Teoria Generale del Diritto e dell Interpretazione. Indice

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1 INSEGNAMENTO DI TEORIA GENERALE DEL DIRITTO E DELL INTERPRETAZIONE LEZIONE I L INTERPRETAZIONE DELLO JUS TRA JUSTUM E JUSSUM PROF. FRANCESCO PETRILLO

2 Indice 1 L interpretazione giuridica nelle principali teorie generali del diritto Bibliografia di 10

3 1 L interpretazione giuridica nelle principali teorie generali del diritto La teoria dell interpretazione giuridica, almeno a partire dal secolo XVII è considerata come una parte marginale della teoria generale del diritto. Nel senso cioè che il diritto viene inteso soprattutto come creazione normativa: ovvero come produzione di norme. Quindi la teoria generale del diritto è lo studio del diritto inteso non dal punto di vista filosofico (cioè, non dal punto di vista dello studiare che cos è il diritto, il quid ius, cercare il fondamento primo della giuridicità), ma dal punto di vista dello studio di come il diritto agisca, operi, all interno della realtà, cioè di come esso influisca sulla società. Il diritto è tendenzialmente considerato come un problema produttivo; opera all interno della società, quindi è un quid iuris non un quid ius, secondo quella che era stata una distinzione kantiana (I. KANT, Per la pace perpetua) poi riproposta nel nostro pensiero giuridico da Giuseppe Capograssi (G. CAPOGRASSI, Il problema della scienza del diritto). Il quid ius si occupa della ricerca, del fondamento della giuridicità, del perché il diritto è influenzato dall uomo. Il quid iuris si occupa dello studio del diritto nel suo vivere all interno della società. La teoria generale del diritto, intesa come produzione normativa, a partire dal 1600 d.c., si è posta come una scienza che si occupa del diritto all interno della società, come produzione di norme. Quindi soltanto a partire dal 1600 d.c., la teoria dell interpretazione, come momento della teoria generale del diritto, è stata sempre più ricompresa nell ambito dell operatività giuridica, mentre, fino al 1600 e a partire dal III millennio, l interpretazione del diritto ha avuto un ruolo preponderante all interno della complessiva vicenda della giuridicità, cosicchè essa non si poneva come teoria della creazione della produzione normativa, ma si poneva, allora, e si propone oggi, proprio come interpretazione. Per comprendere quale sia il rapporto tra una teoria generale del diritto fondata sulla produzione normativa e una teoria generale del diritto fondata invece sulla interpretazione del diritto, bisogna tener conto del rapporto tra jussum-justum e jus-justum. Tale rapporto si può considerare limite di tendenza limite di varianza, tra jussum come potere politico e justum come giustizia. In particolare: secondo la prospettiva della teoria generale del diritto, intesa come interpretazione piuttosto che come produzione normativa, il rapporto jusjustum sta a significare che c è un concetto di diritto che tende alla giustizia e che non passa necessariamente per il potere politico. Nella nostra forma mentis il diritto è ormai pensato come jus/justum, cioè come diritto che tende alla giustizia, piuttosto che diritto inteso come politica 3 di 10

