è facile indulgere all ottimismo, vista la travolgente avanzata delle forze alleate fino alla piana del Garigliano, dopo lo sbarco in Sicilia del 10 luglio La popolazione cerca di mettere al sicuro i propri beni e quanto ha di prezioso e si allontana dai centri abitati, esposti ai bombardamenti, per trasferirsi nelle colline e, soprattutto, nei monti adiacenti. Ora tali località brulicano di gente, che si sistema nelle poche casupole dei contadini, nelle capanne, negli stazzi, negli ovili, nelle grotte, se non occupate dai soldae del cielo e dispongono di enormi mezzi di distruzione e di morte, possono colpire ogni angolo della provincia. La popolazione cerca di mettersi al sicuro, si allontana dai centri abitati e si trasferisce in campagna, nelle zone collinari e montane. È un segnale eloquente che la guerra è giunta in Provincia di Littoria, coinvolgendo l intera popolazione. A Roma, dichiarata città aperta il 15 agosto 1943, sono istituiti Centri di raccolta e accoglienza per profughi e sfollati presso la Caserma La Marmora in Trastevere, Caserma Vespucci in Santa Croce in Gerusalemme, nell ex Stabilimento Breda al quartiere Casilino, nello Stabilimento cinematografico di Cinecittà, nonché a Cesano e Narni. Il Comando militare tedesco mette a disposizione della popolazione, che intende allontanarsi dalla zona e trasferirsi a Roma, camion militari e treni. Purtroppo, rispetto alla popolazione interessata, in pochi approfittano della possibilità. È difficile abbandonare la propria casa e i propri beni con la consapevolezza di non trovare nulla al ritorno! Infatti, il fenomeno dello sciacallaggio, del saccheggio dei beni incustoditi, è molto diffuso in concomitanza di guerre e di calamità naturali. I Monti Aurunci, che fanno da cornice alla piana del Garigliano, che è solcata con grandi anse dall omonimo fiume e attraversata dalla strada statale Appia, per la loro conformazione orografica e per la morfologia del territorio, costituiscono l ambiente ideale per i Tedeschi per sbarrare la strada alle forze alleate dirette a Roma. In questa zona le poderose forze alleate rimangono impantanate fino a metà maggio 1944, nonostante lo sbarco di Anzio avvenuto il 22 gennaio Gli eventi bellici incalzano. Nella fase iniziale delle ostilità, la guerra investe in particolar modo la zona sud della provincia, subendo le prime gravi conseguenze. I Tedeschi il 9 settembre occupano i comandi militari di Sabaudia, Littoria, la piazza di Gaeta, nonché le località strategicamente rilevanti della provincia. Il giorno 12 settembre 1943 il Comando militare tedesco ordina l evacuazione di Minturno, Formia e Gaeta. L ordine si estende il 20 settembre a Sperlonga e Terracina, il 4 ottobre a Lenola, il 16 ottobre a Castelforte (all epoca era aggregato il comune di Santi Cosma e Damiano), il 10 gennaio 1944 a Campodimele, il 10 e 11 febbraio a Littoria. I Te- deschi, in base all accordo stipulato con il Governo Fascista, emanano un proclama con il quale ingiungono a tutti gli uomini appartenenti alle classi , che sono capaci a portare le armi e lavorare, di presentarsi al locale Comando militare, minacciando gravi provvedimenti nei confronti dei disubbidienti. Il giorno 11 settembre 1943 eseguono a Gaeta e Formia un massiccio rastrellamento degli uomini civili e militari. Tali rastrellamenti si attuano anche negli altri comuni della provincia: 23 settembre a Castelforte, 4 ottobre a Lenola e Campodimele, 8 ottobre a Priverno e Roccagorga, 10 ottobre a Littoria, 25 ottobre a Cori e nei paesi dei Monti Lepini; degli altri comuni mancano riscontri sulla loro effettuazione. Questa operazione è da considerare come primo esodo forzato dei cittadini della Provincia di Littoria. Gran parte degli uomini catturati sono condotti in Germania e internati nei lager per essere impiegati nei lavori lasciati liberi dagli operai tedeschi, chiamati ad integrare gli organici della Wermacht, dopo la defezione dell esercito italiano a seguito dell armistizio. Gli altri, invece, sono adibiti ai duri lavori di approntamento della barriera difensiva, soprattutto nella zona di Cassino

14 La Linea Gustav ti; si costruiscono capanne e rifugi di fortuna. Purtroppo la sistemazione, che si auspicava temporanea, col passare dei giorni si prospetta lunga, con inimmaginabili conseguenze; vivere in quelle condizioni è impossibile in un autunno inoltrato, che peraltro si manifesta inclemente e rigido, con abbondanti piogge accompagnate da scrosci di grandine. Inoltre, la sistemazione in montagna degli abitanti dei paesi dei Monti Aurunci è anche pericolosa; infatti, tali zone, come i centri urbani, sono sottoposte a frequenti cannoneggiamenti da parte degli Alleati per demolire le fortificazioni e le postazioni dei Tedeschi. Per tale motivo, ai disagi della vita all addiaccio si aggiungono i pericoli dei bombardamenti in un territorio, il quale, tranne le grotte, non offre alcuna protezione. Pertanto, escluso gli uomini, che sono soggetti ai continui rastrellamenti dei Tedeschi, gli altri ritornano in paese. Il Governo si rende conto che la popolazione, se caparbiamente rimane in zona operativa, rischia lo sterminio. Il Ministero degli Interni della Repubblica Sociale Italiana, di concerto con il Comando militare tedesco in Italia, predispone un piano di sgombero d autorità per allontanare le popolazioni da tutte le zone invase e sistemarle in appositi luoghi di accoglienza. A tale proposito, nei comuni dei Monti Aurunci si attuano improvvisi rastrellamenti in massa della popolazione, eseguiti dai soldati tedeschi, coadiuvati da civili italiani, probabilmente repubblichini, che fungono da interpreti. Dopo la dichiarazione di guerra del 13 ottobre 1943 dell Italia all ex alleata Germania, i Tedeschi manifestano un atteggiamento di ostilità, di risentimento e di disprezzo anche nei confronti della popolazione; infatti, durante le operazioni di rastrellamento, sono brutali, sbrigativi, violenti e pronti a ricorrere alle maniere forti e, nei casi di ritardata esecuzione degli ordini, che spesso la popolazione non comprende, ad usare anche le armi. In provincia si registrano casi di persone trucidate durante i rastrellamenti. L operazione di sgombero è imponente, poiché riguarda una popolazione numerosa, residente in una vasta zona del fronte. È anche rischiosa, poiché durante i rastrellamenti avvengono anche bombardamenti improvvisi da parte alleata. I rastrellati sono trasferiti nelle stazioni ferroviarie di Ceprano, Ferentino e Priverno Fossanova, ove con treni composti di carri merci o bestiame, dopo lunghi ed estenuanti viaggi, che durano anche una settimana, sono condotti e sistemati nelle località del Nord Italia, non potendo essere più ospitati nelle strutture di Roma, la cui capienza è satura. Il Governo repubblicano emana disposizioni ai podestà per organizzare, nei loro comuni, l accoglienza e la permanenza degli sfollati d autorità dalle zone invase, mediante l Ente Comunale di Assistenza, appositamente trasformato in Assistenza Fascista. A Viadana (Mantova), in base ai documenti conservati nell Archivio Storico Comunale, si è potuto riscontrare che vi sono stati ospitati ben quattrocento sfollati di Castelforte, Gaeta, Formia, Minturno, Spigno Saturnia, Coreno Ausonio (Frosinone) e di altre località del Sud Italia. Le zone più note di accoglienza degli sfollati di Littoria, di cui si hanno notizie, sono: Brescia (Rovato), Mantova (Gonzaga, Ostiglia, Viadana, Villimpenta), Padova (Montagnana, Saonara), Reggio Emilia (Boretto, Brescello), Rovigo (Castelmassa, Castelnovo Bariano), Terni (Narni), Treviso (Altivole, Asolo), Verona (Casaleone), Vicenza (Mason Vicentino). Molti cittadini delle zone degli Aurunci, sfuggiti ai vari rastrellamenti, pochi mesi prima della rottura della Linea Gustav, riescono ad attraversare la pericolosissima linea di fuoco, rischiando la vita nell attraversamento dei campi minati; si mettono in salvo oltre il Garigliano, in territorio alleato, ove la guerra può considerarsi finita. I profughi, raggiunta la salvezza, dopo alcuni giorni di permanenza nei Centri di raccolta predisposti dagli Alleati a Sessa Aurunca, Mondragone e Capua, sono trasferiti nelle varie località del Sud Italia, precisamente: Caltanissetta (Mussomeli), Caserta, Cosenza (Castrovillari, Corigliano Calabro, Fagnano Castello), Matera (Pisticci), Messina, Napoli, Palermo, Potenza (Carbone, Maratea), Reggio Calabria (Cittanova, Siderno), Salerno (Sala Consilina). Lo sbarco degli Alleati ad Anzio, a nord della Linea Gustav, effettuato il 22 gennaio 1944, coglie i Tedeschi di sorpresa, ma non sortisce l effetto desiderato, cioè mettere in crisi il loro sbarramento difensivo dalla foce del fiume Garigliano a Cassino. Infatti i Tedeschi riescono a rintuzzare l attacco e ad approntare una efficace linea di difensiva imperniata su Anzio-Nettunia-Aprilia-Campoleone-Cisterna. I quattro attacchi, lanciati dagli Alleati alla predetta linea il gennaio 1944, il 3-12 febbraio, il febbraio 24 25

15 La Linea Gustav e il 29-4 marzo, non riescono a fiaccare l agguerrita resistenza nemica. Gli scontri finiscono con pesanti perdite da ambo le parti e con gravi conseguenze per gli abitanti. Adesso, anche in quest altro lembo della provincia, la guerra ristagna, come sul fronte del Garigliano. Dopo lo sbarco, le Forze alleate, impiegheranno altri quattro mesi di cruenti scontri, a nord e sud, per travolgere la Linea Gustav a metà maggio 1944 e liberare l intera Provincia di Littoria. La liberazione di Roma avviene il 4 giugno Subito dopo gli Alleati iniziano l inseguimento dell esercito tedesco in ripiegamento verso l Italia Settentrionale. I cittadini di Littoria, Aprilia, Cisterna, con lo sbarco, si trovano in prima linea, tra due fuochi, nella medesima situazione della popolazione degli Aurunci. Il Comando tedesco il 9 febbraio ordina l evacuazione di Aprilia, Cisterna, Littoria, dell Agro Pontino, dei Comuni di Cori, Norma, Sermoneta, Bassiano, Sezze, Pontinia, fino al confine con Terracina. È una operazione di vasta portata, effettuata in una zona di prima linea, con grave rischio per l incolumità della popolazione. Il problema dell incolumità della popolazione riguarda anche gli Alleati. Infatti, con lo sbarco, parte della popolazione di Anzio, Nettunia, Aprilia, Cisterna e alcuni Borghi di Littoria, si trova tra due fuochi. L operazione di sgombero è particolarmente complicata, poiché la zona è completamente circondata dall esercito tedesco e l unico sbocco è costituito dal mare. Per tale motivo, l evacuazione della popolazione può avvenire solo via mare. Gli sfollati, radunati sulle spiagge di Nettunia ed Anzio, sono traghettati con le barche fino alle navi ancorate al largo, con le quali sono condotti nelle località della Calabria, dove già sono presenti molti profughi volontari degli Aurunci. Con la liberazione di Roma terminano le vicissitudini della guerra per la popolazione della Provincia di Littoria. La guerra, invece, continua a Nord della Linea Gotica. I governatori militari alleati, nei territori liberati, si attivano per il ripristino dell attività amministrativa per avviare la ricostruzione e la ripresa della vita. I cittadini della Provincia di Littoria, ospitati nelle località del Sud, sono i primi a rientrare nei loro paesi, con la tenue speranza di ritrovare qualcosa di ciò che frettolosamente avevano dovuto abbandonare, ma con la volontà di ricominciare a operare per un futuro migliore. Purtroppo molte località sono distrutte o gravemente danneggiate. Per viverci è necessario effettuare la ricostruzione e avviare la ripresa delle attività economiche e sociali. In tali zone non è possibile accogliere tutti i cittadini rientrati dalle località di sfollamento; possono restarvi soltanto le persone utili alla loro rinascita. Per tale motivo, la popolazione non attiva è invitata a trasferirsi a Roma e nei Centri di raccolta per sfollati, e ritornare quando le condizioni lo consentiranno. Il 25 aprile 1945 termina la guerra. Subito dopo inizia anche il rientro degli sfollati dalle località del Nord. Anche costoro sono invitati a lasciare il proprio paese e trasferirsi nei Centri di accoglienza di Roma o in quelli di Gaeta e Latina. Per la popolazione è un altro allontanamento dalla propria terra; è un nuovo esodo, sia pure volontario. Molti cittadini non ritornano nei loro paesi; rimangono nelle zone di accoglienza oppure si trasferiscono nelle città del Nord Italia, nei paesi europei e nei paesi d oltremare, in particolare Stati Uniti, Canada e Australia. Le località interne della Provincia si spopolano a causa dell accentuato flusso migratorio; invece quelle costiere e in pianura, investite dal processo di industrializzazione in atto nel Paese, registrano un intenso sviluppo urbano e demografico. In pratica, la guerra, oltre ad arrecare lutti e distruzioni, che hanno richiesto anni di duro lavoro e l impiego di notevoli risorse economiche, ha originato lo stravolgimento dell assetto socio-economico della Provincia. Per dirla con lo storico Annibale Folchi, la guerra ha determinato anche la fine di Littoria (Latina dal 9 aprile 1945) e la nascita della Provincia di Latina. I Tedeschi si insediano a Castelforte Con lo sbarco degli Alleati in Sicilia, avvenuto il 10 luglio 1943, la guerra ormai era giunta nel territorio nazionale e velocemente risaliva la Penisola. Gli eventi precipitarono velocemente. Era convincimento generale che l Italia non era nelle condizioni di continuare la guerra a fianco dei Tedeschi. Per uscire dalla situazione, che si era determinata nel Paese, il Maresciallo 26 27

16 La Linea Gustav Badoglio, l 8 settembre 1943, alle ore 19:45, per via radio, annunciò alla Nazione l armistizio, firmato a Cassibile (Siracusa) 5 giorni prima, senza impartire precise direttive alle forze armate dislocate nel territorio nazionale ed oltremare, su come comportarsi con gli ex Alleati. La situazione divenne tragica ed estremamente confusa, se non grottesca. Da un lato sembrava che la guerra fosse finita, almeno per l Italia, dall altro si percepivano i segni dell immane tragedia, che si stava abbattendo. I tragici eventi incalzavano con il passare dei giorni. I cittadini avevano la consapevolezza che il Paese era allo sbando e senza un Governo, che impartisse loro precise disposizioni per fronteggiare la situazione che si era determinata con l armistizio. Il 9 settembre ci fu lo sbarco degli Alleati a Salerno; lo stesso giorno, alle ore 5:10, il re, la famiglia, il suo seguito e i membri del Governo, di soppiatto, abbandonarono Roma diretti a Brindisi, per mettersi in salvo in territorio occupato dagli Alleati. Il 1 ottobre i Tedeschi abbandonarono Napoli e si attestarono sul fiume Volturno, per ritardare l avanzata degli Alleati ed avere il tempo di approntare, più a monte, una linea difensiva, nota come Linea Gustav. Castelforte divenne un importante caposaldo di tale linea, con la presenza su tutto il suo territorio di numerosi reparti tedeschi. Gli Alleati, verso la metà di ottobre 1943, dopo aver superato lo sbarramento approntato dai Tedeschi sul Volturno, si diressero nella piana del Garigliano. Per consolidare le posizioni conquistate effettuarono, nella prima decade di novembre, intensi bombardamenti, da terra e dal mare, su Castelforte, Santi Cosma e Damiano e Minturno, che causarono le prime distruzioni e le prime vittime tra la popolazione. Il X Corpo d Armata inglese, il 15 novembre completò lo schieramento lungo la sponda sinistra del Garigliano. A partire da questa data iniziarono i quotidiani cannoneggiamenti sui centri abitati degli Aurunci, sia per distruggere le fortificazioni difensive, sia per preparare l attacco alla Linea invernale (Winter line), antistante la Linea Gustav. Castelforte si trovò in territorio di prima linea, con gravissime conseguenze per i cittadini e per il centro abitato. Per l effetto di tali eventi, dalla fine del mese di ottobre 1943, il terri- torio nazionale, dalla Sicilia fino alla Linea Gustav, era stato liberato dagli Alleati. La popolazione di quel territorio poté trarre un sospiro di sollievo per la fine della guerra. Invece nel restante territorio, la guerra continuò. I Tedeschi, con il sostegno della Repubblica Sociale di Salò, erano determinati a contrastare in Italia l avanzata degli Alleati. Il loro atteggiamento, nei confronti della popolazione, divenne sprezzante e molto risentito per l affronto del secondo tradimento subito dagli Italiani. Le vicissitudini della popolazione di Castelforte iniziarono a partire dal giorno 9 settembre Un segnale eloquente si ebbe quando nella mattinata in paese apparve un camioncino, carico di soldati tedeschi armati di tutto punto e con una grossa mitragliatrice, bene in vista, collocata sul tetto della cabina di guida. I soldati, con il loro camioncino, effettuarono più volte il giro delle principali vie del centro, con atteggiamento spavaldo e minaccioso. Il loro intento era di intimorire e far capire alla popolazione, che ormai nel suo territorio vigeva la loro legge di guerra. In paese, dopo qualche giorno, giunsero numerosi soldati tedeschi, che si acquartierarono nei locali della scuola elementare di Via Risorgimento e della scuola media di Via San Rocco. I Tedeschi, ormai, da alleati si erano trasformati in occupanti arroganti e adirati nei confronti degli Italiani. Sotto la minaccia delle armi requisirono animali da soma e da macello, e tutto ciò di cui avevano bisogno. Guai ad opporsi alla loro volontà. Inoltre obbligarono molti uomini al lavoro coatto per approntare le strutture difensive, per il trasporto del materiale e dei beni requisiti ai cittadini. Alcuni cittadini, che avevano osato opporsi alla razzia dei loro beni, furono percossi e anche trucidati, senza esitazione, dai soldati tedeschi. Tra le vittime della loro barbarie ci furono anche dei ragazzi e giovani, i quali a causa dell età e dell inesperienza, non si erano resi conto del pericolo che avrebbero corso opponendosi alla requisizione degli animali avuti in affido dai loro genitori. Con il passare dei giorni le intenzioni dei Tedeschi divennero più evidenti. Infatti il 18 settembre ingiunsero ai cittadini di consegnare tutte le armi in loro possesso, di qualsiasi tipo. Il giorno 23, infine, dopo aver bloccato tutte le vie d uscita del paese, intimarono agli uomini, civili e militari, 28 29

17 La Linea Gustav limentazione era costituita solo di pane raffermo, legumi, grano, granturco, noci, fichi secchi, carrube, lupini ed olive. Durante il giorno era pericoloso accendere il fuoco in collina, dato che il fumo poteva richiamare l attenzione dei Tedeschi o indurre gli Alleati a bombardare la zona. Solamente quando era buio pesto si poteva cucinare qualcosa, schermando la fiamma. Periodicamente i cittadini dovevano scendere in paese per le provviste alimentari, che avevano nascosto. Purtroppo, spesso trovavano le dispense e i nascondigli svuotati. Alcuni, per tutelare i loro beni, lasciarono nelle case le persone anziane o inferme, che non potevano affrontare i disagi della vita in collina. L espediente si dimostrò inutile. I soldati tedeschi, con la complicità di alcuni compaesani collaborazionisti, depredavano le abitazioni, soprattutto quelle dei cittadini benestanti, razziando vino, salumi, generi alimentari, biancheria e oggetti preziosi. Con il tempo le condizioni di vita in collina divennero insostenibili. Infatti la fame, le malattie, le pessime condizioni igieniche, le molestie dei parassiti, la carenza di acqua potabile, l assenza di farmaci e di cure mediche indussero la popolazione a rientrare alla spicciolata in paese. I Tedeschi, dopo aver valutato la difficile situazione in cui si trovava la popolazione in territorio di guerra, decisero di allontanarla con rastrellamenti in massa, effettuati in modo sbrigativo, senza consentire di portare qualcosa per il viaggio. Nel raggruppare i rastrellati non tenevano conto della composizione dei nuclei familiari o del grado di parentela, accentuandone il dolore e la disperazione per la separazione. I soldati non parlavano l italiano, impartivano gli ordini nella loro incomprensibile lingua, che nessuno capiva. Si facevano intendere con le percosse, i calci, le spinte dietro la schiena con le loro armi. In segno di disprezzo dicevano: Italiani scheiss! Non esitavano a percuotere anche bambini e anziani, che non capivano i loro intenti. Avevano ricevuto dai loro superiori ordini perentori di evacuare la popolazione in poco tempo e senza indugio. Non dovevano perdere tempo, dato il gran numero di cittadini che dovevano allontanare. Per tale motivo non esitavano ad aprire il fuoco in caso di disubbidienza o ritardata esecuzione delle loro disposizioabili al lavoro, compresi nella fascia d età , di radunarsi nel pomeriggio in località San Lorenzo, minacciando gravi sanzioni nei confronti dei renitenti e delle loro famiglie. Molti cittadini, per timore delle rappresaglie minacciate, soprattutto nei confronti delle loro famiglie, si presentarono; altri furono catturati con i rastrellamenti effettuati in tutte le località del paese, dopo aver bloccato ogni via d uscita. I pochi cittadini sfuggiti alla cattura si rifugiarono nelle colline retrostanti, vivendo alla macchia come latitanti. Centinaia di cittadini furono internati nei lager della Germania fino alla fine della guerra. Le donne dovettero sostituirsi agli uomini, svolgendo i lavori dei padri, dei mariti, dei fratelli; in particolare dovettero provvedere alle necessità e alla protezione delle loro famiglie, in territorio di guerra. L atteggiamento ostile e insolente dei Tedeschi, si accentuò dopo il 13 ottobre 1943, quando il Governo dell Italia del Sud dichiarò guerra alla Germania. Con il trascorrere dei giorni per i cittadini la situazione peggiorò ulteriormente. Infatti il 16 ottobre il Comando tedesco ordinò lo sgombro totale della popolazione entro ventiquattro ore. A tale proposito, è doveroso ribadire, che per alcuni giorni il Comando tedesco mise a disposizione dei cittadini dei camion per raggiungere Roma, ove sarebbero stati ospitati in apposite strutture. Stranamente solo in pochi accolsero l invito. Gli altri cittadini, per timore di perdere tutti i loro averi, non intesero abbandonare il paese. Pur rischiando di incorrere in gravi sanzioni, non eseguirono l ordine di sgombro e restarono in paese, nella vana illusione che gli Alleati avrebbero agevolmente ricacciato i Tedeschi in pochi giorni. La decisione di restare fu una follia! Difatti la zona di Castelforte divenne importante caposaldo della linea Gustav e territorio di prima linea per otto lunghi mesi. Il paese era sottoposto a quotidiani bombardamenti, divenendo teatro di scontri tra gli opposti schieramenti. Gli abitanti, dopo aver interrato o murato i loro beni negli scantinati e nei sottoscala, si trasferirono in collina. La popolazione viveva nelle capanne di strame e frasche, nelle caselle, nelle mànnere (fienili di montagna costruiti con muri di pietra), in pratica all addiaccio, nel periodo autunnale caratterizzato da un tempo inclemente, con freddo, piogge e grandine. L a

18 La Linea Gustav Il X Corpo d Armata inglese, per valutare la capacità difensiva dei Tedeschi, il 30 dicembre 1943 effettuò un attacco tra Castelforte e Minturno, con modesti risultati strategici e subendo gravi perdite. Dal 17 al 31 gennaio 1944, alle ore 21:00, vi fu il primo attacco in forze alla Linea Gustav denominato Offensiva invernale, pianificato dal X Corpo d Armata britannico, con l impiego delle Divisioni 5 a, 46 a e 56 a. Nel settore di Castelforte operò la 56 a Divisione di fanteria, composta dalle Brigate 167 a, 168 a, 169 a e 201 a, con l intento di occupare: - Castelforte e proseguire in direzione di Ausonia e S. Giorgio a Liri; - Colle Salvatito e Santi Cosma e Damiano; - Suio, Monte Valle Martina, Monte Fuga, Monte Ornito e Monte Maio. I bombardamenti effettuati in preparazione dell attacco provocarono la quasi totale distruzione dell abitato di Castelforte, con molti feriti e morti tra i civili. I Tedeschi si trovarono in enorme difficoltà a fronteggiare l assalto delle unità inglesi. Difatti erano sul punto di capitolare. I soldati tedeschi, che avevano iniziato la ritirata, quando si imbattevano nei civili, chiedevano l indicazione della strada per Ausonia. La popolazione viveva la situazione con grande trepidazione. Da un lato temeva per la propria vita a causa dei devastanti bombardamenti, dall altro auspicava fortemente che le loro sofni. Durante i rastrellamenti, alcuni cittadini, che avevano osato allontanarsi dal loro gruppo per ricongiungersi ai familiari aggregati a un altro, a pochi metri di distanza, furono trucidati senza esitazione. I Tedeschi, per evacuare la popolazione effettuarono tre grandi rastrellamenti in massa, precisamente il 23 novembre, il 2 e il 26 dicembre Nel rastrellamento del 23 novembre, quando i cittadini rientravano in paese dalle colline retrostanti, ne allontanarono circa quattromila! Dopo attuarono solo improvvise e limitate catture di cittadini, fino ai primi giorni di aprile I rastrellamenti furono disposti dal Comando militare tedesco in Italia, di concerto con il Governo della Repubblica Sociale di Salò. L attuazione dei rastrellamenti richiedeva una attenta pianificazione per l impiego di mezzi, di soldati, nonché per predisporre le strutture di accoglienza nelle varie località. I Tedeschi, con l effettuazione dei rastrellamenti, intendevano ribadire che loro svolgevano un azione umanitaria, allontanando la popolazione dalle zone di guerra, mentre gli Alleati la decimavano con i bombardamenti delle città e dei paesi. I Castelfortesi, purtroppo, non capirono l intento di quei rastrellamenti, sia pure effettuati con modi decisi e violenti. La paura di perdere i loro averi, condizionò il loro comportamento. In quel periodo i cittadini erano terrorizzati alla vista dei soldati tedeschi. Quando ne vedevano uno, anche da lontano, fuggivano o si nascondevano, poiché temevano di essere catturati. Gli sfollati erano radunati in contrada Arole di Santi Cosma e Damiano; da qui, con camion o a piedi, erano condotti a Coreno Ausonio, ove erano ospitati nella Chiesa di Santa Margherita, trasformata in centro di raccolta. L indomani erano avviati alle stazioni ferroviarie di Ceprano, Ferentino e Priverno Fossanova, dove con treni merci e bestiame erano trasferiti a Roma, e sistemati nelle apposite strutture di assistenza. Secondo alcune testimonianze, quando i rastrellati erano raggruppati in stazione, in attesa del treno, si verificarono delle incursioni aeree degli Alleati, con lancio di bombe, che determinavano il panico e il fuggifuggi generale. Alcuni, nel parapiglia, coglievano l occasione per ritornare caparbiamente in paese. Quando si esaurirono le disponibilità di accoglienza di Roma, gli sfollati furono trasferiti nelle località vicine, poi in quelle del Nord Italia, in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Alle stazioni di partenza i soldati tedeschi affidavano gli sfollati al personale civile italiano. A causa delle incursioni aeree e dell interruzione della rete ferroviaria, il viaggio durava quattro o cinque giorni. Il disagio degli sfollati era accentuato anche dalla inadeguatezza dei mezzi di trasporto. Infatti erano utilizzati treni con carri merci e bestiame, con uno strato di paglia sui pianali, infestati di pulci e pidocchi. Gli sfollati, inoltre, pativano la fame e il freddo, per il fatto che non avevano potuto portare con sé il necessario per il trasferimento. L offensiva di Gennaio 32 33

19 La Linea Gustav ferenze finissero con la definitiva disfatta del Tedeschi. Purtroppo alcuni reparti della 29 a Divisione Panzergrenadier, giunti di rinforzo dall interno, riuscirono ad evitare la resa. L Offensiva invernale nel settore di Castelforte si concluse il 19 gennaio Gli Inglesi, pur non riuscendo a travolgere lo sbarramento difensivo nemico, ottennero un importante successo sul piano strategico. Infatti riuscirono ad attestarsi sulla piana, a destra del fiume Garigliano, occupando importanti zone del territorio di Santi Cosma e Damiano e Castelforte: Grunuovo, Campomaggiore, Colle Salvatito, San Lorenzo, Rio Rave (tratto terminale), Petrete, Ripitella, San Cataldo, Viaro, Suio, Valle di Suio, Suio Terme, i rilievi da Colle Cimprone a Monte Castelluccio, i Monti Furlito, Fuga, Purgatorio e Ornito. Praticamente gli Alleati arrivarono a ridosso dei centri abitati di Castelforte e Santi Cosma e Damiano. I Tedeschi, per proteggere il loro territorio, approntarono ampie zone con mine e reticolati. La situazione della popolazione, dopo la conclusione dell Offensiva invernale, divenne insostenibile, senza prospettive per il futuro. L abitato era sottoposto a giornalieri bombardamenti, con l impiego anche delle terribili bombe Sharapnel, per snidare i Tedeschi arroccati tra le macerie, nonostante gli Alleati fossero a conoscenza che vi erano rimasti molti cittadini. Infatti una bomba Sharapnel, nei primi giorni di marzo 1944, in località Capo di Ripa, provocò nel cortile interno di uno stabile, la morte di sette persone e il ferimento di una ottava. Le abitazioni, ormai, erano distrutte o danneggiate; le scorte alimentari erano esaurite. Inoltre, l assenza di cure mediche, le malattie da raffreddamento ed infettive, le molestie dei parassiti, le infezioni cutanee e le pessime condizioni igieniche resero impossibile vivere a Castelforte. La popolazione, ormai ridotta allo stremo, si rese conto che era stato un grave errore restare, non abbandonare il paese. Ai cittadini non restò che tentare una disperata sortita, attraverso la pericolosissima linea del fronte, protetta dai campi minati, per recarsi al di là del fiume Garigliano. In paese tutti conoscevano i sentieri che conducevano verso la salvezza, cioè nel territorio occupato dagli Alleati: San Martino (Sciesa), Capanna (Petrete), Santo (attuale Campo Sportivo), Rio Rave e Colle Salvatito. Il pe- ricolo da affrontare era costituito dalle mine e dalla stretta sorveglianza dei soldati tedeschi, i quali aprivano il fuoco su coloro che attraversavano quelle zone. Tale rigore era dovuto al fatto che i cittadini, giunti in territorio alleato potessero fornire preziose informazioni sulla consistenza e dislocazione dei loro reparti in paese. Molti cittadini persero la vita nell attraversamento dei campi minati, uccisi dai Tedeschi o saltati sulle mine. I loro corpi, assieme a quelli dei soldati tedeschi e alleati, rimasero sul terreno sino alla liberazione del paese. L attraversamento di Rio Rave provocò il maggior numero di vittime civili, tanto da essere ricordato come Il percorso della morte o La valle della morte. I Tedeschi, che presidiavano il paese, stranamente, nei giorni 13, 14 e 15 febbraio del 1944, permisero ai cittadini di attraversare, in assoluta sicurezza, la linea del fronte per raggiungere la zona occupata dagli Alleati. In pratica consentirono l esodo della popolazione per metterla in salvo. Dopo tale esodo, in paese rimasero in pochi, soprattutto vecchi e malati, quelli che non erano nelle condizioni di superare una zona accidentata e difficile da percorrere. Nella Piana del Garigliano, all inizio della primavera del 1944, fu disposto l avvicendamento tra il X Corpo d Armata britannico e il II Corpo d Armata americano, a cui era aggregato il Corpo di Spedizione Francese, costituito da soldati coloniali del Nord Africa, che erano tristemente famosi per la loro brutalità. Alcuni soldati tedeschi, che ben conoscevano la ferocia delle truppe coloniali francesi, fecero capire ai cittadini, soprattutto quelli che avevano famiglie con donne e ragazze, che dovevano assolutamente abbandonare il paese, per non subire la loro violenza e la loro crudeltà. Gli sfollati nel Nord e nel Sud Italia Nelle zone di destinazione del Nord Italia gli sfollati furono assistiti dall ECA, trasformata in Ente Assistenza Fascista. Durante i primi giorni dall arrivo, le famiglie del luogo ospitarono nelle loro case gli sfollati, 34 35

20 La Linea Gustav fin quando non furono sistemati negli alloggi che erano stati predisposti. Gli sfollati di Castelforte e delle zone vicine ebbero la fortuna di essere stati trasferiti in un territorio molto sviluppato economicamente, nel quale i contadini avevano raggiunto un tenore di vita ben diverso da quello del Meridione. In tali zone poterono rifocillarsi e recuperare le energie, dopo tante sofferenze, soprattutto con l aiuto della popolazione, che fu ospitale, solidale e generosa nei loro confronti. Ma in quelle zone, purtroppo, era ancora in atto la guerra. Gli sfollati, oltre a ricevere un sussidio giornaliero pro capite, detto di sfollamento, erano aiutati con altre forme di sostegno, quali la distribuzione di indumenti, il rilascio della tessera annonaria, le offerte di impiego o di lavoro, a seconda dell istruzione e della condizione sociale. Agli artigiani fornirono gli strumenti necessari per svolgere il loro mestiere. Molti bambini furono ospitati dalle famiglie del luogo per l intero periodo dello sfollamento. I giovani e gli uomini abili alle armi, però, erano indotti ad arruolarsi nelle brigate nere della Repubblica Sociale di Salò, pena la immediata sospensione degli aiuti alle loro famiglie. In quella situazione era impossibile il rifiuto di adesione. Tra gli sfollati ed i residenti si instaurarono rapporti di sincera e affettuosa amicizia, che durarono per molti anni dopo la fine della guerra. Nei primi tempi la comunicazione tra sfollati e residenti era difficile, per il fatto che ciascuno utilizzava il proprio dialetto, poiché la lingua italiana all epoca era poco conosciuta dal ceto popolare. Solo poche persone erano in grado di utilizzarla, quelle che avevano ricevuto un certo livello di istruzione. Per tale motivo nei primi tempi la comunicazione era soprattutto gestuale e mimica. Poi la situazione migliorò, poiché gli sfollati impararono i termini di uso comune del dialetto locale. Gli sfollati ospitati nelle zone rurali dell Emilia Romagna, Lombardia e Veneto furono impressionati dall estensione dei campi, dai mezzi meccanici utilizzati, dall abbondanza dei raccolti, dalla grandezza e dalla razionalità delle stalle. Per l aratura dei campi utilizzavano trattori. Per le piccole estensioni di terreno, invece, adoperavano aratri trainati da buoi. Quando era il tempo della mietitura del grano, nelle aie delle fattorie, per alcuni giorni, si effettuava la trebbiatura con grosse trebbie meccaniche. Le stalle erano moderne, ampie, pulite e con l illuminazione a luce elettrica. Al loro interno i contadini potevano manovrare i carri e i mezzi meccanici per il trasporto del foraggio, dei bidoni del latte e per la rimozione del letame. Durante i pomeriggi e le sere invernali i contadini e le loro famiglie si radunavano nelle stalle per riscaldarsi e conversare piacevolmente al tepore irradiato dai corpi dei bovini. In quel periodo l agricoltura nel Nord Italia era già abbastanza meccanizzata e avanti alcuni decenni rispetto a quella del Meridione. Molti sfollati furono ospitati anche nelle fattorie, le cosiddette Corti, tipiche della zona. In ciascuna Corte vivevano il proprietario (non sempre), il fattore e una decina di famiglie di contadini. Era assimilabile a una piccola comunità contadina, ove si coltivavano i campi e si allevavano bovini, suini e animali da cortile. Dal punto di vista alimentare era una comunità autosufficiente. Per il foraggio dei bovini i contadini coltivavano estesi campi di rape e bietole. Alcune sfollate chiedevano ai contadini se potevano raccogliere un po di verdura per cucinarla. L assenso era accompagnato da stupore, poiché essi non la utilizzavano come alimento e non conoscevano i modi di cucinarla. Ma il loro stupore fu enorme, quando videro alcune donne che, secondo la tradizionale usanza del Meridione, dopo la mietitura del grano, andavano nei campi a spigolare. A quelle donne dicevano che non c era bisogno di raggranellare le spighe, poiché avrebbero potuto dar loro la quantità di grano che desideravano. I cittadini, che riuscirono a raggiungere la salvezza al di là del fiume Garigliano, la sponda sinistra, erano accolti dagli Alleati con gentilezza, puliti e rifocillati, ma dovevano sottoporsi a degli interrogatori tendenti ad ottenere da loro informazioni sul dislocamento dei Tedeschi in paese e sui sentieri sicuri per aggirare i campi minati. Inoltre dovevano fornire le loro generalità, che erano trascritte in appositi registri. Al termine del colloquio marcavano il loro braccio con un timbro. Questa operazione faceva venire in mente la marcatura del bestiame. Gli Alleati erano molto diffidenti nei confronti dei profughi giovani e di età media, poiché ritenevano che potessero essere dei sabotatori o spie dei Tedeschi. Le persone sospette erano trattenute per alcuni giorni in apposite 36 37

