Questa storia è una storia eterna di. Leolie Colsi

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2 IL ROMANZO Un incontro inaspettato, il classico colpo di fulmine, la curiosità che si trasforma naturalmente in interesse sempre più vivo e Chiara a quarant anni è innamorata perdutamente di Kamasai. Lui è uno scultore giapponese che vive in Italia, indecifrabile, misterioso, difficile da interpretare. Dopo qualche esitazione, Chiara dona tutta se stessa, si apre completamente a questa passione tumultuosa fatta di avvicinamenti e allontanamenti ciclici. La relazione è complicata dalla distanza tra i loro mondi e dall irruzione nella vita della coppia di Juliette, positiva, dolce e bizzarra, complementare in tutto e per tutto a Chiara. Un vortice di emozioni dove le sfumature dell amore e i problemi che scaturiscono dall incontro fra mondi diversi vengono raccontate con perizia, semplicità e un velo di autoironia. L AUTRICE Leolie Colsi è originaria delle isole Eolie e vive a Milano. Autrice di guide turistiche, libri per ragazzi, poesie e romanzi, scrive di viaggi e attualità per importanti quotidiani nazionali.

3 Questa storia è una storia eterna di Leolie Colsi

4 2013 Libromania S.r.l. Via Giovanni da Verrazzano 15, Novara (NO) ISBN Prima edizione ebook dicembre 2013 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo elettronico, meccanico, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell Editore. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, info@clearedi.org e sito web L Editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare eventuali omissioni o errori di attribuzione. Progetto grafico di copertina e realizzazione digitale NetPhilo S.r.l. Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale e indipendente dalla volontà dell autore.

5 Questa storia è una storia eterna

6 Questo mese, disse il Signore a Mosè, sarà per voi l inizio dei mesi. Antico Testamento, Esodo, capitolo 12

7 Prologo Fu uno di quei giorni. Kamasai mi chiamò per dirmi che avrebbe dovuto cambiare commercialista. Perché? domandai. Perché se n è andato. Se n è andato pensai il commercialista se n è andato. Kamasai doveva aver sentito la mia perplessità, poiché il fatto non mi era chiaro. In che modo se n era andato il commercialista? Aveva cambiato città, era deceduto? E mentre pensavo, lui sospirava angosciato. Se n è andato nel senso che è volato in cielo. Mi fece un certo effetto sentir dire a un uomo di cinquant anni che un altro uomo era volato in cielo. Da un maschio ci si aspetta sempre un modo di fare netto, frasi precise. Espressioni come vivo o morto, bello o brutto, mangiabile o immangiabile. Invece il mio giapponese parlò di un commercialista che era volato in cielo. Non parla bene la mia lingua pensai sarà per questo, forse, che il giapponese si è espresso così. Kamasai mi regalava tulipani che lui chiamava trepiani. Ecco i trepiani diceva oggi trepiani rossi oppure: Oggi trepiani gialli. Sì, come se il nostro amore ci sollevasse di tre piani, un elevazione piena di colore. Dunque, io abitavo al terzo piano, più altri tre piani facevano sei. Ecco come mi sollevavo con Kamasai, che sensazione di leggerezza mi dava. Con lui era come levitare, dal pavimento al soffitto e dal soffitto al di là del soffitto. Bastava un suo bacio e non c erano più ostacoli all elevazione dell animo. Kamasai aveva promesso che mi avrebbe portato al mare, e questo solo per avergli detto che il mare lo avevo sognato. Kamasai. Ecco com era fatto. Innanzitutto quando incontrava un altro giapponese Kamasai s inchinava. I suoi capelli neri e grossi si spostavano appena: capelli pesanti, dritti, qua e là facevano spazio a qualche filo bianco. Kamasai fumava, e quando fumava il suo gomito rimaneva basso, il polso alto. Si esprimeva come la quiete, ma all improvviso si smarriva.

