Un mercato del lavoro molto mobile? Si, ma con molti se e molti ma. *

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1 Un mercato del lavoro molto mobile? Si, ma con molti se e molti ma. * Giuseppe Tattara e Marco Valentini, Dipartimento di scienze economiche, Università di Venezia, Cannaregio 873, Venezia. tattara@unive.it, m.valentini@unive.it Abstract. Questo scritto esamina la connessione tra la allocazione dei lavori e il flusso degli occupati nelle due province di Treviso e Vicenza dal 1982 al Gli elevati tassi di turnover presentano un quadro di un mercato del lavoro dipendente nell industria caratterizzato da una elevata flessibilita fin dalla meta degli anni settanta. Cio ha caratterizzato tutte le imprese, di grandi e di piccole dimensioni, appena sorte o ormai stabilite da anni sul mercato. Questa elevata mobilità non caratterizza tuttavia tutto il mercato del lavoro. Infatti l elevato turnover è proprio delle età giovanili, dove la legislazione ha introdotto forme di reclutamento flessibili, e passa trasversalmente a settori, dimensioni di imprese e qualifiche. La elevata mobilità delle età giovanili è accompagnata da una stragrande quota di lavoratori che presentano carriere lunghe, tutte svolte all ombra della stessa impresa. Questa duplice natura, da un lato elevata mobilità del lavoro giovanile, dall altro le carriere lunghe è evidenziata anche da studi e statistiche internazionali. Non si tratta di due aspetti contradditori ma di due elementi che concorrono a costruire un unica vita lavorativa e, in questo quadro, la elevatissimi mobilità giovanile appare meno drammatica di quanto si sarebbe indotti a credere dalla mera grandezza degli indicatori di turnover; un po di job shopping, un guardarsi introno prima di prendere una decisione definitiva. Osservando tuttavia la dinamica delle carriere appare che l elevata mobilità che si registra negli anni novanta non sia un fenomeno limitato alle giovani età, ma investa gradualmente anche le carriere lunghe per i lavoratori nel fiore dell età. Si tratta di lavoratori assunti certamente con contratti a tempo indeterminato e la cui mobilità è, nella generalità dei casi, il risultato di una scelta libera da parte del lavoratore e costituisce un costo per le imprese. Questo spiega come le imprese, in questi anni, siano alla ricerca di misure, contrattuali e non contrattuali, volte a fidelizzare maggiormente i lavoratori all azienda. * Ricerca svolta nell ambito del progetto PRIN, Dinamiche e persistenze nel mercato del lavoro n Questo lavoro sviluppa uno dei temi discussi nell articolo The dynamic of a regional labour market. Job and worker flows presentato all incontro del gruppo di ricerca Partecipation at work in Italy: measurement and modelling isssues, Venezia 7-9, Ringraziamo tutti i partecipanti e in particolare Bruno Anastasia e Niels Westergard-Nielsen. Economia e società regionale, n

2 2 1. Premessa Questo scritto esamina la mobilità del lavoro nelle due province di Treviso e Vicenza dal 1982 al La mobilità del mercato del lavoro trova espressione nel rapporto che si stabilisce tra l allocazione del flusso dei lavoratori e l allocazione del flusso dei posti di lavoro. A prima vista sembra che i flussi dei lavoratori e dei posti di lavoro siano concetti molto simili e tra essi vi debba essere un legame diretto e molto stretto. Ma non è così. Pensiamo al fatto che molto spesso imprese che stanno crescendo nella loro dimensione non solo assumono lavoratori, ma anche licenziano e imprese che si contraggono licenziano, ma anche assumono: la variazione dei posti di lavoro (crescita-contrazione dell occupazione) è la punta di un iceberg che nasconde un movimento spesso ben più ampio nei flussi dei lavoratori, che rispecchia sia la ricerca da parte del singolo di una più