4 ovvero come legge e come applicazione della legge. Questo differente approccio, rileva, ad esempio, quando riflettiamo su come le nostre Corti superiori procedano all interpretazione del diritto: esse tendono sempre più ad allontanarci da un interpretazione che sia meramente normativa. Tuttavia, anche l idea del diritto come produzione normativa, cioè l idea del diritto come legge, ha sempre dovuto relazionarsi con l interpretazione. Tutti i manuali giuridici della nostra epoca, anche recenti, infatti, sono improntati a principi giuspositivistici o giusnormativistici, cioè fondati sull idea della teoria generale del diritto come produzione normativa. Il problema dell interpretazione, invece, si pone proprio quando l idea del diritto, inteso come creazione e produzione normativa, si confronta con l idea del diritto inteso come giustizia. La premessa argomentativa dello studio dell interpretazione nell ambito della teoria generale del diritto, intesa come creazione normativa, considera la possibilità di applicare la norma attraverso il procedimento interpretativo. La teoria generale del diritto considerata come produzione e creazione normativa, ha dunque bisogno dell interpretazione come momento accessorio: l interpretazione, cioè, serve a superare quel margine di distanza che c è tra una norma generale e astratta e un caso particolare e concreto al quale questa norma deve applicarsi. All interno delle teorie generali del diritto, dove la produzione normativa è il senso stesso dello studio del diritto, cioè non c è altro diritto al di fuori della produzione normativa, la teoria dell interpretazione diventa soltanto un attività conoscitiva, un attività gnoseologica. Tutto ciò che è presente sui manuali di diritto civile, diritto penale o diritto processuale civile, viene studiato secondo l idea che il diritto sia produzione normativa e che l interpretazione di quel diritto, sia una attività di tipo conoscitiva. Quindi il diritto dal punto di vista interpretativo lo si può solo conoscere. La teoria generale del diritto è la teoria che studia la creazione del diritto, al giurista non rimane altro che conoscere ciò che è stato creato. Questo è il punto fermo valevole da circa quattro secoli, almeno dalle origini del positivismo classico, ma non vale in assoluto per lo studio del diritto rispetto allo studio della legge. Lo studio del diritto ha infatti dei retaggi ben più lontani ed è sempre stato più articolato di quanto non sia stato lo studio della legge. Tutto il diritto romano e tutto il diritto comune consideravano la legge soltanto un momento dello studio del diritto, cioè intendevano la legge una parte della complessiva idea della giuridicità che riguarda lo jus/justum piuttosto che lo jussum/justum. In sostanza lo jussum/ justum, diritto inteso come legge e giustizia, è un momento parziale della complessiva vicenda storica della giuridicità, rispetto invece allo jus/justum, inteso come possibilità del diritto di avvicinarsi alla giustizia. Se consideriamo questo 4 di 10

5 aspetto del rapporto jus/justum rispetto al rapporto jussum/justum, ci rendiamo conto che l interpretazione non si limita semplicemente ad applicare fattispecie astratte al caso concreto poiché, in realtà, c è una partecipazione del soggetto interpretante al procedimento di creazione del diritto: chi interpreta il diritto partecipa alla creazione del diritto. In questo senso, l interpretazione del diritto si pone come una vera e propria creazione, cioè il diritto non è soltanto creazione della norma, non spetta soltanto al legislatore, ma a chiunque interpreti il diritto, perché chi interpreta il diritto crea la regola del fatto. Questa idea della creazione del diritto come regola del fatto ci fa avere un idea diversa della interpretazione del diritto all interno della teoria generale del diritto, nel senso che l interpretazione del diritto considerata soltanto come conoscenza della norma, diviene vero e proprio processo conoscitivo e creativo, ovvero: decisione. La teoria dell interpretazione del diritto se vista soltanto alla luce del rapporto tra jussum/justum e quindi tra produzione normativa e applicazione della norma, è una teoria meramente conoscitiva. La teoria dell interpretazione del diritto se considerata, invece, in senso ampio, non tanto e non solo come interpretazione della legge, quanto come interpretazione del diritto in senso lato, ovvero come jus/justum come diritto che tende alla giustizia, diventa lo studio di un procedimento che contiene in se conoscenza più volontà, quindi diventa studio della decisione giuridica, che si realizza a prescindere dalla fattispecie concreta. Norberto Bobbio nel suo volume sul positivismo giuridico (N. BOBBIO, Il positivismo giuridico. Lezioni di filosofia del diritto) - testo di grande attualità, riproposto, ancora molto di recente, come parametro per considerare il rapporto tra il diritto inteso come creazione e produzione normativa e il diritto inteso come qualcosa che va al di là della produzione e creazione normativa- non distingue con chiarezza il cosiddetto giuspositivismo classico dal giuspositivismo logico, ma li assimila nel comune concetto di positivismo. Bobbio pubblica con questo libro il suo corso di lezioni, che tiene nel 64, dopo la pubblicazione in Italia di un volume: The concept of law, tradotto per la prima volta in italiano e scritto da Herbert Hart allievo di Hans Kelsen. Bobbio individua nel suo libro i temi chiave del positivismo giuridico ponendosi come il padre della cosiddetta giurisprudenza analitica, che in Italia, fino all inizio del III millennio, ha rappresentato la principale fonte di orientamento del pensiero giuridico, almeno fino a quando la Corte di cassazione, il Consiglio di stato, la Corte costituzionale non hanno cominciato con le loro decisioni a prendere le distanze da detta giurisprudenza analitica. Essa, come annunciato, nasce, dai punti fermi, decisivi per una visione del diritto positivistica, fondata sullo jus, la legge scritta, che Bobbio 5 di 10