21 La Linea Gustav strutture e sottoposte ad accurate indagini, prima del rilascio. Al termine offrivano la possibilità di lavorare per loro con retribuzione e vitto. Tutti gli sfollati erano condotti prima a Sessa Aurunca, poi nel Centro raccolta di Mondragone, ove erano sottoposti a disinfezione e, se malati, curati. Dopo erano trasferiti nelle altre località della provincia di Caserta, della Calabria, della Basilicata e della Sicilia. I Castelfortesi, che si misero in salvo in territorio degli Alleati, a differenza di quelli rastrellati dai Tedeschi, poterono portarsi dietro qualcosa, cioè gli effetti personali, i risparmi e gli oggetti più preziosi che possedevano. Con quelle poche risorse riuscirono a far fronte alle loro prime necessità nelle zone di accoglienza. La sistemazione degli sfollati nel Sud Italia non era paragonabile a quella di coloro che furono rastrellati dai Tedeschi e condotti a Roma e alle località del Nord Italia. Difatti nel Sud non erano state predisposte le strutture di accoglienza gestite dalle Prefetture e dai Comuni. Nel Sud l assistenza consisteva nella rara distribuzione di generi alimentari e indumenti. La condizione precaria degli sfollati era accentuata anche dal fatto che l economia locale era basata sul latifondo, con rapporti tra proprietari e contadini, che evocavano il medioevo. Inoltre i piccoli proprietari terrieri, per le loro condizioni economiche, non erano in grado di aiutare gli sfollati. Per tale motivo alcuni sfollati, non riuscendo a trovare un lavoro o a svolgere la loro attività, si ingegnarono per sopravvivere. Alcuni, per reperire un po di risorse finanziarie, si dedicarono al commercio ambulante. Compravano olio e prodotti tipici locali e in treno si recavano a Napoli per venderli. Non potevano portare grandi quantità di merce, poiché i controlli erano frequenti. Se erano sorpresi rischiavano sanzioni previste dalla legge per la pratica del mercato nero, cioè del mercato clandestino di prodotti vietati. In base ad alcune testimonianze raccolte, gli sfollati, soprattutto in alcune zone del Casertano, se raccoglievano nei campi la cicoria o altra verdura selvatica o qualche frutto, erano allontanati dai proprietari. Per le difficili condizioni di vita, gli sfollati dal Sud iniziarono a rientrare appena seppero della liberazione di Castelforte. Preferivano una vita grama a casa loro, piuttosto che restare nelle località di accoglienza. Il loro rientro avvenne alla spicciolata, con mezzi di fortuna e a proprie spese. Da Sessa Aurunca, Mondragone e altre zone vicine, tornarono a piedi. Trovarono il paese raso al suolo. Ovunque erano sparsi carri armati e automezzi fuori uso, cassette di munizioni, ordigni, armi, materiale militare di ogni genere. Mancava l acqua, poiché i pozzi erano stati distrutti o inquinati. Rovistavano tra le macerie delle loro case, per recuperare tutto ciò che potesse essere utile. Sgombravano dalle macerie i piani terra delle abitazioni per rimediare un riparo, sia pure precario, in attesa dell avvio della ricostruzione. Gli sfollati dal Nord Italia, invece, rientrarono dopo il 25 aprile 1945, alla fine della guerra, in attuazione di un piano organizzato e gestito dal Governo e dal Comando alleato. Con camion militari, dalle zone di accoglienza, furono condotti al Centro raccolta di Bologna, ove rimasero qualche giorno. Poi in treno furono trasferiti a Roma. Da qui, con camion, attraverso la SS 7 Appia, finalmente ritornarono a Castelforte. Al termine della battaglia il centro abitato era ridotto a un immenso cumulo di macerie, su cui svettava la Torre medievale, unico manufatto rimasto in piedi. La folta vegetazione delle retrostanti colline, costituita di uliveti, querceti e macchia mediterranea, era scomparsa. Il paese era completamente distrutto, con i pochi abitanti stremati dalla sofferenza, che si aggiravano tra le rovine come fantasmi. Nei primi anni del dopoguerra, data la devastazione subita, si riteneva impossibile la ricostruzione e la rinascita del paese. Si pensò addirittura di ricostruirlo nella piana. La ricostruzione fu lenta e faticosa, durò alcuni decenni, con i segni della guerra impressi nella struttura urbana. Le tracce della guerra sono state cancellate dalla laboriosità dell uomo e dal trascorrere del tempo. Anche la risonanza degli eventi bellici e delle vicissitudini della popolazione si è notevolmente attenuata, a causa della scomparsa di molti protagonisti. Di quel doloroso passato sopravvive il ricordo dei pochi testimoni ancora in vita, quelli che all epoca erano ragazzi o giovani. Purtroppo, con il naturale avvicendamento delle generazioni, la loro memoria diretta, nel giro di pochi anni, scomparirà

22 La Linea Gustav Ci vollero anni di sacrifici e di duro lavoro per la rinascita del paese. La ricostruzione e la bonifica del territorio dagli innumerevoli ordigni bellici, specialmente dalle mine nei terreni agricoli, richiesero urgenti e specifici lavori. Nel dopoguerra era pericoloso vivere in paese, soprattutto per i ragazzi, i quali, per la loro vivacità e irrequietezza, erano indotti a scorazzare e rovistare ovunque, a manipolare armi abbandonate e ordigni, con grave pericolo per la loro incolumità. Per tale motivo alle famiglie, specialmente quelle con ragazzi e giovani, l autorità comunale consigliò di trasferirsi nei campi profughi di Latina e Roma e ritornare quando le condizioni lo avrebbero consentito. Si trattò, per loro, di un altro periodo di sfollamento. Il bilancio dei Castelfortesi, militari e civili, deceduti nei campi di battaglia, durante e dopo la guerra, fu molto pesante, intorno al 10% della popolazione! Di alcuni caduti si persero le tracce e non furono registrati. Inoltre nel dopoguerra numerose persone rimasero mutilate a causa delle mine e dei residuati bellici, ma non fu compilato l elenco. Oggi, osservando Castelforte dalla piana o dai rilievi circostanti, sembra inverosimile che esso sia stato un importante punto strategico della Linea Gustav e teatro di cruente battaglie, per otto lunghissimi mesi. Ora si auspica soltanto che la follia dell uomo non determini una nuova ricaduta nella barbarie, con il ripetersi di una tragedia analoga a quella dolorosamente patita nel passato e faticosamente superata. La lezione dell ultimo conflitto mondiale è stata molto severa. Si spera che almeno sia servita a far riflettere sul dramma e sulla follia delle guerre. La Battaglia di Castelforte Sono trascorsi settant anni dalla battaglia di Castelforte, combattuta dall 11 al 13 maggio 1944, dopo otto mesi di assedio, che si concluse con la vittoria degli Angloamericani, ottenuta con il decisivo apporto del Corpo di Spedizione Francese. La battaglia contribuì allo sfondamento della Linea Gustav, poderoso baluardo difensivo approntato dai Tedeschi dalla foce del fiume Garigliano alla foce del fiume Sangro, cioè dal Tirreno all Adriatico. Difatti il suo esito consentì agli Alleati di occupare agevolmente Cassino, il successivo giorno 18, di liberare la Provincia di Littoria e di avanzare verso Roma e il Nord Italia. Dalla ricca documentazione esistente negli archivi storici degli eserciti che parteciparono alla battaglia, e dalla puntuale ricostruzione effettuata dal generale Mario Puddu, nel suo libro La battaglia di Castelforte, si evince che i Tedeschi ritenevano rilevante la posizione strategica di Castelforte nel loro schieramento difensivo. In previsione dello scontro finale, il piano difensivo tedesco, nel settore di Castelforte-Santi Cosma e Damiano, prevedeva l impiego delle seguenti unità da combattimento: - Reggimenti 211, 194 e 191 della 71 a Divisione di fanteria e del Reggimento 131 della 44 a Divisione di fanteria. Data l importanza del fronte, ai reparti fu impartito l ordine di resistere sino all ultimo uomo, poiché Hitler non avrebbe più tollerato ulteriori ripiegamenti dell esercito in Italia, dopo le ritirate dovute agli sbarchi degli Alleati in Sicilia e a Salerno, e dopo l abbandono di Napoli. Sul fronte di Castelforte i reparti tedeschi furono messi a presidio dei seguenti settori: - il 211 Reggimento schierato nella Valle dell Ausente, nei pressi di Cerri Aprano, a difesa della SS 630 Formia-Cassino, il cui controllo avrebbe permesso agli Alleati di raggiungere la SS 6 Casilina ed incunearsi nella Valle del Liri; - il 194 Reggimento, collocato nell abitato di Castelforte-Santi Cosma e Damiano per presidiare la strada che conduce a Coreno Ausonio e Ausonia, immettendosi poi nella SS 630; - il 191 Reggimento posizionato ad est del bacino montano di Rio Grande, versante Monte Ceschito; - il 131 Reggimento posto tra Monte Faìto e S. Ambrogio sul Garigliano. I Tedeschi erano consapevoli che il cedimento del settore di Castelforte avrebbe consentito agli Alleati di raggiungere la SS 630, sia attraverso il lato sinistro del torrente Ausente, sia dall abitato di Castelforte e Santi Cosma e Damiano. Difatti gli Alleati, in caso di sfondamento della linea difensiva in 40 41

23 La Linea Gustav tale settore, avrebbero potuto immettersi con le loro poderose unità corazzate nella SS 6 Casilina, accerchiare la fortezza di Cassino e penetrare nella Valle del Liri per dirigersi verso Roma. Il piano di attacco degli Alleati, da Monte Castelluccio (zona Suio Terme - Valle di Suio) alla Valle del torrente Ausente (Cerri Aprano), era affidato alle seguenti unità: - la 1 a Divisione motorizzata France Libre (Brigate 1 a, 2 a e 4 a ), la 2 a Divisione di fanteria marocchina (4 Rtm, 5 Rtm e 8 Rtm), la 3 a Divisione di fanteria algerina (3 Rt algerino, 4 Rt tunisino e 7 Rt algerino), la 4 a Divisione da montagna marocchina (Reggimenti 1, 2 e 6 ), Goumiers (Gruppi Tabors irregolari 1, 3 e 4 ) e la 88 a Divisione americana (Reggimenti 349, 350 e 351 ). L assalto alla Linea Gustav, noto come Operazione Diadem, scattò alle ore 23:00 precise, del giorno 11 maggio 1944, su tutto il fronte che si estendeva dalla foce del fiume Garigliano a Cassino. L ordine fu impartito in codice, via radio dalla BBC, a tutti i reparti. Simultaneamente, sulle postazioni tedesche, disposte lungo la linea, si abbatté un inferno di fuoco proveniente dal mare e dalle vallate dei fiumi Garigliano e Rapido, con distruttive esplosioni. Il cielo, solcato da innumerevoli scie dei proiettili traccianti, fu illuminato a giorno da una miriade di bengala per guidare i tiri dell artiglieria. Era un fuoco preparatorio, effettuato con circa 1600 pezzi di artiglieria, di vario calibro, per mettere fuori uso le postazioni nemiche prima dell entrata in azione dei reparti di assalto, che coincise con il sorgere della luna, previsto per le ore 23:30 precise. Al termine del cannoneggiamento, lungo tutto il fronte, le unità da combattimento alleate entrarono in azione, secondo il seguente piano: - la 2 a Divisione di fanteria marocchina, dalla zona di Suio e Valle di Suio, si mosse in direzione di Monte Faìto, Monte Garofano, Monte Feuci, Monte Maio, Monte Agrifoglio, Colle Castellone e Colle Cantalupo; - la 1 a Divisione motorizzata France Libre, inizialmente coprì il fianco destro alla 2 a Divisione di fanteria marocchina, poi procedette in direzione di Bosco Castelluccio, Conca di S. Andrea, S. Ambrogio sul Garigliano e S. Apollinare; - la 3 a Divisione di fanteria algerina, con il 4 Reggimento tiragliatori, un battaglione carri, un battaglione caccia carri e un battaglione da ricognizione Spahis, puntò su Castelforte da est (Colle Cimbrone, Colle Siola e S. Martino), da sud (Via Garibaldi e Tore Castelluccio) e da ovest (Monte Cianelli, Ventosa e Santi Cosma e Damiano); - la 4 a Divisione da montagna marocchina, partendo da Monte Fuga e Monte Furlito, affiancò prima la 3 a Divisione algerina nella fase iniziale dell attacco a Castelforte, poi proseguì in direzione di Monte Petrella, Monte Revole, Esperia e Monte d Oro. - La 88 a Divisione americana, invece, iniziò a muoversi dalla Valle del torrente Ausente in tre direzioni: - il 350 Reggimento da Colle Salvatito risalì la Valle sinistra del Torrente Ausente per occupare Monte Cerri, Monte Cianelli, Monte Rotondo, in modo da assicurare la protezione del fianco sinistro ai reparti della 3 a Divisione algerina, che avanzavano verso Santi Cosma e Damiano e Castelforte, per procedere in direzione di Monte Civita; - il 351 Reggimento puntò su Tame e Santa Maria Infante; - il 349 Reggimento si mosse su S. Vito per attaccare da est la frazione di Tufo di Minturno. In territorio di Minturno, dal torrente Ausente al mare, la 85 a Divisione americana seguì tre direttrici di attacco: - il 339 Reggimento si mosse in direzione di Tremensuoli, Colle S. Martino, Monte dei Pensieri, S. Domenico e Scauri; - il 338 Reggimento, partendo da sud-ovest del cimitero di Minturno, procedette su Solacciano, Cave d Argilla e verso la dorsale ovest. - il 337 Reggimento si spinse a nord e a ovest del Colle S. Martino, per prepararsi ad attaccare Spigno Saturnia. Dopo la prima giornata di combattimenti, cioè la sera del 12 maggio, gli Alleati avevano il controllo di gran parte dell abitato di Castelforte e Santi Cosma e Damiano, nonché del primo tratto della rotabile per Coreno Ausonio e Ausonia, a ridosso delle zone ove erano dislocati i comandi dei reggimenti tedeschi

24 La Linea Gustav Il 194 Reggimento della 71 a Divisione fanteria tedesca, nell abitato di Castelforte, oppose una strenua resistenza ai reparti della 3 a Divisione di fanteria algerina, impegnandoli in combattimenti corpo a corpo e casa per casa, per circa due giorni, subendo gravissime perdite. Tra morti, feriti e prigionieri, il reggimento fu decimato. Il comandante della 71 a Divisione, generale W. Raapke, la sera del 12 maggio fu costretto ad impartire alle sue unità l ordine di ripiegamento. La svolta della battaglia si ebbe il giorno successivo, il 13 maggio, quando i reparti della 2 a Divisione di fanteria marocchina travolsero lo sbarramento difensivo tedesco di Monte Feuci, Monte Maio, Colle Agrifoglio e Monte Garofano, aprendo una breccia di circa 12 Km nel sistema difensivo della 71 a Divisione tedesca. Il generale W. Raapke, consapevole della drammatica situazione in cui si trovavano le sue unità, reiterò in chiaro l ordine di ritirata, senza temere di essere intercettato dal nemico. Era la constatazione del cedimento della Linea Gustav, dopo otto mesi di assedio, con cruenti combattimenti, che causarono distruzione e morte in un vastissimo territorio. A tale proposito è opportuno sottolineare che il successo nel settore di Monte Maio fu possibile soprattutto per il fatto che, in precedenza, gli Alleati, al termine dell offensiva iniziata il 17 gennaio 1944, si erano attestati sulla riva destra del fiume Garigliano, controllando una vasta zona del territorio di Santi Cosma e Damiano e Castelforte, precisamente dal torrente Ausente a Suio e Valle di Suio. Gli Alleati a Suio Terme e Valle di Suio, in previsione dell attacco alla Linea Gustav, costruirono delle strade fino alla località Retelle, in prossimità di Monte Fuga, Monte Furlito e Monte Ornito, strade tuttora esistenti ed utilizzate dal Corpo forestale. In assenza di tali strade, le unità da combattimento della 2 a Divisione di fanteria marocchina certamente non avrebbero potuto conquistare le posizioni nemiche di Monte Feuci, Monte Maio, Colle Agrifoglio e Monte Garofano, difese dal 191 Reggimento della 71 a Divisione di fanteria tedesca, in una zona impervia, brulla e senza vie di comunicazione. Infatti i rifornimenti alle unità attaccanti poterono essere assicurati con l impiego dei reparti di salmerie, che utilizzarono quelle strade. Con la liberazione di Castelforte e Santi Cosma e Damiano, alcuni abitanti, sopravvissuti al lungo assedio ed alla battaglia finale, quando ritenevano che ormai le loro sofferenze fossero terminate, dovettero subire l affronto e l oltraggio delle violenze perpetrate da una parte dei loro liberatori, i famigerati goumiers, ai quali era stato concesso, in caso di vittoria, di fruire di 50 ore di carta bianca, cioè di assoluta libertà e impunità. Si trattò di una violenza brutale e disumana, nei confronti di una popolazione stremata da otto mesi vissuti in territorio di prima linea. Tale violenza non può essere assolutamente giustificata, soprattutto per il fatto che fu compiuta dalle unità del Corpo di Spedizione Francese, aggregato alle Forze Alleate, di cui facevano parte anche reparti italiani nel settore di Cassino. Il 13 maggio 1944, a conclusione della battaglia di Castelforte, gli Alleati avevano il controllo delle località attraversate dalla SS 630. Per sfruttare il loro vantaggio attuarono una strategia finalizzata ad impedire alle unità tedesche di riposizionarsi nelle retrostanti linee difensive Dora e Hitler-Von Senger, che avevano predisposto, in caso di cedimento della Linea Gustav. Data la difficile situazione in cui si trovavano, i reparti tedeschi furono costretti a battere in ritirata verso il Nord, cercando di contenere le perdite. Gli Alleati avevano una schiacciante superiorità di mezzi e di uomini, con il supporto delle forze aeree. Lungo la costa tirrenica avevano anche l appoggio navale. I loro attacchi spesso erano preceduti da distruttivi bombardamenti dal cielo e dal mare, che mettevano fuori uso le fortificazioni nemiche. A conclusione della battaglia di Castelforte, gli Alleati incalzarono i Tedeschi, che avevano iniziato a ritirarsi con tutti i loro reparti verso il Nord, seguendo tre direttrici: Scauri-Formia-Itri; Castelforte-Ausonia-Esperia-Pico; Monti Aurunci-Itri-Pico. I Tedeschi nella fase iniziale delle operazioni belliche opposero una tenace resistenza, che, man mano, con il passare dei giorni, si affievoliva 44 45

25 La Linea Gustav sempre di più. Difatti furono costretti a fronteggiare la massiccia offensiva alleata solamente con i reparti, che da mesi erano schierati sul fronte, senza ricevere rinforzi e munizioni. L attacco alleato alla fascia costiera, che riguardava Minturno, Formia e Gaeta, fu affidato ai reparti della 85 a Divisione di fanteria americana. Le operazioni militari furono precedute da un intenso e distruttivo bombardamento aeronavale, che mise fuori uso molte postazioni nemiche, ma provocò enormi danni anche ai centri urbani. Nonostante ciò, i Tedeschi riuscirono ad opporre una tenace resistenza, infliggendo pesanti perdite agli Alleati. Ma dovettero capitolare, sopraffatti dalla schiacciante superiorità del nemico. La conquista di S. Maria Infante, frazione di Minturno, fu un caso unico nella storia delle battaglie di tutti i tempi: fu conquistata e perduta per ben 17 volte dai reparti combattenti. La località fu liberata il 14 maggio, ma ormai era ridotta a un cumulo di macerie. Gli Alleati proseguirono l inarrestabile avanzata, occupando nei giorni successivi varie località. Il 15 maggio liberarono Spigno Saturnia, dopo quattro giorni di sanguinosi combattimenti casa per casa. Il giorno 16 i Tedeschi abbandonarono Scauri e consentirono il facile ingresso dei reparti alleati. Le truppe coloniali del Corpo di Spedizione Francese conquistarono Monte Petrella e Monte Revole, poi proseguirono lungo gli impervi rilievi dei Monti Aurunci. Durante l avanzata furono riforniti di armi e viveri dagli aerei mediante lanci di paracadute. La popolazione civile, che si era illusa di trovare in quelle zone un riparo sicuro dalla furia della guerra, sperimentò la loro brutale e disumana violenza. Il 17 maggio gli Americani occuparono Maranola. Il giorno dopo entrarono a Formia. Il 19 maggio furono liberate Gaeta e Itri. Invece Campodimele, lo stesso giorno, fu occupata dalle truppe coloniali francesi, dopo aver preso Monte Faggeto il 17 maggio. Anche gli abitanti di Campodimele dovettero subire i saccheggi e la bestialità dai loro liberatori. Il 20 maggio furono liberate Fondi e Sperlonga. Il giorno 21 fu presa Lenola, i cui abitanti dovettero subire l oltraggio delle truppe coloniali francesi. Il 21 maggio, con la presa di Monte Appiolo del territorio di Pastena, terminò la battaglia del Garigliano, iniziata il precedente 11 maggio Lo sfondamento della linea Gustav, uno degli eventi bellici più rilevanti del secondo conflitto mondiale, consentì la liberazione di gran parte del territorio nazionale, ove di fatto la guerra terminò un anno prima. Infatti l esercito tedesco, incalzato dagli Alleati, dovette arretrare fino alla Toscana, Marche ed Emilia Romagna, ove si attestò in una nuova linea difensiva, la Linea Gotica, che si estendeva da Apuania (Massa-Carrara) a Rimini e Pesaro, per una lunghezza di circa 300 Km, con l intento di proteggere la Valle del Po e le zone industriali della Lombardia. La Linea Gotica comprendeva le Alpi Apuane, le Colline della Carfagnana, l Appennino Modenese, l Appennino Bolognese, l Alta Valle dell Arno, la Valle del Tevere e l Appennino Forlivese. Bloccò l avanzata degli Alleati per circa un anno, fino alla primavera del 1945, ritardando la conclusione della guerra in Italia

26 La Linea Gustav Carri armati Sherman bombardano Castelforte e SS. Cosma e Damiano Castelforte - SS. Cosma e Damiano, 13 maggio 1944: i tedeschi dislocati a difesa della Piccola Cassino si arrendono alle truppe algerine del Corpo di Spedizione Francese 48 49

27 La Linea Gustav I Genieri tedeschi manomettono la linea ferroviaria tra le stazioni di Itri e Formia Stazione ferroviaria di Itri: i tedeschi minano un traliccio 50 51

28 La Linea Gustav Formia: colonna di Sherman attraversa via Vitruvio e truppe motorizzate americane si preparano per attaccare Gaeta Gaeta: gli effetti dei bombardamenti nel quartiere Medioevale mentre una pattuglia alleata effettua in jeep una prima ricognizione 52 53

29 SETTANT ANNI FA IL FRONTE DEL NORD Attacco aereo a Cisterna

30 Il Fronte del Nord di Pier Giacomo Sottoriva Ci sono volute decine di anni perché le nuove generazioni cominciassero ad impadronirsi della esperienza della seconda guerra mondiale in provincia di Latina. Questo da un lato non deve sorprendere, se è vero che ancora oggi, 100 anni dopo, continuano a pubblicarsi libri e si celebrano ricordi sulla grande tragedia dell altra guerra, la prima. Evidentemente l Uomo ha bisogno di una lunga macerazione, ha bisogno delle nuove generazioni per digerire il suo dolore, ha bisogno di tempo per elaborare la memoria di quel dolore per consegnarlo ad altri, ma depurato delle angosce dell immediatezza e trasformato in memoria consapevole, in memoria civica, o in simbolo della comunità locale, come accade a Cisterna che ha sintetizzato la sua esperienza bellica nel ricordo dell esodo forzato dell intera sua popolazione nel giorno 19 marzo O come è avvenuto per San Felice Circeo e Terracina, che ricordano il 4 di maggio l eccidio consumato dai tedeschi nel 1944 a Borgo Montenero. O come a Formia, anch essa unita alle tragedie della guerra dal massacro di otto suoi figli nella pendice collinare di Costarella di Trivio consumato il 26 novembre O come, infine, accade per Ponza e Ventotene che ricordano il 24 luglio i morti per l affondamento del piroscafo Santa Lucia. La guerra in provincia di Littoria era stata ufficialmente proclamata il 19 luglio del 1943, quando la Gazzetta Ufficiale del Regno n. 165 pubblicava il Regio Decreto 14 luglio 1943, n. 630, che disponeva che su proposta del Duce del Fascismo, lo stato di guerra è dichiarato anche nel territorio della Provincia di Littoria. Il Regio Decreto entrò in vigore il giorno successivo. Lo stesso giorno della pubblicazione Roma subiva il primo bombardamento aereo. Cinque giorni dopo veniva affondato il piroscafo Santa Lucia che collegava Napoli, Gaeta e le isole di Ponza e Ventotene: aveva a bordo poco meno di un centinaio di persone ed è rimasto il più grave delitto bellico consumato ai danni di civili. Il giorno successivo all affondamento, il 25 luglio, il re defenestrava Mussolini a Villa Savoia. La provincia di Littoria era stata istituita meno di nove anni prima, con Regio decreto legge 4 ottobre 1934, n L affondamento del Santa Lucia L episodio più tragico della guerra pontina fu, come s è detto, l affondamento del traghetto, ed esso merita una speciale menzione, perché la storia documentale ha fatto definitiva chiarezza solo a distanza di 60 e più anni. Vediamo come. Il Santa Lucia era un piroscafo di 452 tonnellate appartenente alla società napoletana SPAN, che collegava un paio di volte la settimana Napoli e Gaeta alle isole di Ventotene e Ponza, dove la popolazione locale era stata notevolmente incrementata dai confinati politici là relegati dal fascismo. Il 23 luglio 1943, nel tragitto Napoli-Ventotene, la nave fu attaccata in mare aperto, non lontano dall isola pontina: per la verità sembra che le bombe che le piovvero a non grande distanza fossero solo gli scarti di un azione aerea condotta altrove e che gli aerei non erano riusciti a sganciare e di cui si liberavano, come d uso, lanciandole in mare. Stavolta per poco non centrarono il piroscafo, forse del tutto casualmente. La nave era riuscita ad evitare danni, e passeggeri ed equipaggio se l erano cavata solo con molta paura. Il giorno successivo, il postale era partito di buonora da Ponza, dove aveva caricato 46 passeggeri - militari che lasciavano l isola, e civili che si trasferivano sul continente. A bordo c erano anche 24 componenti dell equipaggio; in tutto, dunque, 70 passeggeri. Il 24 luglio, appena in prossimità del porto di Ventotene, un gruppo di aerei britannici iniziarono un nuovo attacco che, stavolta, conseguì risultati funesti: la nave fu raggiunta esattamente al centro della chiglia da un siluro lanciato da uno dei velivoli. Il piroscafo si spezzò in due tronconi ed affondò nel giro di una manciata di minuti forse due o tre del tutto insufficienti per consentire alla gran parte dei passeggeri che s erano rifugiati nel sottoponte e dell equipaggio di tentare la salvezza gettandosi in mare. Quattro delle persone imbarcate furono sbalzate in acqua dall esplosione, tra esse il comandante Cosmo Simeone, originario di Gaeta. Immediatamente dopo il lancio gli aerei si ritirarono. Dall isola, dove la tragedia era stata seguita da molte persone, si staccarono alcuni battelli per un tentativo di soccorso, generoso quanto inutile. I quattro naufraghi, feriti, vennero portati a terra. Il comandante Simeone apparve subito in gravissime condizioni. Dato l allarme, nel giro di qualche ora giunse nelle acque dell isola 56 57

31 Il Fronte del Nord In particolare, ricorda Cargnello, la base di Protville (Tunisia) fu scelta per operazioni di avvistamento e aerosiluramento nel Tirreno campano e sud laziale. L episodio del 24 luglio appartiene a questa casistica. L azione ebbe come protagonisti aerei britannici del tipo Beaufighter, che sganciavano da bassissima quota puntando direttamente il bersaglio navale. Una squadriglia di 8 velivoli del 47 stormo della Royal Air Force, decollò il 24 luglio 1945 da Protville alle ore e raggiunse l area operativa di Ventotene dopo poco meno di 2 ore di volo a bassa quota. Per una coincidenza micidiale, il Santa Lucia quel giorno lasciò Ponza alle ore 08 e si trovò, quindi, presso Ventotene proprio circa 2 ore dopo, in perfetta coincidenza con i velivoli inglesi. Essi giunsero alle ore 9.58 e, come prima operazione, affondarono a colpi di mitraglia una barca a vela; quattro minuti dopo, alle ore 10.02, avvistarono il piroscafo che navigava a circa 2 miglia da Ventotene. Colori e caratteristiche della nave indussero il capo equipaggio della squadriglia a ritenere che essa fosse impiegata per la difesa costiera e valutata, erroneamente, di una stazza tra le 1500 e le 2000 tonnellate. Poco avanti rispetto al Santa Lucia, in quello stesso momento, si muoveva un pontone tedesco del distaccamento di stanza sull isola. Lo stormo si divise allora in due squadriglie di 4 aerei ciascuna, per attaccare il pontone e la nave. Il pontone, privo di pescaggio, e non raggiungibile con i siluri, fu attaccato solo con la mitraglia e non riportò gravi danni, ed anzi, pare che rispose in qualche modo al fuoco nemico. La nave italiana, invece, fu attaccata da 2 velivoli incaricati di aprire un fuoco di deterrenza con mitraglie, per aprire la strada ad altri 2 velivoli muniti di siluri, che vennero regolarmente sganciati. Uno di essi si perse in mare, il secondo, lanciato dal Warrant Officer A. Thompson, colpì in pieno la nave che esplose e affondò. Gli otto aerei, esaurita l azione, ritornarono immediatamente a Protville perché nei 10 minuti impiegati del duplice attacco avevano esaurito le riserve di carburante che garantivano l autonomia di volo. Dopo l affondamento, i soccorsi in mare furono portati dallo stesso pontone tedesco, da due pescherecci (uno gaetano e l altro ponzese) inviati dal comando marittimo isolano e da qualche barca locale. Va detto che la notizia partì con sollecitudine da Ventotene verso i Comandi di Roma e Gaeta, e la reazione, sia pure con la tempistica che le condizioni dell epoca consentivaun idrovolante allertato dalla Capitaneria di Porto di Gaeta: il comandante Simeone fu trasferito in un ospedale di Napoli, dove il giorno successivo morì. Di quell avvenimento si mantenne vivo il ricordo, ma scomparvero i particolari della sua storia. Ad essi si poté giungere solo quando un ricercatore ritrovò il fascicolo dell affondamento. Di esso si era accertata la posizione della nave, spezzata in due tronconi su un fondale di 40 metri a un miglio e mezzo da Ventotene; ma non si sapeva se non per approssimazione chi aveva attaccato, quanti erano gli imbarcati e come erano andate effettivamente le cose (v. la mia ricostruzione sul n.1 - Giugno 2010 della rivista Annali del Lazio meridionale, sotto il titolo Il lungo mistero dell affondamento del Santa Lucia a Ventotene (1943), pp ). L affondamento del Santa Lucia rimase, così, una specie di leggenda, i cui contorni reali emersero solo nel 2007, quando il Capo Sezione dell Archivio storico del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto Guardia Costiera, Giulio Cargnello, decise di fare quello che nessuno aveva fino allora fatto: cercare i documenti. Essi furono trovati tra i faldoni custoditi presso il Ministero della Marina Mercantile. Egli ha anche ricostruito il perché e il come della presenza di quegli aerei nella scena di Ventotene, in quella calda giornata di luglio del Ed ecco i fatti. Il piroscafo Santa Lucia, con la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940, era stato militarizzato a partire dal 25 maggio due settimane prima che la guerra venisse dichiarata ma era stato demilitarizzato già il 30 agosto dello stesso La militarizzazione aveva avuto un paio di conseguenze: la nave era stata verniciata con il tradizionale colore grigio militare e vi era stato istallato a prua un cannoncino, e l arma era stata affidata a ben 7 serventi. Il cannoncino non sparò mai, ma non fu smontato dopo la demilitarizzazione della nave. Né la nave fu ridipinta con gli originali colori civili; né fu sbarcato e destinato altrove il personale militare. Quei segni di una demilitarizzazione decisa ma non portata a compimento avrebbero segnato la sorte della nave e dei suoi passeggeri. Dopo la conquista della sponda africana del Mediterraneo e lo sbarco in Sicilia (10 luglio 1943) le forze alleate avevano acquisito la possibilità di lanciare i loro attacchi aerei da piattaforme più prossime agli obiettivi della penisola italiana. Squadriglie di caccia partivano da basi africane per ricognizioni e per portare offesa

32 Il Fronte del Nord no, fu buona. Ai primi soccorsi si aggiunsero quelli del Mas n. 13 Medolino, di un idrovolante partito da Napoli, che poi imbarcò il comandante Simeone, e, più tardi, della corvetta Euterpe e della torpediniera Ardimentoso. Da questo momento l evento bellico diventa una pratica burocratica. La Capitaneria conclude la sua inchiesta 6 giorni dopo, il 31 luglio, acquisendo tutti i nomi delle persone imbarcate, ma la conclusione della pratica fu interrotta e i documenti dispersi, perché, come è noto, il 25 luglio era avvenuto l arresto di Mussolini, e il 27 il suo avvìo prima a Ventotene poi a Ponza. Di conseguenza, conclude Giulio Cargnello: I parenti non saranno mai avvisati ufficialmente della perdita dei loro cari. Scampati all affondamento, oltre al comandante Simeone, furono il giovanotto (ossia il mozzo) Luigi Ruocco di Castellammare di Stabia; il fante Fernando Capoccioni, di Roma, gravemente ferito e trasferito a Napoli; il carabiniere Vincenzo Moretti, di Palestrina; e Francesco Aprea, di Ponza. Il mare, poi, restituì i cadaveri del fuochista Giuseppe D Esposito di Castellammare di Stabia, e del carbonaio Ettore Albanelli di Napoli. Degli altri, nulla. E perché i familiari delle vittime non furono avvertiti? La ricostruzione fatta da Cargnello è puntuale: la Capitaneria di Porto di Gaeta non provvide, con tutta probabilità, a causa del disordine che seguì i fatti politici del 25 luglio 1943 e, più tardi, a quelli che seguirono l 8 settembre (proclamazione dell armistizio). In questi due frangenti la copia del fascicolo rimasta negli uffici di Gaeta andò smarrita, ma la Capitaneria aveva regolarmente inoltrato la pratica al Ministero. Nel settembre 1944, ossia a guerra finita in questa parte d Italia, la Capitaneria chiese ed ottenne un duplicato del fascicolo giacente presso il Ministero, ma mentre si relazionò con i comandi militari per definire le pratiche del personale in divisa perito nell affondamento, non pensò di informare i familiari delle altre vittime. La storia di quei passeggeri è rimasta, perciò, ignorata per 63 anni, malgrado libri e articoli, commemorazioni e rievocazioni, prima che Giulio Cargnello riportasse alla luce le carte e le rendesse pubbliche nel 2007 (v. Comando Generale delle Capitanerie di Porto Ufficio Relazioni Esterne, Ventotene 24 luglio L affondamento della Nave postale Santa Lucia ). A parte si pubblicano gli elenchi dei deceduti. La molteplicità dei ricordi La molteplicità dei ricordi singoli ha date diverse: oltre al citato 24 luglio, anche il 26 novembre 1943 (Costarella); il 22 gennaio (sbarco di Anzio-Nettuno) e il 4 maggio 1944 (eccidio di Borgo Montenero). La principale, dal punto di vista militare, inizia nella notte del 22 gennaio Quest ultima data fa parte del tragico calendario internazionale degli eventi della II guerra mondiale, perché in quella notte 374 navi da guerra alleate scaricarono sulla costa tra Littoria, Nettuno, Anzio e Tor San Lorenzo, migliaia di uomini per uno degli sbarchi più fulminei, sorprendenti e fortunati della seconda guerra mondiale. La molteplicità del ricordo di quell anno si forma a Cisterna con la discesa della popolazione nelle grotte, cominciata la domenica 23 gennaio. Una giovane Provincia disastrata Ma la guerra in Agro pontino era iniziata, come s è detto, già nell estate del Questo significa che la giovanissima Provincia affrontava la guerra nelle peggiori condizioni possibili. La bonifica delle Paludi Pontine non era consolidata (i tedeschi, dopo l 8 settembre 1943, avrebbero impiegato pochi giorni per sabotarne i punti vitali); la malaria non era stata eradicata, non era consolidato il quadro sociale che nasceva dalla bonifica, né quello amministrativo che scaturiva dal nuovo assetto istituzionale: la provincia di Littoria, insomma, viveva una vita che ancora non le apparteneva. Le sue sorti erano decise altrove: nel gabinetto di Mussolini (confini da ritoccare, città da fondare, borghi da creare), negli uffici tecnici e di vigilanza dell ONC (gestione delle aziende agrarie e dei poderi assegnati), e nelle stanze del Pnf, dove si decideva quali contadini fossero affidabili, giacché nei contratti colonici, dopo il 1936, tra le cause di rescissione del contratto in danno del colono, fu introdotto il parametro della indegnità politica, il cui giudizio era rimesso ai competenti organi di partito. La giovanissima Provincia, soprattutto la parte più nuova, quella settentrionale, affrontava insomma la guerra in condizioni se possibili anche più gravi. Subito dopo l 8 settembre, i tedeschi predisposero un piano per contenere 60 61

