1. RIASSUNTO RIASSUNTO INTRODUZIONE SCOPO E METODI MATERIALI RISULTATI DISCUSSIONE BIBLIOGRAFIA

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1 1. La malattia di von Willebrand (VWD), descritta per la prima volta nel 1926, è la più frequente malattia emorragica ereditaria, anche se solo una piccola porzione degli individui affetti manifesta problemi clinicamente rilevanti. E causata da una riduzione o da un alterato funzionamento del fattore di von Willebrand (VWF), una glicoproteina multimerica ad alto peso molecolare che svolge un ruolo essenziale nell emostasi primaria. Il VWF è codificato dall omonimo gene di 178 Kb localizzato sul cromosoma 12 ed è sintetizzato dai megacariociti e dalle cellule endoteliali. La molecola, costituita da 2813 aminoacidi, è organizzata in domini funzionali che permettono l interazione del VWF con alcuni componenti della matrice sottoendoteliale, con i recettori piastrinici e con il Fattore VIII. Dopo una complessa biosintesi cellulare, il VWF viene secreto dalle cellule in forma multimerica e può raggiungere i KDa. Il VWF svolge essenzialmente due importanti funzioni nell emostasi: interviene nell adesione delle piastrine al sottoendotelio in seguito ad una lesione vascolare (legandosi al collagene ed al complesso recettoriale piastrinico GPIb-IX-V) e nell aggregazione piastrinica mediante l interazione con il recettore piastrinico GPIIb/GPIIIa. Inoltre ha il compito di stabilizzare nel plasma il Fattore VIII, cofattore necessario nella cascata coagulativa. La malattia di von Willebrand viene suddivisa in tre tipi principali, caratterizzati da difetti quantitativi (VWD tipo 1 e 3) o qualitativi (VWD tipo 2) del VWF. Un difetto quantitativo parziale del VWF nel plasma identifica la VWD tipo 1 (trasmissione autosomica dominante), mentre la VWD tipo 3 (trasmissione autosomica recessiva) è caratterizzata da livelli indosabili di VWF. Per quanto riguarda la VWD tipo 2, sono stati identificati quattro sottotipi principali: il tipo 2A, caratterizzato dall assenza di multimeri di VWF ad alto peso molecolare per un aumento della proteolisi plasmatica o della degradazione intracellulare; il tipo 2B, che presenta un incremento dell affinità del VWF per il recettore piastrinico GPIb-IX-V che porta, nella maggior parte dei casi, ad un pattern multimerico ridotto; il tipo 2M, caratterizzato da un VWF con una ridotta capacità di legame alle piastrine in presenza di un normale pattern di multimeri; il tipo 2N, che mostra un pattern multimerico completo e presenta un difetto a carico della porzione del VWF che lega il Fattore VIII. Rispetto alle altre varianti, la malattia di von Willebrand di tipo 2B è particolare. Le mutazioni che causano questo tipo di malattia sono distribuite in una regione ben localizzata del dominio A1 del VWF e consentono l ingresso di alcune molecole d acqua nel dominio (questo cambio conformazionale permette la formazione di un maggior numero di legami elettrostatici tra il VWF e il GPIb) oppure alterano il legame del VWF all eparina, portando così ad una aumentata interazione con il GPIb. 1

2 Scopo di questo studio è stato quello di paragonare due varianti molecolari del VWF (due mutazioni differenti a carico dello stesso aminoacido: R1308) che causano la VWD tipo 2B in pazienti seguiti dal nostro Centro. Non potendo utilizzare la proteina plasmatica dei pazienti, che nelle due mutazioni subisce un diverso destino, si è deciso di esprimere e produrre questi VWF ricombinanti, per comprendere meglio il fenotipo che causano. Realizzati i vettori codificanti per il VWF con le due mutazioni di interesse, si è proceduto con l espressione delle rispettive proteine ricombinanti; la quantità prodotta (dosaggio VWF:Ag) per ciascuna variante era simile, così come pure il pattern multimerico. Le varianti sono state successivamente valutate per la loro attività funzionale del legame al GPIb. Con il VWF:RCo ELISA, è stata messa in luce la natura marcatamente iperaggregante della variante rvwf(r1308c), nonostante il fatto che i pazienti con tale difetto presentassero un test RIPA molto vicino ai valori normali. Per contro, la variante rvwf(r1308l) mostra una affinità per il recettore GPIb incrementata rispetto al normale ma più ridotta rispetto alla variante con la mutazione R1308C, anche se i pazienti con questo nuovo difetto presentavano un test RIPA significativamente iperaggregante. Questo risultato è dovuto al fatto che nei pazienti con la mutazione R1308C i