6 fissa nel suo volume. L Autore afferma che il positivismo è fondato sul mito dell infallibilità del legislatore, sul mito delle poche, chiare e certe leggi, sul mito dell imperatività della norma giuridica, sul mito della coattività della norma giuridica, sul mito della autointegrazione ordinamentale e sul mito della completezza e della coerenza dell ordinamento giuridico. Secondo Bobbio da detti criteri deve muovere chi intenda procededere alla interpretazione del diritto, poichè interpretare significa conoscere il diritto. Non distingue, però, Bobbio, all interno di questi temi, di questi punti fermi del giuspositivismo, l idea classica del positivismo dall idea moderna, e ciò perché il positivismo di per sè è già un modo di studio del diritto della modernità, nasce con la modernità, ovvero nasce con la teoria della doppia verità ockhamiana, allorquando OKHAM dà modo ad Hobbes di pensare il diritto tenendo conto del fatto che due sono le verità: la verità divina, la verità religiosa, la verità metafisica, la verità fisica umana antropologica; e due sono le volontà: una è la volontà divina l altra è la volontà umana. Conseguentemente la legge umana non può essere messa a confronto né può essere considerata se non rapportandola con la legge di Dio. Questo è un momento epocale per la storia del diritto e per la teoria generale del diritto, poiché Ockham separando Dio dall uomo, <<profana>> (dice Hans Welzel, Diritto naturale e giustizia materiale) il diritto naturale poiché lo libera da Dio. Così nasce il positivismo giuridico. In tal senso può dirsi che il positivismo giuridico sia nato dal diritto naturale con la possibilità dell uomo di creare una propria legge che prescindesse dalla legge divina. Il positivismo classico, allora, si pone particolarmente come coincidenza fra la legge e il legislatore o il sovrano. Il sovrano è il punto di riferimento indispensabile del processo di creazione normativa. Soltanto il sovrano può creare la legge. La legge, secondo Hobbes, è il modo di esteriorizzazione della volontà del sovrano. Nel momento in cui gli uomini, a seguito del contratto sociale, hanno rinunciato di diritto a tutto, attribuendo al sovrano il loro potere, il potere sovrano si espleta e si esprime nella legge. Questo comporta dal punto di vista della teoria della interpretazione, che l interpretazione, diventi un momento che non può prescindere dalla comprensione della volontà sovrana. Il codice civile del 1942 e anche il codice di procedura civile del 1940 sono una perfetta mediazione tra positivismo classico e positivismo logico. Vale ancora l idea del positivismo classico, per cui lo studio della legge è lo studio della volontà del legislatore; ancora oggi vi sono sentenze di magistrati e di corti superiori che fanno riferimento alla volontà del legislatore. Ma cos è l attività interpretativa all interno del giuspositivismo classico? L attività interpretativa all interno del giuspositivismo classico è interpretazione della legge. Il magistrato per il positivismo classico è soltanto la bocca della 6 di 10