33 Il Fronte del Nord un prevedibile sbarco alleato, con la creazione di una linea di difesa fatta di postazioni costiere in cemento armato o trasformando strutture o edifici collocati strategicamente (anche qui ci sono ricordi visibili: vedi l articolo sui bunker); vennero depositate centinaia di migliaia di mine antiuomo e anticarro lungo la fascia litoranea e nell immediato retroterra; fu decisa ed eseguita la distruzione di tutte le strutture portuali e l affondamento di tutto il naviglio non utilizzabile, inclusi i pescherecci; venne attuata la sistematica demolizione con l esplosivo, di tutti gli edifici - palazzi, antiche torri costiere, fabbriche - che avrebbero potuto costituire punto di riferimento per lo sbarco o ostacolo per la difesa. Poi, in vista di una risalita via terra, in conseguenza del fatto che in qualche settimana dallo sbarco di Salerno del 9 settembre 1943, l Operazione Avalanche, gli Alleati avevano raggiunto e liberato Napoli (con l aiuto della rivolta cittadina delle Quattro Giornate, venne anche disposto l allagamento della Piana di Fondi-Monte San Biagio e di ampie aree della Pianura Pontina, appena bonificate. Furono tagliati gli argini, sabotate le centrali idrovore, asportati i motori, stravolto scientificamente il sistema che aveva permesso di ristabilire l equilibrio idraulico nelle zone paludose. L operazione di devastazione e di sabotaggio fu così disastrosa che persino le poche autorità fasciste rimaste, pur con tutte le cautele che le circostanze imponevano, la giudicarono eccessiva e non spiegabile militarmente. Ciò ha indotto a sospettare che quella operazione fosse, in realtà, un atto di vera e propria vendetta contro gli Italiani, rei di tradimento. Una vendetta da consumare attraverso una vera e propria azione di terrorismo biologico, il reimpaludamento finalizzato a reintrodurre condizioni di pieno ambientamento delle zanzare portatrici di malaria e a provocare una disastrosa pandemia, che effettivamente avvenne nell estate 1944 con decine di migliaia di malati di malaria. È una tesi sostenuta da autori italiani (Corbellini, Merzagora, A. Coluzzi, che fu malariologo in zona) e americani (Snowden, Paul Russel), ma che non è documentalmente dimostrata, mentre personalmente ho esposto perplessità su tale finalità bioterroristica (v. Le tre malarie, Book editore, Latina 2008). Mentre il sabotaggio progrediva, la popolazione veniva fatta evacuare prima a 5 poi a 10 chilometri di distanza dalla costa. La popolazione dell area settentrionale della provincia, che contava oltre 133 mila persone, tra Aprilia (che all epoca registrava solo 2237 residenti), e Terracina, il centro più popoloso con i suoi abitanti, si disperse nella pianura e nella retrostante collina, zona che godeva di una situazione di relativo vantaggio, piuttosto defilata dalle operazioni tattiche e logistiche, ma non da quelle militari, visto il tributo che anche Cori, Sezze, Priverno, Sonnino, Maenza pagarono alla guerra. Solo la cittadina di Norma si salvò e divenne centro elettivo di ospitale accoglienza. Norma, città solidale La cittadina lepina di Norma ha, dunque, avuto il singolare privilegio di non essere stata sfiorata dalla guerra, che ha, invece, potuto osservare dall alto della sua rave (la strapiombante rupe su cui è sorta). La favorevole e pressoché unica circostanza trasformò Norma in un prezioso rifugio per migliaia di sfollati che lasciarono la pianura pontina martoriata da cannoneggiamenti e bombardamenti. Dopo lo sbarco di Anzio-Nettuno iniziarono flussi di profughi verso la collina (Camposoriano, Sonnino, Roccasecca dei Volsci, Maenza, e in particolare verso Norma), così come verso la campagna (di Pontinia e di Terracina), mentre la popolazione di Aprilia veniva imbarcata e trasferita verso la Campania-Calabria-Sicilia; quella di Campodimele in Emilia; quella di Cisterna verso Cesano, Narni, Roma. Norma si trovò a divenire albergo per migliaia di rifugiati. Purtroppo, non ne è mai stato calcolato il numero, ma tenendo conto delle cose obiettive (disponibilità di case, esistenza di rifugi naturali, come caverne, popolazione residente, la ineludibile capacità di adattarsi anche a condizioni precarie, le capacità di sostentamento offerte dal territorio), può ritenersi che la popolazione ne venisse raddoppiata. Questa è una tesi che si appoggia sul ricordo e sulla tradizione della memoria tra generazioni, mentre c è carenza di dati sicuri. È certo che, malgrado questa forzosa convivenza, non si registrarono episodi di intolleranza o di rifiuto di aiuto e rifugio. Fu una generosa corsa all ospitalità: anche se le difficoltà si palesarono immediatamente, esse furono sopportate in pieno spirito di collaborazione e di reciprocità. Scattò un sentimento fatto di generosità spontanea, che è la sostanza del comportamento cristiano, e che un filosofo come Johann 62 63

34 Il Fronte del Nord Gottlieb Fichte, teorizzò ragionando di relazioni umane. Egli diceva che non c è Me senza Te, né Te senza Me, intendendo la ineliminabile complementarità delle relazioni tra gli uomini. Io non posso affermarmi per quello che sono se non mi relaziono e non mi confronto con un altro, con il quale parlo, discetto, verifico i miei sentimenti e realizzo le mie aspirazioni, i miei successi e i miei insuccessi. L Altro, quindi, diventa un punto necessario per la vita stessa di un uomo: ma oggi spesso l Altro viene considerato solo come un competitore, un possibile ostacolo, un rischio di mescolanza di razze, che porta alla intollerabile polemica sugli sbarchi, gli immigrati, il meticciato, il rifiuto, cioè, dell Altro, mentre in quella società in cui la guerra divorò milioni di vite umane il sentimento ancora prevalente presso gli animi più semplici e originali, come la gente di collina, si palesò nello spirito di accoglienza, nell ospitalità, nel dare conforto, nel condividere i disagi, il cibo, gli indumenti, il tetto; persino nel rischio per la propria vita, perché non va dimenticato che venne praticata l ospitalità anche nei confronti di prigionieri fuggiti da campi di concentramento, e di soldati infiltrati tra le linee ostili Quella gravosa e generosa precarietà innescata dalla guerra, quella condivisione che impoveriva tutti materialmente, anche i privilegiati, ma che arricchiva gli spiriti, conobbe i momenti più difficili con le numerose ordinanze di sgombero e di sfollamento di Littoria, che era la città più affollata, ed ebbe i suoi episodi chiave in due date: - 11 maggio 1944: quando nel Sud provincia si scatenò l offensiva alleata contro le linee tedesche, venne infranta la Linea Gustav, conquistata Cassino, e l armata tedesca dovette ritirarsi su successive linee precostitituite (la Dora, la Caesar), e la guerra combattuta nel sud si spostò nell Agro Pontino e sulla collina lepina; - 22 maggio: con l operazione breakout sulla testa di sbarco, che coinvolse primariamente Aprilia e Cisterna e che durò fino al 30 maggio, quando l ultimo soldato tedesco lasciò la provincia di Littoria. In quei giorni scattò, dunque, una nuova forma di solidarietà, perché le truppe alleate che avanzavano portavano anche i temibili soldati dell Atlante marocchino, che lasciavano dietro di sé una scia di sangue, di sevizie, di terrore lungo tutta la c.d. linea rossa che separava il versante montano loro affidato dal versante percorso dalle truppe americane, che si muovevano sulla collina più prossima alla pianura e nella stessa pianura. Gli episodi peggiori si registrarono a Campodimele, Lenola, Itri, nella collina retrostante Fondi e nella Ciociaria, ma anche sui Lepini, anche se qui gli sfollati che avevano cercato riparo sull alta collina di Cori, Norma, Sermoneta, Roccamassima ricevettero l aiuto delle autorità religiose di Velletri, dalla cui diocesi un tempo quest area dipendeva, e dalle stesse popolazioni, che a volte reagirono con gli stessi metodi violenti (vi sono documenti anche nell archivio diocesano di Terracina). La guerra contro i civili Anche questi episodi erano gli effetti di quella guerra contro i civili che caratterizzò la guerra totale anche in quest area e di cui si possono rammentare altri eventi: il 4 settembre 1943 venne bombardata dagli alleati Terracina (un centinaio di morti), l 8 settembre Gaeta, il 10 settembre Formia (una settantina di morti e pesanti distruzioni), nel gennaio 1944 furono massacrati da cannoni e bombe aeree i circa cento fedeli che assistevano alla messa a Cori e i circa duecento che si erano rifugiati nel bosco dell Abboccatora, e poi Fondi e Lenola in un rosario di sangue e di morti innocenti. Il 13 ottobre 1943 il Governo del Sud presieduto da Badoglio,dichiarò guerra alla Germania. La provincia di Littoria divenne l estremo lembo della Repubblica sociale fascista, ma vi comandavano solo i tedeschi. Lo sbarco di Anzio-Nettuno Gli Alleati avevano raggiunto la parte finale della linea Gustav - tra Castelforte e il mare di Minturno - a metà novembre, e vennero inchiodati dalla organizzata difesa tedesca. Per aggirare lo scoglio fu progettata l Operazione Shingle, uno sbarco in profondità dietro le linee di difesa, preceduto da un attacco sulla Gustav per richiamare forze. La sera del 21 gennaio salparono dal golfo di Napoli 374 mezzi navali, che trasportavano 50 mila uomini e 5 mila automezzi. Formavano il VI Corpo d armata posto sotto il comando del generale americano John P. Lucas, 54 anni compiuti da una settimana. Il contingente era composto dalla 3^divisione, dal 504 e 509 reggimento paracadutisti di fanteria e da tre battaglioni di Rangers, tutti americani; dalla 1^ divisione corazzata e da due 64 65

35 Il Fronte del Nord battaglioni di Commandos britannici. La flotta compì una lunga manovra per ingannare eventuali osservatori nemici, poi, col favore della notte invernale, puntò sull arco di costa tra Terracina e Ostia per sbarcare nel tratto compreso tra Tor San Lorenzo-fosso Moletta, a ovest, e Anzio-Nettuno-Foglino-canale Mussolini, a est. L ora H fu fissata alle ore 2 di sabato 22 gennaio. All 1.53 due navi aprirono il fuoco rovesciando sulla costa 792 razzi in circa 90 secondi e devastando un area di circa 15 ettari. Una decina di minuti dopo dai primi mezzi da sbarco scendevano in acqua, a pochi metri dalla costa, i fanti. In quella notte, nella zona di Anzio-Nettuno si trovavano soltanto due unità tedesche, il LXXI battaglione e il battaglione Esploratori della 29^ divisione Panzergrenadier, reduci dalla Gustav per un periodo di riposo, e una sessantina di uomini del presidio costiero. Lo sbarco, dunque, avveniva in una zona priva di difesa, e nel giro di poche ore americani e inglesi conquistarono gli obiettivi che si erano prefissi senza vittime (solo gli inglesi a Tor San Lorenzo persero qualche uomo finito su un campo minato). Per sostenere lo sbarco gli alleati lanciarono, appena sorse l alba, una serie di attacchi dall aria, sia a difesa della flotta, sia per terrorizzare, anche col tiro dei grossi calibri delle navi da guerra, i centri attorno alla testa di ponte: Aprilia, Cisterna, Velletri, S. Felice Circeo, i paesi della collina, in special modo Cori e Priverno. L attacco su Sezze fu tra i più gravi: tra le 8.30 e le 9, ora del mercato, rimasero uccise alcune persone e distrutte alcune case. Il 23 gennaio, domenica, i primi abitanti di Cisterna scendevano nelle grotte, le profonde cantine scavate nel sottosuolo di pozzolana e tufo, dove avrebbero vissuto per due mesi. Altre duemila persone presero la strada per Torrecchia, Le Castella e per la campagna più interna, ai piedi dei monti Lepini. Cisterna a est, Aprilia a ovest: erano i due ostacoli che il VI Corpo alleato doveva superare in questo settore per accedere a Roma. Il primo significava il controllo della Statale 7 Appia e attraverso esso, anche di Valmontone, nodo della Statale 6 Casilina, da Cassino a Roma; il secondo apriva la via ai Colli Albani. Esplorazioni alleate L unica iniziativa che Lucas assunse subito dopo lo sbarco fu l invio di pattuglie in esplorazione: quella diretta verso Littoria, al comando del maggiore Crandall, cadde in mano ai tedeschi all altezza di Borgo Podgora. Nel settore occidentale, gli inglesi inviarono una pattuglia automontata che raggiunge le prossimità di Campoleone, prima di essere intercettata dai tedeschi e di fare dietrofront. La facilità con la quale la pattuglia era penetrata, convinse il comandante della 1^divisione britannica, generale Penney a tentare una esplorazione in forze su Aprilia il mattino del 25 gennaio. La penetrazione ebbe buon esito e l abitato di Aprilia cadde temporaneamente in mano inglese. Nella stessa giornata Littoria subì le prime vittime a causa di un cannoneggiamento dal mare che raggiunse il centro urbano poco dopo le Subito dopo i colpi raggiunsero anche Cisterna, e le case del Corso. Sulla testa di sbarco erano ormai presenti più di 50 mila uomini, comprese la 1^ divisione corazzata e la 45^ divisione di fanteria americane, ma i tedeschi erano riusciti in poche ore a fare affluire circa 40 mila uomini raccolti nella XIV armata sotto il comando del generale Eberhard Von Mackensen, e il 26 gennaio, il generale tedesco Westphal considerava che il pericolo acuto di uno sfondamento in direzione di Roma o di Valmontone era passato. Cancellata la sorpresa, i due avversari cominciarono a studiarsi. La prima operazione importante tentata dal generale Lucas la notte tra il 30 e il 31 gennaio, fu una penetrazione da Isolabella a Cisterna, affidata a 3 battaglioni di Rangers appoggiati da elementi della 3^ divisione, ma si concluse con una catastrofe per gli americani: sorpresi dai tedeschi che essi avrebbero dovuto, a loro volta, sorprendere; dei 767 Rangers che presero parte all attacco tornarono alla base di Anzio solo in 6. Circa il 60% dei reparti furono uccisi o feriti, gli altri finirono prigionieri. I tedeschi li avrebbero fatti sfilare qualche giorno dopo per Roma, come segnale del fallimento alleato. Le battaglie per Aprilia-Campoleone Non andò meglio sul settore occidentale, tra Anzio, Aprilia e Campoleone, dove, tra il 29 gennaio e il 4 marzo si svolsero quattro sanguinose battaglie tra i due schieramenti, che costarono migliaia di morti e comportarono il rischio che gli Alleati venissero rigettati in mare. La prima battaglia si svolse tra il 29 e il 31 gennaio; la seconda dal 3 al 12 febbraio (e in questa circostanza scesero in campo anche 300 parà della Repubblica sociale italiana), la terza tra il 16 e il

36 Il Fronte del Nord febbraio, e mise ripetutamente in crisi il dispositivo alleato. I tedeschi furono arrestati al cavalcavia di Campo di Carne. La quarta battaglia durò circa cinque giorni, dal 29 febbraio al 4 marzo, e fu l ultimo tentativo tedesco di respingere a mare gli alleati. Poi iniziò una fase di stanca, con i due eserciti intenti a recuperare le pesantissime perdite, e le popolazioni sottoposte all ulteriore martirio dello sfollamento e della deportazione in regioni lontane. La pausa caduta fra i due eserciti incapaci di sopraffarsi fu intervallata da episodi bellici che potrebbero definirsi di routine, se non fossero costellati da una serie di tragici eventi, che possono essere simbolicamente riepilogati nella fucilazione avvenuta a Borgo Montenero, il 4 maggio di 5 civili come punizione per non aver abbandonato l area secondo gli ordini del comando tedesco. Nei tre mesi di sosta relativa, inoltre, tanto gli Alleati che i tedeschi posero tra sé e i rispettivi nemici uno sbarramento di mine che avrebbe reso ancor più difficile la vita del dopoguerra. Secondo il generale Puddu, ne vennero seminate ben , da parte degli alleati, e 581 mila da parte tedesca. Borgo Sabotino (in comune di Littoria), intanto, era diventato base per un corpo d élite alleato, la 1st Special Service Force, una unità americano-canadese di circa 2000 uomini, specializzata in azioni che si potrebbero definire di guerriglia, per le quali furono battezzati col nome di Diavoli Neri: formavano una struttura militare forte e compatta, capace anche di muoversi in campo aperto, come avrebbe dimostrato nella battaglia di Cisterna. La 1st SSF aveva ribattezzato Borgo Sabotino col nome di Gusville, aveva dato nomi americani alle principali vie, aveva creato anche un bollettino a stampa. L offensiva finale L arrivo della primavera riaccese le azioni, L 11maggio 1944 gli Alleati lanciarono l offensiva contro la Gustav e riuscirono a sfondare nel settore di Castelforte con le truppe coloniali francesi, iniziando la risalita della provincia. Quando ormai la ritirata tedesca stava imboccando le porte dell Agro Pontino, il VI Corpo decise di liberarsi dall accerchiamento che stava subendo nella testa di ponte di Anzio-Nettuno, puntando allo sfondamento della linea che faceva perno su Cisterna. Per la verità, si era discusso a lungo presso lo Stato Maggiore alleato su quale direttrice imprimere all ultima battaglia nell area pontina, ed erano sta- ti esaminati quattro possibili piani: il Grasshopper (Cavalletta), che prevedeva l attacco principale su Littoria e la prosecuzione su Sezze, per tagliare la ritirata tedesca; il Turtle (Tartaruga), che doveva svilupparsi lungo la via Nettunense, Carroceto, Aprilia, Campoleone; il Crawdad, (che ipotizzava una penetrazione più a ovest, su Ardea, la costa e Roma); e il Buffalo, per il quale l obiettivo principale dell attacco era Cisterna e, subito dopo, Cori, Artena e Valmontone, punto in cui la X Armata tedesca che ripiegava da Cassino avrebbe dovuto essere intercettata e bloccata. Il piano prescelto fu il piano Buffalo. Esso prevedeva un attacco frontale su Cisterna e attacchi contemporanei avvolgenti sui due lati della cittadina. Il primo fu affidato alla 3^ divisione US del generale O Daniel; gli altri, alla 1^ divisione corazzata del generale Harmon (a ovest) e alla 1^ S.S.F. del generale Frederick (a est). Aggredire il paese equivaleva a tagliare la SS 7 Appia e la linea ferroviaria Roma-Napoli, che lo attraversano. Per garantirsi una difesa più morbida, gli alleati attuarono un piano diversivo, che avrebbe dovuto attirare l attenzione tedesca altrove, risucchiando uomini ed unità: era la Operation Hippo, che venne lanciata dagli inglesi nel settore di Carroceto-Aprilia-Ardea, con le divisioni, 1^ e 5^. Questa operazione, affidata agli inglesi, scattò fra le del 21 maggio e le del 22, quando fu lanciato nella zona di Moletta-Ardea-Buonriposo-Carroceto un furioso bombardamento di preparazione, seguito dall assalto alle difese germaniche. Contemporaneamente la 45^ divisione US attaccava lungo la ferrovia Anzio-Campoleone e la strada Anzio-Carano. Le unità tedesche comprendevano il 1 Corpo parà del generale Schlemm, la 3^ divisione P.G. e la 4^ divisione parà, affiancati dal reggimento italiano Folgore (ridottissimo) schierato sui battaglioni Folgore, Nembo Azzurro. L Operation Hippo convinse i tedeschi che il tentativo di sfondare la testa di ponte sarebbe passato per la zona di Aprilia, e quando si accorsero, invece, che l attacco principale era su Cisterna, ormai non esistevano possibilità di rafforzare quella difesa. L attacco su Cisterna iniziò, invece, 24 ore dopo, alle 5.45 del 23 maggio, quando le batterie schierate fra Spaccasassi e canale Mussolini, circa 500 cannoni, aprirono, come già facevano da alcuni giorni, il solito terribile fuoco di artiglieria. Per 40 minuti piovvero sulle posizioni tedesche migliaia di proiettili. Alle 6.25 iniziò la seconda fase, col martellamento aereo affidato a 60 bombardieri del 12 Tactical Air Command

37 Il Fronte del Nord Verso le 8.30 gli aerei allargarono il loro raggio di azione a Sezze, che colpirono facendo strage nella piazza antistante la chiesa di S. Andrea, dove era in corso il mercato degli ortaggi. Morirono 94 persone e altre 116 rimasero ferite. Nelle stesse ore anche Priverno fu bombardata, accusando una trentina di morti. Alle 6.30 gli americani iniziavano l attacco da terra con la 3^ divisione fanteria, la 1^ divisione corazzata e la 45^ divisione. La difesa germanica era affidata al LXXVI Panzercorps (generale Herr), che comprendeva due divisioni: la 362^ di fanteria (generale Heinz Greiner) a ovest, e la 715^ di fanteria (generale Hans-Georg Hildebrandt), sostenuta da un reggimento corazzato, a est. Mentre quest ultima si spingeva fino a coprire il settore più orientale (quello di canale Mussolini, che gli alleati avevano affidato alla 1^ S.S.F.), nel settore occidentale, di seguito alla 362^ operava la 3^ divisione Panzergrenadier. Il sistema difensivo germanico era ben organizzato: la città aveva la propria linea di difesa allestita su plotoni di fanteria costituiti a caposaldo con 4-8 mitragliatrici. Ogni caposaldo faceva sistema con quello vicino, in modo da creare una forte linea di sbarramento. A metri alle spalle di questa prima linea erano di riserva i primi rincalzi. La prima giornata di battaglia si concluse con risultati positivi per gli alleati, anche se con dure perdite. Alle 5.30 del 24 maggio, secondo giorno di battaglia, la l^ divisione corazzata americana riprese l attacco a ovest di Cisterna, ma solo alle 14 si riuscì a superare la strada Appia, tagliando in tal modo i collegamenti fra Cisterna e i Colli Albani. Sulla spinta gli americani fecero avanzare un battaglione di carri armati leggeri, in direzione di Torrecchia, per minacciare direttamente Giulianello. A sera Torrecchia era in mano alleata. Analogo risultato si riuscì ad ottenere entro la sera nella zona di Le Castella, a circa 3 Km. a ovest di Cisterna: l abitato fu raggiunto e superato da un battaglione che si spinse fino a circa 6 Km. da Velletri. A quel punto la linea di sbarramento della 362^divisione germanica era spezzata in due e Cisterna isolata da Roma. A est, intanto, la 1^ S.S.F. si spingeva in direzione di Cori-Monte Arrestino. La giornata del 25 maggio, si apriva con l attacco portato poco prima dell alba, dalla 3^ divisione U.S. (colonnello Everett W. Duvall) direttamente su Cisterna, attraverso le strade ingombre di macerie, nidi di mitragliatrici, franchi tiratori. Era evidente - scrisse Vaughan-Thomas che seguì la battaglia per la BBC - che non c era altro da fare che impadronirsi di un mucchio di macerie dopo l altro, di una cantina dopo l altra e accettare le perdite inevitabili nei combattimenti per le strade. Per rastrellare l abitato di Cisterna occorsero due giorni. Gli americani gettavano bombe a mano nelle inferriate delle cantine e poi entravano nell oscurità puzzolente dove armi automatiche erano forse in agguato per falciarli, puntate sul rettangolo di luce che segnava l entrata della cantina. Così avanzarono combattendo lentamente fino al centro della città, sinché non raggiunsero il mucchio di macerie che segnava il palazzo della piazza principale [Palazzo Caetani]. Duecento uomini della guarnigione tedesca uscirono strascinando i piedi dai nascondigli, con le mani in alto e coperti dalla polvere delle mura crollate. Quando scendemmo nella grande cantina [le grotte di Palazzo Caetani] sotto il palazzo dove i tedeschi si erano riparati durante il bombardamento, vi trovammo un mucchio puzzolente di morti e feriti, coperti di sporcizia e di vestiti sudici. L avvicinamento a palazzo Caetani era stato lunghissimo: poche centinaia di metri di centro urbano furono percorse in molte ore e con grande impiego di mezzi. I tedeschi avevano preparato l estrema resistenza in quello che apparentemente era stato il Municipio, circondandolo di mine anticarro e guarnendone tutti gli accessi con mitragliatrici protette da piazzole di macerie. A ovest, un cannone anticarro ben appostato controllava l ingresso del cortile interno. In realtà, non fu il Municipio l estremo baluardo della guarnigione tedesca, ma il cinquecentesco palazzo Caetani. Contro di esso si svolse un vero e proprio assedio che durò fino al tardo pomeriggio del 25 maggio. Era il crepuscolo quando le pattuglie americane snidarono dai sotterranei gli ultimi tedeschi, compreso il comandante del 955 reggimento, il colonnello Annacker. Fu un momento di gioia e di euforia - commentarono gli alleati -. I GI della 3^ divisione trovarono delle bici, le inforcarono e cominciarono a correre per le strade del paese piene di rovine; colsero fiori e li attaccarono agli elmetti, mentre i prigionieri li guardavano stupiti. Tutto attorno c erano veicoli ed equipaggiamenti distrutti, rovinati, abbandonati... I soli abitanti di Cisterna ora erano i prigionieri e pochi gatti mezzi morti di fame. Con la caduta di Cisterna si chiudevano praticamente quattro mesi di battaglia per la testa di ponte e si concludeva il lungo assedio

38 Il Fronte del Nord Gli alleati da Sud Contemporaneamente si svolgeva senza altri ostacoli la risalita da Sud del II Corpo d armata, che, superata Fondi, imboccò due direzioni: quella interna, attraverso i monti Ausoni; e quella che passava attraverso l Agro Pontino. Il 23 maggio viene raggiunta Roccasecca dei Volsci, il 24 Priverno e Sonnino. La direttrice di pianura fu battuta, invece, con maggiore cautela. Il 24 maggio alle 10 le retroguardie tedesche abbandonavano Terracina dopo una battaglia notturna combattuta anche nel cimitero. Alle 11 una pattuglia americana del 91 esploratori raggiungeva San Felice Circeo e, poco dopo, Sabaudia. La stessa sera del 24maggio unità del VI Corpo provenienti dalla litoranea si spinsero in ricognizione per contattare il II Corpo che avanzava da Terracina: l incontro tra le due pattuglie avvenne alle ore 7.31 del 25 maggio, a Borgo Grappa. Il collegamento fra i due Corpi segnava la saldatura fra il fronte di Anzio e quello del Sud. Il 25 maggio, alle ore 7 del mattino, anche Pontinia veniva raggiunta dagli americani. In quello stesso giorno altri reparti americani completavano l occupazione dei borghi e delle località costiere, spingendosi fino al lido di Littoria. Da qui iniziarono a risalire verso l interno, puntando sulla città. Il primo carro armato entrò a Littoria alle 14.30, proveniente da Fogliano-Borgo Isonzo. Le truppe americane che avevano seguito il percorso interno, la sera del 25 maggio si erano fermate a Sezze Scalo, ma preferirono attendere il giorno seguente, quando,verso le 8, i carri armati raggiunsero il paese e proseguirono per Bassiano, dove giunsero attorno alle 10. La 1^ S.S.F., si era, intanto, diretta verso la collina, scalando monte Arrestino, a est di Cori, e isolando il centro lepino, verso il quale si stava dirigendo il 3 battaglione del 15 reggimento, che aveva aggirato Cisterna da est e che raggiunse Cori a valle la sera del 25 maggio: anche qui gli americani lasciarono trascorrere la notte prima di entrare in paese. Era una prudenza motivata, giacché un reggimento della 92^divisione tedesca era stato inviato nella notte del 24 maggio lungo la strada Giulianello-Cori. Fu proprio su questa strada che, nottetempo, esso incrociò le unità della 715^ divisione tedesca che lasciavano Cisterna per non essere tagliate fuori dall avanzata americana. La Giulianello-Cori è una strada stretta e tortuosa, per cui quando i reparti tedeschi della 92^e della 715^ divisioni si incrociarono da direzioni opposte ne nacque un inestricabile groviglio di mezzi. I ricognitori del XII Corpo Aereo Tattico alleato che seguivano le operazioni, si resero conto di quanto accadeva e pilotarono sul posto i cacciabombardieri. Fu un vero e proprio tiro al bersaglio, che si risolse con la perdita da parte tedesca di centinaia di mezzi e con un massacro di uomini. Il 26 maggio anche Roccamassima venne raggiunta da un battaglione del 30 reggimento di fanteria americana, che catturò l intera guarnigione tedesca, composta da una compagnia di fanteria. Il 27 maggio i centri di Maenza e Roccagorga furono cannoneggiati a lungo e il 28 maggio, giorno del patrono di Maenza, S. Eleuterio, i goumiers coloniali si avviarono verso la montagna lepina, superando Pisterzo, Prossedi e allargandosi verso Maenza, Monte Calvello, Monte Acuto, Selvapiana, dove si erano rifugiati circa tremila civili. La fama delle truppe coloniali era già terribilmente nota. Maenza veniva a trovarsi al confine di quella linea rossa che separava il Corpo di spedizione marocchino dalla 88^ divisione US: alcuni ufficiali alleati radunarono le donne in un unico luogo, che venne affidato alla sorveglianza di un plotone di truppe coloniali sotto il comando di sottufficiali francesi. E furono salve. Sempre il 27 maggio, il 15 reggimento di fanteria americana raggiungeva Artena. Quello stesso giorno riprendeva movimento il fronte nella zona di Aprilia. Alle 10 le divisioni 35^ e 45^ attaccarono in direzione di Aprilia, Campoleone e Lanuvio, raggiungendo Carano il 28 maggio. Nello stesso giorno alcune pattuglie di Gordon Highlanders entrarono in Aprilia senza colpo ferire. La lunga attesa era ripagata da un susseguirsi di rapidi avanzamenti. Il 29 maggio la l^ divisione corazzata di Harmon rilevava la 45^ divisione US e alle raggiungeva la stazione di Campoleone, per tanti mesi imprendibile obiettivo. La tortuosa strada per Albano si apriva agli attaccanti che entravano in contatto con la ormai inutile Linea Cesar

39 Il Fronte del Nord Una rara immagine del piroscafo Santa Lucia nel Porto di Ponza Siluri arenati sul litorale di Littoria Colonna americana entra a Terracina Terracina: il rancio dei Fanti americani 74 75

40 Il Fronte del Nord Clark a Borgo Grappa Ingresso degli Alleati a Littoria Cisterna: emergenti dalla grotta Sfollati trasferiti 76 77

41 SETTANT ANNI DOPO La Visita a Latina del PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CIAMPI L iter e il conferimento della MEDAGLIA D ORO AL GONFALONE DELLA PROVINCIA Quirinale, 25 aprile 2006: il Gonfalone della Provincia di Latina viene decorato di Medaglia d Oro al Merito Civile

42 La Visita di Ciampi Dal Discorso di Armando Cusani, Presidente della Provincia, il progetto e la richiesta della Medaglia d Oro con la simbolica consegna della Deliberazione consiliare n. 21 del 9 Maggio Benvenuto, Signor Presidente! (Carlo Azelio Ciampi) Con orgoglio, sono felice di porgerle il saluto, caloroso e profondo, della comunità della Provincia di Latina, rappresentata con me dai Sindaci dei 33 Comuni che ne fanno parte e presente in ciascuna delle sue espressioni istituzionali, religiose, sociali, economiche e culturali alle quali estendo il mio indirizzo di cordialità e di stima. Ieri Littoria, oggi Latina, la nostra Provincia ha appena compiuto il Settantesimo anniversario della sua istituzione. Settant anni non sono tanti nella storia di una comunità, formata, su una terra di antiche culture, da genti di diversa provenienza. Sono, tuttavia, una parte significativa del percorso che essa ha compiuto e durante il quale ha maturato la determinazione e la consapevolezza necessarie per affrontare la lunga, angusta strada dell identità condivisa, del corretto sviluppo del territorio e dell equa distribuzione della ricchezza che ancora l attendono, in un contesto in cui la globalizzazione dei mercati dispiega i suoi contraccolpi sul mondo del lavoro, ma apre anche a nuove sfide che possiamo, dobbiamo raccogliere per scrivere nuove pagine di progresso economico e sociale per tutti e per i giovani in modo particolare. La situazione congiunturale della provincia di Latina è delicata. La deindustrializzazione che, negli anni trascorsi, dopo l uscita di Latina dalle aeree di intervento della Cassa per il Mezzogiorno, aveva già avuto pesanti effetti sui livelli occupazionali, vive nelle crisi aziendali che ogni giorno affrontiamo con le organizzazioni imprenditoriali e sindacali, condizioni di preoccupante riflusso rispetto alle quali la costante, quotidiana, leale concertazione della Provincia con le istituzioni e le categorie interessate muove un impegno intenso sia sul piano delle soluzioni più immediate, che nel definire strategie di sviluppo di medio e lungo periodo. In Provincia di Latina sono presenti settori industriali di grandi potenzialità ed importanza: un polo chimico-farmaceutico secondo in Italia solo a quello della Lombardia e tra i primi in Europa, caratterizzato, per ciascuna delle 16 aziende che ne fanno parte, da produzioni d avanguardia: le valvole cardiache più usate nel mondo per fare un esempio tra i tanti possibili - provengono da Latina; un polo aeronautico con industrie di livello mondiale sia per qualità tecnologica dell impiantistica di bordo, che per gli allestimenti d interni degli aerei di linea; un polo agro-alimentare che nel Mercato Ortofrutticolo di Fondi ed in quello di Latina ha due punti di riferimento di livello nazionale ed europeo. Allo stesso modo è presente sul territorio, un reticolo di piccole e medie industrie (più di ) che, al pari delle grandi imprese, è proteso in una fase ulteriore di ristrutturazione ed ammodernamento delle strutture produttive, nell introduzione di impianti tecnologicamente avanzati, nell ampliamento degli stessi siti di produzione. Rispetto ad un quadro così, fatto di luci ed ombre, punteggiato dall inderogabile necessità di salvaguardare il lavoro e di crearne altro per i giovani, le amministrazioni pubbliche sono impegnate a recuperare tempo prezioso per colmare i ritardi infrastrutturali che in un area geografica, già stretta tra i due grandi poli metropolitani di Roma e Napoli, era ed è assolutamente indispensabile per ridare ossigeno e competitività al Sistema Latina : incominciando dai collegamenti con l Autosole ed i grandi mercati! Il Corridoio Tirrenico e la Pedemontana di Formia con la Cisterna-Valmontone, sono gli interventi più attesi e racchiudono tutte le aspettative di rilancio del nostro territorio, rappresentando, specialmente adesso che si è tenuto conto delle osservazioni dei Comuni interessati, un occasione da non perdere perché la provincia possa aprirsi definitivamente all Europa e al mercato globale, in modo da innescare la ripresa economico-industriale ed un nuovo processo che valorizzi l immenso patrimonio di risorse di cui disponiamo: 105 chilometri di costa, un mare avviato a recuperare lo splendore di un tempo e a conquistare nuove bandiere blu, isole dal fascino straordinario, parchi e colline di rara bellezza, realtà storiche ed emergenze monumentali difficilmente paragonabili, terme di straordinaria importanza. Dico a me stesso e ai Sindaci del territorio, che molto potremo fare per costruire un progresso nuovo ed equamente distribuito nei suoi effetti bènefici tra i cittadini, se, insieme, saremo capaci di definire regole certe e trasparenti nell amministrazione del territorio. L imprenditoria ha bisogno di tempi brevi, definiti, per poter avviare o incrementare le proprie attività. Lo Sportello Unico per le Imprese è l obiettivo che dobbiamo presto realizzare per snellire procedimenti amministrativi troppo lunghi e farraginosi. All auspicio descritto, ne aggiungo uno, altrettanto fondamentale: che si compia interamente il processo di riforma del Titolo V della Costituzione, perché le Autonomie Locali possano assumere un ruolo di soggetti produttori di ricchezza, concorrendo, dal basso, a quella del Paese. Non vorrei che l incompletezza del disegno riformatore possa consolidare nuovi centralismi nelle Regioni dopo che, per tanti anni, abbiamo espresso visioni profondamente critiche di quello statale. Per risalire la china dello sviluppo, sono consapevole, Signor Presidente, di cosa ci attende: sofferenza e sacrificio. Ma, una comunità non ha storia se, nel suo divenire, non ha mai conosciuto sofferenza e sacrificio, sapendo trovare in sé l orgoglio di rialzarsi e proseguire il suo cammino