multimeri ad alto peso, aventi un elevata affinità per il recettore piastrinico GPIb, sono in grado di legarsi spontaneamente alle piastrine circolanti e perciò vengono rimossi dal plasma; nel caso dei pazienti con la mutazione R1308L, invece, i multimeri presentano una più alta affinità per le piastrine rispetto al normale, ma questo incremento non è sufficiente affinché le forme ad alto peso siano in grado di legare le piastrine spontaneamente ed essere quindi rimosse. Le stesse indicazioni sono state ottenute nel caso delle coespressioni rvwf(wt)/rvwf(r1308c) e rvwf(wt)/rvwf(r1308l). Un altro aspetto interessante è il comportamento delle due varianti nei confronti del collagene di tipo I. Il test del VWF:CB infatti ha mostrato come entrambe, senza significative differenze, siano in grado di legare con minore efficienza questa molecola. Questo risultato sembrerebbe conferire un ruolo più importante, rispetto a quanto riportato finora, del dominio A1 nel legame al collagene, almeno per quanto riguarda i test in vitro. 2

3 L EMOSTASI L emostasi è una serie di reazioni biochimiche, sequenziali e sinergiche, finalizzate ad impedire la perdita di sangue dai vasi. E quindi un meccanismo di difesa deputato al mantenimento dell integrità dei vasi sanguigni e della fluidità ematica. Questo processo fisiologico interviene in seguito ad una lesione vascolare ed è un meccanismo finemente autoregolato. I sistemi coinvolti nel processo emostatico sono: 1) i vasi e i costituenti della parete vascolare; 2) le piastrine; 3) la cascata enzimatica della coagulazione; 4) il sistema fibrinolitico. Per questo motivo, il processo emostatico può essere suddiviso in quattro fasi, anche se i vari sistemi coinvolti si influenzano vicendevolmente e sono strettamente interconnessi, e più precisamente: Fase vascolare: subito dopo la lesione c è un breve periodo di vasocostrizione, dovuto a meccanismi neurogeni riflessi e a fattori umorali come l endotelina, un potente vasocostrittore di o- rigine endoteliale; la contrazione del vaso serve a ridurre il flusso ematico nella regione del danno. Fase piastrinica: la lesione dell endotelio espone il tessuto connettivo sottoendoteliale, al quale le piastrine aderiscono grazie all intervento del fattore di von Willebrand (VWF) e del collagene, entrando così in uno stato di attivazione. Questo comporta il cambiamento della morfologia cellulare, con la conseguente esposizione di particolari fosfolipidi di membrana e l attivazione di specifici recettori di membrana, oltre al rilascio di fattori dai granuli piastrinici, come l adenosin difosfato (ADP), il trombossano A 2 (TXA 2 ), la serotonina, il VWF e altri fattori importanti per la successiva cascata coagulativa (Fattore IV, Fattore V, Fattore XIII). Questi fattori favoriscono il reclutamento di altre piastrine sopra al primo strato, in modo da formare il tappo piastrinico primario, e contribuiscono a stabilizzare il trombo formato attraverso le reazioni della fase coagulativa. La fase piastrinica avviene entro pochi minuti dalla lesione e, insieme alla fase vascolare, costituisce il processo noto come emostasi primaria, che in genere è sufficiente a riparare le lesioni capillari. Fase coagulativa: nel caso di lesioni a vasi di calibro maggiore rispetto ai capillari, l emostasi primaria non è sufficiente a riparare il danno e devono intervenire le reazioni della fase coagulativa, che originano da un cambio di potenziale elettrico a livello della lesione e dall esposizione del Tissue Factor (TF, chiamato anche Fattore III), e che portano alla trasformazione della protrombina in trombina (Fattore II), la quale converte il fibrinogeno (Fattore I) in fibrina, formando il coagulo di fibrina e stimolando un ulteriore reclutamento di piastrine. Il processo, molto più lungo di quelli delle fasi precedenti, viene definito emostasi secondaria, in cui viene prodotto il tappo emostatico secondario o permanente. La fibrina polimerizzata e le piastrine formano una massa solida che tampona l emorragia nel sito della lesione. L emostasi è un processo di 3

