TEORIA DEI QUANTI T 2 T 1

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1 TEORIA DEI QUANTI Al volgere del XIX secolo, molti pensavano che le teorie fisiche allora note, oggi conosciute come Fisica Classica, avrebbero consentito di spiegare tutti i fenomeni naturali osservabili. C erano tuttavia alcuni problemi irrisolti, come quello di trovare una legge per la distribuzione dell energia E rispetto alla lunghezza d onda λ della radiazione emessa da un corpo nero riscaldato alla temperatura assoluta T. I grafici ottenuti dai dati sperimentali mostravano delle curve di forma a campana, come nella figura a lato. Le leggi fino allora formulate (es: legge di Rayleigh-Jeans 8π kt E= ) si accordavano con i dati sperimentali per λ 4 lunghezze d onda grandi, però, al tendere a 0 della lunghezza d onda, rendevano infinito il valore dell energia emessa, in contrasto con le osservazioni. E T 2 T 1 λ Nel 1900, Planck trovò una funzione che rendeva conto di tutti i dati sperimentali, ma che aveva bisogno di alcune strane ipotesi: l energia emessa da un atomo che oscilla non può assumere qualsiasi valore reale positivo; l emissione avviene invece per pacchetti (quanti) di energia discreti; il quanto minimo di energia emessa E è multiplo della frequenza di oscillazione ν secondo un certa grandezza h=6, J s, detta costante di Planck: E=hf. Queste ipotesi furono ritenute solo un artificio matematico finché vennero utilizzate con successo per spiegare un altro dei problemi irrisolti, l effetto fotoelettrico. Era noto che un metallo investito da onde elettromagnetiche a volte emette elettroni. Gli esperimenti eseguiti con radiazioni di diversa frequenza ed intensità davano i seguenti risultati: per frequenze dell onda incidente inferiori ad un certo valore detto soglia fotoelettrica, l emissione non avviene, nemmeno aumentando l intensità della radiazione o la sua durata; per frequenze maggiori della soglia fotoelettrica si ha emissione di elettroni; la quantità di elettroni emessi aumenta con l intensità della radiazione e l emissione è istantanea; inoltre, più alta è la frequenza, maggiore risulta la velocità degli elettroni liberati. La spiegazione, data nel 1905 da Einstein in un articolo che gli valse il Premio Nobel, è la seguente. Se l energia trasportata dall onda elettromagnetica fosse distribuita lungo l onda, anche a bassa frequenza l aumento di intensità dovrebbe causare l emissione. Invece, l energia non è distribuita lungo l onda, ma concentrata in certe particelle dette fotoni. Ciascuno di essi possiede un quanto di energia E=hf. Aumentando la frequenza aumenta l energia posseduta da ciascun fotone, mentre variando l intensità si regola il numero di fotoni che si dirigono sul bersaglio. Per estrarre un elettrone dal metallo, il fotone che lo colpisce deve avere un energia E=hf uguale o superiore ad una quantità detta lavoro di estrazione Φ. La differenza E Φ si ritrova sotto forma di energia cinetica dell elettrone liberato. Molti esperimenti successivi mostrarono la correttezza della teoria di Einstein, dando così impulso allo sviluppo di una nuova branca della fisica, che fu detta quantistica. 1/5

2 Poco tempo dopo, Compton mostrò che ogni fotone di un onda elettromagnetica di lunghezza λ ha una quantità di moto p= h λ, che può scambiare con altre particelle quando le colpisce. La secolare disputa sulla natura ondulatoria o corpuscolare della luce veniva risolta una volta per tutte, ma in modo assai bizzarro. Le onde elettromagnetiche hanno una doppia natura: si propagano come onde ma interagiscono come particelle. Chiariamo meglio l affermazione fatta con 3 esempi. Consideriamo la situazione illustrata, in cui un pistolero spara a caso una raffica di pallottole contro un muro in cui sono praticate due fenditure: N colpi N colpi Se è aperta solo la fenditura 1, i proiettili che riescono ad attraversarla si distribuiscono sul secondo muro secondo la curva P 1. Se è aperta solo la fenditura 2, la distribuzione dei colpi sarà P 2. Se si aprono entrambe le fenditure, la distribuzione P 12 delle pallottole sarà ovviamente la somma delle due precedenti: in ogni punto arriva un numero di proiettili maggiore che con una sola fenditura aperta, in particolare nel punto centrale ne giungono il doppio. Immaginiamo adesso una situazione simile, ma con una sorgente di onde marine: Accade che con una sola fenditura aperta le distribuzioni sono analoghe a quelle del caso precedente, mentre con entrambe le fenditure aperte la situazione è completamente diversa. Le onde, infatti, interferiscono, sommandosi nei punti in cui arrivano concordi e sottraendosi dove invece giungono discordi. Nel punto centrale l intensità è addirittura quadruplicata, mentre in alcuni punti c è una calma piatta, cosa che non si avrebbe con una sola fenditura aperta. 2/5