8 1 Non era un bar, non era un party, non era il web. Conobbi Kamasai in ospedale. Attraversai la porta scorrevole che parve aprirmi a un ambiente del tutto inesplorato, come un uovo covato che si schiude all improvviso. Quel posto, di nuovo, aveva però solo il colore, un colore che percepivo solo io: tutto mi sembrò velato da una tinta giallognola. Pazienti compresi. Lui, lo notai subito, era attaccato all entrata della clinica e aveva gli occhi puntati sulla targa Dermatologia. Mentre guardavo lui e guardavo la scritta Dermatologia, mi sentii le gambe molli: prima di entrare in clinica mi facevo sempre un paio di bicchieri, e nemmeno in quell occasione mi ero sottratta al solito appuntamento con il bar. Dunque immaginai: lui era in attesa del dermatologo. Mi diressi alla reception, attraversando quell aria velata e sempre gialla. Ho un appuntamento feci. Una signora in giacca blu e camicia bianca verificò i miei dati, l orario dell appuntamento e disse: Si accomodi. La dottoressa la chiamerà non appena sarà libera. Adesso sta visitando una paziente. Mi sedetti là, vicino a lui. Non so perché scelsi quel posto. Lo scelsi perché avevo intenzione di attaccare discorso? Lo scelsi perché vicino a lui c erano dei sedili liberi? O forse perché, quando si attende un dottore, la vicinanza di qualcuno che attende a sua volta, quieta l animo. Insomma, ero là. Ed ero là perché avevo l endometriosi, una cosa da femmina. Cisti ovariche con annessi e connessi. Lui mi rivolse uno sguardo veloce, ed ebbi come l impressione che stesse pensando: Questa deve andare dal ginecologo. Dovevo sottopormi al controllo periodico, e così mi misi ad aspettare. Ferma, la giacca di spesso panno grigio addosso, senza un libro e senza niente tra le mani. Lei desidera avere figli? mi aveva chiesto l ultima volta la ginecologa, e pensai me lo chiederà di nuovo? Lo sa che l endometriosi può impedire la gravidanza? Sì, lo sapeva. Il giapponese era immobile, con gli occhi sulla sua targa. Poi prese a sfregarsi le mani. Figli pensai. Amavo i bambini, ma per me sarebbe stato difficile averne, e amen. Da tempo avevo ormai accettato l idea di una vita senza figli. Ma quell endometriosi non limitava solo le possibilità di una gravidanza. Quella malattia mi provocava ben altri fastidi: perdevo sangue e a volte avevo male, un gran male al

9 basso ventre. Ecco, sangue e dolori che mi complicavano la vita. La perdita di sangue era inoltre la causa di un anemia che ormai mi perseguitava da anni. Insomma, ero anemica, mi girava la testa, mi veniva l astenia, e avevo dolori lancinanti. Ma in quell istante non pensai né provai alcun dolore. Quell istante era rivolto al nulla, era rivolto all attesa. Aspettavo che la paziente che mi precedeva e che occupava il lettino dello studio medico concludesse la sua visita. E aspettavo che la ginecologa mi chiamasse. Quell istante dunque era rivolto al solito rito. Kamasai era lì, all ospedale, e riprese a sfregarsi le mani. Ora energicamente. Abbassai gli occhi. Vidi che aveva una mano arrossata, pelle sollevata qua e là e delle macchie sparse. Forse erano pustole, o un infiammazione che poteva essere più o meno grave. Sollevai gli occhi dalle sue mani. Improvvisamente mi sembrarono inguardabili. Diressi lo sguardo verso lo studio in cui, da lì a poco, sarei entrata, ma nulla si muoveva. I miei occhi tornarono, indipendentemente dalla mia volontà, sulle mani di Kamasai. Lui prese a girarle e rivolse i palmi verso l alto. Mi parve che volesse nascondere la parte ferita. Ha le mani con le vesciche pensai si vergogna. Kamasai accavallò le gambe e s inclinò su quel lato della sedia che io non riuscivo a vedere. Era tutto pesante sull orlo, tanto che le sue mani intrecciate si nascosero dietro al suo fianco. Il reparto di ginecologia restava silenzioso, non succedeva nulla e non compariva nemmeno alcun dermatologo. La porta scorrevole si aprì ed entrò una folata d aria. Kamasai girò lo sguardo verso l entrata. Notai in lui una certa inquietudine. Sospirò, sciolse le gambe e le accavallò di nuovo spostandosi sull altro fianco mentre continuava a respirare pesantemente. A quel punto la mia attenzione si concentrò su di lui. Kamasai girò il polso, ora verso l alto e ora verso il basso. Maledizione, una maledizione è caduta su di me prese a dire proprio ora doveva capitare. Ora che con questa mano dovevo fare una marea di cose. Ecco, avevo sentito la sua voce. Mentre lui assumeva l espressione di chi è infastidito da qualcosa, io pensai che tutti hanno bisogno delle mani, mica solo lui. E pensai pure: Te ne starai qualche giorno a casa. Non cascherà il mondo se non lavori per un po. La curiosità che gli avevo rivolto fino a quel momento perse vigore per qualche istante, come un pallone che tutt a un tratto si sgonfia. Maledizione continuò a ripetere, e mi guardava di sottecchi, come a volere un po di considerazione o conforto. Per un secondo rivolgeva uno sguardo timido