4 emergenza volto ad arrestare le perdite di sangue; è un meccanismo finemente regolato che tende a localizzare il coagulo nel solo sito della lesione, prevenendo così una reazione a catena che porterebbe ad una estesa coagulazione. Fase fibrinolitica: una volta che la lesione vascolare è stata riparata, il coagulo si dissolve mediante il processo della fibrinolisi, che ripristina il normale flusso ematico. Tutti i meccanismi deputati al mantenimento della fluidità del sangue e dell integrità dell apparato vascolare, per essere efficaci, devono intervenire rapidamente e devono rimanere il più possibile confinati a livello della lesione. Questo obiettivo viene raggiunto mediante un complesso sistema di controllo che impiega inibitori specifici sia per i fattori coagulativi, sia per quelli fibrinolitici. Nell organismo c è sempre una certa attivazione del sistema emostatico: anche in condizioni fisiologiche, infatti, ci sono continui microtraumi che determinano minime lesioni endoteliali; per questo, una parte di fibrinogeno viene continuamente convertita in fibrina e la fibrina viene costantemente rimossa mediante la fibrinolisi. Viene quindi innescato il processo noto come emostasi fisiologica, che è il risultato dell equilibrio tra i meccanismi che favoriscono la coagulazione e i sistemi ad essa antagonisti. Lo spostamento dell equilibrio ha importanti conseguenze patologiche. Nonostante le alterazioni dell emostasi possano essere dovute a numerose cause e seguire molte vie patogenetiche, le manifestazioni cliniche finali si possono ricondurre a due quadri fondamentali: una incontrollata attivazione intravasale dell emostasi, che dà luogo a malattie trombotiche; un deficit del sistema emostatico, che dà luogo a malattie emorragiche 1, Fase vascolare Il primo evento che si verifica nell emostasi è una contrazione vascolare a livello della zona lesa. I meccanismi di vasocostrizione sono più efficienti nei vasi dotati di una spessa tunica vascolare con presenza di cellule muscolari lisce (tunica media), ma avvengono anche a livello dei capillari ad o- pera di proteine contrattili presenti nelle cellule endoteliali. La vasocostrizione è dovuta a vari fattori, quali: - risposta diretta delle fibrocellule muscolari allo stiramento provocato dal trauma; - riflesso neurovegetativo vasomotore (stimolazione dei nerva vasorum); - liberazione locale di sostanze vasocostrittrici prodotte in un primo momento dalle cellule endoteliali (come l endotelina, polipeptide di 21 aminoacidi, la cui secrezione è inibita, in condizioni fisiologiche, dal flusso turbolento del sangue), e, successivamente, dalle piastrine (liberazione della serotonina contenuta nei granuli densi). Questo processo sarebbe di scarsa utilità se non intervenissero le piastrine con i processi di adesione, aggregazione e liberazione di vari fattori dai granuli e, in caso di lesioni estese, il sistema della coagulazione. La fase vascolare è comunque estremamente importante, soprattutto in caso di lesione dei grossi vasi, perché: permette di ridurre il deflusso di sangue attraverso il vaso danneggiato, riducendo in tal modo l entità dell emorragia; 4

5 favorisce i fenomeni di marginazione e di attivazione delle piastrine (fase piastrinica); favorisce l accumulo locale dei fattori della coagulazione attivati in seguito alla esposizione del tessuto sottoendoteliale o in seguito all esposizione del Tissue Factor (fase coagulativa) Fase piastrinica In passato, l endotelio veniva considerato come una semplice barriera non trombogenica; negli ultimi anni, invece, si è dimostrato che è un tessuto metabolicamente attivo che, a seconda del suo stato funzionale, può favorire o inibire l emostasi. In stato di quiescenza, l endotelio è in grado di assicurare la fluidità del sangue mediante un complesso meccanismo anticoagulante mentre, in seguito ad una lesione, la perdita della cellula endoteliale costituisce il punto di avvio del processo di emostasi localizzata, attraverso l induzione di attività pro-emostatiche che iniziano con l adesione piastrinica 2. In seguito al danno vascolare, le piastrine sono esposte al sottoendotelio, costituito da collagene, proteoglicani, fibronectina, fattore di von Willebrand (VWF) e da altre glicoproteine, determinandone così l attivazione. La risposta delle piastrine a questo stimolo può essere suddivisa in varie fasi che tendono a sovrapporsi: adesione e attivazione, cambiamento di forma, secrezione dei granuli, aggregazione. Le piastrine circolanti, in seguito alla riduzione della portata del flusso sanguigno avvenuta nella fase vascolare, si spostano dal centro alla periferia del vaso (marginazione delle piastrine) e possono quindi legarsi più facilmente al sottoendotelio esposto, essenzialmente al collagene (adesione piastrinica), determinando così l attivazione piastrinica che porta all innesco delle vie di trasduzione