43 La Visita di Ciampi I nostri padri, le nostre madri affrontarono prove peggiori. In particolare una, sconvolgente, tragica: la guerra e le sue nefaste ripercussioni ben oltre il tacere dei cannoni. Era il novembre del 1943, quando la guerra entrò nelle case dei nostri genitori. La Provincia di Littoria era stata istituita appena 9 anni prima, attraverso la fusione del settore nord della ex Provincia di Terra di Lavoro, soppressa nel 1926, con il settore sud della provincia di Roma e comprendeva 30 comuni. Debole sul piano economico per la drastica riduzione degli investimenti pubblici dovuti prima all impegno in Etiopia, poi in Spagna, gli anni del secondo conflitto mondiale colsero la nuova provincia alle prese con l obiettivo di consolidare un corpo sociale che usciva dalla bonifica integrale e dalla nascita di una istituzione che doveva saldare due zone storicamente diverse, organizzare una nuova vita per diverse migliaia di immigrati e relazioni politiche ben più ampie della sua origine. Quella guerra che appariva così lontana mostrò presto il suo vero volto, investendo su larga scala tutti i comuni dell area compresa tra Aprilia ed il fiume Garigliano, conferendo a Littoria, oggi Latina il tragico primato di unica Provincia d Italia investita contemporaneamente da due fronti: La Linea Gustav con epicentro nella piccola Cassino, come gli storici contemporanei definiscono l area aurunca degli attuali Comuni di Castelforte e Santi Cosma e Damiano, espugnati con tecniche di guerra del primo conflitto mondiale, ovvero con sanguinosi assalti e combattimenti ad arma bianca, dalle tristemente famose truppe coloniali del Corpo di Spedizione Francese; Il fronte Anzio-Nettuno che, in realtà, fu il fronte Littoria-Cisterna di Latina-Aprilia. Antonio D Aprano aveva dieci anni quando, sulle colline che cingono Santi Cosma e Damiano, fu ucciso a sangue freddo per non avere voluto rivelare il luogo dove il padre e i fratelli più grandi erano nascosti per sottrarsi alla deportazione in Germania. La madre, prima che il figlio fosse sepolto, si tolse le scarpe e le mise ai piedi di Antonio che non le aveva da tempo. Giuseppe Di Pastena fu catturato in uno dei frequenti rastrellamenti nazisti nel suo paese natale, Castelforte. Aveva 18 anni, quando un plotone d esecuzione ne spezzò la vita in un lager tedesco. Solo diversi anni più tardi, fu possibile ritrovarne i resti grazie al senatore a vita Giulio Andreotti, profondamente colpito dalla disperazione della madre. E, poi, Maria. ferita nell animo per sempre dall affronto più ignobile e bestiale che si pos- sa recare ad una donna ad opera delle truppe marocchine, formate, addestrate e comandate da ufficiali e sottufficiali francesi. Nomi sconosciuti ai più, è vero. Ma, in questi occasionali esempi tra le migliaia possibili dalla storiografia della nostra terra, vorrei riassumere simbolicamente e fuor di retorica, la tragedia di una comunità tra due fuochi che, conservando inalterata la propria dignità e l orgoglio d essere italiani, diede vita ad una generale Resistenza civile in una delle fasi più buie ed orrende della storia contemporanea, affrontando a viso aperto: fucilazioni, rastrellamenti e deportazioni nei lager tedeschi; massicci, costanti bombardamenti e mitragliamenti alleati sia attraverso attacchi aerei, che cannoneggiamenti navali e terrestri; la morte di migliaia di giovani, donne, bambini ed anziani che, specialmente sulla Gustav, al fine di sottrarsi alle furiose battaglie di quei mesi, cercarono di attraversare le linee, avventurandosi sui campi minati e rimanendo dilaniati dallo scoppio delle mine; fame, malattie di ogni genere senza assistenza od aiuto alcuno; l esodo di parte della popolazione di diversi centri verso località dell Italia del nord; saccheggi e violenze, ignobili e ripetute, da parte delle truppe coloniali francesi ai danni della popolazione inerme, specialmente donne e minori, compiute nei centri degli Aurunci, Ausoni e Lepini. Dimostrano tutto questo le cifre del bilancio della guerra nella nostra provincia, da cui traggo, per brevità, solo qualche dato: a1) settemila morti, diecimila feriti, ai quali aggiungere il sacrificio della vita degli uomini in armi (tra loro, anche medaglie d oro e d argento al valor militare alla memoria) nei diversi scenari di guerra in Patria, sul fronte greco-albanese, in Russia ed Africa e di coloro i quali morirono a guerra conclusa per la malaria e le malattie contratte nei campi di concentramento, nelle operazioni di sminamento o, comunque, per esplosioni di ordigni bellici; b1) otto comuni pressoché rasi al suolo, altri otto severamente danneggiati sia nel patrimonio edilizio che nelle infrastrutture. Dimostrano ancora tutto questo le onorificenze conferite ai gonfaloni di 14 dei nostri Comuni: Due Medaglie d oro al Valor Civile: Castelforte e Santi Cosma e Damiano; 82 83

44 La Visita di Ciampi Due Medaglie d oro al Merito Civile: Minturno e Lenola; Quattro Medaglie d argento al Valor Civile: Cisterna, Formia, Gaeta, Terracina; Quattro Medaglie d argento al Merito Civile: Campodimele, Fondi, Spigno Saturnia e Priverno; Una Medaglia di bronzo al Valor Civile: Itri; Una medaglia di bronzo al Merito Civile: Aprilia. Sessant anni dopo, storici e storiografi hanno contribuito a portare alla luce fatti sconosciuti o non sufficientemente conosciuti, in taluni casi depositi sepolti di violenza, bruta ed efferata, motivando fortemente la Provincia, quale rappresentante dell unità del suo tessuto sociale e del suo territorio, a richiedere che il Gonfalone della propria rinascita, nella Democrazia e nel verbo della Costituzione, sia fregiato della Medaglia d oro al valor civile per memoria delle sofferenze, dei sacrifici, delle privazioni, dei morti patiti dalla sua popolazione tra il novembre 1943 ed il maggio 1944 e per monito alle generazioni del presente e del futuro affinché il ripudio della guerra, la costruzione e l affermazione della Pace e della Libertà ne scandiscano l esistenza, ne accompagnino l impegno per un mondo migliore, del quale avvertiamo il forte ed urgente bisogno. più giovani l amore per la Patria, la Pace, la Libertà di ogni Uomo, qualunque siano il colore della sua pelle, le sue idee politiche, la sua fede religiosa, le sue condizioni sociali. Benvenuto di nuovo Signor Presidente! Di cuore! Benvenuto nella terra in cui Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi concepirono e dalla quale diffusero l Idea dell Europa Libera ed Unita! Benvenuto nella terra in cui Sandro Pertini tornò, accolto con calore ed affetto, da Presidente della Repubblica, dopo avervi temprato, ancor di più se possibile, la propria fede nella Democrazia e nella Libertà in anni di lotta e di confino, testimoniati nei documenti estratti dal suo voluminoso fascicolo personale e riprodotti per Lei, con il suo carico di simbolismo e di affini valori, in un unica edizione anastatica con l aiuto e la collaborazione scientifica dell Archivio di Stato di Latina, che di quel fascicolo è scrupoloso e rispettoso custode. A Lei, Signor Presidente, esprimo lo stesso calore, lo stesso affetto riservati vent anni fa a Sandro Pertini da una comunità che, mai come oggi, sono stato così orgoglioso di rappresentare innanzi alla guida morale di tutti gli italiani. Abbiamo avuto sessant anni di pace e, forse, abbiamo rimosso la guerra dai nostri pensieri o, più probabilmente, ne abbiamo delimitato i contorni ai due grandi, nefasti eventi del primo Novecento. Tuttavia, nel mondo si continua a combattere. La regionalizzazione dei conflitti non può non riguardarci. Soprattutto se a patirne le conseguenze sono i bambini. Si calcola che - nell arco temporale compreso tra il 1985 ed il due milioni di loro siano rimasti uccisi e che altri quattro, cinque milioni siano rimasti feriti o mutilati nelle guerre disseminate in ogni angolo del pianeta. Che civiltà è la nostra se si continua a vivere nell odio, se al centro dei conflitti pone proprio i bambini? Quanto meno, è una civiltà percorsa da malesseri profondi e pericolosi. Ecco perché affido alla Sua sensibilità, Signor Presidente, la nostra attesa, rappresentando essa l inizio di un nuovo percorso della memoria che interesserà le nostre scuole, la nostra storia, i nostri paesi. Faremo Memoria perché quei mesi tra il novembre del 1943 ed il maggio 1944, mai siano dimenticati, perché la coscienza di quanti ne vissero i giorni aiuti a maturare in coscienze 84 85

45 IL DOCUMENTO 86

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61 Il Giorno della Medaglia d Oro Il Giorno della Medaglia d Oro N e parlerò con il Ministro dell Interno Pisanu, disse il Presidente Ciampi a Cusani, tornando al Quirinale. Così fu, perché Pisanu incontrò Cusani al Palazzo del Viminale alcuni mesi dopo per conoscere storia e contenuti di una iniziativa destinata a consacrare l unità di una provincia, pur diseguale sul piano socio-economico e strutturale, dinanzi alla seconda grande tragedia del primo Novecento, rimanendone particolarmente colpito al pari della Commissione di esperti militari e civili che esaminò la richiesta e la mole di atti, documenti anche inediti, bibliografia e libri trasmessi attraverso tre distinte spedizioni per dimostrare le ragioni di riconoscere alla popolazione pontina il prestigioso fregio per l originale e triste primato di aver patito di tutto stretta com era tra i fronti del sud e del nord pontino. Nel mese di dicembre 2005 la conclusione dell istruttoria, quattro mesi dopo, nell imminenza della celebrazione della Festa di Liberazione, ecco arrivare la comunicazione ufficiale della concessione della Medaglia d Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia. La cerimonia di consegna si tenne il 25 aprile 2006, nel cortile d onore del Quirinale. della gente, del mondo della scuola, di quello militare, dei giovani sono stati tali da motivare la prosecuzione del cammino di valori della libertà, della pace e della democrazia fino a realizzare tredici tappe sul territorio e un itinerario culturale ed artistico attraverso le opere in bronzo dei Maestri di Agnone e della scultrice Paola Patriarca Marinelli, quelli dell Antica Fonderia Marinelli esistente dall anno Mille ed azienda più longeva al mondo. Attraverso le parole di Armando Cusani, Giovane Presidente, ecco le storie che la Provincia ha raccontato a tanti giovani e cittadini pontini perché questa Medaglia d Oro possa essere il simbolo in cui riconoscersi. Questa la motivazione dell onorificenza: Territorio di rilevante importanza strategica, dopo l 8 settembre 1943, fu teatro di violenti scontri fra gli opposti schieramenti, subendo devastanti bombardamenti che causarono la distruzione di ingente parte del patrimonio edilizio, industriale e agricolo. Oggetto di feroci rappresaglie, deportazioni e barbarie, la fiera popolazione pontina, sorretta da eroico coraggio, profonda fede nella libertà ed altissima dignità morale, sopportava la perdita di un numero elevato di concittadini ed indicibili sofferenze, offrendo un luminoso esempio di abnegazione, di incrollabile fermezza ed amor patrio. ( Provincia di Latina). Dopo il prestigioso riconoscimento al Quirinale, il Percorso della Memoria in ciascun comune insignito di onorificenza al Gonfalone. Dovevano essere in tutto cinque eventi. La condivisione e l apprezzamento

62 Il Giorno della Medaglia d Oro

63 L Antica Fonderia Marinelli di Agnone COME SONO NATI I MONUMENTI DEL PERCORSO DELLA MEMORIA

64 Come sono nati i monumenti del Percorso della Memoria Fonderia Marinelli: Maestri del Bronzo dall Anno Mille L occasione per conoscere Armando e Pasquale Marinelli, titolari dell Antica Pontificia Fonderia di Campane, risale a circa dieci anni fa ed è stata offerta dal restauro di un opera d arte realizzata dallo scultore perugino Torquato Tamagnini ( ): il Monumento ai Caduti eretto negli anni Venti a Castelforte su una colonna di travertino con scritta concepita da un grande libertario, ma di straordinaria semplicità, livello intellettuale e preparazione letteraria e tecnica come il geometra ed agrimensore Tommaso Rossi ( ). I due fanti componenti la parte bronzea del monumento, erano sopravvissuti ad otto mesi di bombardamenti da terra e dal cielo e alla battaglia conclusiva tra le truppe algerine e quelle tedesche ( ), ma l usura del tempo e le intemperie avevano determinato una sorta di <cancro> del bronzo, <guarito> dai Maestri di Agnone, antica citta sannita, con una certosina opera di risanamento dell intero gruppo scultoreo. È cominciato così il rapporto di collaborazione che, all indomani della Medaglia d oro al Merito civile al Gonfalone della Provincia, ha permesso di realizzare i monumenti del Percorso della Memoria legato a personaggi e fatti della seconda guerra mondiale. Per ciascuna stele e campana in bronzo, un viaggio ad Agnone, dove hanno sede Fonderia e Museo Marinelli. E per ciascuna stele o campana realizzata, immagini e documenti ingialliti dal tempo e recuperati dalle nostre ricerche, storie raccontate e domande con confronti di ore per buttare giù schizzi, semplici tratti di penna o matita da modificare, rifare o perfezionare. E, puntualmente, nei disegni e negli acquerelli di Paola Patriarca Marinelli, nelle cere, nell argilla e infine nelle fusioni programmate e dirette da Armando e Pasquale Marinelli, ecco raccolti quei messaggi che la Provincia ha inteso trasmettere ai giovani e alla comunità nel corso di questi anni e ai quali si accennava poc anzi. Lavorare con i Marinelli di Agnone è stato bello, entusiasmante e le opere d arte concepite e realizzate per la Provincia di Latina hanno fatto strada fino a motivarne delle altre come le Campane dell Unità d Italia, inaugurate al passo del Garigliano, a Formia e Gaeta (si vedano le immagini a pag. 128 e 129) o quelle del «Dovere» (si vedano le immagini con il Gen.D. Giuseppenicola Tota a pag. 130 e 131) donate ai templi della formazione militare italiana: la Nunziatella di Napoli e l Accademia Militare di Modena (ispirate ad Enrico Cosenz, protagonista del Risorgimento e primo Capo di Stato Maggiore dell Esercito), la Teuliè di Milano. Non è noto a molti, ma è l azienda più longeva al mondo, spesso visitata dai Pontefici ed apprezzata da statisti ed uomini di cultura: una storia lunga oltre 1000 anni che ha visto alternarsi momenti di difficoltà a momenti ricchi di tante soddisfazioni. Su tutte, forse, l esperienza più significativa risale al 1924, anno in cui Papa Pio XI concesse alla famiglia Marinelli il privilegio (rarissimo) di effigiarsi dello Stemma Pontificio. Nonostante il lascito di prestigio, Armando e Pasquale Marinelli, le loro famiglie, i loro operai sono gente cristianamente umile, profondamente onesta e leale, gente di grande sensibilità umana e culturale con la quale facilmente si diventa amici, amici di quelli che non ti tradiscono mai e che se sei in difficoltà, eccoli pronti a venirti incontro purchè l opera in bronzo si possa fare per trasmettere, attraverso il simbolo, messaggi che volgono alla solidarietà, alla pace, al rispetto tra gli uomini senza distintinzione di pelle, confini di tempo e luogo. Ed è a loro che, nel 1999, si deve Il Museo storico della Campana Giovanni Paolo II, attiguo alla Fonderia. In esso, sono documentate origine, storia e tradizioni, riferite alle campane ed è esposta la più vasta collezione al mondo di bronzi sacri tra cui la preziosissima campana dell anno mille. Inoltre vi sono conservati studi, manoscritti, antichi documenti e testi rari come l edizione olandese, del 1664, del de tintinnabulis, opera definita la bibbia dell arte campanaria. Rilevante spazio è dedicato ai grandi avvenimenti del XX secolo che sono commentati dall opera dei fonditori Marinelli attraverso testimonianze fotografiche e campane commemorative. Molto significativi sono inoltre i ricordi che legano la famiglia Marinelli ai papi del XX sec. a partire da Pio XI che la onorò del Brevetto Pontificio, a Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II, che visitò la fonderia il 19 Marzo del Il Museo Storico della Campana dispone inoltre di un ampia sala per esposizioni e convegni che è un riferimento internazionale aperto a qualsiasi incontro culturale. Non mancano biblioteca, archivio, videoteca, spazio proiezioni, che sono fucina di lavoro e di studio sull arte delle campane, dove si confrontano studiosi e fonditori per discutere sulle attività di formazione professionale e per approfondire diversi campi di ricerca

65 Come sono nati i monumenti del Percorso della Memoria La visita in Fonderia del Pontefice Giovanni Paolo II, recentemente proclamato Santo Armando e Pasquale Marinelli con Papa Benedetto XVI e Papa Francesco

66 Come sono nati i monumenti del Percorso della Memoria

67 Come sono nati i monumenti del Percorso della Memoria

68 SETTANT ANNI DOPO ARMANDO CUSANI Presidente della Provincia: Attraverso i Discorsi, le Storie del Percorso della Memoria Il Presidente Armando Cusani con il Generale C.d.A. Francesco Tarricone

69 Campodimele, 27 luglio 2006 A MARIA, ALLE ALTRE

70 Onorevole Vice Presidente della Camera (On. Giorgia Meloni), porgo a Lei il saluto cordiale e caloroso della Provincia di Latina e mio personale, unendo ad esso quello dei Sindaci di tutti i Comuni del territorio. Analoga espressione di benvenuto esprimo a ciascuna delle Autorità civili, religiose e militari, ai cittadini presenti che, oggi, con Lei, hanno inteso sottolineare quanto importante e significativo sia il riconoscimento della Medaglia d Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia e con essa il tributo di affetto, rispetto, deferenza, memoria che abbiamo inteso riservare a Maria, alle altre: sono le donne di questo luogo, di tanti altri luoghi degli Aurunci, degli Ausoni e dei Lepini che subirono le violenze delle truppe del Corpo di Spedizione Francese che espugnarono la Linea Gustav. È vero: sono pagine delicate della storia contemporanea, ma per lungo tempo sottaciute, nascoste o rimosse finché, sessant anni dopo la fine della guerra, mutuata anche dall evoluzione dei costumi e dei valori, non si è fatta strada, radicandosi, una storiografia finalmente scevra dei condizionamenti derivanti dall annoso e superato dibattito ideologico tra ortodossia e revisionismo, per seguire l autonomo solco della ricerca pura ed entrare in una dimensione reale della seconda, immensa tragedia del Novecento attraverso la vita delle persone, calandosi sul territorio e mettendo a confronto le fonti militari con quelle archivistiche locali e nazionali, le testimonianze, le memorie individuali, familiari, di gruppo, di comunità. Tra i preziosi contributi in questa direzione, vorrei ricordare quelli di autori importanti come Fabrizio Carloni, Tommaso Baris, Gabriella Gribaudo e lo stesso Sindaco di Campodimele, Aldo Lisetti che ringrazio per le sue espressioni di apprezzamento sulle iniziative intraprese dalla Provincia per celebrare la Medaglia d oro al Merito Civile ad essa conferita lo scorso 25 aprile. Non è la storia dei vincitori. Né è la storia dei vinti. È l <l altra storia> che, conferendo soprattutto spessore all archivio polifonico dell oralità, restituisce importanza, dimensione e linguaggio pubblico al vissuto della gente prima che l epilogo naturale dell esistenza umana possa imprigionare per sempre quei silenzi di guerra che hanno scandito la vita tra le mura di questo borgo, tra le mura di tanti altri borghi della provincia di Latina e della provincia di Frosinone in sessant anni di dolore intimo e profondo, ancorché acuito dall impietoso ed immateriale indice puntato al passare di Maria e le altre da una inadeguata cultura dell onore che faceva loro colpa di qualcosa che colpa loro non era. Fu guerra totale quella che, tra l ottobre del 1943 e la primavera inoltrata del 1944, investì i nostri paesi. E fu una guerra in cui la nostra gente divenne ostaggio di eserciti contrapposti e A Maria, alle Altre principale obiettivo delle armi di sterminio di massa, dove lo scopo principale dei soldati non era soltanto quello di uccidere altri soldati, ma di uccidere anche donne, bambini, anziani con bombardamenti, rappresaglie, massacri, di depredare, saccheggiare, stuprare così come accadeva nelle guerre antiche o in quelle coloniali. Quella notte tra l 11 e il 12 maggio del 1944, quando Radio Londra trasmise in codice l ordine di attaccare massicciamente i reparti tedeschi schierati da Gaeta ad Ortona, segnò la fine della Linea Gustav e l apertura della strada per Roma, ma anche l inizio di un capitolo nuovo e ancor più nefasto durante il quale l uomo seppellì da queste parti la pietà per liberare una ferocia così inusitata da sottrarsi alla sfera umana. L immagine che la documentazione archivistica e le testimonianze orali raccolte ci hanno restituito oggi è quella di un paesaggio infernale dove era impossibile difendersi dinanzi al dispiegarsi della più turpe ed animalesca brutalità. Da poco tempo, infatti, erano stati schierati sulla linea del Garigliano le truppe coloniali del Corpo di Spedizione Francese che molto egregiamente si erano battute contro i tedeschi a Montecassino. Algerini, tunisini e goumiers marocchini costituivano quell esercito abile nella guerra in montagna in cui la Francia aveva riposto le speranze del riscatto militare dopo lo sfaldamento della Linea Maginot e delle sue truppe regolari. Venivano dalle montagne dell Atlante, erano pastori, piccoli agricoltori, gente misera rastrellati dai francesi e portati lontano a compiere altre violenze. Sapevano muoversi bene tra anfratti rocciosi e terreni impervi. In più, erano veloci, coraggiosi quanto spietati con il nemico e una volta espugnatene le posizioni, il saccheggio e la razzia rappresentavano l inebriante e allucinante rito della paga. Erano comandati dal Generale Alphonse Juin, il migliore dei comandanti alleati impegnati sulla Gustav che con i suoi superiori, gli ufficiali del suo Stato maggiore, i comandanti di battaglione, compagnie, plotoni, squadre condivide la responsabilità delle violenze, brute ed efferate, consumate ai danni delle donne di Campodimele, Lenola, Fondi, di tanti altri paesi dislocati sui monti che dividono la provincia di Latina da quella di Frosinone: da uno degli atti raccolti presso l Archivio Centrale dello Stato nel corso della ricerche documentali che hanno permesso il riconoscimento della Medaglia d oro al Gonfalone della Provincia per la quale esprimo la mia più sincera gratitudine a tutta la Commissione parlamentare per le Onorificenze, al Ministro dell Interno e al Presidente Ciampi, emergono duemila casi di stupro, ma il dato è considerato sottostimato rispetto al reale. Quel che è certo è che il numero più elevato di casi si registrò, per la provincia di Latina, proprio a Campodimele. È la ragione per la quale spero e mi auguro che la richiesta di revisione della Medaglia d Argento al Merito Civile proposta dal Sindaco Aldo Lisetti possa concludere il suo iter con l Oro che la gente di questo paese merita

71 A Maria, alle Altre I soldati del Corpo di Spedizione francese furono protagonisti di atti di ardimento e il loro ruolo fu determinante nello sfondamento della Gustav. Ma quel coraggio, quel valore appaiono a distanza di anni fortemente appannati dalle brutalità e dagli stupri di massa compiuti ai danni della popolazione, delle donne e dei bambini che aspettavano gli alleati per tornare alla libertà, ma che invece dovettero patire, dopo i bombardamenti, l incubo d essere relegati a primitivo bottino di guerra. La storiografia più moderna ed immune dai condizionamenti della politica ha tolto il velo alla zona grigia che per tanti anni ha avvolto queste storie. Non indugerò sulle ragioni di queste violenze, non mi soffermerò sulle tesi che vedono in esse la vendetta dei francesi verso l Italia per la pugnalata alla schiena degli inizi della guerra o, su altro verso, sulle tesi assolutorie di Ben Jealloun, lo scrittore marocchino che ha considerato la violenza delle truppe del Corpo di Spedizione Francese connaturate alla condizione di soldati che esse vivevano. Non è il mio mestiere. Ed è passato il tempo dei processi. A me interessa la testimonianza, il ricordo, interessa che attraverso l altra storia, quella che vide protagonista la popolazione civile e non gli eserciti, le nuove generazioni comprendano cosa sia stata la guerra e contribuiscano con il loro impegno ad arginare i rivoli dell odio che ancora scorrono nel nostro Paese, a consolidare la pace e la democrazia, a bruciare i tempi perché in un giorno non molto lontano proprio grazie a loro, vincitori e vinti possano essere protagonisti, in nome di un mondo più giusto e solidale, di un grande, caloroso abbraccio. Come quello, immenso, partecipe e solidale che stasera noi tutti, Onorevole Vice Presidente della Camera, tributiamo a Maria e alle altre, scoprendo la prima delle Steli della Memoria che stiamo realizzando sul territorio perché innanzi ad esse ciascuno rifletta e concorra, nella vita d ogni giorno, a fare in modo che non accada mai più

72 A Maria, alle Altre

73 Castelforte, 6 ottobre 2006 UN MONUMENTO E UNA MOSTRA PER UN RAGAZZO DEL CORSO REX

74 Onorevole Sottosegretario di Stato, (On. Marco Verzaschi) porgo a Lei il saluto cordiale e caloroso della Provincia di Latina e mio personale, unendo ad esso quello dei Sindaci di tutti i Comuni del territorio. Analoga espressione di benvenuto esprimo al Generale di Squadra Aerea, Daniele Tei, Comandante delle Scuole dell Aeronautica Militare oggi tra noi in rappresentanza del Capo Stato Maggiore Generale di Squadra Aerea Vincenzo Camporini, a ciascuna delle Autorità religiose, civili e militari, agli studenti e ai cittadini presenti che hanno inteso sottolineare quanto importante e significativo sia il riconoscimento della Medaglia d Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia e con essa il tributo di affetto, rispetto, deferenza, memoria, riservato a Castelforte, comune decorato di Medaglia d Oro al Valor Civile, attraverso il ricordo di un giovane ufficiale dell Arma azzurra che il 20 febbraio 1941, nella sua ultima ed ineguale battaglia, in un cielo lontano da casa, lontano da affetti, amori, amicizie e luoghi, perse, ad appena 25 anni, il più grande dono che un essere umano possa avere: la vita! È il Tenente pilota Alfredo Fusco, 154 Gruppo Caccia Terrestri, Medaglia d Oro al Valor Militare alla Memoria. Figlio di Sebastiano (Colonnello dell Esercito) e di Marianna Fusco, due fratelli maggiori (Matteo, valente avvocato, e Olderico, ufficiale dell esercito), nato il 5 luglio 1915 su una nave diretta a Tripoli dove la famiglia, fortemente radicata in questo paese, aveva seguito il padre di stanza nella colonia, Alfredo entrò nella Regia Accademia Aeronautica, allora dislocata nella Reggia di Caserta, per frequentare il Corso Rex insieme ad altri giovani che, in battaglia, erano armati più di coraggio, che di aerei in grado di competere per velocità e volume di fuoco contro quelli avversari. Alla fine del corso, conseguirono il grato di sottotenente-pilota in poco più di duecento. Metà di loro non è più tornata e l Albo del Rex testimonia di che tempra fossero quei ragazzi: 6 sono le Medaglie d Oro al valor militare, di cui 5 alla memoria, 206 le medaglie d argento, 131 le medaglie di bronzo, 57 le croci di guerra, 29 gli avanzamenti per merito di guerra, 5 le promozioni per merito di guerra. Delle cinque medaglie d oro alla memoria, due appartengono al 154 Gruppo Caccia Terrestri : quella di Alfredo e l altra del suo amico, il Tenente Livio Bassi, morto due mesi più tardi per le ferite e le ustioni riportate nel combattimento di quel pomeriggio del 20 febbraio 1941 mentre, invano, tentava di essergli d aiuto. Di stanza in territorio albanese, la mattina di quel giorno testimonia il diario storico del 154 Gruppo - ebbe luogo un combattimento furioso durante il quale, la squadriglia di Fusco riuscì ad abbattere 10 aerei avversari e 8 probabilmente. Lui, pur ferito ad un orecchio, se la cavò Un Monumento e una Mostra per un Ragazzo del Corso Rex egregiamente, ma il suo G.50 Freccia, già ridotto male dai colpi delle mitragliatrici avversarie, risultò inservibile dopo un rovinoso atterraggio. Al pomeriggio, Alfredo, era in turno di riposo, quando ecco comparire sulla verticale di Berat alcuni bombardieri inglesi Bristol Blenheim scortati dai caccia dell 80 Raf comandati dal Capitano John Pattle, considerato un asso dell aviazione britannica. L allarme scattò quando mancavano pochi minuti alle quattro. Fusco fu il primo a decollare ed ad affrontare gli avversari in un lotta impari e senza scampo. Alfredo scrive Matteo al fratello Olderico in una lettera del 20 marzo è caduto da eroe, combattendo da leone. Secondo il racconto fattomi dal suo motorista e da un suo compagno Lui è stato il primo a levarsi in volo, ma per una fatale combinazione i suoi gregari non hanno potuto seguirlo immediatamente dimodoché i primi minuti del combattimento sono stati sostenuti da lui solo contro quaranta. Alla prima raffica ha abbattuto un caccia, ma da terra lo hanno visto precipitare. Probabilmente, Alfredo era stato ferito ed aveva perso i sensi. La ferita aggiunge l inedita lettera che vedrete riprodotta nel contesto della mostra che più tardi visiteremo non doveva però essere mortale perché ha ripreso il controllo dell apparecchio a pochi metri da terra e nuovamente si è lanciato nella mischia, disimpegnandosi da un secondo attacco di caccia e scagliandosi contro i bombardieri che attaccavano la truppa e il deposito di munizioni di un reggimento di artiglieria. Sotto i suoi colpi è caduto anche un bombardiere e gli altri si sono allontanati dall obbiettivo. Ma addosso, ala ad ala, gli sono andati 6 o 7 caccia che lo hanno fulminato. L aereo pilotato da Alfredo esplose in volo, ed i resti carbonizzati del giovane furono ritrovati sul greto del fiume Devoli. Faccio mia e propongo a voi la domanda di Matteo ad Olderico: Non sembra anche a te che questa sia Leggenda?. Apprestandomi a questo appuntamento solenne, mi sono ripetutamente chiesto quale molla possa essere scattata nell animo di Alfredo quando, quel pomeriggio infausto, abbandonò l infermeria per correre a perdifiato sulla pista fangosa, balzare sul primo aereo alla sua portata e decollare verso l appuntamento con la morte.. In fondo la sua parte l aveva fatta già egregiamente al mattino. Perché quest <aquila>, giovane e irrequieta, anziché godersi le spartane comodità e il gradevole tepore dell infermeria o imboccare il varco di un rifugio antiaereo, strattonò la presa dei medici e degli infermieri di turno e d impeto, su un aereo non suo, scelse che si compisse un destino così tragico e crudele? Mi hanno aiutato a capire i ricordi di scuola, i saggi di Mario Arpino e di altri autori, gli scritti accorati del generale Giulio Cesare Graziani (una medaglia d oro, 6 d argento, una di bronzo, due avanzamenti ed una promozione per merito di guerra), uno dei compagni di Alfredo nel Corso Rex. Quel giorno, Alfredo decollò per la sua ultima e ineguale battaglia per motivazioni pure e nobili

75 Un Monumento e una Mostra per un Ragazzo del Corso Rex sulle quali tutti noi dobbiamo meditare: il senso del dovere, il senso della lealtà, l onore personale e dell Italia, il coraggio delle proprie azioni, lo spirito di sacrificio, la propria dignità. Sono valori che riconducono ad un concetto risorgimentale di Patria che prima di Alfredo, appartennero a Francesco Baracca e, con Alfredo, sono appartenuti a gran parte dei ragazzi del Rex. Per nulla calzante, quindi, risulterebbe la ricerca di un rapporto con lo sfondo dell ideologia allora imperante perché questi ragazzi non si facevano prendere dalla facile propaganda o dai luoghi comuni, preferendo ben altre letture alle biografie del Duce aviatore e ai saggi di mistica fascista rimasti, mai sfogliati, dentro i cassetti dell aula di studio o sul tavolaccio della cella in cui Alfredo e i suoi compagni finivano spesso per scontare le trasgressioni di una gioventù esuberante e difficile da contenere. Passione per lo studio molto misurata; numerosi richiami ufficiali per un temperamento irrequieto e, talvolta, irriguardoso; una vita breve, intensa e coraggiosa; un grande senso dell onore; un forte amore per l Italia: Questo era Alfredo Fusco! Vivere ardendo e non sentire il male, egli scrisse sul testo di chimica del Corso Rex. Sembra quasi di parlare di Goffredo Mameli o di raccontare una storia che sarebbe piaciuta a Edmondo De Amicis, anche se sono diversi i contesti e le epoche. Allora mi chiedo se quei valori risorgimentali siano ancora attuali in una società come la nostra e invito soprattutto padri e madri, gli insegnanti, gli stessi ragazzi, tutti coloro che condividono con noi questa giornata della memoria a riflettere insieme a me. Non è giusto morire nel pieno della gioventù come Alfredo! Ma, non ho dubbi: quei valori sono ancora attuali. Per gli stessi valori, sono sicuro, Colonnello Frigerio, che con Lei i piloti del 6 Stormo Alfredo Fusco di stanza a Ghedi, in provincia di Brescia, al pari degli altri piloti dell Arma Azzurra, non esiterebbero a decollare e ripetere la nobiltà di un gesto del quale quest aquila disubbidente fu protagonista in un cielo lontano, grigio e piovoso, più di sessant anni fa. Meno convinto - ma non ne faccio colpa a loro, alle famiglie o alla scuola- lo sono per i nostri giovani che in una società dominata dalla comunicazione veloce e dai consumi ne subiscono il fascino e la venalità, correndo il rischio di percepire come valori, tendenze e simboli destinati ad esaurirsi nello spazio di una stagione. Perciò la conoscenza di storie semplici ed edificanti come quella di Alfredo Fusco, o dei Visconti, dei Faggioni, dei Buscaglia, dei Serafini, dei Cannepele, dei Lucchini e di tanti altri che persero la vita in guerra, può contribuire a radicare nei nostri giovani il senso del dovere, dell onore, della lealtà e della dignità personale, quel concetto risorgimentale di patria che renderà loro migliori e di cui una società percorsa da malessere, ma bisognosa di ritrovarsi, impone a ciascuno di noi senza che sia necessario per questo rimetterci la vita. Chi ha avuto la fortuna di tornare dalla guerra, racconti o fermi su carta i suoi ricordi. Riconosco tra noi un pluridecorato, il Comandante Giorgio Bertolaso. Non importa oggi se rompiamo il protocollo. Sarei felice, e credo di interpretare i sentimenti di tutti voi, se Bertolaso accettasse il mio invito a portare brevemente la sua testimonianza. Perché i suoi ricordi e quelli degli altri piloti ancora in vita saranno di grande aiuto nella formazione dei giovani. E non importa da quale parte questi aviatori sfuggiti al tragico inganno di una vittoria impossibile, si trovassero dopo l 8 settembre del 1943: pur nella inalterabilità dei giudizi della storia, importa che, sessanta anni dopo la fine della seconda, immane tragedia del primo novecento, vincitori e vinti si stringano in un abbraccio che, seppellendo per sempre la parola odio, permetta di consolidare la Pace e la Democrazia facendo, del nostro, un Paese che non abbia più bisogno di eroi. Sono sicuro che lassù questo abbraccio tra gli angeli azzurri c è già stato e che Alfredo Fusco e John Pattle ne siano stati tra i primi protagonisti. Ai cittadini, ai giovani di Castelforte, la Provincia desidera donare, con questo monumento e questa stele realizzata dalla Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone, la mostra su Alfredo, allestita insieme all Archivio di Stato di Latina ed in collaborazione con il Comune e l Aeronautica Militare: tra poco la visiteremo e spero che essa sia il primo passo, sia lo stimolo e il nostro significativo contributo per un Parco della Memoria in cui, insieme ai cimeli di questo ragazzo dei quali la famiglia è pronta a privarsi per un progetto così rilevante sotto il profilo etico e culturale, ricostruire la vicenda esistenziale di un paese che, con il vicino Santi Cosma e Damiano, fu l epicentro di otto mesi di battaglie e scontri all arma bianca, strada per strada, casa per casa, aula per aula, che determinarono, proprio qui, la caduta della Linea Gustav e il successivo abbandono di Montecassino da parte dei Tedeschi. Proprio da questa Piccola Cassino, da questa piazza così solenne ed evocativa del confronto democratico, parta l impulso al recupero della Memoria di una terra e di una comunità che cadde in piedi, seppe rialzarsi e ricostruire un paese, un esistenza, un futuro. Perché la Memoria resterà sempre la più grande alleata della Pace, dell Eguaglianza e della Libertà di ciascun essere umano. Mi fermo qui, anticipando la presentazione del libro su Alfredo Fusco, scritto dalla nipote, Signora Anna Fusco di Ravello, che avrà luogo presso la palestra dell Istituto comprensivo in febbraio, nel 66 Anniversario della scomparsa del giovane ufficiale, insieme ad una seconda edizione della mostra per tutte le scuole del sud pontino. Spero che, nel frattempo, gli studenti del luogo abbiano l opportunità di conoscere e approfondire la conoscenza della figura e della personalità di Alfredo Fusco, eroe d impronta risorgimentale di questa terra, della nostra terra!