7 legge. Il magistrato secondo il positivismo classico interpreta la legge ripercorrendo in concreto quella che era stata in astratto l intenzione del legislatore, ripercorre il pensiero del legislatore nel momento in cui ha scritto la norma per poi rendere la decisione. Quest ultima dunque non può essere altro che una traslazione, una trasposizione della fattispecie nel caso concreto (intesa la fattispecie come volontà del legislatore). Perciò, la volontà del legislatore rimane presente nella sentenza, che altro non è che una delle espressioni della volontà del legislatore. Questo è il positivismo classico, ben diverso dal positivismo logico, anche se Bobbio ne individua alcuni aspetti comuni (infallibilità del legislatore, imperatività, coattività, completezza e coerenza dell ordinamento). Vediamo, a questo punto, quale tipo di interpretazione sia proponibile per il positivismo classico. La storia, ci ha insegnato, già dai primi critici della rivoluzione francese, che in realtà i magistrati non sono mai stati costretti negli argini della volontà del legislatore. In particolare, per il positivismo classico al magistrato viene lasciata una duplice possibilità: l una, l interpretazione estensiva, l altra, l interpretazione restrittiva. Principalmente, un giudice deve riproporre la volontà del legislatore, un interprete deve conoscere la volontà del legislatore intesa come intenzione anche a prescindere dalla dichiarazione: la conoscenza del positivismo classico, si riduce cioè alla conoscenza della volontà manifestata, dell intenzione del legislatore. Di poi, il magistrato può soltanto restringere o estendere tale volontà. Operazione di non poco conto se si consideri quanto essa si ponga già di per sè caratterizzata dall introdurre nella vicenda interpretativa la volontà del soggetto interpretante. Vale a dire che l interpretazione estensiva e l interpretazione restrittiva, come unici margini del magistrato, del giudicato, dell interprete del giuspositivismo classico rappresenta per noi che la leggiamo oggi, con la nostra coscienza storica, una attività non meramente gnoseologica. Come procede dunque il magistrato nell interpretazione estensiva e in quella restrittiva? Il magistrato parte in entrambi i casi da una congettura, secondo la quale il legislatore ha detto più di quanto volesse dire o meno di quanto volesse dire. Ma in base a quale principio logico il magistrato può ritenere che il legislatore avesse voluto dire di più o avesse voluto dire di meno, rispetto a ciò che è scritto effettivamente nella norma? Non vi è nulla di logico nell analogia alla quale riconduciamo una conclusione logica. Secondo il giuspositivismo classico il magistrato restringe o estende la volontà del legislatore quando si trova di fronte a casi che non sono assolutamente ricompresi all interno della fattispecie individuata in astratto. Sembra perciò riduttiva l idea del magistrato bocca della legge, riduttiva la tesi che 7 di 10