soddisfacente occupazione, sia il desiderio degli imprenditori di migliorare la qualità della propria forza lavoro, usare diverse tipologie di lavoro, ad esempio aumentare il ricorso al lavoro temporaneo, stagionale e altre forme di lavoro breve. Si può pensare alla mobilità del lavoro come alla somma di due elementi. Un primo elemento è rappresentato dalla mobilità generata dai processi di creazione-distruzione dei posti di lavoro, cioè dai rapporti di lavoro sorti e cessati a seguito della nascita e della morte delle imprese oppure a seguito della espansione e della contrazione della occupazione da parte delle imprese esistenti. Si tratta, come è facile intendere, di una mobilità dei posti di lavoro che si riflette nella mobilità dei lavoratori e che appare fisiologica al mercato, perchè potrebbe venir meno solo in presenza di un completo immobilismo. Un secondo elemento della mobilità invece è rappresentato dai rapporti di lavoro che sorgono o cessano a causa dell avvicendamento dei lavoratori tra i diversi posti di lavoro e, nella generalità dei casi, rappresenta una rotazione dei lavoratori sui medesimi posti di lavoro. Si parla a questo proposito di componente di sostituzione oppure di eccesso di mobilità o di turbolenza (churning) del mercato del lavoro, volendo sottolineare come un lavoratore sostituisca un altro lavoratore, senza che a questo atto segua la creazione di un nuovo posto di lavoro. Negli ultimi anni, in Veneto, sono stati fatti alcuni studi sui dati del Ministero del Lavoro (archivi Net-labor) che hanno portato al calcolo di indicatori della mobilità del lavoro per alcune parti del territorio regionale. I tassi di mobilità che ne sono derivati sono risultati molto elevati e hanno confermato il ruolo crescente dei rapporti di lavoro brevi (brevi di fatto, indipendentemente dal tipo di rapporto contrattuale) che sembrano lentamente aver eroso la realtà del posto di lavoro stabile. Da qui il significativo titolo della recente ricerca svolta da Veneto Lavoro: Solo una grande giostra? (Accornero, 2000). Il nostro studio parte da una diversa fonte, l archivio dell Istituto Nazionale della Previdenza Sociale dei dipendenti del settore privato. Nella prima parte dell articolo ci proponiamo di confrontare e verificare la concordanza (pur in un diverso ambito territoriale) tra le nostre grandezze e le grandezze tratte dall archivio Net-labor (Anastasia et al., 2000; 2001). L alto valore della mobilità appare confermato dal nostro studio. I dati previdenziali presentano un quadro di un mercato del lavoro dipendente nell industria manifatturiera caratterizzato da una elevata mobilità del lavoro fin dai primi anni ottanta, anche se non mancano di rilevare una marcata tendenza all aumento negli anni più recenti. L osservazione dell andamento dei flussi di lavoro nel tempo rafforza l idea, largamente diffusa, che la mobilità sia idiosincratica rispetto alle variazioni nell occupazione: le variazioni nel flusso dei posti di lavoro spiegano pochissimo della mobilità complessiva che appare seguire dei percorsi che poco hanno a vedere con la variazione del numero degli occupati. L analisi attenta dei flussi di lavoro ci permette di collegare l elevata mobilità ad alcune caratteristiche dei lavoratori; l elevata mobilità infatti non