76 Un Monumento e una Mostra per un Ragazzo del Corso Rex

77 150 Parole, Simboli e Segni della Memoria

78 Santi Cosma e Damiano, 18 novembre 2006 UNA STELE E UNA CASERMA PER UN EROE DELL ARMA

79 Prendo di buon grado la parola, per esprimere alle Autorità civili, religiose e militari presenti il più cordiale benvenuto per avere accettato di condividere ancora una volta l impegno di questo lungo percorso della Memoria intrapreso all indomani del conferimento della Medaglia d Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia. Così nel ringraziare Loro per la sensibilità, colgo l occasione per estendere il saluto a tutti i cittadini, scolari e studenti oggi presenti per il tributo ad un paese che, epicentro dello sfondamento della Linea Gustav, al pari di Castelforte, visse la tragedia della guerra con dignità e coraggio: Santi Cosma e Damiano. Il Carabiniere Angelo Di Tano, Medaglia d Argento al Valor Militare alla memoria, è il simbolo del nostro tributo ad una comunità laboriosa e fiera che, come lui sulle pietraie albanesi di Guri I Capit, seppe resistere all inferno che per otto mesi avvolse queste colline, attraversò queste strade, travolse questi affetti, queste esistenze, ma non ne spense le speranze in un futuro di pace e di libertà. E con esso, Angelo Di Tano, è il simbolo di un tributo che la Provincia doveva all Arma dei Carabinieri per il suo impegno d ogni giorno: ieri, oggi, sempre, ovunque essa sia stata o sia presente. A Lei, signora Antonietta, figlia dell esemplare carabiniere che oggi ricordiamo, alla famiglia tutta estendo il saluto, deferente e commosso, della Provincia e mio personale, convinto che questa giornata resterà nel vostro ricordo, come in noi resterà per sempre l immagine di un uomo che antepose il senso del dovere, della dignità e dell onore personale, dell Arma e dell Italia ai suoi affetti, al legame con questa terra e con questa comunità, alla sua stessa vita. Angelo Di Tano, nacque il 22 ottobre 1907 in una casa umile ed onesta dei Sellitti, pochi metri lontano dalla piazza in cui oggi ne fermiamo per sempre nella memoria di tutti la storia, l esempio, il sacrificio su quel fronte greco-albanese dove l ubriacatura totalitaria sognava di spezzare le altrui reni. Angelo lasciò Santi Cosma e Damiano, il papà Sabatino e mamma Giovannina, i suoi nove tra fratelli e sorelle, a vent anni, in cerca di un avvenire diverso dalla povertà contadina vissuta fino a poco prima per arruolarsi nei Carabinieri Reali. Prestò servizio in varie Legioni e in Eritrea, dove con altri commilitoni e al suo comandante di plotone si distinse in varie operazioni meritandosi il primo encomio solenne per avere contribuito con la sua opera ad assicurare alla giustizia elementi pericolosi. Poi, la guerra. Angelo si era sposato qualche anno prima con Gilda e da questa felice unione nacque Lei, signora Antonietta. A suo padre, diedero appena tre giorni di licenza che si ridussero a poche ore causa i treni sempre in ritardo. Quelle ore Angelo le trascorse accanto alla sua bambina e a sua moglie che avrebbe rivisto una volta ancora, l ultima, un mese dopo, nell imminenza della nuova destinazione in Albania. Era il 23 luglio del Il profumo della salsedine e la brezza dell Adriatico accompagnarono la notte probabilmente insonne ed i pensieri di Angelo per la sua bambina, per sua moglie, nel viaggio da Una Stele e una Caserma per un Eroe dell Arma Bari a Durazzo e verso quel destino senza ritorno che si sarebbe compiuto quando Antonietta aveva cinque mesi. Inquadrato nel Battaglione Carabinieri Reali Albania ed assegnato alla seconda compagnia, Angelo Di Tano si distinse in operazioni militari molto brillanti a Bregu e Vraces e nella difesa di Coriza, nonché per il disarmo del battaglione Tomori composto da militari albanesi e interessato da frequenti diserzioni. Per quest ultima operazione, Angelo Di Tano meritò un nuovo encomio. Poi, venne il giorno fatale. Era il 18 novembre 1940: giusto 66 anni fa! Nel diario storico del Battaglione Carabinieri Reali d Albania è scritto che fu un giorno di intensi combattimenti su tutto il fronte con Coriza sotto costante tiro delle artiglierie avversarie. Le popolazioni italiane e gran parte di quella musulmana furono costrette ad evacuare la città, ma proprio a Guri I Capit, la cittadina difesa dalla seconda compagnia, si registrò l attacco più violento e sanguinoso. Il carabiniere Angelo Di Tano, benché ferito alla mano sinistra, continuò, assistito da altro militare, a sparare tutto il giorno, finché, con la sua arma infranta, non cadde colpito mortalmente per l esplosione di una granata. Aveva 33 anni. La notizia giunse a Santi Cosma e Damiano pochi giorni più tardi, lasciando sgomenti la moglie Gilda, congiunti e conoscenti di quel carabiniere dai capelli lisci e castani, il mento rotondo e lo sguardo pulito e generoso come i suoi gesti verso i fratelli ad uno dei quali regalò il primo paio di scarpe o aiutando altri parenti negli studi. Angelo era così: determinato e coraggioso nella sua divisa da carabiniere, altruista e generoso nei rapporti con gli altri. Posso soltanto immaginare, signora Antonietta, quanto sia stato difficile per sua madre non avere una tomba su cui piangere ed occuparsi della sua crescita nel contesto di un paese pesantemente provato dalla guerra, eppure fiero della sua identità e della sua storia. Posso soltanto immaginare, signora Antonietta quanto difficile possa essere stato per lei, l essere bambina e adolescente, vivendo l amore per suo padre attraverso le poche ed ingiallite fotografie rimaste di lui e magari ritrovate tra i pochi averi sottratti ad una casa distrutta dai bombardamenti. Ma a Lei, sua madre, gli zii hanno detto il vero: suo padre è morto da eroe, per qualcosa di supremo e di nobile che ho già sottolineato all inizio del mio intervento: la dignità e l onore personale e della sua famiglia, dell Arma dei carabinieri e dell Italia. E se ne parliamo oggi, se oggi indichiamo l esempio di Angelo Di Tano ai giovani in modo particolare è perché capiscano cosa significhi aver sacrificato la propria vita, i propri affetti e maturino negli studi, nella vita d ogni giorno, nei rapporti con gli altri gli stessi valori senza per questo morirne, contribuendo così a rendere migliore una società in cui, nonostante i sessant anni trascorsi dalla fine della follia totalitaria e dal recupero della ragione e della democrazia, la pacificazione tra vincitori e vinti prevalga sull odio che ancora si coglie e conduca verso una memoria accettata, che non significa condivisione, ma dove la storia degli uni e la storia degli altri abbiano entrambe posto nel contesto di una tragedia che non risparmiò nessuno e che mai più dovrà ripetersi per nessuno motivo al mondo. Ho pensato molto alla figura di Angelo e al suo gesto nei giorni che mi separavano da questo momen

80 Una Stele e una Caserma per un Eroe dell Arma to. Provo per lui profonda ammirazione, ma non meraviglia. Ho prestato anch io servizio nell Arma, come ufficiale, e quando uno è stato carabiniere per una volta, lo sarà per sempre anche da Presidente della Provincia. Provo per Angelo ammirazione, ma non mi meraviglio del suo gesto perché i carabinieri sono così: lealtà, dovere, generosità fino in fondo, costi, quel che costi. Così Angelo Di Tano non è in fondo diverso da Salvo D Acquisto, che offri la sua vita, la sua gioventù alla vendetta delle truppe tedesche perché venisse risparmiata quella degli ostaggi. Così Angelo Di Tano non mi pare in fondo diverso da tutte quelle <fiamme d argento> che caddero sulle ambe di Culquaber in una battaglia impari e senza scampo per nessuno. Così Angelo Di Tano non mi pare diverso dai ragazzi caduti a Nassiriya. Gente valorosa e dai nobili ideali, sempre e dovunque. La <fiamma d argento> di Angelo non s è mai spenta nel suo cuore, signora Antonietta, e ciò che ho tentato di trasmettere ai giovani che oggi condividono con noi il ricordo e l impegno per realizzare una società che non abbia più bisogno di eroi, Lei lo ha già fatto con i suo figli. Ma in questo giorno in cui suo padre torna a <vivere> nella storia di questo paese e in ciascuno di noi, sono certo che questa <fiamma d argento> alimenterà la Fiaccola della Memoria perché da questo luogo-simbolo, al pari del vicino paese di Castelforte, in cui la Linea Gustav venne sfondata determinando il ritiro delle truppe tedesche da Montecassino e, dunque, l avanzata degli Alleati verso Roma, essa possa arrivare lontano, oltre l orizzonte toccando paesi, luoghi, città ancora attraversate da conflitti che continuano a seminare morte, distruzione, sangue, soprattutto tra i bambini. Possa quella fiaccola portare, con il suo carico di simbolismo, il tepore della Pace, della Democrazia, della Libertà e dell Uguaglianza tra gli uomini ovunque ce ne sia il bisogno. È questo il senso delle celebrazioni per il conferimento della Medaglia d Oro conferito alla Provincia di Latina che oggi a Santi Cosma e Damiano ha voluto ricordare con il Carabiniere Angelo Di Tano, una comunità che non abbassò lo sguardo e la testa, patì lutti e devastazioni, ma mai perse fiducia e speranza in un avvenire migliore. La stele in bronzo dell Antica Fonderia Marinelli dedicata ad Angelo Di Tano, le targhe in marmo per la Caserma dei Carabinieri che è stata a lui intitolata e per la quale ringrazio il prof. Antonio Martino, già Ministro della Difesa, e l altra per l Auditorium della Medaglia d Oro al Valor Civile conferita qualche anno fa al Gonfalone di questo Paese esprimono il debito di riconoscenza della Provincia verso il sacrificio della popolazione di Santi Cosma e Damiano in otto mesi di guerra e della quale questo carabiniere è l Alfiere e l esempio che, con l aiuto dei docenti, gli scolari e gli studenti delle scuole cittadine possono e debbono approfondire con temi e ricerche di storia patria, quella più importante e realmente in grado d essere il collante di una frattura che ancor oggi divide il nostro Paese, spezza questa Democrazia che, invece, ha bisogno di unità e impegno sempre e comunque contro ogni avventura ai danni della libertà di ciascun essere umano. Perché è la democrazia a riempire i granai e a svuotare gli arsenali. Perché è la democrazia il sale della Pace sempre e dovunque. Grazie Angelo, Grazie Carabinieri, Grazie Santi Cosma e Damiano!

81 Una Stele e una Caserma per un Eroe dell Arma

82 Cisterna di Latina, 19 marzo 2007 IN MEMORIA DELL ESODO: UNA STELE PER RIFLETTERE

83 Nell esprimere alle Autorità civili, religiose e militari presenti, il saluto della Provincia e mio personale, desidero testimoniare Loro l apprezzamento sincero per aver voluto ancora una volta sottolineare intervenendo oggi a Cisterna la propria sensibilità nei confronti di iniziative che, superando il pur rilevante aspetto celebrativo della Medaglia d Oro conferita al nostro Gonfalone, aspirano a far riflettere, ad alimentare la fiamma della Memoria perché la sua luce ed il suo tepore impediscano alla Ragione nuove ed orrende stagioni di buio e di freddo nei rapporti tra gli uomini e le Nazioni. E perché questa Medaglia d Oro, così come lo furono i fatti e la tragedia che più di 60 anni avvolsero i nostri paesi e la nostra gente, possa essere colta come il simbolo dal quale partire per affermare e consolidare l Unità presente e futura del territorio e della comunità che su di essa vive, lavora, edifica l avvenire per sé e per gli altri che verranno. Così non è un caso che, estendendo il saluto a tutti i cittadini, scolari e studenti intervenuti per la testimonianza d affetto e di calore che la Provincia e i suoi Comuni portano oggi a Cisterna, io mi rivolga prevalentemente ai più giovani richiamandone l attenzione per l importanza della storia patria come momento formativo di un impegno nella vita d ogni giorno volto a rendere giusta la società del presente, costruire la Pace nella tolleranza, rendere robusta equa e solidale la nostra Democrazia, concreta l uguaglianza e la fraternità tra gli uomini. Sono felice e consapevole di esporre queste considerazioni in una città che non ha sepolto la memoria ed ha eretto il 19 marzo a momento di ricordo e riflessione collettiva perché ciò che accadde 63 anni fa non si ripeta mai più né per Cisterna, né per tutti gli altri comuni che con Cisterna condivisero, nei mesi tra il , un esodo che non è retorico definire di dimensioni bibliche. Sono personalmente convinto che i reportage di guerra ed i manuali di storia non abbiamo sufficientemente evidenziato che la provincia di Littoria, oggi Latina, è stata l originale, tragico scenario di due grandi fronti e che ha pagato un enorme tributo di sangue e di rovine. Allo stesso modo sono convinto che non abbia avuto adeguata attenzione da parte degli studiosi il dramma della sua popolazione improvvisamente tra due fuochi: la Linea Gustav al Sud e il fronte Anzio-Nettuno-Littoria-Cisterna-Aprilia al Nord. Parlare di ciò che visse e patì, giorno dopo giorno, per otto lunghi mesi, la gente comune significa parlare di persone che conobbero il terrore e lo smarrimento, il dolore e la disperazione, lo scoramento e la speranza, la fame e la miseria, il freddo e la morte, la razzìa e lo sciacallaggio. In Memoria dell Esodo: una Stele per Riflettere Ma mai ci fu rassegnazione, mai venne meno la solidarietà e l altruismo tra quanti condivisero le privazioni e gli stenti di quei giorni, di quei mesi. Era il 9 settembre del 43, quando i tedeschi occuparono i comandi militari di Sabaudia, Littoria, Gaeta e le località strategicamente più importanti della provincia, Cisterna compresa. Tre giorni dopo, ecco il primo ordine di evacuazione per le popolazioni di Minturno, Formia e Gaeta, il 20 settembre sarebbe stata la volta di Sperlonga e Terracina, il 4 ottobre di Lenola, il 17 ottobre di Castelforte cui era unito Santi Cosma e Damiano, il 10 gennaio 1944 di Campodimele, il 9, 10 e 11 febbraio l ordine sarebbe scattato per Littoria, Cisterna, Aprilia, Cori, Norma, Sermoneta, Bassiano, Sezze, Pontinia fino al confine di Terracina. E così di seguito. Gli uomini validi vennero chiamati a presentarsi ai comandi militari per essere avviati nei lager in Germania al fine di sopperire alla mancanza di braccia o per partecipare ai lavori di fortificazione in corso sulla Linea Gustav, pena gravi provvedimenti. Furono in moltissimi a disubbidire e a prendere la via dei monti insieme alle proprie famiglie per sottrarsi alla cattura e ai bombardamenti, ma non sarebbe durato molto: dinanzi ad un inverno così rigido, vivere in improvvisate casupole, nelle capanne, negli stazzi, in rifugi di fortuna, senza cibo e assistenza, risultò presto impossibile. Tra l 11 settembre e il 25 ottobre 1943 i tedeschi effettuarono i primi rastrellamenti a Gaeta, Formia, Castelforte, Lenola, Campodimele, Priverno Roccagorga, Littoria, Cori e gli altri paesi dei Monti Lepini. Fu il primo, grande esodo forzato. Sarebbe successo anche dopo, quando le battaglie per sfondare la Gustav e il fronte del Nord sarebbe diventate più cruente e sanguinose sia per i combattenti, che per la popolazione civile. La gente dei centri del sud venne trasportata nei paesi dell Italia Settentrionale, mentre quei pochi che riuscirono a superare i campi minati trovarono rifugio in città della Lucania, Calabria e Sicilia. Il 17 gennaio 44 è la data del primo grande e fallito attacco Alleato alla Gustav. Cinque giorni dopo, ecco lo sbarco americano ad Anzio e la perdita di tempo prezioso che consentirà ai Tedeschi di consolidare e rafforzare le posizioni nell area Nord della Provincia, facendo di Cisterna una vera e propria Fortezza, l epicentro di una linea di difesa che, prima dell assalto decisivo del 23 maggio 1944, riuscì a contrastare efficacemente, nonostante le pesanti perdite da ambo le parti, le offensive del gennaio precedente, del 3-12 febbraio, del febbraio, del 29-4 marzo. Per rendere l immagine di questa Fortezza, è sufficiente ricordare

84 In Memoria dell Esodo: una Stele per Riflettere il dato complessivo dei campi minati esistenti in questa zona riportato in <Cronache da due fronti> di Pier Giacomo Sottoriva: 966, 385 dei quali realizzati dagli alleati con 121 mila mine anti-uomo e anti-carro e 581 da parte tedesca con 73 mila mine. Senza contare tutto il resto degli armamenti. Un immensa e devastante polveriera creata mentre dal 23 gennaio Cisterna era sottoposta a bombardamenti che avrebbero ridotto in polvere e macerie il 90 per cento delle case in venticinque giorni. Sessantatré anni fa, in questo giorno, l ennesimo ordine di evacuazione. La gente che per quattro interminabili mesi aveva vissuto in grotte illuminate da lumini a petrolio e dall aria umida, fu costretta a lasciarle e nello spazio di due ore quattromila abitanti di Cisterna furono avviati verso Velletri lasciandosi alle spalle i tratti spettrali della loro città e promettendo a se stessi che l avrebbero ricostruita pietra su pietra, mattone dopo mattone, impastando la calce con le mani se fosse stato necessario. Padre Eugenio Caldarazzo, il frate cappuccino che si prodigò così tanto per dare aiuto e conforto ai cisternesi, ha ricostruito in un diario postumo la storia di quei 125 giorni vissuti dalla popolazione nelle cave scavate nella pozzolana e nel tufo. Sono pagine di straordinaria semplicità, ma intense e profonde sono la storia e le storie che in esse si raccontano perché straordinari e profondi ne sono stati i protagonisti di ogni giorno, pur tra il terrore per i bombardamenti e il fuoco delle mitraglie, lo sgomento e la disperazione dinanzi al corpo insanguinato o esanime di un amico o di un parente, l angustia dei pidocchi e delle malattie in uno scenario in cui una comunità senza più lacrime per i suoi 500 morti, al pari di quelle degli altri, nostri paesi investiti dal fronte, seppe stringere i denti e rendersi protagonista di un esemplare resistenza civile contro tutto e tutti. conferita al Gonfalone della Città l 8 luglio Ma, oggi, nella storia contemporanea di Cisterna si aggiunge un nuovo capitolo. Essa diventa per la Provincia di Latina, il simbolo dell esodo che investì tutto il territorio, perché quella della comunità cisternese è, in una, la rappresentazione di una, tante diaspore provocate dalla guerra che i giovani devono conoscere per capire quali beni immensi siano la Libertà e la Democrazia. Questa stele in bronzo concepita e forgiata nelle antiche officine della Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone sublima il sacrificio di Cisterna e invita a riflettere perché il messaggio di Pace e di speranza che da essa promana, possa tradursi in un impegno delle giovani generazioni teso ad impedire nuove e devastanti avventure dell uomo contro altri uomini. Noi tutti avevamo un debito verso Cisterna e la sua gente. Siamo felici di averlo onorato proprio oggi. Queste persone sono state gli <eroi> d ogni giorno, <eroi> senza armi se non quelle della fede e della solidarietà con altri come loro che, avvolti in un fazzoletto pochi averi, affrontarono con sublime dignità la deportazione verso altri luoghi e, poi, tornarono per ricostruire città e paesi o iniziare un nuovo esodo, stavolta volontario, verso i paesi d Oltreoceano, per ricominciare un esistenza dove non mancasse più il pane e in cui la parola odio e la parola vendetta fossero bandite per sempre. Agli <eroi> d ogni giorno di Cisterna, a questa straordinaria città rasa al suolo è stata recentemente negata la Medaglia d Oro. Comprendo e faccio mia la vostra amarezza ed esprimo l auspicio che tempi migliori consentano la revisione della Medaglia d Argento al Valor Civile

85 In Memoria dell Esodo: una Stele per Riflettere

86 168 Parole, Simboli e Segni della Memoria

87 Ponza, 14 aprile 2007 UNA STELE E UNA MOSTRA PER IL SANTO DAL CAPPELLO PIUMATO

88 Onorevole Sottosegretario di Stato, (On. MarcoVerzaschi) Bentornato tra noi! Per la seconda volta nell ambito delle celebrazioni per il conferimento della Medaglia d Oro al Gonfalone della Provincia, ho il piacere di porgere a Lei il saluto caloroso dell Ente e mio personale, rinnovando con esso, quello dei Sindaci di tutti i Comuni del territorio. Con altrettanto calore, estendo a ciascuno delle Autorità religiose, civili e militari, ai cittadini presenti un sincero benvenuto e un apprezzamento profondo per essere oggi a Ponza isola d incanto e dalla storia intensa e sofferta per testimoniare con quanta sensibilità essi seguano, sostengano ed alimentino la fiaccola della Memoria che, lungo questo tragitto, abbiamo acceso perché il ricordo di ciò che avvenne più di mezzo secolo fa, quando gli uomini persero la ragione, aiuti la Democrazia e la Pace ad essere più solide e la strada della fraternità e dell eguaglianza non conosca ritorni verso stagioni che, nel Novecento appena concluso, hanno già sconvolto e devastato il mondo per due volte, unendolo in una lunga, interminabile scia di sangue, riducendo a macerie e polvere città e paesi, segnando per sempre esistenze e rapporti. Se, oggi, il percorso della Medaglia d Oro raggiunge Ponza, dopo aver toccato i luoghi simbolo dove cadde la Linea Gustav e più cruenti e impietosi furono i combattimenti sul fronte Anzio-Littoria-Cisterna-Aprilia, non è un caso. In questo giorno, Ponza rappresenta le isole in cui portiamo una Medaglia d Oro che appartiene anche alle comunità che su di esse vivono e lavorano. Ponza è il luogo che con Ventotene ha diviso il lungo e angusto primato del confino e la presenza di sinceri democratici come Sandro Pertini, Pietro Nenni, Giorgio Amendola, Lelio Basso, Giuseppe Romita finché la legge del contrappasso non impose a Benito Mussolini di esservi destinato, anche se per breve periodo, all indomani del 25 luglio 1943 e del suo arresto. Ponza è il luogo dal quale partì alla volta di Ventotene il piroscafo Santa Lucia spezzato in due da un siluro e affondato in pochi minuti con il suo carico di umanità e di speranze, annunciando alla nostra comunità che la guerra immaginata lontana era in realtà alle porte e nell arco di un anno non avrebbe risparmiato nessuno dei centri della provincia, radendone al suolo totalmente alcuni, per il 90 per cento molti altri, parzialmente la parte restante. Ma Ponza è, oggi, soprattutto l esempio di personaggi di storia patria che, in questo percorso del ricordo e della testimonianza, abbiamo a lungo cercato e trovato per indicare ai giovani stili di vita e patrimoni di valori che aiutino loro a comprendere e a radicare nell animo cosa siano il senso del dovere e dell onore personale, la lealtà verso gli altri e lo Stato, l amore per l Italia, quali diritti, quali doveri abbia un cittadino dinanzi al Paese in cui è nato e come quel personaggio di storia patria in realtà esprima significati e valori che non sono andati perduti nella società del profitto e della comunicazione frettolosa o distratta e che trovi rinnovati in quanti di quel giovane, nato a Ponza nel 1912, proseguono nel presente, sul suolo nazionale o sullo scacchiere internazionale dove sono stati spesso impiegati e continueranno ad esserlo nell immediato futuro, il senso dell appartenenza allo storico corpo che a Porta Pia fece Una Stele e una Mostra per il Santo dal Cappello Piumato l Italia unendo al resto del territorio Roma, i valori di ardimento, di semplicità, di altruismo che sono valsi a loro la simpatia e l affetto di un popolo intero: Il Tenente dei Bersaglieri Mario Musco, ieri; i fanti piumati della Brigata Bersaglieri Garibaldi oggi. Aveva appena due anni Mario Musco, quando la giovane mamma, Lucia Di Rienzo, affacciata al balcone della casa sul porto, poco lontano da Punta Bianca, vide transitare sulla via sottostante, un giovane ufficiale dei Bersaglieri dall andatura marziale e le piume al vento. Piena di ammirazione, mamma Lucia disse che un giorno avrebbe desiderato vedere così quel suo figliolo. Quella donna esemplare e degna compagna di Nazzareno Musco, uomo dai nobili principi e forte senso dello Stato, non avrebbe provato la gioia del figlio bersagliere, né la disperazione per la sua perdita in battaglia: un brutto male la rapì alla vita, quando Mario era ancora un bambino. Fu la signora Rosina Fiacco, donna altrettanto colta e virtuosa, a prenderne il posto accanto a Nazzareno, trasferitosi a Roma negli anni dell adolescenza di Mario, a colmare d affetto e sani insegnamenti in eguale misura lo stesso Mario e i suoi fratelli Arturo, Iolanda, Ugo Corrado, Gabriele e Laura, tutti distintisi nella vita e nella professione intrapresa. Il giovane crebbe nella serenità, affermandosi presto per vivacità d ingegno, serietà di studi, austerità di costumi, fermezza di carattere ed elevato senso del dovere in ogni suo compito. Terminate le medie superiori in quel Liceo <Torquato Tasso> che intitolò alla sua memoria la sala di ginnastica, Mario Musco intraprese gli studi universitari di giurisprudenza per laurearsi a pieni voti ad appena 21 anni. Nel frattempo, il giovane isolano non aveva trascurato il servizio militare. A lui non dissero mai del desiderio di mamma Lucia, ma appena dopo la Scuola Allievi Ufficiali di Complemento a Milano, eccolo, quasi fosse predestinato, al 2 Reggimento Bersaglieri. Era il 17 novembre Due anni di leva, il congedo, richiamato per l addestramento il 29 settembre 1935 presso il 1 Reggimento Bersaglieri, ancora in congedo, di nuovo alle armi presso il 5 reggimento Bersaglieri in Siena con il grado di tenente. Era il primo giugno del 1940, ancora nove giorni e gli otto milioni di baionette sarebbero finite nel vortice della seconda tragedia del Novecento: un altra Guerra Mondiale, ancor più crudele e devastante della prima. Il 28 settembre di quell anno, ecco il dispaccio del Ministero della Guerra con l ordine di raggiungere il 5 reggimento sul fronte greco-albanese. Per Mario, appena il tempo di salutare i genitori e i fratelli, l imbarco a Bari il 5 ottobre, l arrivo a Durazzo il giorno successivo, il ricongiungimento ai suoi bersaglieri il 7 ottobre. Tra il servizio militare universitario, il servizio di complemento e i frequenti richiami per l addestramento, Mario Musco ebbe il tempo di vincere due concorsi indetti dal Ministero dell Interno: come vice commissario di Polizia a Roma nel 1935, poi come funzionario di prefettura a Firenze dove conseguì, ad appena 26 anni, il grado di Primo Segretario

89 Una Stele e una Mostra per il Santo dal Cappello Piumato Il primo encomio ad appena 23 anni ed è del Comando di Polizia da quale egli dipendeva:. Di ottima condotta, disciplinato, dotato di ampia e superiore cultura generale e giuridica.. è di carattere franco e leale, di animo mite ma fermo.. è molto serio ed ha tratto corretto e signorile sa ben trattare, dirigere, indirizzare, istruire gli inferiori sui quali ha molto ascendente. Tre anni più tardi era il 20 maggio il Prefetto di Firenze proponeva per lui la concessione dell onorificenza di Cavaliere della Corona d Italia, definendolo ottimo funzionario ed un elemento prezioso sul quale si può contare moltissimo anche in circostanze eccezionali. Le sue qualità intellettuali e personali lo renderanno indubbiamente meritevole di ascendere presto ai maggiori gradi della carriera. Non sarebbe andata così. La follia totalitaria che il 10 giugno del 1940 coinvolse l Italia nel secondo conflitto mondiale impose a Mario un dovere da compiere e in quel dovere egli incluse rischi, disagi, sacrifici, quello della vita compreso. Sul fronte greco-albanese, il Tenente Mario Musco si distinse subito nella battaglia al ponte di Kalamas e, poco più tardi, in quella sulla rotabile per Argirocastro: Stava in prima linea il giovane ufficiale di Ponza, ogni giorno, tutti i giorni. Fino al contrassalto fatale di quel 26 novembre Mario Musco era al comando della sesta compagnia dislocata su un caposaldo di Borgo Tellini, Cippo 33, considerato vitale per le sorti dell intero 5 Reggimento e in particolare di quel suo 24 Battaglione che il 4 novembre 1860 fu protagonista della conquista di Mola di Gaeta, poche miglia da Ponza, meritando la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Lui e i suoi bersaglieri si batterono lealmente e con coraggio contrattaccarono continuamente, ristabilendo un situazione decisamente compromessa. Mario Musco e i pochi Bersaglieri rimasti l avevano spuntata ancora una volta, ma proprio a battaglia finita, ecco quel colpo di bombarda sparato a freddo dai greci, la pioggia di schegge e Mario ne venne investito mortalmente. Al Museo Storico dei Bersaglieri di Roma sono custoditi, con la medaglia d oro al valor militare, le due croci di guerra, di cui una tedesca, e quella di cavaliere, la sciabola, tante immagini e lettere. Lettere di Mario alla famiglia. Lettere su Mario a Papà Nazzareno di chi lo conobbe e visse accanto a lui ogni giorno come il bersagliere Zeghini, l operaio del Genio militare Egidio Lavoratori che apprese dai bersaglieri che il Tenente Musco era l ufficiale più amato di tutto il battaglione, pianto da ufficiali e soldati, perché era un valoroso come ufficiale, un angelo come uomo, il cappellano del reggimento, Don Bordignon che, nelle funzioni religiose indicava il giovane ufficiale di Ponza come un Santo Eroe che aveva scritto una delle più belle pagine nella storia della Patria. I suoi bersaglieri lo adoravano come un Dio. La mostra che sarà inaugurata più tardi e per la quale ringrazio l Archivio di Stato di Latina, la famiglia Musco e il Museo Storico dei Bersaglieri, il libro che a Musco è stato dedicato dal Generale Aldo Lisetti offriranno un quadro più ampio delle breve, ma intensa vita di un uomo, eroe suo malgrado. A me preme soprattutto sottolinearne ai giovani la testimonianza e lo stile di vita, i suoi tratti caratteriali, gli ideali in cui credeva: lo Stato, il dovere,l onestà, l onore, la cultura, la famiglia, il rispetto e la difesa degli altri e in particolare dei deboli. Lui era come vorresti tuo figlio. Lui era come vorresti il più stretto dei collaboratori. Lui era come vorresti il tuo amico più caro. Lui era come vorresti essere tu. Lui era come questi fanti piumati della Brigata Garibaldi. Questi ragazzi sono i testimoni nel presente dei valori e della tradizione di coraggio e lealtà verso l Italia espressa dal Tenente Mario Musco, si sono formati e sono diventati uomini e donne in un Paese dove la Democrazia è fortemente radicata. Sono soldati molto preparati e altamente professionali, ma sono anche i soldati dalla mano tesa e dal sorriso verso il bisogno, verso i bambini, le donne, gli anziani di Bosnia, del Kosovo, dell Iraq, soldati che mai hanno sparato senza prima pensare: me ne compiaccio con Lei, Generale Iannuccelli, a nome della Provincia, di ciascuno dei presenti e mio personale! Loro che sono stati a sud di Bagdad, Loro che sono stati e nel futuro saranno, nei luoghi dove Pace non c è, ma perché Pace ci sia, hanno contribuito ad accrescere il prestigio del nostro Paese sul piano internazionale. Come i loro colleghi dei carabinieri, della Sassari e di altri Corpi che a Nassiriya hanno perso la vita e ai quali vorrei rivolgere insieme a voi, un affettuoso, deferente pensiero. Avvicinandosi l appuntamento di Ponza, riflettevo con me stesso sulla promessa che feci al Presidente della Repubblica quando nel maggio di due anni fa venne a Latina. Dissi a lui che se le ragioni della Provincia nel richiedere la Medaglia d Oro al proprio Gonfalone per gli eventi bellici del fossero state riconosciute, avremmo fatto Memoria. Cosi è stato. Mario Musco e Ponza rappresentavano l ultima tappa del programma intrapreso nel luglio dello scorso anno e la personale soddisfazione per aver onorato l impegno promesso al Capo dello Stato. Non sarà così: Il debito etico contratto con il Capo dello Stato e la realtà di una provincia dove la metà dei suoi comuni ha, per gli eventi di guerra del 43-44, è decorata di medaglia d oro, d argento e di bronzo, impongono di continuare. Si, continueremo il percorso del ricordo senza retorica anche in altre località della Provincia, perché il ricordo è testimonianza e la testimonianza aiuta a rendere più solidi la Pace e i messaggi che da essa derivano come l uguaglianza e la fraternità tra gli uomini. E, ufficialmente, aggiungo che la Provincia nei luoghi e tra la gente che la guerra colpì e sconvolse, come per esempio la Linea Gustav, avvierà un progetto per un Parco della Memoria destinato a fermare per sempre ciò che avvenne nella nostra terra quando gli uomini spensero la luce della ragione e della pietà. Mario Musco e la sua storia esemplare ne faranno parte. Questo ufficiale dei bersaglieri, come tanti altri, è morto giovane. Non credo di sbagliarmi sui suoi ultimi pensieri, prima di reclinare il capo: la famiglia lontana; la speranza che il suo stile di vita, il suo senso dello Stato, del dovere e dell onore, i valori di un esistenza breve ma intensa non sarebbero morti con lui. Oggi, a Ponza, quasi settant anni dopo, abbiano dato certezza alla speranza di Mario Musco che quei valori per i quali ha vissuto e offerto se stesso continueranno a vivere e da essi i giovani trarranno alimento e forza per rendere equa e solidale una società che tale ancora non è