del segnale all interno della cellula. Il processo di adesione, come pure l aggregazione piastrinica, dipende dalla presenza di molecole di adesione che si trovano sulla superficie delle piastrine e che, per la maggior parte, appartengono alla superfamiglia delle integrine. Le integrine sono molecole composte da due catene peptidiche unite da un legame non covalente, denominate alfa e beta. Esistono vari tipi sia di catene alfa che di catene beta: la diversità fra le integrine è data dalle varie combinazioni delle differenti isoforme delle due catene. Alcune di queste molecole sono presenti in forma funzionale sulle piastrine circolanti: è il caso dell integrina GPIa/GPIIa che ha la capacità di legarsi al collagene; è quindi funzionalmente inerte quando l endotelio è integro, ma inizia l adesione piastrinica al sottoendotelio quando il collagene è esposto in seguito a una lesione endoteliale. Anche altre molecole di adesione partecipano a questo processo legandosi alle molecole presenti nel sottoendotelio, come la fibronectina e la laminina. Questo iniziale processo di adesione non è però sufficiente a far aderire le piastrine. Perché si abbia una adesione più stabile è necessario l intervento di un ulteriore molecola di adesione, che non è un integrina ma un complesso glicoproteico, denominato GPIb-IX-V, che ha la capacità di legare il VWF. Questo è normalmente presente nel plasma (dove assolve anche la funzione di veicolare e stabilizzare il Fattore VIII della coagulazione) e si trova a livello della zona di lesione, poiché è prodotto dalle cellule endoteliali e perché è in grado di legarsi con elevata efficienza al sottoendotelio esposto in seguito al 5

6 danno. In particolare, interagendo con il collagene, costituisce un ponte fra il recettore piastrinico GPIb-IX-V ed il sottoendotelio. Il contributo del VWF è determinante, soprattutto in condizioni di alte forze di scorrimento del flusso ematico, quali quelle che si riscontrano nelle piccole arterie. Queste alte forze di scorrimento convertono il VWF da una struttura globulare, caratteristica della forma plasmatica, ad una struttura a catena estesa. Questa transizione strutturale espone un maggior numero di domini funzionali del VWF per l interazione con il recettore piastrinico GPIb-IX- V, anche se la costante di dissociazione tra le due molecole è alta, e dunque il legame è reversibile 3. Questo legame è comunque sufficiente a innescare la trasduzione del segnale intrapiastrinico, AGGREGAZIONE Fibrinogeno VWF TXA 2 GPIIb/GPIIIa TXAR GPIIb GPIIIa Collagene GPIa GPIIa GPIb-IX-V ADP-R1 ADP-R2 1 1 PLC VWF 3 PrG 2 IP 3 Ca 2+ DAG ADP Figura 2.1 Schema semplificato delle vie di trasduzione intracellulari attivate in seguito all adesione piastrinica. PKC ADP Plekstrina TXA 2 PLA 2 TXA 2 MLCK Serotonina ADP GF Secrezione di Contrazione acto-miosinica anche perché è sinergico con altre interazioni, come quella diretta tra collagene e piastrina. Quindi, l iniziale attivazione delle piastrine è indotta dal legame, diretto e mediato dal VWF, del collagene ai suoi recettori piastrinici specifici. Questi recettori sono accoppiati a una proteina G trimerica che attiva la fosfolipasi C (PLC), che, a sua volta, idrolizza il fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato (PIP 2 ), portando alla formazione dell inositolo trifosfato (IP 3 ) e del diacilglicerolo (DAG). L IP 3 induce il rilascio di ioni calcio (Ca 2+ ) dagli stores intracellulari, mentre il DAG attiva la protein kinasi C (PKC). Il rilascio di Ca 2+ dagli stores intracellulari attiva la myosin light chain kinase (MLCK) che, a questo punto, può fosforilare le catene leggere della miosina, facendole interagire con l actina. Questa interazione provoca la modificazione di forma delle piastrine, un consolidamento del tappo grazie alla contrazione piastrinica e la liberazione delle sostanze contenute nei granuli. Parallelamente, la PKC, oltre ad essere la probabile responsabile dell assemblaggio e dell esposizione del complesso glicoproteico GPIIb/GPIIIa sulla superficie cellulare (fondamentale per la successiva aggregazione piastrinica), fosforila, attivando, una specifica proteina di 47 KDa, la plekstrina, che induce il rilascio delle molecole contenute nei granuli piastrinici, tra cui l ADP, la serotonina e alcuni fattori di crescita che stimolano i fibroblasti e le cellule endoteliali, favorendo così la riparazione del danno. In particolare, l ADP rilasciato dai granuli densi attiva altre