3 Vediamo cosa succede proiettando sulle fenditure un fascio di luce laser, formato da onde di un unica frequenza f: rivelatore laser Posizioniamo un rivelatore (ad es. una cellula fotoelettrica) che conti quanti fotoni arrivano sullo schermo in un dato punto. Con la sola fenditura 1 aperta, la quantità di fotoni captata dal rivelatore è in accordo con la curva P 1, mentre è in accordo con la curva P 2 se è aperta solo la fenditura 2. Quando entrambe le fenditure sono aperte, ci attenderemmo che il rilevatore riceva un numero di fotoni uguale alla somma di P 1 e P 2, invece l esperienza mostra che il numero di fotoni è tale da produrre sullo schermo la figura di interferenza tipica delle onde. Sembra quasi che ciascun fotone sappia se è aperta una sola fenditura oppure entrambe e decida in base a questo dove dirigersi, per di più accordandosi con tutti gli altri fotoni in modo tale che in ogni punto giungano esattamente i fotoni necessari a produrre la figura di interferenza! La natura duale non è però prerogativa unica di fotoni ed onde elettromagnetiche. Nel 1923 De Broglie ipotizzò che ogni particella, dotata di energia E e quantità di moto p, si propaga nella direzione e nel verso di p come un onda avente frequenza f = E h e lunghezza λ= h p. Ciò significa che anche i corpi materiali, incontrando un ostacolo, possono subire la diffrazione quando la loro lunghezza d onda è maggiore delle dimensioni dell ostacolo. Vediamo di capire perché l ipotesi di De Broglie non contrasta con la nostra percezione della realtà, calcolando la lunghezza d onda di una biglia di raggio r = 1 cm e massa m = 10 g, che si muove con velocità v = 1 m/s. La quantità di moto della biglia è p=mv= kg 1 m s =10 2 kg m. s La lunghezza d onda con cui si propaga risulta quindi λ= h p = 6, J s =6, m, 10 2 kg m/s milioni di miliardi di volte più piccola di un elettrone o di un quark! Data la piccolezza di h, il fenomeno risulta osservabile solo per i corpi microscopici e, in effetti, se ripetiamo l esperimento delle fenditure sostituendo il laser con un dispositivo che emette elettroni, otteniamo esattamente la situazione descritta per la luce: con 1 fenditura aperta gli elettroni si distribuiscono normalmente; quando sono aperte entrambe le fenditure, gli elettroni si dirigono verso lo schermo in modo tale che in certi punti non ne giunge nessuno, mentre nel punto centrale ne arriva il quadruplo! È dimostrato perciò che l elettrone si propaga come un onda, malgrado interagisca come un corpuscolo, esattamente come la luce. 3/5