3 3 caratterizza tutti i lavoratori, ma solo una limitata parte di essi. Sono mobili i lavoratori, maschi e femmine, di giovane età; la mobilità cade drasticamente quando i lavoratori superano la soglia dei trent anni. Un elevata mobilità aggregata, in un mercato del lavoro così segmentato, è compatibile con la stabilità della carriera per una quota anche rilevante dei dipendenti. Infatti l elevato turnover che si registra nelle due province di Treviso e Vicenza è accompagnato dalla presenza di una grande quota di lavoratori con carriere lunghe, tutte svolte all ombra della stessa impresa: i signori del posto fisso sono sempre li. L aumento che si registra nelle misure della mobilità negli anni a noi più vicini ci induce a chiederci se sia aumentata la mobilità dei segmenti giovanili o se stiamo assistendo a un ampliamento, seppure modesto, del segmento mobile del mercato del lavoro, che sconfina ora, al di la delle componenti giovanili rappresentate dagli apprendisti e dagli assunti con contratti di formazione-lavoro, alle altre fasce di età fino a generalizzare nuovi elementi di mobilità anche ai lavoratori tradizionalmente più stabili (Anastasia et al. 2000, p. 135). Noi non possiamo discutere del problema della diffusione del contratto a tempo determinato perché le specifiche forme contrattuali non sono presenti nel nostro archivio, ma possiamo dimostrare che si è in presenza di una erosione delle carriere lunghe che inizia a manifestarsi alla fine degli anni ottanta, anche se il posto stabile resta assolutamente preponderante nella vita lavorativa degli occupati. Questa diminuzione della stabilità investe anche i lavoratori qualificati, quelli professionalmente nel fiore della loro vita lavorativa, tipicamente assunti con contratto a tempo indeterminato. Mobilità e carriere lunghe non sono due aspetti contradditori, ma due elementi che concorrono a costruire un unica vita lavorativa che, anche in questi anni, continua a caratterizzarsi più per gli elementi di stabilità che per quelli di mobilità. Tuttavia da un lato è aumentata la mobilità dei giovani, specie delle donne, che presentano comportamenti sempre più simili a quelli dei maschi, e dall altro la quota delle carriere lunghe si è parzialmente ridotta, proprio negli anni in cui un aumento dell età media degli occupati ci avrebbe fatto pensare a un suo rafforzamento. 2. La base dati. Il lavoro che presentiamo analizza alcune serie di microdati relativi all occupazione dipendente che derivano da elaborazioni condotte sui dati dell archivio della previdenza sociale. Le serie si estendono a un intervallo temporale lungo, che va dal 1975 al 1997; la difficoltà di trattare in modo adeguato gli effetti del condono previdenziale del 1981 ci induce a restringere la maggior parte dell analisi al periodo La base dati su cui lavoriamo è formata dall archivio della popolazione dei lavoratori dipendenti privati (con una definizione di prima approssimazione) che hanno lavorato in un qualsiasi momento in una delle imprese che hanno effettuato i versamenti contributivi nelle province di Treviso e di Vicenza (più ampiamente: Occari et al., 1997; 2001). In larga parte del lavoro ci limiteremo ai dipendenti della manifattura in senso stretto, definita dalle classi 3 e 4 secondo la classificazione Ateco Gli archivi Inps sono l archivio imprese, basato sulle registrazioni dei dipendenti fatte mensilmente dalle imprese (modello DM10) e l archivio dei lavoratori dipendenti, basato sulle denunce annuali sempre effettuate dalle imprese, ma con riguardo ai singoli lavoratori, utilizzati per il calcolo dei diritti individuali maturati a fini pensionistici (modello O1M). 1 Si definisce occupato il dipendente assunto per almeno un giorno durante il periodo di osservazione, indipendentemente dal comune di residenza. L unità di osservazione è il giorno-impresa e le 1 Parliamo impropriamente di imprese quando dovremmo parlare di unità cui fa capo una posizione previdenziale. Un impresa con filiali e cantieri con durata illimitata in diverse province, oppure quando la diversità dei lavoratori lo rende necessario, può avere più posizioni, delle quali è comunque possibile chiedere l accentramento (Tattara et al., 2001, p.22). Di seguito ci riferiamo alle unità contributive con la generica denominazione di imprese.