piastrine, accrescendo il numero degli elementi coinvolti nell aggregazione (meccanismo di auto-amplificazione della risposta piastrinica), mediante l interazione con propri recettori (stimolazione autocrina e paracrina) e l innesco contemporaneo di due vie di trasduzione: una accoppiata all attivazione del ciclo del fosfatidilinositolo (come quella attivata dai recettori del collagene) ed una seconda che consiste nell attivazione della fosfolipasi A 2 (PLA 2 ). L attivazione della PLA 2, enzima chiave per il proseguimento della risposta piastrinica, avviene, oltre che per accoppiamento al recettore dell ADP, anche grazie all aumento del Ca 2+ intracitoplasmatico indotto dall IP 3. A questo punto ci sono due alternative: se lo stimolo che ha condotto al rilascio di ADP è quantitativamente insufficiente o limitato nel tempo, l inizio 6

7 dell aggregazione piastrinica (ponti di fibrinogeno e VWF tra complessi glicoproteici IIb/IIIa delle piastrine attivate) è reversibile e l iniziale aggregato va incontro a dissoluzione. Se lo stimolo è di maggiore entità, determina la liberazione di grandi quantità di ADP e la successiva potente attivazione della PLA 2, che porta alla produzione di grandi quantità di trombossano A 2 (TXA 2 ), il quale innesca cicli di trasduzione che rendono l aggregazione irreversibile. Infatti, l attivazione della PLA 2, che è un enzima calcio-dipendente, porta alla liberazione di acido arachidonico dalla posizione 2 dei fosfolipidi di membrana, dal quale, nelle piastrine, ha origine il TXA 2, per azione sequenziale degli enzimi ciclossigenasi e trombossano-sintetasi. Il TXA 2 è l unico prostanoide prodotto nelle piastrine; qualunque altro prostanoide, compresa la prostaciclina (molecola con attività biologica opposta a quella del trombossano), non può essere prodotto in quanto le piastrine non possiedono l enzima prostaciclina-sintetasi, presente invece nelle cellule endoteliali 4. Con la produzione di trombossano le piastrine rilasciano il più potente agonista dell aggregazione piastrinica, innescando un potente circuito autocrino/paracrino di amplificazione dell aggregazione piastrinica. Infatti, il TXA 2 interagisce con i propri recettori agonisti sulla superficie piastrinica e innesca la propria via di trasduzione stimolando la PLC (come l ADP), e quindi tutta la cascata di reazioni da essa dipendenti: grazie all interazione con il recettore specifico si ha una replica potenziata dell attività dell ADP con attivazione della PKC e quindi l esposizione quantitativamente rilevante sulla superficie delle piastrine del complesso glicoproteico GPIIb/GPIIIa in forma attiva, che ha affinità con varie molecole circolanti, fra cui il fibrinogeno e il VWF. Inoltre, il TXA 2, una volta liberato in circolo, determina vasocostrizione locale in sinergismo con ADP, adrenalina ed altri vasocostrittori (Figura 2.1). Le piastrine attivate possono legarsi fra loro (aggregazione) grazie all esposizione dei complessi glicoproteici GPIIb/GPIIIa, recettori del fibrinogeno e del VWF, che si legano ai recettori di piastrine adiacenti formando dei veri e propri ponti tra le piastrine, portando così alla formazione di aggregati piastrinici. Nelle piastrine in condizione di riposo, il complesso glicoproteico GPIIb/GPIIIa è presente in forma inattiva in quanto le due glicoproteine IIb e IIIa sono separate. In seguito alla stimolazione da parte di vari agonisti, in presenza di ioni calcio, si forma l eterodimero GPIIb/GPIIIa, che rappresenta la forma attiva del complesso. Quando le piastrine vengono attivate, espongono questo complesso in grado di legare fibrinogeno e VWF, che possono così legarsi ai recettori glicoproteici di piastrine adiacenti, in una reazione a catena che amplifica il fenomeno dell aggregazione piastrinica. Il fibrinogeno ed il VWF devono quindi agire in modo complementare e sinergico, in quanto entrambi sono necessari per garantire lo sviluppo ed il consolidamento del trombo a tutti i livelli di flusso arterioso. L interazione del VWF con il recettore GPIb-IX-V, nella fase di adesione, e con il recettore GPIIb/GPIIIa, nella fase di aggregazione, favorisce la propagazione ottimale dei contatti tra le piastrine e permette un legame permanente, mediante l interazione tra il fibrinogeno e il recettore GPIIb/GPIIIa. Questi legami consentono la stabile coesione del trombo in formazione, in qualsiasi condizione di flusso 5 (Figura 2.2). 7

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