90 Una Stele e una Mostra per il Santo dal Cappello Piumato

91 Gaeta, 27 giugno 2007 DUE SIMBOLI DI MARINAI CORAGGIOSI

92 Signor Vice Presidente della Camera,(On. Rocco Buttiglione) Porgo a Lei il saluto della Provincia e mio personale insieme al benvenuto dei Sindaci che condividono con me il governo del territorio e le attese di crescita culturale, civile ed economica di una comunità che, all indomani della fine della guerra, seppe ricominciare, ricostruendo paesi, città, economie che uomini dalla ragione smarrita coinvolsero in una tragedia epocale della quale mai dovrà sfumare il ricordo, se desideriamo assicurare alle esistenze del presente e a quelle che verranno, prospettive di vita immuni da avventure analoghe e ugualmente devastanti. Medesime espressioni di benvenuto porgo alle Autorità religiose, civili e militari, a ciascuno dei cittadini per la testimonianza di attenzione ancora una volta sottolineata dalla loro presenza e dalla condivisione del <Percorso della Memoria> intrapreso dalla Provincia all indomani del conferimento della Medaglia d Oro al Merito Civile al nostro Gonfalone. È un doveroso tributo ai sacrifici, alle privazioni, ai lutti patiti dalla nostra gente negli anni di guerra, ma desideriamo anche trasmettere ai giovani di oggi principi, valori, esempi da tradurre nella vita di ogni giorno, motivandone un impegno convinto e costante che aiuterà a far crescere la Pace, la Democrazia, la Libertà, l Uguaglianza in un mondo in cui ancora troppi uomini, troppe donne, troppi bambini non conoscono cosa esse siano e quanto siano importanti per loro, per noi e l umanità intera. Lungo questo cammino mi sono spesso chiesto se la scelta di colmare il vuoto della nostra storia contemporanea - sottraendo all oblìo o semplicemente facendo conoscere ai nostri giovani la storia di altri giovani che, quasi settanta anni fa, raccolsero in una piccola valigia di cartone poche cose e la speranza di tornare, per andare a servire in divisa, fino in fondo, l Italia e il Tricolore - potesse risultare retorico o ridondante. O, invece, tutto questo fosse utile per capire il significato di parole come Unità, Altruismo, Dovere, Lealtà, Senso dello Stato e rispetto delle sue Istituzioni e delle loro regole e quale importanza devono avere in una società moderna che quei valori pare avere smarrito e che deve recuperare in politica, nella scuola, nel lavoro, in ciascuno dei suoi settori, se essa desidera realmente rinnovarsi e migliorarsi nel segno dell equità, della solidarietà e delle pari opportunità dei suoi cittadini, senza privilegi per nessuno. Credo che guardare ogni tanto indietro sia di grande utilità per non smarrire di nuovo la ragione e con essa la via della democrazia e della civiltà. Gli esempi del Guardiamarina Osservatore Alfonso Di Nitto e del Marò Osvaldo Uttaro che oggi ricordiamo nel tributo a Gaeta e alla Marina Militare Italiana il cui battesimo del fuoco avvenne quasi un secolo e mezzo fa proprio in queste acque, sono le luci che illuminano la strada dell orgoglio che abbiamo dei marinai di questa città che ebbero la fortuna di tornare o che persero la vita nei combattimenti in mare e della speranza che i coetanei del presente e del futuro mai più debbano conoscere cosa sia una guerra. Due Simboli di Marinai Coraggiosi Alfonso di Nitto ed Osvaldo Uttaro non sono i soli della marineria di Gaeta ad essere stati insigniti di Medaglia d Argento al Valor Militar. Sono, però, gli unici tra questi decorati che non fecero più ritorno dalle loro missioni. E, come loro, più di cento sono gli ufficiali, i sottufficiali ed i marinai di questa città, imbarcati su corazzate, cacciatorpediniere, incrociatori, sommergibili, scomparsi nell affondamento delle loro unità. Portano cognomi che ti dicono subito la provenienza come Buttaro, Cervone, Ciaramaglia, Dell Anno, Fantasia, Gallinaro, Gallo, Insalaco, Magliozzi, Matarazzo, Matarese, Salemme, Scalesse, Simeone, Spinosa, Valente, Vaudo, Viola e tanti altri ancora. Erano tutti iscritti nelle liste di leva della Capitaneria di Porto di Gaeta che quest anno compie il Settantesimo anniversario della sua istituzione. A tutti loro: Grazie ragazzi, siamo fieri di voi! Non abbiamo dimenticato, né mai lo faremo! Mai! E mai dimenticheremo i civili di questa città morti sotto i bombardamenti, nelle rappresaglie dei tedeschi o sui campi minati o, ancora, nei campi d internamento in Germania all indomani dell 8 settembre 1943 e della <beffa> di cui i nostri marinai furono protagonisti nel sottrarre ai nazisti le corvette Gru, Gabbiamo e Pellicano, il sommergibile Axum e altro naviglio minore, senza poter fare altrettanto con la nave-officina Quarnaro, troppo era il tempo necessario perché le sue macchine a vapore raggiungessero la pressione giusta per salpare. Analogo, deferente e commosso ricordo riserviamo a quanti ebbero la fortuna di sopravvivere nutrendosi dei frutti del carrubo di Ottaiano o di ciò che era possibile trovare nei terreni dei dintorni, ma che patirono angherie, disagi e sacrifici indicibili senza mai perdere la dignità personale e di popolo. Aveva da poco compiuto ventuno anni il marò Osvaldo Uttaro quando perse la vita nelle acque al largo delle coste libiche di Bardìa. Di lui si sa che, come tanti, era di origini umili e che faceva il pescatore prima di andare a lavorare nella vetreria della città. Poi, la chiamata in Marina pochi mesi dopo l ingresso dell Italia in guerra. Nel giugno del 1941, ecco l imbarco sul sommergibile Ammiraglio Caracciolo, unità costruita l anno prima nei cantieri di Monfalcone. Da Taranto, il Caracciolo salpò per la sua prima missione in zona d operazioni il 5 dicembre dello stesso anno. La destinazione era Bardìa con 126 tonnellate di materiale vario. Vi arrivò cinque giorni più tardi, per ripartire la stessa sera per Suda, nell isola di Creta. Durante la notte del 10 dicembre la tragedia: ecco l avvistamento di un convoglio inglese, il successivo attacco in emersione del nostro sommergibile, il disimpegno, la fuga in immersione, ma il Caracciolo è intercettato dal cacciatorpediniere Farndale che, dopo averlo colpito con le bombe di profondità e averne danneggiato anche le prese d aria, lo costringe ad emergere. Il Comandante, capitano di corvetta Alfredo Musotto si rende conto che la situazione è senza speranza ed ordina l autoaffondamento dell unità ed il suo abbandono da parte dell equipaggio

93 Due Simboli di Marinai Coraggiosi Sono momenti tragici. I cannoni della nave britannica continuano a sparare ed il bagliore dei colpi illuminano il sommergibile italiano. È in quel momento che Osvaldo Uttaro, già in acqua per l ordine del comandante Musotto, si accorge che un altro marinaio è impigliato e rischia la morte. Non ci pensa due volte, poche bracciate ed eccolo a bordo per aiutare il suo compagno che riesce finalmente a salvarsi. Lui, Osvaldo, ormai stremato dallo sforzo non ce la fa e muore insieme al suo comandante che già si era rifiutato di lasciare l unità per andare a fondo con essa ed altri due ufficiali e 14 tra sottufficiali, sottocapi e marinai. In 53 sarebbero poi stati recuperati dal cacciatorpediniere inglese e alla testimonianza di buona parte di loro si deve probabilmente il riconoscimento della Medaglia d Argento al Valor Militare alla memoria ad Osvaldo Uttaro. Sono sicuro che questo giovane marò sarebbe piaciuto a De Amicis! Alfonso Di Nitto, invece, di anni ne aveva 25 quando, otto giorni dopo Osvaldo Uttaro, non fece più ritorno con il suo idrovolante, dall ennesima missione nei cieli del Mediterraneo alla ricerca di navi da guerra, convogli di mercantili alleati o naufraghi da segnalare ai Comandi di Supermarina. Era il 18 dicembre In Marina, Di Nitto era entrato nel 1938 dopo aver conseguito il diploma di capitano di lungo corso presso l Istituto Nautico di Gaeta. Ammesso al 34 Corso Allievi Ufficiali di complemento presso l Accademia di Livorno, ne uscì nel 1939 per essere imbarcato sul cacciatorpediniere <Ostro> e, l anno seguente, sulla torpediniera <Calliope> con la quale partecipò a varie missioni anche in quelle acque al largo delle coste libiche in cui, così come Uttaro, molto probabilmente scomparve con l Idrovolante Cant 506B <Airone> in dotazione dopo il Corso di Osservazione Aerea frequentato a Taranto e l assegnazione agli idroscali di Elmas, Olbia, Augusta e la frequente aggregazione a quello di Stagnone, vicino Trapani. Di lui, con la Medaglia d Argento al Valor Militare, sono state consegnate alla famiglia pochi effetti personali. Tra questi un agendina, dove, giorno per giorno, il Guardiamarina Alfonso Di Nitto annotava le sue pericolose missioni nel Mediterraneo, il costante pensiero rivolto alla famiglia e agli amici più cari, i suoi svaghi, i suoi trasferimenti da una base all altra. Emerge da quelle pagine, il ritratto di un giovane equilibrato, dai sani principi e con un forte senso del dovere e dell onore condiviso con gli altri Osservatori della Marina che, senza essere neppure cinquecento, persero quasi il trenta per cento degli effettivi e guadagnarono, al valor militare, otto medaglie d oro alla memoria, 230 medaglie d argento, 152 di bronzo e 36 croci di guerra e con esse l ammirazione degli avversari del Regno Unito che consideravano loro dei valorosi o dei pazzi a volare su idrovolanti così poco manovrieri e fragili nella struttura. Cosa sia accaduto quel 18 dicembre del 1941 non è noto. Quello precedente, invece, è negli annali come la Prima Battaglia della Sirte in cui parte della flotta navale italiana, di scorta ad un convoglio, ingaggiò lo scontro a fuoco con una squadra navale inglese, poi incappata in un campo minato con conseguenze a dir poco tragiche: l affondamento di due unità, il danneggiamento grave di altre due e circa 900 morti. Malgrado la battaglia fosse terminata, quel giorno si poneva il problema di determinare la posizione del naviglio britannico per un successivo attacco degli aerei italiani: Così, la mattina alle ore 8.00, quattro 506B della 186^ Squadriglia si alzarono in volo alla ricerca delle navi dell Ammiraglio Cunnigham, ma solo quello del Guardiamarina Alfonso Di Nitto non rientrò più alla base. Intercettato e abbattuto dalla caccia inglese? Colpito dalla contraerea degli incrociatori britannici? Un avaria letale? Nessuno potrà più dircelo, nessuno potrà dirci come sia morto il Guardiamarina Osservatore Alfonso Di Nitto e il resto dell equipaggio: il tenente pilota Giuseppe Aiuto, il secondo pilota sergente Fabio Sebastianelli, gli avieri Vito Musumeci, Gerolamo Fonti e Giovanni Dal Bo. Forse non importa più sapere come sia andata. Perché Alfonso Di Nitto, come Osvaldo Uttaro, tutti gli altri sono presenti in ciascuno di noi. È importante raccontare di loro e della storia di questa città - punto d inizio di quella Linea Gustav che nella sua corsa fino a Ortona, bruciò migliaia e migliaia di vite ai nostri giovani, significherà offrire loro una lezione di grande dignità e rispetto per chi antepose il dovere e l onore della sua persona e del Paese alla propria vita e ai propri affetti. Capiranno i nostri giovani, capiranno che con il ferro delle spade e delle lance si potranno costruire aratri per seminare i campi e falci per mieterne il frutto e dare cibo a chi non ne ha perché spade e lance sono usate contro di lui e i suoi simili. Capiranno i nostri giovani e la loro passione civile sarà decisiva per evitare guerre in cui i popoli sotterrino nuovamente se stessi e la Pace, la Democrazia e la Libertà saranno la bandiera di ciascun uomo sulla Terra. In fondo, non è poi tanto difficile per usare le parole di Bertolt Brecht, il drammaturgo tedesco perseguitato dal nazismo essere amici al Mondo

94 Due Simboli di Marinai Coraggiosi

95 186 Parole, Simboli e Segni della Memoria

96 Priverno, 19 marzo 2008 IL SACRARIO DEI DECORATI

97 Signor Prefetto Frattasi, Generale Gibellino, Ho il piacere di porgere loro il benvenuto cordiale della Provincia e mio personale, unendo ad esso quello dei Sindaci dei 33 Comuni del territorio. Con pari calore, estendo a ciascuna delle Autorità religiose, civili e militari e ai cittadini presenti un saluto sincero e un ringraziamento sentito per essere tra noi per condividere l impegno di ricostruire storie e fatti che, sullo sfondo di una lunga scia di sangue, distruzioni e privazioni di ogni genere, segnarono, nella carne e nell anima, la vita delle nostre popolazioni che tra il settembre 1943 ed il maggio 1944 conseguirono il primato, tragicamente originale, di trovarsi tra i roghi, immensi e devastanti, della Linea Gustav al sud e del Fronte di Anzio-Littoria-Cisterna-Aprilia al Nord. Oggi il Percorso del ricordo e della testimonianza intrapreso all indomani del conferimento della Medaglia d Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia si arricchisce di una nuova e significativa tappa che, come le altre di Campodimele, Castelforte, Santi Cosma e Damiano, Cisterna e Ponza esprime la speranza di contribuire alla costruzione di una Memoria composta ed accettata, finalmente immune dal veleno delle ideologie e rifondata sul rispetto delle ragioni di tutti, senza per questo voler alterare o revisionare i giudizi della storia su ciò che avvenne quasi settant anni fa. Pace e Democrazia sono alberi delicati ed i frutti della solidarietà, della fraternità e dell uguaglianza che da essi derivano mai potranno essere sufficientemente maturi e perenni se l Uomo non sarà capace di alimentarne le radici ogni giorno con il concime della tolleranza, insegnandolo a farlo anche a figli ai quali diamo tanto sul piano materiale, poco o nulla per nutrire lo spirito di valori che solo la conoscenza della storia nella sue pagine più riposte, e della storia patria in particolare, può infondere e radicare in ciascuno di loro. Quanto accadde nei nostri paesi più di mezzo secolo fa, fu qualcosa di terribile, generando nei nostri padri e nelle nostre madri il desiderio di rimuovere dalla mente, o di comprimervi in un angolo, un vissuto troppo doloroso. È comprensibile, non c è dubbio. Ma parlare di quel vissuto, e parlarne ai giovani, significa raccontare la storia da cui veniamo, una storia che ci ha reso forti, uniti e decisi dinanzi all orrore della guerra, nell opera di ricostruzione e nel progresso economico poi. Dimenticare questo, significa: Non sapere chi siamo! Smarrire la nostra identità! Non essere più orgogliosi del nostro passato! Il Sacrario dei Decorati Credere di non poter fare più cose ancora importanti nel futuro! Perdere la fiducia e la speranza per poter costruire un mondo più giusto e solidale! Non deve accadere! La strada del ricordo e della testimonianza debellerà il rischio del ritorno verso le nefaste avventure che nel Novecento sconvolsero il Mondo e Regioni lontane come l Africa Orientale. Ovvero, cent anni di storia. Cent anni di storia cruenta e sanguinosa sono raccolti in questo significativo luogo della Memoria e fanno da sfondo agli otto cippi in cui il Comune di Priverno ricompone il ricordo dei suoi cittadini in armi che, con Salvo D Acquisto, icona nella storia e nella quotidianità dell altruismo e dello spirito di sacrificio dei carabinieri, resero onore al Tricolore del Risorgimento, all Italia, al nostro Esercito, a questa Città dell Arte e rendono onore a tutti noi. Non sappiamo molto di loro. Le ricerche sono state complesse e non sono ancora concluse. Ma le motivazioni delle onorificenze conferite individualmente dicono di che tempra fossero fatti questi uomini e in quali ideali credessero: il Dovere, l Onestà, l Onore, il Rispetto e la Difesa degli altri. Cadde sul Monte Vodice, il Sottotenente del 12 reggimento Bersaglieri, Arnaldo Carfagna: con il suo plotone agiva dietro le linee austriache, fornendo preziosi informazioni ai comandi superiori per dirigere gli attacchi. Fu ucciso alla testa dei suoi uomini in uno scontro furibondo. Era la fine di maggio del Vide per l ultima volta il colore del cielo sugli Altipiani di Asiago, il Tenente Antonio Coletta del 10 Reggimento Artiglieria <Asfedio>: nonostante l intenso tiro avversario, era d esempio ai suoi uomini, infondendo loro calma e fermezza, ottenendo, così, l efficace controtiro della sua batteria. Cadde al suo posto di combattimento. Era il 15 giugno Ercole Martellini, maresciallo maggiore del Genio, ormai esausto, venne travolto dalla corrente del fiume Dabùs in piena, dopo aver salvato due dei gruppi di ascari che stava addestrando all uso della zattera capovoltasi accidentalmente. Era il 14 agosto 1937 Africa Orientale Italiana. Salvo d Acquisto, vice-brigadiere dei Carabinieri, vene condotto dai nazisti sul luogo dell esecuzione insieme ad altri 22 innocenti. Non esitò a dichiararsi unico responsabile di un attentato mai commesso contro le forze tedesche, pur di salvare la vita agli altri, estranei al fatto al pari di lui. Affrontò la morte, imponendosi al rispetto dei suo stessi carnefici. Era il 23 settembre 1942 Torre di Palidoro (Roma). Meno di un mese più tardi, ecco spegnersi la giovane vita del partigiano Antonio Aresu: con un compagno affrontò una pattuglia tedesca uccidendo uno dei militari. Colpito a morte e interrogato in ospedale non rivelò nulla del movimento di resistenza al quale apparteneva. Era il 12 ottobre 1943-Priverno

98 Il Sacrario dei Decorati Tutti gli altri ai quali sono dedicati i cippi restanti, ebbero la fortuna di tornare dopo aver battuto la morte e arrendendosi ad essa solo negli anni del naturale compimento del percorso di vita. Di loro, è interminabile l elenco degli encomi e delle onorificenze conferite al Capitano Arturo Paglia, nobile e ardimentosa figura d ufficiale dell 81 Reggimento Fanteria Torino che, dopo la Spagna, si distinse sul fronte russo e nella guerra di Liberazione con numerose azioni di sabotaggio messe a segno nella capitale e,alla testa di un pugno di fucilieri, assalti a postazioni e fortini tedeschi dislocati lungo il Fiume di Santerno. Era il 13 aprile 1945-Emilia e Romagna. Il Sottotenente di complemento Gennaro Ruggiero e il soldato Vittorio Premoli erano insieme, invece, nel 57 Reggimento Fanteria motorizzata Abruzzi inglobato in quella Divisione <Piave> dislocata a Priverno prima dell Armistizio. A Monterotondo, nei giorni seguenti l otto settembre del 43, nel disperato scontro con i tedeschi entrambi furono protagonisti di gesta epiche. Ruggero guidò il suo plotone di fucilieri all attacco di un caposaldo in cui i Tedeschi si erano asserragliati dopo avervi imprigionato molti nostri civili e militari. Liberati i prigionieri, Ruggiero venne ferito in più parti del corpo da una bomba a amano, ma, medicato sul posto, rifiuto di lasciare il reparto. Straordinaria e da letteratura, poi, la figura di Vittorio Premoli. A Monterotondo, egli aveva il compito di portare le munizioni ad un gruppo mitragliatori. Ecco l agguato, la morte dei compagni e lui, ferito a sparare all impazzata abbattendo diversi tedeschi. Solo, accerchiato, ferito altre due volte e senza munizioni, Premoli afferrò il mitragliatore per la canna e usandolo a mo di randello si fece largo tra gli assalitori abbattendone altri. Ferito una quarta volta, Premoli riuscì a raggiungere la sua compagnia per essere prima medicato sommariamente e poi trasportato in ospedale. Tre delle quattro ferite erano gravi, gli interventi chirurgici effettuati in due mesi molto dolorosi, ma l invincibile soldato, pur perdendo l uso d un braccio, riuscì a riprendersi ma non a sottrarsi alla cattura da parte delle truppe tedesche che lo avviarono al nord a bordo di un ambulanza. Premoli, nonostante le ferite non fossero ancora rimarginate, si lanciò dal mezzo in corsa e non si fece più riprendere. Sembra il personaggio di una fiction, eppure è un personaggio vero, è la storia vera di un fante italiano che antepose l onore della sua divisa e della nostra bandiera a tutto. Vittorio Premoli Signori Medaglia d Oro al Valor Militare. E come Premoli, come Ruggiero, D Acquisto, Carfagna, Martellini, Aresu, Coletta, Paglia, tanti, tanti altri nostri soldati si distinsero per analoghe qualità e valori. Così, il mio pensiero corre, ugualmente deferente e commosso, lontano da questo luogo, oltre l Adriatico, verso gli ufficiali subalterni, sottufficiali e militari di truppa della Divisione Acqui che pagarono con il sangue il rifiuto di abbassare la testa e consegnare le armi dopo l otto settembre del 43 e che a Cefalonia get- tarono il seme della rinascita del nostro Esercito, dei quali i Bersaglieri della Brigata Garibaldi oggi con noi costituiscono una sintesi felice e altamente professionale come ampiamente dimostrato nelle missioni di mantenimento della Pace in cui la Grande Unità è stata finora impiegata. La nostra Medaglia d Oro appartiene a tutta la popolazione della Provincia ed a quanti di essa servirono l Italia in divisa. Tra loro, i decorati sono circa cinquecento. Di loro non sappiamo nulla e lo sforzo che stiamo compiendo non permetterà di ricordare tutti. E, allora, amici Sindaci, mi rivolgo a voi. Sensibile ad iniziative come questa, la Divisione onorificenze e ricompense del Ministero della Difesa ha accolto la richiesta e trasmesso qualche giorno fa alla Provincia l elenco dei decorati della seconda guerra mondiale appartenenti ai 33 comuni del territorio. La Banca Dati per la quale esprimo sinceri ringraziamenti al Ministero della Difesa è ancora da analizzare ed è probabilmente incompleta, ma i Sindaci potranno da essa prendere spunto nell auspicabile disegno di intitolare loro una strada, una piazzetta, uno slargo, una scuola, così amplificando e rafforzando il messaggio che, attraverso il Percorso della Memoria, sentiamo di trasmettere ai giovani perché attraverso questi esempi essi possano maturare intimamente e testimoniare nello studio, nel lavoro, nella società civile e nelle istituzioni quel senso del dovere, della lealtà e dello Stato rinnovando, nel 60 anniversario della Costituzione lo spirito di un popolo che crede nella Pace e nella Libertà e che per esse si impegna oltre i suoi confini. Dopo questa cerimonia, la Brigata Bersaglieri Garibaldi partirà alla volta del Libano. Porterà con sé la campana da campo che consegnerò, tra poco, al Comandante, Generale Iannuccelli. Nel rintocco gioioso alla quale essa è improntata, la Provincia di Latina, le sue istituzioni, il suo popolo, hanno inteso simboleggiare quel messaggio di pace, libertà e speranza che questi bersaglieri sapranno trasmettere ogni giorno a uomini, donne, bambini che pace, libertà e speranza probabilmente non hanno mai conosciuto. Grazie concittadini Viva Priverno, Viva la Provincia di Latina, Viva l Italia. E ad maiora semper!

99 Il Sacrario dei Decorati

100 196 Parole, Simboli e Segni della Memoria

101 Lenola, 10 ottobre 2008 L ULTIMA CARICA DEL LANCIERE DI LENOLA

102 Signor Segretario dell Ufficio di Presidenza della Camera, (On. Gregorio Fontana) Ho il piacere e l onore di porgere a Lei il saluto della Provincia e mio personale, quello dei Sindaci del territorio impegnati con noi nel ricomporre storie individuali e collettive di uomini e donne dei nostri luoghi che affrontarono la tragedia della guerra con dignità, coraggio, fede nella possibilità di poter ricominciare una vita normale pur tra lutti, privazioni, violenze di ogni genere in paesi interamente rasi al suolo o fortemente danneggiati e, poi, pazientemente ricostruiti. Analoghe espressioni di saluto rivolgo alle Autorità civili, religiose e militari presenti sempre sensibili ad iniziative che, attraverso il ricordo e la testimonianza, aspirano a trasmettere ai giovani, messaggi che parlano di senso del dovere e dello Stato, di responsabilità, partecipazione perché l impegno a costruire la pace e la democrazia, la giustizia e l uguaglianza dei popoli siano impegno d ogni giorno tra i banchi della scuola, nei rapporti con gli altri, nel mondo del lavoro insieme a quello di rendere migliore e sempre più equa la società alla quale apparteniamo perché avventure che costarono al mondo milioni e milioni di morti non si ripetano più, perché le braci ancora accese in vari scenari dello scacchiere internazionale non conoscano ritorni di fiamma e siano definitivamente spente da una diplomazia europea finalmente autorevole e coesa nelle sue azioni. Rende legittimo questo nostro impegno l essere l unica Provincia d Italia in cui più della metà dei Comuni che la compongono ha i propri Gonfaloni decorati di Medaglia d oro, d argento e di bronzo al valore e al merito civile per gli eventi bellici : sono ora 17 su 33, con il Gonfalone del Comune di Roccagorga appena insignito di Medaglia di Bronzo al Merito Civile. In più, sintesi di tutto il territorio e dell unità della popolazione dinanzi ai quei tragici eventi, la Medaglia d Oro al Merito civile al Gonfalone della Provincia. Oggi a Lenola, paese decorato di Medaglia d Oro al merito civile, la Provincia di Latina rinnova questo messaggio di unità e di speranza sottraendo all oblìo la figura e la storia di un ragazzo al quale altrui disegni di dominio impedirono di vivere la gioia dei suoi ventidue anni, ma che al dovere verso il suo Paese e la bandiera del Risorgimento mai venne meno, coniugando con esso la responsabilità di un gruppo di uomini per proteggere i quali sacrificò la sua esistenza: Mario Rosario Liguori, sergente del Settimo Reggimento <Lancieri di Milano>, caduto sul fronte greco il 24 novembre Figlio di Francesco e di Alessandra Caolla, Mario Rosario nasce ad Itri nel 1918, ma vive a Lenola gli anni dell infanzia, dell adolescenza e gli studi magistrali che avrebbero avuto un peso importante dopo la chiamata alle armi nel Sesto Reggimento <Lancieri di Aosta>, dove rimase fino al 1940, quando già in Albania da un anno, venne trasferito con il grado di Sergente a quel Settimo Lancieri di Milano che, prendendo parte alla campagna d Italia, fu impegnato al Garigliano L Ultima Carica del Lanciere di Lenola e nell assedio di Gaeta del novembre-febbraio 1861 e nella presa di Roma del La promozione di Mario Rosario a comandante di squadra dipese dall elevata considerazione dei superiori per un giovane serio e scrupoloso nell attività operativa, ma anche dotato delle capacità di comando necessarie nell ambito di una importante unità di cavalleria che con i Reggimenti <Lancieri di Aosta>> e <Cavalleggeri Guide> andò a costituire il Raggruppamento Celere del Litorale inquadrato nel Corpo d Armata della Ciamuria destinato all offensiva contro la Grecia. Racconta la diaristica dell Arma di Cavalleria che gli squadroni dei Lancieri di Milano passarono il fiume Kalamas, occupando le cittadine di Margherition e Paramitia, nei primi giorni di novembre del Il 23 dello stesso mese, sulle colline a sud di Porto Sajada, <Milano> riuscì a catturare un battaglione greco sbarcato nella notte dall isola di Corfù, impossessandosi di una grande quantità di armi e materiali, ma registrando anche tantissime perdite e numerosi feriti. Contestualmente iniziarono le operazioni di ripiegamento fino ai monti Acrocerauni e al Reggimento del Sergente Liguori vennero assegnati compiti di protezione che sarebbero costate nuove ulteriori perdite: durante questi combattimenti e nel corso di un contrassalto, Mario Rosario Liguori si rese conto che i pochi uomini della sua squadra rischiavano di essere annientati insieme a lui. C era un solo modo per distogliere il tiro delle mitragliatrici greche: uscire allo scoperto, sparando all impazzata con il suo fucile mitragliatore. L azione ebbe successo, ma Mario Rosario rimase colpito alla testa, era gravissimo, i suoi stessi commilitoni riuscirono a trasportarlo all ospedale da campo n. 11, dove il giovane spirò tra le braccia del capitano medico Piero Alliod e del Tenente Cappellano, Don Giuseppe Lusani. Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla memoria, Mario Rosario Liguori risulterà uno dei cinque decorati di quei due tragici giorni di fine novembre del 40 insieme al maggiore Puglisi, al Capitano Barbato, al Tenente Bembo e al Sottotenente Previtera, anticipando, per modalità degli accadimenti, condotta personale e coraggio, il sacrificio di un altra nobile figura dei Lancieri di Milano: Alfredo Notte, Medaglia d Oro al Valor Militare alla memoria, che, prima di chiudere gli occhi per sempre, con l aiuto di un pezzetto di legno intinto ripetutamente nel suo sangue, ebbe la forza di vergare su un foglio ingiallito una frase che deve indurre a riflettere: <Caduto per la Patria>. Cioè, per l Italia e il suo Tricolore. Per lo Stato, per dovere e responsabilità verso lo Stato, per amore e dedizione ai colori della bandiera, simbolo dell unità del nostro popolo e di valori che si tramandano nel tempo e si trasfondono nei <Lancieri di Montebello> e nei <Granatieri di Sardegna> che, fieri di una storia gloriosa e della difesa di Roma dai tedeschi, oggi rendono onore al giovane commilitone scomparso quasi settant anni fa e che, come altre forze d eccellenza dell Esercito Italiano, effettuano missioni di mantenimento della pace in scenari di estrema delicatezza e pericolosità. A Lei signora Wilma Liguori, mi sento, poi, particolarmente vicino. So che la notizia della

103 L Ultima Carica del Lanciere di Lenola morte di Mario Rosario, comunicata ai genitori tre mesi dopo, sconvolse la vita di mamma Alessandra e papà Francesco e dell intera famiglia. So che non smisero mai di aspettarlo e che continuarono fino alla fine dei loro giorni a mettere un pezzo di pane sulla tavola al posto dove il giovane era solito sedersi. Ma, oggi, Mario Rosario torna a vivere con il suo esempio e la sua lezione morale, nei cuori e nella mente di tutti noi, nella gente e nei giovani di questa cittadina. Wilma, sia di conforto a lei così religiosa e devota che il Signore prima di tendere la sua mano pietosa e di abbracciare Mario Rosario per condurlo con sé, attese che il padre cappellano Don Giuseppe Lusani finisse di somministrare il sacramento dell unzione estrema e salvifica. Le sia di conforto sapere che Mario Rosario, dopo l iniziale sepoltura, ora riposa presso il Sacrario dei Caduti d Oltremare di Bari insieme a migliaia e migliaia di caduti sul fronte greco-albanese e che al tramonto di ogni giorno, la campana del sacrario rintocca nove volte anche in sua memoria. Lenola non dimenticherà questo suo figlio, né dimenticherà tutti gli altri giovani che avviati alle armi sui vari fronti non tornarono più a casa. Portano cognomi noti come De Filippis, Guglietta, Labbadia, Mastrobattista, Pannone e tanti altri che magari ricorrono anche tra le vittime civili di quel terribile bombardamento del 23 gennaio 1944, quando il paese, sede di comando tedesco ubicato proprio in questo santuario, divenne un obiettivo strategico per sfondare verso Pico ed altre località del frusinate. Dopo quell ondata di aerei arrivati all improvviso al momento della messa domenicale, seguirono i rastrellamenti tedeschi per catturare gli uomini avviandoli in Germania o a rafforzare le trincee della Linea Gustav, la fame, gli stenti della vita in montagna e quattro, interminabili giorni da incubo, quando l uomo dimenticò cose fossero pietà e rispetto, per ferire nella carne e nell anima Maria e le altre. Anche qui a Lenola. Le truppe coloniali del Corpo di Spedizione Francese furono protagoniste di ogni genere di nefandezza ai danni della popolazione civile, ma per le donne furono giorni che avrebbero segnato per sempre la loro esistenza in un dolore intimo e profondo probabilmente acuito da quell indice impietoso e immateriale puntato al loro passaggio, comune a tutti luoghi in cui questi fatti si sono verificati e frutto esclusivo di una inadeguata cultura dell onore che faceva loro colpa di qualcosa che colpa loro non era e magari di essere sopravvissute. Di Maria e le altre siamo orgogliosi, come lo siamo di Mario Rosario Liguori, dei soldati caduti sui fronti di guerra, di quanti perirono in quel terribile bombardamento del gennaio 1944, di tutta la gente di Lenola e dei tanti sfollati che in questi luoghi furono protagonisti di una straordinaria resistenza civile ampiamente riconosciuta dalla Medaglia d Oro al Merito Civile al Gonfalone della cittadina. Non si può dimenticare! Perché non è giusto, perché il ricordo di cosa avvenne settant anni fa, quando la nostra terra, unica in Italia, si trovò al centro di due grandi fronti come la Gustav al Sud e la linea Anzio-Littoria-Cisterna al Nord, aiuterà il nostro impegno per cancellare la parola odio e la parola guerra da ogni lingua del mondo, facendo prevalere ovunque la ragione. Non è possibile che la violenza e la morte siano le ultime parole della storia! I bambini, i giovani delle nostre scuole devono sapere cosa accadde e che beni preziosi siano quella Pace e quella Libertà in cui il nostro Paese vive da più di mezzo secolo e che occorre impegnarsi perché la nostra Democrazia non conosca pericolose derive, perché bambini e giovani di altri paesi in cui sono in corso conflitti, possano presto avvertirne il profumo, coglierne il sapore, coltivare le certezze di un domani privo di paura. Mario Rosario Liguori, sergente del Settimo Reggimento Lancieri di Milano, tanti giovani come lui non possono essere morti invano! Confortano in questo le parole di Piero Calamandrei: <Se volete andare nei luoghi dove è nata la nostra Repubblica venite dove caddero i nostri giovani, ovunque è morto un Italiano per riscattare la dignità e la libertà, andate lì perché lì è nata la nostra Repubblica.>