10 verso di me, poi si riconcentrava sulla sua mano. Direi che nel suo modo di fare non c era nulla di plateale: era piuttosto infantile. Kamasai non si presentava ai miei occhi come uno di quegli uomini che fa di tutto per attirare l attenzione. Piuttosto mi appariva come una persona portata a ingigantire i problemi, insomma un esagerato. A quel paese l accademia dissi tra me e me. In quel periodo della vita avevo soprattutto un bisogno: il bisogno di evadere dal luogo di lavoro. L anemia mi aveva rammollita e mi sentivo uno straccio. Bellino. Il giapponese mi parve bellino. E mentre passavo da un pensiero all altro, mi resi conto che ero sola da tempo, senza un uomo, e anche lontana da ogni tipo di flirt. Le mie uscite serali erano le solite uscite con le amiche e nient altro. Niente di niente da mesi interi. Bellino pensai di nuovo. Uffa fece lui. Un giapponese pensai un giapponese... Ecco in che senso riflettevo: non avevo mai avuto un fidanzato giapponese, e l idea di avere un uomo straniero mi piaceva. Mi piaceva perché, almeno nella prima fase di una relazione, avrei avuto sicuramente qualcosa da chiedere e risposte da ascoltare. Insomma, avrei preferito sentir raccontare una cerimonia del tè pensai anche questo mentre Kamasai si guardava le vesciche e io aspettavo che arrivasse il mio turno piuttosto che trovarmi a fare i soliti commenti su quanto sia o non sia disastrosa la situazione politica o economica nel mio paese.

11 2 Voglio fuggire dall accademia presi a pensare dopo. Ero immersa in un caos di riflessioni che si mescolavano confuse. Volevo scappare da quella che era stata l invenzione del mio amico Phil Levick, un californiano fissato con lo yoga e l esercizio dell umore. All accademia io ci lavoravo come segretaria perché la mia carriera d insegnante non decollava. Forse domani arriverà una supplenza pensavo pure cercando di essere positiva. Una vera supplenza speravo una di quelle che duri. Una di quelle che mi avrebbe dato il tempo di conoscere gli studenti, studenti che, magari, sarebbero diventati i miei studenti. Invece lavoravo in un posto che era una finta scuola. E Phil, di strategie, ne escogitava una al mese pur d infoltire le iscrizioni e circondarsi di un grande numero di adepti. Adepti-studenti in cerca di serenità e autostima. Ecco cosa sono. Mi sentivo un insegnante senza scuola diventata un impiegata in una specie d istituto. Qui, gli iscritti, speravano di trovare serenità e nuovi amici. Serenità e nuovi amici! pensavo. Come se fossero davvero quelli gli ingredienti della felicità, una felicità barattabile col danaro. L unico vantaggio del mio lavoro all accademia era che quando ricevevo una chiamata da una scuola, lo dicevo a Phil, e scappavo a firmare il contratto. Il nostro accordo era così e complimenti! faceva Phil tutte le volte. Come se quel lavoro temporaneo fosse arrivato per merito mio. Dunque, se al mattino o al pomeriggio avevo lezione altrove, mi capitava di recuperare il lavoro dell accademia la notte. Da Phil ormai sapevo come muovermi. Avevo le chiavi sempre con me e conoscevo il codice del suo sistema d allarme. Per il resto, l accademia del buon umore era il luogo della noia. Non aveva alcun umore la mia accademia. Quello era il luogo in cui mi guadagnavo da vivere come segretaria, ed era lì che, qualche anno prima, ero entrata come insegnante -in quel caso del tutto improvvisata - di una disciplina, come dire, piuttosto alternativa. Tu sei una che sa viaggiare mi aveva detto Phil una volta. Eravamo a casa mia, seduti sulla moquette di cocco, una lampada a terra a illuminare i nostri volti. Non dimenticherò mai la mia esperienza di educatrice al viaggio in solitaria! Phil aveva inventato quel corso per me proprio quando io avrei definitivamente voluto essere quello per cui avevo studiato. Un insegnante di lettere. Chiara faceva Phil quando aveva in programma di partire per uno dei suoi seminari di yoga ci sei tu settimana prossima? Dove ci sei tu significava per

12 qualche giorno te la caverai da sola. L accademia diventava sempre di più un luogo qualsiasi. Un luogo con i suoi orari, le sue carte da compilare, le telefonate a cui rispondere, i nuovi iscritti a cui dare spiegazioni brillanti sulle speciali discipline che in quell accademia s insegnavano. Spiegazioni così brillanti da convincere il potenziale pagante a pagare al più presto la prima retta. Così, se Kamasai si lamentava di non poter lavorare a causa delle sue ferite, io considerai che a me, da troppo tempo, mancava una dolce e sana libertà. La libertà dal luogo di lavoro, soprattutto da un lavoro che non era il mio lavoro. In quel momento della vita avrei voluto solo andarmene in vacanza. Ecco cosa mi serviva. Ero stanca e avevo bisogno di riposo. Un lungo riposo. O avevo bisogno d amore?

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