4 Nel 1926 Schrödinger elaborò una funzione (molto complicata!) detta funzione d onda, che descrive la propagazione nello spazio e nel tempo della particella-onda: tramite questa funzione si può calcolare la probabilità che in un certo intervallo di tempo la particella si trovi all interno di una porzione di spazio fissata (e quindi, ad esempio, costruire gli orbitali atomici). A tutt oggi è controverso se questa funzione d onda sia la particella, o sia ad essa associata, o ancora sia uno strumento matematico per illustrarne il moto, o infine sia una rappresentazione di ciò che possiamo conoscere di un corpuscolo impercettibile ai nostri sensi. La probabilità introdotta dalla funzione d onda, inoltre, è di natura diversa da quella usata in altri campi. Nei fenomeni macroscopici, come ad esempio il lancio di un dado, se potessimo disporre con il necessario dettaglio di tutte le informazioni (la forma, la composizione, la velocità, l orientamento, l attrito con il tavolo, ecc.) relative alle condizioni iniziali, le leggi della meccanica classica ci consentirebbero di prevedere con certezza l esito dell esperimento. Ricorriamo alla probabilità perché non siamo in grado di procurarci tutti i dati necessari con la dovuta accuratezza. Per gli oggetti microscopici, invece, c è un limite intrinseco all esattezza con cui si può prevedere il risultato di un esperimento: anche se potessimo definire con precisione arbitraria tutte le grandezze che vi intervengono, la funzione d onda ci consentirebbe di calcolare solo le probabilità che si verifichino i vari esiti possibili. Per di più c è un limite anche alla precisione con cui si possono misurare le grandezze relative alle particelle-onde, detto Principio di indeterminazione di Heisenberg. Enunciato nel 1927, esso stabilisce l impossibilità di misurare esattamente alcune coppie di grandezze che descrivono proprietà degli oggetti microscopici. Ad esempio, se si vuole stabilire esattamente la posizione di una particella-onda, non si può contemporaneamente misurarne la velocità con estrema precisione; o ancora, la misura dell energia trasportata sarà tanto più imprecisa quanto più si vuole riferirla ad un istante esatto. Il prodotto tra le incertezze collegate è sempre dell ordine di 10 34, cioè dello stesso ordine di grandezza di h. Einstein, pur se aveva posto le basi della fisica quantistica e ne conosceva i successi nello spiegare e prevedere molte osservazioni sperimentali, riteneva che la sua natura probabilistica e imperniata sull incertezza non fosse che una prova dell inadeguatezza della teoria. A suo parere, se in un dato esperimento un elettrone veniva localizzato nella posizione X, questo significava che, subito prima della misurazione, esso doveva trovarsi in un intorno di X. Pertanto, la funzione d onda, che gli attribuiva probabilità diversa da zero di trovarsi altrove, doveva essere un costrutto matematico artificioso ed errato. Le sue idee erano assolutamente in contrasto con quelle di molti altri eminenti fisici, capeggiati dal danese Niels Bohr, che ritenevano che una particella non ha proprietà definite finché non la sottoponiamo ad una misura. Inoltre, il procedimento usato influenza il risultato: l atto della misurazione partecipa profondamente alla creazione della realtà osservata. A questo proposito Einstein osservava: Credete veramente che la Luna non si trovi lassù se noi non la guardiamo?, ma la Scuola di Copenhagen gli rispondeva che, se nessuno guarda la Luna, non c è modo di sapere se sia veramente lì e quindi non ha senso porsi la domanda. 4/5

5 Nel 1937 Einstein, insieme a Podolsky e Rosen, immaginò un esperimento ideale (detto EPR dalle iniziali dei loro cognomi) con il quale intendeva mostrare che Dio non gioca a dadi col mondo, cioè che la casualità e l indeterminazione non sono insite nella realtà microscopica, bensì prodotte dalla teoria quantistica (che perciò risulta inesatta). L esperimento a quel tempo non era realizzabile in pratica, a causa di difficoltà tecniche. Nel 1964, però, l irlandese Bell ne propose una versione semplificata che poté essere sperimentata dal francese Aspect nei primi anni 70. Da allora numerosi altri esperimenti hanno confermato senza possibilità di dubbio le idee della Scuola di Copenhagen: le proprietà delle particelle non sono definite finché non se ne fa una misura. Inoltre, certe particelle possono essere legate (entangled) ad altre in modo tale che l effetto di una misura su una di esse costringe l altra ad assumere proprietà identiche, in modo istantaneo indipendentemente dalla distanza che le separa. Grazie a questa scoperta i fisici sono oggi in grado di teletrasportare particelle a distanze di alcune centinaia di metri. Un altra delle conseguenze stravaganti della Fisica Quantistica è che la conservazione dell energia può essere violata, per tempi brevissimi, grazie al principio di indeterminazione. Ne deriva che il vuoto, osservato a livello microscopico nei laboratori nucleari, non è mai tale: le fluttuazioni casuali di energia che vi avvengono, producono continuamente coppie particella-antiparticella, che dopo un'effimera vita si annichilano. In conclusione, riportiamo le esternazioni di alcuni eminenti fisici sulla Fisica Quantistica. A.Einstein: N.Bohr: R.Feynman: Quanto più la teoria dei quanti incontra rilevanti successi, tanto più mi appare folle Chiunque non resti sbalordito dalla teoria quantistica, sicuramente non l ha capita Credo di poter affermare con certezza che oggi nessuno capisce la Fisica Quantistica 5/5

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