104 L Ultima Carica del Lanciere di Lenola

105 206 Parole, Simboli e Segni della Memoria

106 Itri, 25 giugno 2009 IL PARACADUTISTA CHE DIVENNE SINDACO

107 Onorevole Questore della Camera, (On. Antonio Mazzocchi) Porgo a Lei il benvenuto personale e della Provincia, unitamente a quello dei Sindaci dei suoi 33 Comuni e che oggi, a Itri, compiono con noi un altra tappa significativa del <Percorso della Memoria> iniziato tre anni fa, dopo il conferimento della Medaglia d Oro al Merito Civile al nostro Gonfalone, e che, gradualmente, interesserà tutti i nostri paesi decorati perché colpiti dalla furia degli eserciti in quei mesi di guerra tra l ottobre del 43 ed il maggio-giugno del 44, quando questa terra e questa gente conseguirono il primato, tragico ed originale, di trovarsi al centro di due grandi bracieri di vite e di gioventù: la Linea Gustav pochi chilometri più in là di Itri; il fronte Anzio-Littoria-Cisterna-Aprilia al Nord. Con pari intensità, estendo a ciascuna delle Autorità religiose, civili e militari e ai cittadini presenti un saluto sincero e un ringraziamento sentito per essere partecipi di un impegno profondo nel recuperare fatti e storie dei nostri soldati sui vari fronti del secondo conflitto mondiale sconosciute ai più, ma che appaiono esemplari per senso del dovere, lealtà verso lo Stato, fedeltà al Tricolore del Risorgimento, dignità personale: caratteri di un popolo che seppe ricostruire dalle macerie paesi, città, economie e dare alla nazione quella Repubblica che, nel ripudio della guerra come strumento di regolazione delle controversie, ha nella Costituzione l inestinguibile luce della libertà, dell uguaglianza, della Pace, del progresso per tutti. Attraverso la figura di Domenico De Spagnolis, sottotenente di complemento del I Battaglione Arditi-Parcadutisti, e poi consigliere, Assessore, Vice Sindaco e Sindaco di Itri nel dopoguerra, la Provincia aspira a rinnovare questi valori nella consapevolezza che essi devono accompagnare la crescita e la formazione delle nuove generazioni perché la Repubblica e la Democrazia siano strade senza ritorno, la Pace un bene supremo, irrinunciabile e unito alla Libertà: perché nessuno può essere in pace senza avere la libertà! Figlio di insegnanti e quarto di cinque figli tutti maschi, Domenico De Spagnolis sospese gli studi universitari, seguendo l esempio del padre, Bernardo, pure lui ufficiale, ferito nella prima guerra mondiale, per seguire un corso di allievi ufficiali di complemento a Salerno. Conseguito il grado di Sottotenente, eccolo impiegato in operazioni di guerra nei Balcani in un unità di Fanteria d arresto denominato Guardie alla frontiera. Poi, dopo un breve periodo di addestramento a Santa Severa, il passaggio nel I battaglione Arditi dislocato in Sardegna e assegnato alla 123.ma compagnia d assalto. Era il primo giugno Comandava quel battaglione il tenente colonnello Boschetti, un marchigiano energico risoluto, pervenuto in seguito ai più alti gradi dell esercito repubblicano, che il 12 settembre dello stesso anno, quattro giorni dopo l annuncio dell armistizio firmato a Cassibile, rifiutò di deporre le armi, ingaggiando con i tedeschi una lotta sanguinosa e Il Paracadutista che divenne Sindaco senza esclusione di colpi. De Spagnolis era tra loro e insieme al suo diretto superiore, Tenente Castellani, fu protagonista di scontri furibondi ma vincenti che permisero al battaglione di sottrarsi alla cattura, unirsi agli Alleati e di entrare a far parte del Primo Raggruppamento Motorizzato, poi Corpo Italiano di Liberazione, con la denominazione, voluta dal Generale Messe, di 9 Reparto d Assalto. Il <Nono>, come era chiamato in gergo, perse nella guerra di liberazione 268 uomini su quasi 400 di organico e ottenne significativi riconoscimenti al valor militare per le imprese compiute: una medaglia d oro, 18 d argento, 1 Silver Star americana, 41 medaglie di bronzo, 7 decorazioni polacche, 48 croci di guerra, ripetuti encomi solenni concessi al valoroso reparto dal Generale Utili che oggi riposa nel sacrario militare italiano di Montelungo. Era un reparto d èlite allora, è un reparto d èlite oggi perché quel 9 Reparto d assalto rappresenta le radici storiche, la tradizione di lealtà e di coraggio oggi incarnato dal 9 Reggimento Paracadustiti <Col Moschin>, punta di diamante di quella Brigata Paracadutisti <Folgore> che si coprì di gloria ad El Alamein e che oggi è rischierata in Afganistan per l ennesima missione di pace dopo quella svolta egregiamente in Libano qualche anno fa e in Iraq ancor prima. Domenico De Spagnolis è una di quelle 41 medaglie di bronzo al valor militare. Ne venne insignito, insieme a due croci di guerra e attestati di benemerenza del Generale Alexander, dopo aver conseguito il brevetto da paracadutista con gli Alleati e l assegnazione all Ufficio <I> dello Stato maggiore per essere impiegato in operazioni sotto copertura dietro le linee tedesche. Spesso il sottotenente De Spagnolis si offriva volontario e così fu sul finire della guerra, quando venne paracadutato di notte nella zona di Vittorio Veneto per assumere il comando di un nucleo partigiano alla testa del quale portò a termine numerose operazioni di sabotaggio e azioni di guerriglia contro i tedeschi in ritirata: proprio alle azioni di Vittorio Veneto è legato il conferimento dell importante onorificenza. Bella figura di uomo e di soldato. Ebbe la fortuna di tornare. Analoga fortuna non ebbero tanti giovani di Itri che persero la vita in Russia, in Nord Africa, sul fronte greco albanese. Un elenco parziale fornitoci dal Ministero della Difesa ne indica più di cinquanta, ma sono almeno 146, e, come un rosario, sgrana cognomi ricorrenti in questa cittadina come Addessi, Agresti, Arzano, Capotosto, Lorello, Maggiacomo, Mancini, Manzi, Stamegna, Suprano, Pennacchio. Vada a tutti un pensiero deferente. E al Tenente Vittorio Pennacchio e a suoi fratelli vorrei riservare in questa cerimonia un ricordo commosso. Sette fratelli che, pur separati tra loro, vissero e parteciparono alle vicende di guerra distinguendosi per lealtà, coraggio e fedeltà al tricolore. Vittorio perse la vita in un attacco sul fronte greco albanese e risulta insignito di Medaglia di bronzo al valor militare alla memoria. Invano, il fratello Edelgisio, pari grado, chiese di poterne prendere il posto sullo stesso fronte ma a riconoscimento del suo valore fu fregiato di croce di guerra e del distintivo della guerra

108 Il Paracadutista che divenne Sindaco di liberazione; il Capitano Giovanni Pennacchio, invece, ebbe la medaglia di bronzo al valor militare in un azione di guerra in Africa Orientale nel 1936 e, transitato nell Arma dei Carabinieri durante il secondo conflitto mondiale, fu condannato a morte dai tedeschi riuscendo, tuttavia, a sottrarsi alla cattura; il tenente di cavalleria Emilio riportò ferite per le quali perse l uso della dita di un piede, il caporal maggiore autiere Carlo, invece, tornò dalla Russia con una tubercolosi nodulare bilaterale dall esito letale; Benito, dopo essersi sottratto alla deportazione in Germania, fece il farmacista e fu anche sindaco di Itri, mentre l ultimogenito Roberto rimase ferito da una bomba durante l avanzata degli alleati. Ecco, signor Sindaco, sono convinto che il Comune riconoscerà il tributo di sangue e di dolore dei fratelli Pennacchio con l intitolazione di una strada o di una piazza importante di questa città perché così è giusto. Altrettanto convinto, signor Sindaco, sono del fatto che il Gonfalone di Itri meriti molto di più di quella Medaglia di Bronzo al Valor Civile che, proprio grazie al Sindaco Domenico De Spagnolis e all intero consiglio comunale dell epoca, la cittadina ottenne ma che oggi, alla luce dei riconoscimenti conferiti ad altri comuni della provincia, non rende giustizia di un paese ridotto ad un cumulo di macerie da 56 bombardamenti aerei, 14 bombardamenti navali, 19 cittadini fucilati dai tedeschi, 106 caduti civili a causa dei bombardamenti, 46 vittime civili per scoppio di ordigni, 108 mutilati di guerra, 31 mutilati civili di guerra. Itri, vittima del calice dell odio delle dittature, merita molto di più ed invito l amministrazione ed il consiglio comunale a chiedere con forza una revisione dell onorificenza per quanto la storia ha voluto per Itri e per la sua gente in quei mesi terribili prima e durante lo sfondamento della Linea Gustav e poi nella complessa opera di ricostruzione della quale anche Domenico De Spagnolis fu protagonista in 13 anni di impegno politico ed amministrativo che conobbe l apice quando, eletto Sindaco, ebbe la possibilità di esprimere compiutamente quel concetto sacrale del dovere, del rispetto delle istituzioni quello spirito di servizio verso il Paese acquisiti dai genitori e forgiati in gioventù vestendo una divisa che onorò fino in fondo, come fino in fondo onorò la fiducia degli itrani affrontando piccoli e grandi problemi di questo splendido paese. Erano i primi anni sessanta. Domenico De Spagnolis lasciò la carica alla fine del mandato dando conto a tutti del suo lavoro: il primo lotto di lavori per la copertura del torrente <Muro Torto>, la realizzazione della scuola elementare e l eliminazione dei <doppi turni>, l istituzione della scuola media, la realizzazione dell Asilo S. Martino, la rete idrica e fognante, il miglioramento della strada Itri-Sperlonga e delle strade interne, la realizzazione del Viale Civita Farnese, il piano di ricostruzione e l avvio del piano regolatore, le case popolari, la pubblica illuminazione, l impulso all occupazione con la camiceria <Imi>, tanti altri piccoli e grandi progetti realizzati nell esclusivo interesse di una cittadina che amava quanto la propria famiglia. <A Voi il giudizio> disse ai cittadini annunciando il suo congedo dalla vita pubblica. De Spagnolis non è più tra noi, ma questa stele in bronzo dedicata a Lui, costituisce il riconoscimento più alto che per noi sia stato possibile verso un soldato, un amministratore, un uomo dalla condotta esemplare e coerente che aspiriamo possa essere un esempio per tutti e per i giovani in particolare in un momento in cui la crisi del Paese rischia di appannare valori senza i quali per il Paese e per noi non potrà esserci alcun destino. Parole come impegno, sacrificio, dovere, rispetto, solidarietà, concetti come Pace, Democrazia, Uguaglianza hanno significati profondi ai quali mai nessuno dovrà rinunciare se vuole essere un uomo libero in un Paese libero e immune da nuove grandi tragedie come quelle che i nostri genitori dovettero affrontare quasi settant anni fa. Cioè, ieri! Perché non avvenga più domani! * Impossibilitato all ultimo momento, il Presidente Armando Cusani ha affidato il compito di rappresentare la Provincia al Generale C.d.A. nei Carabinieri R.O. dr. Aldo Lisetti, Delegato alla Sicurezza Sociale

109 Il Paracadutista che divenne Sindaco

110 216 Parole, Simboli e Segni della Memoria

111 Spigno Saturnia, 9 ottobre 2009 «TRA CEFALONIA E KOS»

112 Signor Vice Presidente della Camera,(On. Rocco Buttiglione) Bentornato tra noi! Per la seconda volta nell ambito delle celebrazioni per il conferimento della Medaglia d Oro al Gonfalone della Provincia, ho il piacere di porgere a Lei il saluto caloroso dell Ente e mio personale, rinnovando con esso, quello dei Sindaci di tutti i Comuni del territorio. Con altrettanta partecipazione, estendo a ciascuno delle Autorità religiose, civili e militari, ai cittadini presenti un cordiale benvenuto e un apprezzamento profondo per essere oggi a Spigno Saturnia, comune prossimo a quel carnaio di vite che fu la Linea Gustav, per testimoniare l elevato grado di sensibilità con la quale essi partecipano ed alimentano, con il respiro derivante dall aria pulita della democrazia, la Fiaccola della Memoria che, umile Tedoforo dell istituzione in cui si riconoscono mezzo milione di persone, porto accesa in tutto il territorio perché il ricordo di ciò che avvenne più di mezzo secolo fa - quando uomini dal pensiero totalitario e avvolti dal buio della ragione, armarono la mano di altri uomini per una lotta fratricida che costò milioni di vite-aiuti la Pace e la Libertà a crescere nella coscienza di tutti come beni supremi ed irrinunciabili dell Umanità. Che la Medaglia d Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia sia oggi a Spigno Saturnia non è un caso. È un tributo alle sofferenze e alle distruzioni che questo paese, ridotto ad un cumulo di macerie per circa il 98 per cento, subì dai tedeschi prima, dagli alleati poi. Rastrellamenti, fucilazioni, bombardamenti. Come a Castelforte, Santi Cosma e Damiano, Minturno, Formia e Gaeta: i paesi limitrofi! E, poi, il passaggio delle truppe coloniali del Corpo di Spedizione Francese che, anche tra questi monti, espressero la sottocultura del bottino di guerra contro Maria e le altre, facendone scempio nella carne e nell anima. La Medaglia d Oro della Provincia si compone simbolicamente di 33 parti, quanti sono i suoi comuni. Spigno ne rappresenta una parte tra le più significative. Anzi, l alta onorificenza al Gonfalone dell Ente nell insieme ei significati di unità, fraternità ed uguaglianza che l accompagnano, aspira ad esaltare la Medaglia d Argento al Merito Civile di cui, tra poco, il Gonfalone di questa cittadina sarà fregiato dal Vice Presidente della Camera dei Deputati. Condivido con voi, Sindaco e Cittadini di Spigno Saturnia, la convinzione che questo paese avrebbe meritato la medaglia d oro come altri. Il tempo della revisione e di fornire ulteriori elementi di valutazione non manca e questo è il primo passo. Ma quanto sia importante Spigno per noi è dimostrato dalla figura prescelta per questa per questa cerimonia che consente alla Provincia di Latina di gettare un ponte ideale, fatto di spe- «Tra Cefalonia e Kos» ranza e ricordo perenne, con Cefalonia e Kos, due isole greche in cui si consumarono, all indomani dell otto settembre, le tragedie della Divisione Acqui e della Divisione Regina: Erasmantonio Cocomello, 27 anni, sposato e un figlio che avrebbe accarezzato solo nei primi sei mesi di vita, era un caporale del 17 Reggimento, aveva mostrine di stoffa dagli stessi colori di quelle di questi soldati che oggi sono schierati nella compagnia d onore e gridano Acqui con la fierezza di un passato e di una storia che incutono rispetto, commozione, silenzio, raccoglimento, partecipazione. Questo giovane commerciante dai capelli castani e la fronte rosea arruolato in aeronautica per il servizio di leva e poi in fanteria allo scoppio della guerra non è più tornato da Cefalonia: disperso alla data, comune a tanti altri, dell 8 settembre E, come lui, non sono più tornati da Cefalonia e Corfù: Del 17 Reggimento Fanteria Acqui: I Caporal Maggiori: Giuseppe Mallozzi di Castelforte; Giuseppe Raimondi di Sezze; Salvatore Trano di Formia. I Fanti: Giacomo De Meo di Formia; Giovanni Cianfoni di Roccamassima; Ercole Meloni di Cisterna; Adelmo Palladini di Prossedi. Del 18 Reggimento Fanteria Acqui: Sergente Maggiore Amato Rosetta; I Fanti: Tommaso Mancini, di S. Felice Circeo; Giuseppe Mancini, di Terracina; Raffaele Sinapi di Itri; Antonio Vellucci, di Gaeta. Del 33 Reggimento Artiglieria Acqui:

113 «Tra Cefalonia e Kos» Caporal Maggiore Alfio Pecoraro di Cisterna Artigliere Genesio Cipolla di Sonnino. Del 317 Reggimento Fanteria Acqui: Fante: Quirino Arzano di Itri; E, ancora, Salvatore Capolino, 2 Capo Marina Militare, di Formia; il Carabiniere del 7 Battaglione Mobiliato Michele La Rocca di Minturno. Per loro, per gli ufficiali, i sottufficiali e soldati della Divisione Acqui che non sono più tornati alle loro famiglie, così come per i fanti,i sottufficiali e i 103 ufficiali della Divisione Regina, la maggior parte dei quali non aveva ancora 28 anni, fucilati ai primi di ottobre del 43 a Kos dai tedeschi, vorrei che le mie e le vostre mani si unissero in un caloroso applauso. Ai giovani che sono con noi, a coloro i quali faremo pervenire il libro dal titolo <Divisione Acqui: cronaca di una tragedia - Cefalonia settembre che raccoglie, con approccio equidistante, la tesi di laurea in storia contemporanea conseguita presso l Università di Trieste dal tenente Colonnello Ciro Maddaluno, ufficiale alle dipendenze del 2 Comando F.O.D., un primo messaggio: leggete le motivazioni delle Medaglie d Oro al valor militare concesse alle Bandiere del 17 e del 317 Reggimento di Fanteria e allo Stendardo del 33 Reggimento d Artiglieria della Divisione Acqui. Sono parole che fanno riflettere e inducono ad essere orgogliosi di quanti - ufficiali, sottufficiali, soldati, carabinieri,- finanzieri e marinai - dinanzi alla prospettiva di una resa senza condizioni, obbedirono agli ordini ed affrontarono una battaglia contro i tedeschi che era impossibile vincere perché dei moschetti 91 nulla avrebbero potuto contro la furia devastante dei bombardieri Stukas. Così come a Kos per ufficiali, sottufficiali e soldati della Divisione Regina, il Generale Gandin, gli ufficiali che fino al massacro della Casetta Rossa ne eseguirono gli ordini, sottraendosi ad intemperanze non lontane dall insubordinazione, i militari della Divisione Acqui difesero fino all ultimo la dignità della propria divisa e di un Italia allo sbando con l annuncio dell armistizio di Cassibile, che il governo Badoglio accompagnò con comunicati privi di chiarezza se non del tutto ambigui e comunque astenendosi dalla formale dichiarazione di guerra alla Germania, che intervenne solo a metà del successivo ottobre del 43. Si comprese solo allora che la speranza della neutralità, unita all assenza di piani di difesa e di rimpatrio dei nostri soldati, avrebbe lasciato alla sorte più nefasta truppe che pur si difesero, laddove possibile, come in diversi scenari della penisola balcanica. L <Arte del comando>, impose a Gandin di prendere tempo e di mediare, consapevole che l armamento delle sue truppe non poteva reggere il confronto con un esercito tedesco fortemente equipaggiato e pronto ad adottare le contromisure del disimpegno italiano e fortemente equipaggiato. Nei suoi doveri di Comandante, quello di salvare gli <undicimila figli di mamma> era giustamente preminente, ma quando arrivarono gli ordini di battersi contro le truppe alpine della Divisione Edelweiss né Gandin, né i suoi ufficiali e sottufficiali, né i fanti ed artiglieri della Acqui, né carabinieri, finanzieri e marinai si tirarono indietro e nonostante il desiderio di tutti di tornare in patria con onore ciascuno fece il proprio dovere fino in fondo. Come il C.le Erasmantonio Cocomello del 17 Reggimento. Padroni del cielo, truppe da montagna addestrate ed agguerrite, i tedeschi della Wermacht ebbero ragione della Acqui in pochi giorni di combattimento in cui gli italiani furono protagonisti, in uno, di ardimento e scoramento, fierezza e smarrimento nell affrontare la morte, aspergendo sul suolo greco lo stesso sacro sangue degli alpini sul Don, dei paracadutisti e dei bersaglieri ad El Alamein, dei granatieri di Sardegna e dei lancieri di Montebello a Porta San Paolo, dei nostri marinai nelle battaglie delle nostre navi nel Mediterraneo, dei fanti del primo raggruppamento motorizzato a Montelungo, Sono consapevole della storia e della controstoria che accompagnano il massacro la Divisione Acqui a Cefalonia e della ricchezza di contributi intervenuti sul fatto d arme nel momento in cui esso è stato sottratto all oblìo delle coscienze e alle polveri degli armadi giudiziari. Ma, mi sottraggo alle tesi della storia e della controstoria: Le responsabilità ed il numero dei morti di Cefalonia costituiscono argomento di approfondimento per storici e studiosi di opposta visione che hanno prodotto i loro lavori sulla base degli studi di Montanari sulla documentazione italiana, di Schreiber sulla documentazione tedesca e di Rusconi sulle risultanze del lavoro dei primi due autori. Come Istituzione, la Provincia ha il dovere del ricordo e della testimonianza, nonché di essere equidistante dalle differenti valutazioni dei fatti di quei giorni quando, tra ordini e disposizioni di gerarchie in fuga, i nostri militari, gli italiani veri, vennero lasciati morire per difendere il proprio onore di uomini e di soldati e per quel tricolore che accompagnò il Risorgimento e la rinascita nella Repubblica e nella Costituzione dell Italia in cui oggi viviamo in pace. Quattordici Medaglie d oro, ventinove d argento e ventitré di bronzo al valor militare non rendono ragione del sangue versato a Kardakata, Capo Munta, Dilinata, alla <Casetta Rossa> e nelle varie località di Cefalonia e spero in una rilettura serena dei fatti che coincida con un sostanziale ampliamento delle onorificenze individuali concesse a suo tempo. Non posso tuttavia frenare il mio dissenso dinanzi alle scelte del governo nazionale negli anni della <guerra fredda>, il quale dinanzi all esigenza di salvaguardare l immagine del ricostituendo esercito tedesco, scelse la strada di tacere agli italiani la tragedia della Divisione Acqui come di altri

114 «Tra Cefalonia e Kos» fatti d arme: Se ne fossero state autrici le <SS> non ci sarebbero stati problemi; ma che essa si sia compiuta ad opera dalle truppe alpine della Wermacht poteva risultare sconveniente per la <realpolitik> dei nostri uomini di governo sul finire degli anni cinquanta. Per me non c è <realpolitik> che tenga dinanzi a fatti e vicende come questa, perché voltare pagina e dare vigore allo Stato che si desidera ricostruire dalle fondamenta significa fare i conti con il passato senza riguardi e ritegno. Per me quella decisione, pur sforzandomi di comprendere la delicatezza del contesto storico e politico in cui maturò, è come se sui soldati della Acqui si fosse sparato un altra volta. Per fortuna, Cefalonia è un ricordo, anche se a più facce, testimoniato da cerimonie, convegni, processi risoltisi nel nulla, libri, fiction, intitolazioni di strade. Kos no! Nessuno conosce le vicende di ufficiali, sottufficiali e soldati della Divisione Regina in quella lontana isola greca presidiati da due battaglioni del 10 reggimento dalle mostrine bianche come quelle degli ufficiali, sottufficiali e i fanti del Nono Reggimento <Bari> oggi tra noi e custodi delle tradizioni di quella disciolta Divisione. Non vollero arrendersi e dinanzi allo sbarco di una intera Divisione tedesca, nonostante la presenza di un battaglione di fanteria inglese giunto 15 giorni prima, il 3 ottobre del 43 gli italiani ingaggiarono una battaglia impari risoltasi con la resa del giorno dopo. 900 dei 1500 soldati britannici furono catturati e poi trasferiti in Germania per essere trattati secondo la convenzione di Ginevra; dei prigionieri italiani furono trasferiti e rinchiusi nel castello di Kos, dove per 20 mesi subirono malversazioni e uccisioni indiscriminate. Dei 148 ufficiali, 7 passarono con i tedeschi, 28 riuscirono a fuggire in Turchia, 10 erano ricoverati in ospedale e furono trasferiti in Germania, 103 i fucilati nella saline di Linopoti. Quei 103 si rifiutarono di collaborare con i tedeschi, vennero imprigionati e poi uccisi. E non furono 104 per caso, perché il Tenente Guerrino Del Vecchio, nativo di Castelforte, quell otto settembre era in licenza per sostenere un esame universitario a Roma. Dopo la guerra, da quelle fosse nelle saline di Kos il rimorso altrui fece sì che 66 salme fossero recuperate, traslate prima nel cimitero cattolico dove il comune greco realizzò una lapide commemorativa e infine al Sacrario dei caduti d oltremare di Bari, dove Guerrino Del Vecchio è andato spesso, fino al 2005 anno della sua scomparsa, per far visita ai suoi compagni. All appello, mancano ancora 37 ufficiali, ma nessuno ha mai scavato in quelle otto fosse di Linopoti di cui si conosce l esistenza e si hanno le mappe. Da Spigno parta l appello perché finalmente mani pietose recuperino i resti dei 37 ufficiali che mancano e testimoni l Italia la propria gratitudine a questi giovani che, come a Cefalonia, difesero il proprio onore di soldati e il simbolo di tutti noi italiani: il Tricolore del risorgimento. Iniziamo noi, con le Campane del Ricordo per Cefalonia e Kos realizzate dalla più antica fonderia di campane esistente al modo: Marinelli di Agnone. Tra poco esse saranno da me consegnate, per la successiva destinazione nelle due isole greche, al Generale di Corpo d Armata Francesco Tarricone, Comandante il 2 F.O.D. alle dipendenze del quale, tra l altro, sono poste oggi la Divisione Acqui e il 9 Reggimento Fanteria <Bari> inquadrato nella Brigata corazzata <Pinerolo>. Grazie di essere con noi, Signor Generale, e di aver reso possibile questo momento di raccoglimento semplice ma non meno solenne, così come dell ulteriore apporto dei bersaglieri della Brigata <Garibaldi> alle sue dipendenze che, impiegata spesso fuori area, è l esempio del profilo altamente professionale ed umanitario dei nostri soldati impegnati a mantenere la pace dove la pace non c è e che nel sangue di Cefalonia e di Kos, come tra le sabbie di El Alamein o di Tobruk e le rive del Don, a Porta San Paolo come sulle balze di Montelungo, ha l originario seme dell onore e dell amore per questa Italia e la sua Democrazia, rinnovati al prezzo della vita, pochi giorni fa, dai sei paracadutisti della Folgore caduti in un agguato terroristico a Kabul, Afganistan. Ricordiamo questi sei paracadutisti. con il calore di un applauso che esprima anche la nostra vicinanza alle loro famiglie: Non dimenticheremo! Ai giovani che sono con noi, a coloro i quali giungerà l intensità di questo momento, vorrei dire, con le parole di Ferruccio Parri, che siete voi a dover tirare i sassi nei vetri, così noi grandi potremo renderci conto, che è venuto il momento di cambiarli. Fatelo davvero: la nostra Democrazia sarà sempre più forte e impediremo che dalla Pace e dalla Libertà si possa tornare a vivere il buio della ragione

115 «Tra Cefalonia e Kos»

116 228 Parole, Simboli e Segni della Memoria

117 Minturno, 4 giugno 2010 QUELLE DODICI GAVETTE DI GHIACCIO

118 Onorevole Sottosegretario alla Pubblica Istruzione (On. Giuseppe Pizza) Esprimo a Lei il benvenuto della Provincia e mio personale, unendo ad esso quello dei Sindaci dei Comuni del territorio. Analogo saluto e ringraziamento esprimo nei confronti delle Autorità religiose, civili e militari, agli studenti e ai cittadini presenti oggi a Marina di Minturno per condividere valori, messaggi, speranze che accompagnano il <Percorso della Memoria> intrapreso dalla Provincia di Latina quattro anni fa, dopo il conferimento della Medaglia d oro al Merito Civile al proprio Gonfalone. E attraverso il quale aspiriamo a motivare nei nostri giovani un impegno profondo perché Pace, Democrazia e Libertà si radichino nella coscienza collettiva come beni e diritti irrinunciabili dell esistenza di ciascun essere umano ovunque nel mondo e, nell insieme, costituiscano l antidoto contro quella paura, quel dolore, quel lutto, che le nostre famiglie patirono quasi settant anni fa per un figlio caduto o disperso su un fronte di guerra, o, ancora, quando eserciti contrapposti devastarono la nostra terra e l esistenza di gente inerme che, poi, seppe resistere civilmente alla brutalità di Caino e ricostruire case, paesi, economie, ricomponendo con altrettanta dignità uno straccio di vita. Per la Provincia, Minturno è l undicesima tappa di questo Percorso. Ed è soprattutto il momento in cui l intera popolazione della Provincia rappresentata dal nostro Gonfalone fregiato di Medaglia d Oro rende omaggio alle sofferenze e alle distruzioni che questo paese subì ad opera dei tedeschi e degli alleati in quegli otto mesi di guerra che dal settembre 1943 al maggio 1944 trasformano questi luoghi in una terra di nessuno di difficile sopravvivenza per soldati e civili. Rastrellamenti, fucilazioni sommarie, bombardamenti aereonavali, cannoneggiamenti terrestri fecero scempio del centro di Minturno, di Scauri, Tufo, Tremensuoli, Solacciano, Pulcherini, Colle San Martino, Tame, Sperone, Colle Bracchi e di quella frazione di Santa Maria Infante conquistata e persa dagli Alleati per diciassette volte con combattimenti di indicibile ferocia. Come a Castelforte e Santi Cosma e Damiano, punti nevralgici al pari di Minturno di quella Linea Gustav che la storia contemporanea ha fermato nell altrui conoscenza come braciere in cui arsero migliaia e migliaia di giovani vite. Non è un caso che il Gonfalone di questa città sia fregiato di Medaglia d Oro al Merito Civile perché altissimo è stato il tributo di sangue pagato alla guerra e ai suoi Signori: 580 civili morti; 126 civili mutilati o comunque resi invalidi da bombe o granate: 125 militari deceduti o dispersi su vari fronti. Di loro, dodici erano dislocati in Russia con il primo Corpo di Spedizione e poi con l ARMIR. Vorrei ricordane i nomi: Domenico De Filippis; Angelo De Meo; Pasquale Conte; Augusto di Costanzo: Giovanni Fedele; Mario La Serra; Antonio Mauro; Giuseppe Pensiero; Nicola Rotelli; Antonio Stella; Pasquale Zenobio; Mario Vittorio Tartaglia. Dei dodici, sappiamo che: Quelle Dodici Gavette di Ghiaccio il fante Pasquale Conte, morì prigioniero in Germania nel maggio del 1945; l unica salma riportata in Italia è quella del fuciliere Giovanni Fedele. Tutti gli altri dispersi o morti e probabilmente sepolti in fosse comuni nei terrificanti gulag-lager russi come Tambov, Suzdal, Gubaka. Dei dodici sappiano ancora che con Giovanni Fedele, almeno altri quattro militari appartenevano alle Divisioni di fanteria <Pasubio> e <Torino>, componenti il primo Corpo di Spedizione in Russia comandato dal Generale Giovanni Messe e che in quelle due divisioni era inquadrati tanti giovani di altri comuni della Provincia di Latina, ieri Littoria che ne hanno condiviso la sorte più orrenda: dispersi o morti nei lager per malattie terribili come tifo petecchiale, polmoniti, denutrizione, freddo. Avevano le mostrine giallorosse come questi allievi sottufficiali dell 80 reggimento <Roma> o giallo-celesti come la rappresentanza dell 82 reggimento Fanteria Torino. Da qui, muove il dovere di riservare, nel ricordo complessivo di tutti i nostri militari che non fecero più ritorno dalla Russia, uno spaccato particolare a queste due Divisioni di fanteria che si coprirono di gloria non meno di quelle costituenti il Corpo Alpino o delle altre che composero l ARMIR, ma delle quali poco si parla perché la memorialistica su quella sfortunata epopea proviene soprattutto dalle <penne nere> che riuscirono a tornare e a raccontare, come Giulio Bedeschi e Mario Rigoni Stern, cosa vissero e patirono gli italiani in quelle steppe lontane, cosa vissero e patirono quelle nostre gavette di ghiaccio nei gulag-lager sovietici

119 Quelle Dodici Gavette di Ghiaccio I soldati italiani fecero il proprio dovere fino in fondo: oltre il ragionevole, oltre l impossibile, oltre l umano, oltre tutto. Osarono l inosabile! Per dovere e per onore! Ma nulla avrebbero potuto dinanzi a quel Generale Inverno che ancora prima aveva messo in ginocchio Napoleone e le sue Armate. Proprio la rigidità del clima mise presto in evidenzia l inadeguatezza dell equipaggiamento delle nostre truppe. Era quello della prima guerra mondiale, una guerra di posizione. Solo chi era di guardia era dotato di stivali di tela con suole di legno chiodate che rendevano impossibili i movimenti. Le scarpe dei fanti erano di pelle di vitello ed adatte alle marce in Italia, non a quelle sulla neve con quaranta gradi sotto zero. Gli stessi cappotti di pelliccia rendevano i nostri soldati così impacciati che essi preferivano non indossarlo. Mancavano muli, cucine da campo ippotrainate per una minestra calda, le armi spesso si inceppavano per il freddo, le tute mimetiche bianche erano in dotazione solo ai comandi superiori e agli incursori del battaglione alpino <Monte Cervino>, i passamontagna si coprivano di una patina di ghiaccio creata dal vapore della respirazione e per copricapo una bustina e, in combattimento, l elmetto. I sovietici, invece, avevano in dotazione i famosi valenki, stivali in feltro robustissimo riempiti di paglia che si usano ancora oggi e ben isolanti, la fufajka, un giubbotto trapuntato che teneva caldi ma non impacciava i movimenti, il colbacco come copricapo, moschetti automatici con caricatori da 71 facili da costruire in qualsiasi officina meccanica contro i nostri fucili a ripetizione manuale modello 91 a sei colpi, carri armati T34 di straordinaria potenza e velocità, le terribili katiuscia in grado di sparare contemporaneamente sedici razzi ad una distanza di otto chilometri. Impossibile sostenere qualsiasi tipo di confronto. E, infatti, l Armata italiana dopo varie battaglie, fu completamente annientata con un attacco massiccio che ebbe inizio l undici dicembre 1942: l operazione <Piccolo Saturno>. La superiorità russa risultò schiacciante: il rapporto era di sei ad uno per uomini e artiglierie. In 45 giorni gli italiani persero 95 mila uomini, lasciati morti o vivi in mano ai russi, riportandone a casa trentamila, feriti e congelati compresi. Durante la ritirata, il gelo, la fame, la spossatezza per la lunga marcia trasformarono gli uomini in belve al punto che non sembrava disumano, come in realtà è, che si contendessero la vita per una buccia di patata, un pezzo di pane indurito dal freddo e dai giorni, conteso, baionette alla mano, o divorato di nascosto dagli altri. Don Gnocchi, cappellano militare, ha reso crudamente il ritorno agli istinti primordiali dei nostri soldati descrivendo nelle sue memorie quel momento tragico e devastante quando vide un soldato sparare nelle testa di un commilitone che, in una capanna, non gli cedeva una spanna di terra per stendersi a dormire. Durante questa marcia fanti ed alpini furono protagonisti di sortite e battaglie spesso all arma bianca che permisero di tornare. Ma ogni passo pareva un chilometro e ogni attimo un ora; non si arrivava mai e non si finiva mai. Per gli altri caduti in mano ai russi, una sorte terribile. L Armata rossa fu inizialmente impreparata ad accogliere così tanti prigionieri e non solo italiani. L organizzazione dei campi fu frettolosa e concentrata in luoghi molto lontani dalle retrovie, raggiunti dopo le lunghe e terribili marce del davaj. In Russo, questa parola significa avanti. Le guardie di scorta la urlavano sulla testa dei nostri fanti, artiglierei ed alpini incolonnati nella neve ed esposti a sofferenze di ogni genere per percorrere fino a 600 chilometri prima di finire internati in un gulag. Chi non aveva più forza per proseguire il cammino, era finito con un colpo di mitragliatore. Se erano in tanti, venivano legati in burroni e sottoposti a lanci di bombe a mano. Negli intervalli delle esplosioni, le grida dei condannati coprivano il sibilo del vento gelido e pungente che sferzava i visi e la steppa. Poi, terminate le bombe, ecco i soldati russi scendere nel fondo del burrone per finire con un colpo di baionetta chi non era ancora morto. Poi, di nuovo in marcia. Per i corpi senza vita rimasti nei burroni, il candore della neve caduta nella notte avrebbe fatto da pietosa sepoltura e coperto la nefandezza dei massacri e l altrui crudeltà. E crudeltà conobbero i nostri militari nei campi di internamento. Sono consapevole di acuire nell animo dei famigliari del Sottotenente della Divisione alpina <Jiulia>, Mario Vittorio Tartaglia e di quelli dei militari di Minturno che non tornarono più dai lager russi un dolore profondo mai lenìto dal tempo. Ma sono sicuro di incontrarne la comprensione nel momento in cui il calore del nostro ricordo aspira a coniugarsi con il fine di far comprendere agli studenti e ai giovani oggi presenti cosa sia stata la guerra per i nostri genitori e come loro - più di noi, meglio di noi possano costruire, migliorandola, una società priva di paura, immune da nuove tragedie planetarie, ricca di pace, uguaglianza,libertà ed uguali opportunità per tutti. Mario Vittorio Tartaglia venne internato a Tambov, più noto alla burocrazia militare sovietica con il numero 188. Era composto di una quarantina di bunker ricavati da uno scavo sotterraneo a cui si accedeva da uno scivolo tanto ripido da richiedere equilibrio nello scendere e forza per poterlo risalire. L interno non aveva pareti, ma rami incastellati per contenere il terreno, dal corridoio si diramavano a destra e sinistra due terrapieni in forte pendenza e su ciascuno di essi una manciata di paglia a far da giaciglio ai militari italiani. Niente luce, niente acqua, niente latrine, niente assistenza medica, un pezzo di pane nero per tutto il giorno insieme al tè, delle specie di semolino a pranzo, una brodaglia senza alcun nutrimento la sera, fenomeni di cannibalismo, igiene inesistente, pidocchi ovunque. Tante persone inizialmente, la morte a far spazio in un contesto in cui l accesso al campo avveniva completamente nudi. Non c era filo spinato intorno al campo, ma nessuno poteva scappare. Morivano di tifo petecchiale in seicento, settecento al giorno. Nudi, completamente nudi e a bordo di slitte, i morti venivano portati nei boschi e sepolti in fosse comuni. Così, se peggio negli altri campi di internamento: Ecco perché i resti di Mario Vittorio Tartaglia, degli altri soldati di

120 Quelle Dodici Gavette di Ghiaccio Minturno e dei centri pontini insieme a quelli di tanti altri non potranno essere più recuperati. Per molto tempo il silenzio delle autorità sovietiche ha impedito di ricostruire la sorte dei nostri militari in Russia. Solo dal 1992 si è manifestata una certa apertura che ha permesso alla divisione Albo d Oro del Ministero della Difesa di confrontare i 95 mila fascicoli di militari che non fecero più ritorno da quel fronte con i tabulati forniti da Mosca e che appaiono incompleti. Nei tabulati, figurano nominativi di prigionieri di guerra; di questi, si riferiscono a prigionieri morti nei lager, di cui identificati; 22 mila rimpatriati fino al 1954; per altri nomi, 2.000, non è precisata la sorte; infine, vi sono 2.500, fra frequenti ripetizioni, nomi di stranieri, civili e altoatesini. Ma in quei tabulati non ci sono i morti nella marce del davaj o nei trasferimenti in treno ammassati come bestie. Dovrebbero essere 22 mila uomini. Da parte sua lo stato Italiano è riuscito ad esumare dai territorio dell ex Unione Sovietica caduti, dei quali riposano nel Tempio Ossario di Cargnacco in provincia di Udine, dedicato alla Madonna del Conforto. La fredda incertezza dei dati; La crudeltà della guerra; per i caduti e dispersi in Russia di Minturno e degli altri comuni della Provincia e del territorio nazionale una <croce di ghiaccio>. Per tutti loro il calore del nostro ricordo e della testimonianza di questa giornata della memoria per dire semplicemente che non abbiamo dimenticato e mai lo faremo. La libertà, la democrazia che viviamo è frutto di quel sacrificio che mai nessuno potrà rendere vano. E voi studenti, classe dirigente del futuro, non dovrete mai dimenticare le parole che Giovanni Paolo II ha lasciato a ciascuno di noi: <Come al tempo delle lance e delle spade, così anche oggi, nell era dei missili, a uccidere, prima delle armi, è il cuore dell uomo>. Pausa: Il Comandante della compagnia Ordina l Attenti: E il cuore dell uomo, pochi giorni fa in Afghanistan, è tornato ad uccidere due nostri Alpini della Brigata <Taurinense>: il Sergente Maggiore Massimiliano Ramadù e il caporal maggiore scelto Luigi Pascazio. Per loro, unisco le mie alle vostre mani in un lungo, caloroso applauso: non vi dimenticheremo ragazzi così come non abbiamo dimenticato quanti 70 anni fa servirono il Paese e la sua bandiera risorgimentale in un avventura senza ritorno