8 l interpretazione della legge sia un attività meramente ripropositiva di quella che era stata la volontà del legislatore. Questo tipo di positivizzazione del diritto giunge cioè a ritenere che tutto ciò che non è diritto non è legge e che attraverso l interpretazione non possa crearsi diritto. Neppure è ammessa l integrazione del diritto da parte di soggetti che non siano legislatori. A questo punto bisogna porsi una domanda: dove si colloca, allora, se presente, nell ambito del percorso della giuridicità il momento volitivo che abbiamo considerato nel procedimento di interpretazione estensiva e restrittiva con la quale il magistrato decide per una congettura che il legislatore ha detto più di quanto volesse dire o meno di quanto avrebbe voluto? L autointegrazione normativa, vale a dire l idea che il diritto, inteso come legge, non possa avere altra forma di espressione che non sia lo stesso legislatore, si pone chiaramente come ideologica perché, di fatto, l interpretazione di per se introduce sempre un elemento di volontà all interno del procedimento. Il giuspositivismo logico, invece, se pure fa coincidere il diritto con la legge e se pure esclude dal diritto tutto ciò che non sia la legge, nega la partecipazione al processo di creazione del diritto del legislatore, nel senso che il legislatore pone la legge, ma poi in un certo senso si fa da parte. Cosa sancisce il passaggio dal positivismo classico al positivismo logico? Il passaggio è definito soprattutto dal cosiddetto scientismo settecentesco cioè dall idea che tutto debba essere studiato come scienza e che anche le scienze umane possano essere verificate metodologicamente come le scienze naturali. Tant è che il padre del positivismo logico è uno scienziato fisico, Goffredo Leibniz, il quale, ritiene che la partecipazione del diritto al mondo sia da considerarsi una partecipazione permeante, nel senso che il mondo di per se è fatto di leggi, leggi fisiche e naturali e anche leggi giuridiche, e che perciò le leggi poste dal legislatore vadano pensate, studiate a prescindere dal soggetto che le ha emanate. Come Dio ha creato l uomo e ha lasciato a noi la sua interpretazione -questa è anche la profanazione del diritto naturale da parte del giusnaturalismo moderno- così anche il diritto, una volta che il legislatore l ha creato, va esaminato dagli studiosi del diritto a prescindere dal soggetto che lo ha prodotto come insieme di leggi. Tale insieme non è altro che un complesso di dogmi, cioè un insieme di verità certe con le quali lo studioso del diritto si relaziona, così come lo studioso delle scienze naturali si relazione col mondo. Nasce a partire da Leibniz la cosiddetta dogmatica giuridica. La dogmatica si compone dei concetti giuridici che vengono ricavati dal materiale giuridico. 8 di 10

9 Il giuspositivismo logico separa la fattispecie da colui che l ha colta e pone dinanzi all interprete un materiale che non può essere più inteso risalendo alla volontà del legislatore, perché il legislatore scompare dalla scena. Lo studio dei concetti giuridici, lo studio dogmatico del diritto dal punto di vista positivistico diventa mera applicazione della gnoseologia al diritto che viene perciò studiato come conoscenza. La conoscena perviene semplicemente attraverso la logica. Ma quale logica? Non la logica aristotelica, non il principio dell identità e non contraddizione, ma secondo una metalogica, secondo propriamente una logica leibniziana. Si studia il diritto partendo da una premessa che non comporta l obbligo di rapporto tra diritto e realtà. Mentre la logica aristotelica presupponeva che ad ogni quantità corrispondesse una qualità, per cui se A è uguale ad A non può essere uguale a B, nel senso che A può essere verificabile nella realtà per cui A rappresenta la realtà, a partire da Leibniz la logica non è più una logica dell identità, non è più una logica del rapporto tra quantità e qualità, ma è possibile ragionare sul mondo partendo da una premessa anche non rapportabile a quel mondo. In realtà ciò che dimostra che un ragionamento è vero non è dato dal fatto che la premessa sia vera. È necessario affinché la sentenza abbia corrispondenza con il mondo reale assumere questa premessa come vera, al fine di concludere un ragionamento sillogistico, più che vero, valido. Poiché ciò che interessa al positivismo logico, non è che il ragionamento sia vero, che trovi cioè corrispondenza con la realtà, ma che il ragionamento sia valido e quindi che la premessa sia valida. Si accetta, nel positivismo logico, una sillogistica metalogica, ovvero di ragionare su delle premesse che si assumono come dogmi. Partendo da tale premessa valida si può procede al sillogismo e cioè premessa maggiore, premessa minore, argumentum, ovvero soluzione del sillogismo. Gli argumenta sono le soluzioni dei sillogismi che partono da premesse valide e che possono anche non trovare una corrispondenza di verità nella legge. 9 di 10

10 Bibliografia N. BOBBIO, Il positivismo giuridico. Lezioni di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 197). R. GUASTINI, L interpretazione dei documenti normativi, Giuffrè, Milano, 2004; F. MODUGNO, Interpretazione giuridica, Cedam, Padova, 2009; F. PETRILLO, Interpretazione giuridica e correzione ermeneutica, Giappichelli, Torino, 2011; H. WELZEL, Diritto naturale e giustizia materiale, Giuffrè, Milano, di 10

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