121 Quelle Dodici Gavette di Ghiaccio

122 Roccagorga, 3 ottobre 2010 TRA TOBRUK ed EL ALAMEIN

123 Signor Vice Presidente della Camera, (On. Rocco Buttiglione) Eccoci di nuovo insieme in una giornata in cui il Percorso della Memoria intrapreso quattro anni fa, dopo il conferimento della Medaglia d Oro al Merito Civile al Gonfalone della Provincia, compie la dodicesima delle diciotto tappe in programma per condividerne il significato con le comunità locali e per raccontare, attraverso storie individuali di uomini delle nostra terra che indossarono ed onorarono il grigioverde della divisa e, con esso, il Paese, fin dove si spinsero il senso del dovere e della dignità, il principio di responsabilità e lo spirito di sacrificio perché soprattutto i giovani possano comprendere quanto valga una vita, il costo della Libertà e della Pace e ne colgano il profumo con il quale accompagnare un esistenza dove dovere, responsabilità, sacrificio si traducano in impegno teso a consolidare quei valori nel tempo, ma pure per migliorare le istituzioni e la società in cui viviamo. Dunque, bentornato Onorevole Vice Presidente. E grazie per la Sua nuova testimonianza di sensibilità anche a nome dei Sindaci, delle Autorità civili, religiose e militari e dei cittadini di ogni età presenti, che saluto al pari di Lei. Era il 17 novembre Le prime, enormi, gocce di pioggia cadevano sulla sabbia del deserto, mentre migliaia e migliaia di uomini di diverse nazionalità offrivano il viso al cielo, chiedendosi se quello straordinario dono della natura sarebbe durato un attimo o più a lungo come, poi, avvenne. Così tutti cercarono recipienti in cui conservare quella manna scesa all improvviso dalle nubi, consapevoli che, almeno per un po, quell acqua non avrebbe avuto il terribile sapore di ruggine e di disinfettante al quale i combattenti del deserto si erano tristemente abituati. Esaurite le incombenze, ciascuno di quei soldati continuò a crogiolarsi sotto la pioggia, finché non ci si rese conto che l acqua aveva ormai riempito quelle spaccature secche del terreno chiamati uadi e che, oltre al rischio di finire annegati, cannoni e mezzi da trasporto potevano finire intrappolati nel fango. Campi da sgombrare in fretta, ordini concitati, brulicare di uomini e mezzi come formiche impazzite. Reginaldo Rossi, caporale nel 39 Reggimento fanteria della Divisione <Bologna> era uno di loro: aveva 24 anni, non sapeva né leggere, né scrivere, zappava la terra ma sapeva il significato di quelle parole come dovere, onore responsabilità, sacrificio. E per questo è morto il 20 novembre 1941, quando, ormai circondato, rifiutò la resa e venne colpito dal fuoco dei mezzo corazzati inglesi accanto al cannoncino anticarro del quale era il servente. L Operazione Crusader era cominciata da due giorni, appena smessa quella pioggia incessante e la parentesi di frescura nel torrido calore nordafricano, spesso accentuato dal soffio impetuoso del ghibli. Fu una controffensiva della quale i servizi di informazione italiani inutilmente informarono Rommel, la Volpe del Deserto, poco o per nulla fiducioso verso la nostra intelligence e perennemente in contrasto con le nostre gerarchie, troppo preso dall organizzazione della spallata finale Tra Tobruk ed El Alamein per la conquista di Tobruk nel frattempo posta sotto assedio. Nonostante l errore strategico, le truppe italo-tedesche riuscirono a contenere l offensiva inglese e proprio quando il Generale Cunningham avrebbe voluto ritirarsi, l ordine di resistere e di contrattaccare imposto dal Comandante supremo delle forze alleate, Generale Auchinlek, permise all Ottava Armata di battere l Afrika Korps e di riprendere la Cirenaica. A Sidi Rezegh e a Bir El Gobi si svolsero le fasi più cruente e sanguinose dell Operazione Crusader, così chiamata dal moderno carro armato inglese schierato per la prima volta in quello scenario, in un rapporto di uomini, mezzi e fonti di approvvigionamento, sensibilmente a favore delle divisioni inglesi e dei Paesi del Commonwealth che avrebbe segnato tutte le fasi successive della guerra in Africa Settentrionale. Fino a quella sera del 23 ottobre 1942, quando, sulla depressione di El Alamein, testimone una luna piena, stupenda ed indifferente, un uragano di fuoco e di ferro si rovesciò contro fanti, guastatori, artiglieri, bersaglieri e paracadutisti italiani, segnando la riprese della battaglia estiva in un luogo dove tantissimi nostri giovani dormono per sempre tra le sabbie del deserto o in quel Sacrario vicino Quota 33 progettato e costruito da uno dei pochi che ebbe la fortuna di sopravvivere per dedicare il resto dei suoi anni alla ricerca di quanti la stessa fortuna non avevano avuto: Paolo Caccia Dominioni. Tre soldati contro uno; sei carri armati di straordinaria potenza contro uno, fatto come gli altri, di lamiere sottili quasi fossero giocattoli; bocche da fuoco e munizioni in abbondanza contro pochi pezzi di artiglieria e proiettili razionati; truppe fresche e spesso avvicendate contro soldati dotati di cristiana fermezza, ma smagriti per la dissenteria. Un divario incolmabile. Eppure ad El Alamein, nessuno arretrò di un passo, tutti si batterono lealmente in una battaglia finale dove, sparato l ultimo colpo, i soldati italiani si lanciarono contro i carri armati alleati con bottiglie incendiarie da loro stessi confezionate, innescate e gettate negli abitacoli, rotolando tra i cingoli per piazzare sotto la <pancia> dei corazzati mine magnetiche con detonatore a tempo, o semplicemente con pugnali e baionette. Fanatismo? No. Semplicemente cuore ed orgoglio contro l acciaio dei cannoni, una lezione di generosità all ariana alterigia e allo snobismo neozelandese che considerava disonorevole arrendersi agli straccioni in grigioverde del Belpaese. E tanto, tanto orgoglio e dignità si sentirsi e affermarsi come italiani. Questi furono i nostri giovani ad El Alamein, le nostre Termopili. Mutuando dalle parole di Paolo Caccia Dominioni: uomini fuori commercio che scrissero pagine degne dell Iliade. Così è stato anche Reginaldo Rossi a Sidi Rezegh quasi un anno prima. Questo giovane rocchigiano, che aveva lasciato famiglia e campi appena ricevuta la cartolina-precetto, aveva il coraggio e la dignità della gente semplice di questa cittadina e nei momenti in cui la battaglia in quel luogo dove la sabbia muore contro la roccia appariva un inferno di polvere, fumo, corpi dilaniati, aiutava i commilitoni della sua batteria a superare la paura, incitandoli di continuo come era solito fare

124 Tra Tobruk ed El Alamein in paese con la squadra di mietitori nelle assolate giornate della mietitura del grano. Alla famiglia, secondo un triste rituale, la notizia della morte di Reginaldo venne data dai carabinieri. Dissero che era morto abbracciato alla sua arma, come in uno dei quei racconti che per un secolo e mezzo dettero la pelle d oca ai ragazzi delle generazioni post napoleoniche e patriottarde. Ma i suoi resti non sono più tornati. Giacciono raccolti in un urna del Sacrario dei Caduti d Oltremare di Bari, dove ogni sera una campana squarcia il silenzio del luogo intonando nove rintocchi anche in onore suo e della sua medaglia d argento al valor militare. Come Rossi, altri giovani dei nostri Comuni hanno lasciato la vita in Africa Settentrionale. I loro nomi figurano tra i circa 50 mila italiani di tutte le armi caduti in combattimento dal settembre 1940 al maggio del 1943 e Roccagorga ne diventa oggi il luogo simbolo al quale affidiamo il nostro commosso e deferente ricordo. Accomuniamo nel pensiero e nel monito che ne deriva, tutti gli altri militari di questa cittadina che non sono più tornati dagli altri fronti. Portano cognomi noti come Bartoli, Basilico, Bevilacqua, Cantarano, Ciotti, De Meis, Di Fazio, Ferrarese, Orsini e così di seguito. A questi morti si sarebbero aggiunti nel 1944 più di trenta civili, deceduti per spezzonamenti aerei, scoppi di ordigni bellici, cannoneggiamenti, rappresaglie. Tra loro, i fratellini Bartolomeo e Giovambattista Rossi, di 11 e 6 anni, bruciati vivi in un capanno per mano delle SS quale vendetta contro il fratello più grande, Alfiero, reo di essersi ribellato ai soprusi di due soldati tedeschi giunti a razziare bestiame. Mi sono spesso chiesto se abbia un senso raccontare queste storie alle generazioni del presente, se il nostro modo di fare memoria e di rendere il nostro tributo ai Comuni della provincia che subirono la furia della guerra siano corretti e contribuiscano a togliere la patina del tempo a valori sui quali ho a lungo indugiato nel corso dell intervento e che mi paiono messi da parte. Che abbia un senso raccontare queste storie ne sono convinto al pari del fatto che la storia patria ed i suoi attori nel tempo debbano essere quotidiana materia tra i banchi di scuola e non episodico progetto in cui coinvolgere i ragazzi. Se lo facciamo nel modo più giusto, lascio ad altri valutare. Ma, a ben riflettere, la vicenda di Reginaldo Rossi come di tanti soldati italiani e vittime civili durante i tristi e tragici anni di guerra, sono i semi della Pace e della Democrazia che il Paese vive da quasi settant anni e della rinascita di un esercito oggi altamente professionale che onora il suo Paese in ciascuna delle missioni interne ed estere in cui è impiegato e del quale i giovani della Scuola Militare Nunziatella costituiscono uno dei più alti, qualificati e selettivi esempi di formazione e di preparazione alla vita. Pace e Democrazia non sono beni durevoli. Hanno bisogno di alimento, testimonianza, riflessione, impegno. Così i valori su quali ho a lungo indugiato e che a mio avviso ne costituiscono l ideale nutrimento. È certamente corretto che i ragazzi delle nostre scuole compiano l annuale pellegri- naggio ad Auschwitz, simbolo del buio della ragione e acme dell odio razziale. Riterrei altrettanto corretto - mi corregga se sbaglio, Onorevole Vice Presidente - realizzare le condizioni perché i nostri giovani siano accompagnati in visita ad El Alamein, Bari, o altri sepolcreti in cui dormono in eterno italiani che la gioventù non vissero appieno per evitare che altri come loro non tornassero più a casa. Di loro è rimasto il nome. Dei giovani di oggi che tutto, troppo hanno, non so cosa resterà se non troviamo le parole giuste per spiegare loro che veniamo da quella gioventù spezzata da una pallottola o da una scheggia, proveniamo da quei sacrifici che si chiamano fame, freddo, privazioni degli affetti per assicurare condizioni attuali, dove, tuttavia, lo straordinario sapore della conquista sociale attraverso il sapere appare messo da parte dalla ricerca di sé nel fondo di un bicchiere il sabato sera. Occuparci di nutrire lo spirito dei nostri giovani è per me un emergenza. Ricominciare dai valori potrà contribuire ad invertire la tendenza al decadimento della società moderna. Nella direzione descritta non vedrei male il ripristino, fermo restando quello volontario, del servizio militare di leva coniugato con lo studio ed anticipato agli anni in cui si inizia a frequentare la scuola media superiore. Magari con l aggiunta esplicita di una materia, teorica e pratica, dove la valutazione finale non deve essere inferiore al <Buono>. Utopia? Deriva autoritaria? Assolutamente no! Solo una provocazione! Ma discuterne non è un male. Per i giovani, per il loro futuro e per il futuro di questa Democrazia che così tanto amiamo. Prima di perdere gli uni e l altra. Un altro giovane ha perso recentemente la vita per quei valori e perché dei bambini di un altro paese potessero crescere: Alessandro Romani, Ufficiale della Folgore ucciso in Afghanistan pochi giorni fa. Non chiedo altro ai giovani e a quanti stanno ascoltando queste parole se non unire le nostre mani in un lungo caloroso applauso

125 Tra Tobruk ed El Alamein

126 Tra Tobruk ed El Alamein

127 Terracina, 15 giugno 2012 IL BERSAGLIERE LAUREATO ALLA MEMORIA

128 Autorità Gentili Signore e Signori Grazie di essere ancora con noi. Grazie di cuore perché in questo lungo Percorso della Memoria che la Provincia di Latina ha intrapreso appena dopo il conferimento della Medaglia d oro al merito civile al nostro Gonfalone per gli eventi bellici , avete riservato attenzione profonda, apprezzamento sincero e presenza qualificata negli eventi promossi per raccontare ai nostri giovani e alla gente comune le storie dei soldati pontini sui vari fronti di guerra. Storie di giovani in grigio-verde, storie dove emergono valori come il senso del dovere e dello Stato, il principio di responsabilità, la fedeltà ad un giuramento, l attaccamento alla nostra bandiera anche a costo di perdere un bene supremo come la propria vita. Con pari calore, al saluto personale e della Provincia, mi è gradito rinnovare quello dei Sindaci dei 33 comuni del territorio, diciotto dei quali risultano insigniti di medaglia d oro, d argento o di bronzo al valore o al merito civile per motivazioni analoghe a quelle della Provincia: essere stati al centro tra i due grandi fuochi della Linea Gustav al sud, del fronte di Anzio-Littoria-Cisterna e Aprilia al nord con ottomila morti, paesi ed economie interamente o sensibilmente distrutti. Analogo benvenuto, inoltre, esprimo nei confronti dei cittadini e dei giovani oggi presenti a Terracina per condividere significati e speranze che accompagnano le iniziative di una Istituzione che costruisce e cura la manutenzione di un patrimonio scolastico d avanguardia, strade o ponti, ma che si preoccupa pure di nutrire e concorrere alla formazione dello spirito di nuove generazioni per la verità lontane dai valori della democrazia per i quali giovani di tanto tempo fa morirono combattendo per onore e per dovere. Ed era un giovane come loro, Agostino Quartulli, sottotenente del Battaglione Bersaglieri <Zara>, caduto alla testa del suo plotone sulle balze, brulle e sassose, del Monte Sopalj, nell attuale Croazia, il 24 luglio 1942: non aveva ancora 23 anni. I miei collaboratori ne hanno ricostruito la storia personale e militare grazie alla Signora Benedetta Fiorillo, una delle due nipoti del coraggioso Ufficiale, a Rino Mioni, icona del Battaglione Bersaglieri <Zara> che, nonostante la prigionia nelle carceri naziste prima, in quelle slave del famigerato campo di Borovnica poi e di una angusta malattia oggi, si arrende alle lacrime solo quando la malinconia dei giorni di festa lo porta a recitare uno per uno i nomi dei suoi 70 e passa amici e commilitoni caduti nei teatri in cui i Bersaglieri Zaratini furono impiegati. Ha un grande cuore Mioni ed è stato lui ad agevolare i nostri contatti con il Generale Licciardi, autore di un libro sulla storia dei Bersaglieri Dalmati e sul Battaglione Bersaglieri <Zara>, nonché a creare i presupposti perché fosse possibile raggiungere l unico Bersagliere attualmente vivente allora inquadrato nel plotone comandato dal Sottotenente Quartulli e che era immediatamente dietro a lui quando, una fucilata dalle postazioni titine, Il Bersagliere Laureato alla Memoria raggiunse il giovane Agostino alla testa, determinandone la morte improvvisa. Giusto Meazzo, questo è il suo nome, vive a Sottomarina di Chioggia, vicino Venezia, ha tanti anni sulle spalle e difficoltà a camminare, ma il ricordo della morte del suo Sottotenente Quartulli lo accompagna ancora oggi ed è nitido. <Era stato ferito già due volte - ha raccontato Meazzo ai miei collaboratori - ma lui continuava ad incitare tutti noi e a guidare l attacco. Non ce l avremmo fatta senza il suo esempio>. Era il 24 luglio <Faceva un caldo terribile e la sete era indescrivibile> annota in un breve dattiloscritto Bruno De Monte, caporalmaggiore del Plotone Comando del Battaglione <Zara>. E aggiunge parole crude che aiutano a capire cosa sia la guerra: <poco davanti a noi portano il corpo del Ten. Quartulli. I sobbalzi gli fanno uscire dallo squarcio in testa pezzi di cervello che rimangono sul posto e sollevano i commenti di quanti poi passeranno di là. Questo episodio - aggiunge ancora De Monte - mi sconvolge e mi induce a un sacco di considerazioni. È un compleanno che non dimenticherò certamente>. Non abbiamo dimenticato neanche noi. Né intendiamo dimenticare tutti i 13 bersaglieri caduti con Agostino. Tra loro, il Tenente Antonio De Denaro, di Sebenico, il Bersagliere Pasquale De Frenza di Bari, entrambi medaglia d Argento al valor militare alla memoria come Quartulli; Armando Carassai, marchigiano, Medaglia di Bronzo. E poi, il Sergente Donati, il Caporale Proni, i Fanti Piumati Evangelista, Crisalidi, Ciculi, Terzaroli ed altri ancora, mentre 21 furono i feriti di quel giorno. Né, ancora, intendiamo dimenticare tutti i caduti, militari e civili, morti dall inizio della guerra fino a giorni in cui Terracina, come il resto della provincia, divenne scenario delle azioni di guerra alleate con bombardamenti aerei, martellanti e devastanti. Non è un caso che proprio Terracina sia stato uno dei primi Comuni Pontini a ricevere la Medaglia d Argento al valor civile, un simbolo che onora, insieme ad una significativa porzione della Medaglia d Oro della Provincia, la storia millenaria di questa stupenda città che seppe allora, saprà ora, rialzarsi per guardare con fiducia al futuro. Agostino venne sepolto nel cimitero civile di Sebenico e in quella tomba un po grezza ma composta e sormontata da una croce in cemento rimase, finché il suo vecchio amico e compagno d armi conosciuto nell aprile del 1942, anche venendo incontro alle attese di papà Riccardo e mamma Memmina, delle sorelle Vittoria, Elena e Lalletta, e con l aiuto del suocero che era di Zara, non riuscì a sbrigare le pratiche per riportare le spoglie di Agostino raccolte in una piccola cassettina nella cittadina natale di Terracina per l ultima preghiera nella chiesa di via Roma, poco lontano dalla casa paterna dove tutto lo ricorda insieme ad una lapide in marmo posta all altezza del civico 46. Quell amico aveva aspettato come il sole il 60 raduno nazionale dei Bersaglieri che si concluderà domenica a Latina e del quale questo evento fa parte; quell amico è stato protagonista di grandi

129 Il Bersagliere Laureato alla Memoria battaglie politiche ed istituzionali da parlamentare e Sindaco di Latina ed è il grande assente di oggi: Ajmone Finestra se n è andato poche settimane fa e ci piace immaginarlo lassù ridere e scherzare con Agostino Quartulli, con gli amici e commilitoni del Battaglione Bersaglieri <Zara>, in cui pure lui ha militato prima di essere trasferito al Battaglione <Mussolini>, con Bruno Ferniani e Pietro Caringi, altri due Bersaglieri di Terracina scomparsi su altri fronti, emersi solo recentemente nelle nostre ricerche, ma dei quali ricordiamo la Medaglia d Argento al valor Militare conferita alla loro memoria, nonché i medesimi valori espressi da Agostino Quartulli: onestà, lealtà, senso del dovere, dignità, coraggio, dedizione alla patria. In omaggio a questi valori e alla sua particolare versatilità negli studi giuridici intrapresi all Università di Roma dopo gli anni del Liceo <Agostino Nifo> di Sessa Aurunca e il soggiorno nell omonimo convitto e nonostante il servizio militare, il 21 ottobre 1942 il Rettore De Francisci comunicò a papà Riccardo il conferimento della laurea alla memoria a quel figliolo bello come il sole, di sani principi, volitivo, studioso, geloso delle sorelle, allegro ed esuberante abituato a conquistare la stima e il rispetto di tutti. <Era il migliore di tutti noi ricorda in una lettera del gennaio 1975 alla famiglia un compagno di studi al liceo, il professor Antonino Romano, allora Preside in un istituto di Caserta -. E aggiunge: <Agostino aveva fortemente radicato il senso di giustizia ed era irruento con chiunque non avesse agito bene; ne ricordo gli scontri con un giovane professore alle prime armi; o i rimbrotti verso una delle sei nostre compagne che doveva avere non poca simpatia per lui. Amava distinguersi e lo ha fatto da liceale, universitario e da soldato andando incontro ad una fine nobile ed eroica sul monte Sopoli a meno di 23 anni>. Pensate che persona era Agostino: quasi tutto ciò che percepiva di stipendio da ufficiale dei Bersaglieri lo mandava a casa, trattenendo poco per sé. E pensate che persone erano i suoi cari: dopo la notizia del decesso del giovane, non hanno mai voluto percepire l indennità che lo Stato concede a coloro i quali muoiono in guerra e sono decorati al valore. Gente semplice, gente forte, gente di grandi e radicati valori. Gli stessi che desideriamo trasmettere ai nostri giovani soprattutto adesso che il Paese vive una crisi valoriale ed economica molto profonda. È a loro che dobbiamo volgere lo sguardo. È a loro che dobbiamo volgere tutti i nostri impegni. È su di loro che dobbiamo investire perché la politica e il governo delle istituzioni possano rinnovarsi nel segno della Democrazia e della Pace in cui viviamo dopo un secondo conflitto mondiale del quale non si deve perdere memoria perché troppo è costato ai nostri padri, alle nostre madri, all umanità intera

130 Il Bersagliere Laureato alla Memoria

131 Il Bersagliere Laureato alla Memoria

132 L ALBO D ONORE DELLE ISTITUZIONI

133 L Albo d Onore delle Istituzioni LE ONORIFICENZE E GLI ATTESTATI DI BENEMERENZA PUBBLICA AL 2014 PROVINCIA CASTELFORTE SS. COSMA E DAMIANO MINTURNO LENOLA CISTERNA FORMIA GAETA TERRACINA LATINA CAMPODIMELE FONDI SPIGNO SATURNIA PRIVERNO CORI ITRI APRILIA ROCCAGORGA SONNINO VENTOTENE PONZA Medaglia d Oro al Merito Civile Medaglia d ORO al Valor Civile Medaglia d ORO al Valor Civile Medaglia d ORO al Merito civile Medaglia d ORO al Merito civile Medaglia d ARGENTO al Valor Civile Medaglia d ARGENTO al Valor Civile Medaglia d ARGENTO al Valor Civile Medaglia d ARGENTO al Valor Civile Medaglia d Argento al Merito Civile Medaglia d Argento al Merito Civile Medaglia d Argento al Merito Civile Medaglia d Argento al Merito Civile Medaglia d Argento al Merito Civile Medaglia d Argento al Merito Civile Medaglia di BRONZO al Valor Civile Medaglia di BRONZO al Merito Civile Medaglia di BRONZO al Merito Civile Medaglia di BRONZO al Merito Civile Attestato di Benemerenza Pubblica Attestato di Benemerenza Pubblica NOTE: I Comuni sono 33. Diciotto di essi sono insigniti di onorificenza al Gonfalone. La Medaglia d oro al merito civile al Gonfalone della Provincia di Latina rappresenta tutti i 33 Comuni. Evidenziate le tappe del Percorso della Memoria

134 SETTANT ANNI DOPO COSA RESTA Ieri, oggi: il cimitero inglese di Minturno nei pressi del fiume Garigliano

135 Cosa Resta Tra Bunker e Trincee per un Museo a Cielo Aperto di Pier Giacomo Sottoriva Il passaggio della guerra abbandona molta spazzatura. Gli archivi sono pieni delle segnalazioni di rinvenimenti di residuati bellici e di sequestri di armi, soprattutto nel dopoguerra, quando si temeva che il disinteresse per il recupero delle armi abbandonate fornisse una facile occasione per perseguire scopi men che puliti o politicamente scorretti. Le cronache anche dei giorni che viviamo, poi, spesso riportano ulteriori rinvenimenti di proiettili abbandonati ed ancora efficienti (soprattutto a Minturno, Castelforte, Formia, Aprilia, Cisterna). E qualche volta si rinvengono anche i poveri resti di soldati caduti senza il privilegio di lasciare traccia del proprio nome. La progressiva invasione edilizia e stradale del territorio risveglia dalla quiete del tempo questi miseri relitti che la guerra ha lasciato dietro di sé, e mai più rivendicati o ricercati. Tra questi resti di una guerra scomparsa 70 anni fa e non dimenticata, anche se spesso sconosciuta, vi sono anche le testimonianze di un arte del costruire finalizzata all arte del distruggere e dell uccidere, o del difendersi, come i fortini militari, le pill-boxes, i bunker che nella provincia di Littoria fanno ancora mostra di sé, pressoché ignorati da chi li vede, che forse neppure sa a cosa servirono, e perché si trovano là dove stanno. A volte essi sono anche la testimonianza di profonde modifiche subìte dall ambiente naturale. Il fatto che in terra pontina e aurunca vi siano ancora questi muti e derelitti testimoni di una immane tragedia, costata globalmente tra i 50 e i 60 milioni di morti, è la conseguenza dell importanza strategica che in un territorio, se pure considerato dagli alleati secondario da un punto di vista strategico, fu teatro di grandi avventure militari, come la lunga battaglia contro la linea Gustav, nel Sud, e come lo sbarco di Anzio-Nettuno, che costò soprattutto ai centri di Cisterna, Aprilia e Littoria, ma anche ai paesi più interni - Cori, Sezze, Priverno - che conobbero gli effetti delle esplosioni dei grossi calibri sparati dalle grandi navi da battaglia o sganciati dai P-40, gli agili e micidiali caccia bombardieri americani. Qui documentiamo alcuni dei più evidenti testimoni: si trovano sulle spiagge e sulle dune del Parco nazionale del Circeo (singolare contraddizione, a ben pensarci) tra Latina e Sabaudia. Essi non esauriscono il numero di tali resti milita- ri, ma ne costituiscono un importante e singolare monumento, concentrato in pochi chilometri, e tali da formare un vero e proprio museo della guerra all aperto. Per il rispetto che la storia richiede, e che può anche essere sfruttato come motivo di attenzione dall esterno (vedi i luoghi della Normandia, delle trincee alpine, della linea Gotica, che hanno drenato miliardi di investimenti e che sono luoghi di richiamo curioso, oltre che storico) si dovrebbe pensare ad una organica segnalazione di questi bunker, eretti per contrastare il temuto sbarco alleato sulle coste pontine, tra il 1942 e la fine del 1943-primi del Nell ordine fotografico seguono, un fortino in mezzo alla spiaggia al di sotto della c.d. strada chiusa ; un tempo si trovava sulla duna, ed ora testimonia quanto il mare abbia divorato in termini di erosione; una casamatta di cemento armato con feritoie per contrastare con il fuoco eventuali attacchi avversari, sita in prossimità della Bufalara, in territorio di Sabaudia. Un altro fortino è sbandato sulla duna a causa della lenta e sistematica erosione eolica che ha sottratto alla base la sabbia sulla quale un tempo poggiava. Un altro esempio è quello che oggi ha cessato di essere segno militare, per diventare un monumento alla pietà, spontaneamente allestito da volontari e trasformato in sacrario del ricordo di coloro che persero la vita nel tentativo di neutralizzare una mina marittima approdata sulla spiaggia di Sabaudia. Morirono in sei bonificatori di mine, e i loro nomi sono incisi su piccole targhe marmoree, o ricordati in vecchie stampe, al vertice della scalinata che conduce dalla lungomare fino all antico appostamento bellico. Infine, un fortino italiano, che avrebbe dovuto presidiare i luoghi della Milizia portuaria di Sabaudia, e che oggi è l anticamera di aree occupate dalla Martina Militare. Altri fortini fanno parte di un diverso panorama, quello del solo ricordo documentale, perché sono scomparsi, smantellati, erosi dal tempo e dall incuria. Tra essi il fortino di S. Agostino a Gaeta, usato anche per tenere all ormeggio con una catena di ferro qualche vecchia barca da pesca. Altre foto illustrano strutture militari che sorgevano nella campagna di Itri o sulla riva del mare di Gaeta Porto Salvo. Altre ancora, evidenziano postazioni di <Spandau> (mitragliatrici tedesche) rifugi scavati nella roccia e sangar di pietre sui monti intorno a Castelforte, Santi Cosma e Damiano ed altri luoghi come l Ornito (dove un piccolo sacrario ricorda i caduti alleati), il Siola, il Furlito. Sulle colline e i monti della Linea Gustav, i bunker erano superflui, perché il terreno offriva alle truppe

136 Cosa Resta tedesche la possibilità di realizzare punti di difesa strategici che ancor oggi sono oggetto di studio da parte dei militari della Nato. Forse le Associazioni impegnate a recuperare e far conoscere la storia dei due grandi fronti di guerra in terra pontina aurunca potranno riservare al recupero di bunker e postazioni parte del loro impegno. Tra queste l Associazione Linea Gustav-Fronte Garigliano con sede a Castelforte e SS. Cosma e Damiano, che ha messo a disposizione della Provincia immagini sconosciute ai più, Si distingue per impegno ed assiduità nel raccogliere, catalogare ed esporre reperti, studi, testimonianze tese a coltivare Storia e Memoria in un territorio in cui la rimozione di quei mesi di guerra ha accompagnato per decenni quanti alla guerra ebbero la fortuna di sopravvivere. Le Istituzioni hanno l obbligo di essere d aiuto perché la nobiltà di questi esempi possa aiutare la generale crescita di sensibilità per la Pace e la Democrazia. Dopo la guerra Il dopoguerra ebbe due strascichi negativi: una forte recrudescenza della malaria e l allagamento di mila ettari di agro pontino. Il ritorno delle febbri fu notevole in tutta la provincia, ed ebbe picchi anche al di fuori delle aree un tempo paludose, come Formia, Gaeta e Minturno. Secondo una relazione del 12 giugno 1950 fatta dall ingegner Pietro Ballerini, presidente della ricostituita Camera di Commercio, in occasione dell insediamento della Consulta economica provinciale, la malaria aveva colpito addirittura il 95 per cento della popolazione. Ma è una cifra sicuramente esagerata. La cifra che viene fatta da altri è 40 mila colpiti dalla malaria. Gli americani iniziarono subito ad impiegare sulle aree impaludate il DDT, lanciato sulla piana di Fondi anche da aerei. E le zanzare sparirono. I danni della guerra non sono mai stati quantificati in maniera definitiva. Diverse fonti, tuttavia, illuminano su alcuni valori. Una carta dell Opera nazionale Combattenti parla di 5966 ettari minati nell area di bonifica, di 299 poderi distrutti, 507 fortemente danneggiati e 954 danneggiati. La relazione dell ingegner Ballerini, fornisce questo consuntivo generale: ettari di superficie allagata per due anni ( ), ettari di terreno minato e improduttivo per tre anni, vani colonici totalmente distrutti e più di danneggiati; 71 mila metri cubi di stalle e magazzini distrutti e circa 100 mila danneggiati; il 50 per cento dei macchinari agricoli o di mezzi di trazione distrutti. Oltre ettari di superficie boschiva vennero distrutti o danneggiati, e l agricoltura accusò anche la perdita totale di 8,5 milioni di viti e quella parziale di altri 4 milioni; 220 mila olivi perduti e 150 mila danneggiati, 600 mila alberature diverse distrutte o danneggiate. E ancora, con riferimento alle scorte vive perdute: bovini, l 83,4% del patrimonio anteguerra; 6495 equini, ovini, suini. Nel campo delle opere pubbliche e di bonifica, fu messo fuori uso il 50% degli impianti idrovori e andarono distrutti o furono gravemente danneggiati 30 ponti in cemento armato. In complesso, infine, la Relazione Ballerini dava vani civili distrutti o inabitabili in 16 dei Comuni che avevano maggiormente patìto la presenza della guerra. Settanta anni dopo Oggi, 70 anni dopo, quei giorni svaniscono nel ricordo o non entrano nel patrimonio identitario delle popolazioni giovani, che le ignorano. Una operazione-memoria è ancora utile? Io credo proprio di sì, e questa è la ragione per cui, insieme a tanti altri ricercatori, mi sforzo di partecipare quello che ho appreso dalle testimonianze, dai documenti, dalla lettura di testi militari, di diari, di depositi archivistici. Ed è quello che, a mio avviso dovrebbero fare le Amministrazioni, soprattutto per i più giovani, ora che l Europa unita consente di avere dei fatti una visione meno emozionale. A mio avviso occorre una mobilitazione capace di ricostruire il volto completo di quei giorni, e tale operazione richiede il concorso di più risorse: - quella dei Comuni, che dovrebbero mobilitare storici, studiosi e gente di buona volontà, soprattutto scuole, antiche famiglie, per disegnare una strategia di comportamenti e di compiti. Il Comune può impegnarsi anche attraverso la lettura dei registri anagrafici, per quel che è possibile; e riorganizzando i documenti d epoca negli archivi storici, dove esistono - quella della comunità religiosa, attraverso la lettura dei documenti conservati nelle chiese locali (atti dei nati, dei morti, dei matrimoni, diari, ecc.); - quella della Scuola, che è fondamentale per mobilitare i bambini e studenti

137 Cosa Resta in un lavoro di sondaggio e di scavo presso le famiglie, dalle quali debbono uscire fuori vecchie, preziose fotografie, lettere e scritti di soldati, diari (ce ne sono), e soprattutto il ricordo dei più anziani. Ogni studente deve diventare una staffetta per ricucire il filo del ricordo con le vecchie generazioni, tra le memorie individuali che vanno perdendosi e l attualità del ricordo come patrimonio comune e condiviso di una collettività; - quella dei circoli di anziani, che debbono imparare a fare memoria attraverso uno scambio collettivo, che annoti anche piccoli frammenti di ricordo; - la riscoperta di personaggi che hanno svolto un ruolo che molti non conoscono. Questo è un altro modo per ricostruire la solidarietà di allora e trasferirla al mondo attuale, per fare accoglienza dell altro, e per consolidare il sentimento di essere parte di una comunità cittadina adulta, matura e che si evolve non solo col mantenimento dei ceppi genetici originari, ma anche attraverso apporti esterni, pur nella piena consapevolezza della propria storia e della propria identità. Questi 70 anni, allora, non saranno trascorsi invano. Questo saggio deriva per larga parte da quanto ho raccontato nei miei libri I giorni della guerra in provincia di Littoria, Cipes, Latina 1974, ried. nel 1984; e Cronache da due fronti, Meganetwork, Latina Fortino alla Bufalara, Sabaudia Lungomare Sabaudia Fortino Trasformato in Memoriale per i morti nell esplosione di una mina marina (Lungomare di Sabaudia)

138 Cosa Resta Bunker italiano, davanti alla ex Milizia Portuaria, Sabaudia Fortino in S.Agostino, Gaeta Fortino alla Piaja, Gaeta, oggi demolito Fortino sulla spiaggia di Scauri, demolito

139 Parole, Simboli e Segni della Memoria Rifugi, buche, ripari naturali nelle aspre rocce dei monti Aurunci, presso Castelforte. 274 Cosa Resta Rifugi, buche, ripari naturali nelle aspre rocce dei monti Aurunci, presso Castelforte. 275

140 Cosa Resta Rifugi, buche, ripari naturali nelle aspre rocce dei monti Aurunci, presso Castelforte. Rifugi, buche, ripari naturali nelle aspre rocce dei monti Aurunci, presso Castelforte

141 Ai Lettori: Il costo di stampa di questo libro è di 3,91 (IVA inclusa). Ciascun lettore, nel riceverlo, potrà liberamente decidere di donare il corrispettivo, arrotondato a 4,50 (per comprendere i costi di grafica pari a 0,59 IVA inclusa) ad Associazioni impegnate per il recupero della Memoria della seconda guerra mondiale od Associazioni umanitarie che si occupano dei diritti e della salute dei bambini e di chi non può. Grazie!

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