4 4 osservazioni che si ricavano in relazione alla storia lavorativa dei dipendenti hanno cadenza mensile. Gli archivi previdenziali presentano una base dati quasi ideale per poter studiare le differenze tra i flussi di lavoratori e di posti di lavoro. L archivio contributivo, unito all archivio anagrafico dei dipendenti, comprende e descrive alcuni caratteri dell universo del lavoro dipendente e ha una corrispondenza univoca nell archivio anagrafico delle imprese. Questa caratteristica degli archivi previdenziali consente di calcolare correttamente diverse misure della mobilità, che sono appunto definite facendo riferimento al comportamento delle imprese in relazione a quello dei lavoratori al trascorrere del tempo (sugli archivi: Occari et al., 2001). I dati includono tutti i periodi di occupazione trascorsi alle dipendenze di un impresa, di qualsiasi durata, e questo porta a considerare anche periodi di lavoro molto brevi. Allo stesso modo le grandezze della mobilità che calcoliamo riguardano tutte le dimensioni dell impresa, pur consapevoli che la mobilità delle imprese di piccola dimensione è molto elevata, tanto da apparire a volte anomala. Entrambi questi elementi vanno tenuti presenti quando si fanno confronti con altre misure della mobilità, poiché numerosi autori considerano solo periodi occupazionali superiori ad una durata minima o imprese al di sopra di una fissata dimensione. In questi anni il mercato del lavoro Veneto è stato caratterizzato dalla quasi piena occupazione e dalla creazione di nuovi posti di lavoro nell industria a un ritmo positivo, nettamente superiore alla media nazionale. Lo stock dei dipendenti nelle due province di Treviso e Vicenza nell industria manifatturiera è variato dalle unità nella prima metà degli anni ottanta alle unità alla fine del periodo, con una tasso medio annuo di variazione positivo dell 1,4% circa (figura 1). Sappiamo che al di sotto della apparente immutabilità del dato aggregato, che sottende comunque un buon risultato in relazione al resto del paese, si sono verificate variazioni di grande portata che hanno visto un progressivo rafforzarsi della quota degli impiegati e delle donne nel totale degli occupati dipendenti (Occari et al., 1997). Il Veneto è un territorio con una forte presenza dell industria manufatturiera, specializzata nei settori meccanico, orafo, tessile, dell abbigliamento, del cuoio e delle calzature, del mobile e dell arredo. Questa considerazione, assieme alla consapevolezza del minore grado di affidabilità del nostro archivio per quanto riguarda le imprese del terziario, ci induce a puntare la nostra attenzione sui dipendenti nella manifattura. Le grandezze della mobilità sono basate sul computo delle transizioni dei lavoratori e dipendono ovviamente dalla definizione di impresa che viene adottata. A volte le imprese decentrano lavorazioni ad altre imprese, a volte operano in modo accentrato; a volte un unica impresa presenta diverse sedi contributive, altre volte un unica sede. Nel primo caso parte delle transizioni dei lavoratori sarebbero interne all impresa, qualora si volesse vedere il processo produttivo in modo unitario o si optasse per un unica sede contributiva. Le diverse sedi contributive vengono tendenzialmente accorpate e gli archivi previdenziali vengono puliti per le separazioni e le associazioni spurie, intendendo in questo modo le associazioni e le separazioni che derivano da un cambiamento del soggetto contributivo senza che, probabilmente, vi corrisponda un cambiamento di impresa o stabilimento. 2 Ogni interruzione nel rapporto di lavoro dovuta a sospensione temporanea (meno di 7 mesi), se il lavoratore continua con il precedente datore di lavoro, non viene considerata. La copertura temporale degli archivi previdenziali che utilizziamo è tale da consentire una analisi storica di lungo periodo, ponendo in relazione le consuete variabili che caratterizzano l analisi del mercato del lavoro con il ciclo economico, un ciclo che in questi 16 anni presenta almeno due fasi espansive: dal 1984 al 1990 e dal 1993 al Su questo calcolo Occari e Pitingaro (1997). In generale su questo punto si veda anche Solinas (1996, pp.26-35).

5 5 60% 50% 40% 30% 20% 10% 0% FIG. 1. TURNOVER E STOCK DEI DIPENDENTI NELLA MANIFATTURA A TREVISO E VICENZA. Turnover (TT) Stock dei dipendenti (ottobre) Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali. 3. La definizione della mobilità del lavoro. I modesti mutamenti del numero aggregato degli occupati dipendenti nelle due province di Treviso e Vicenza sono stati il risultato di flussi lordi in entrata e in uscita ben maggiori. La mobilità conta il numero delle transizioni operate dai lavoratori ed è la somma delle associazioni e delle separazioni: le associazioni misurano i nuovi contratti e le separazioni misurano i contratti terminati (abbandoni o licenziamenti). I lavoratori dipendenti nella manifattura hanno fatto rilevare un movimento di associazioni e separazioni nelle/dalle imprese che versano i contributi previdenziali nelle nostre due province di circa 5 milioni di posizioni nei 16 anni lungo i quali si estende l analisi. Un mercato del lavoro in apparenza stagnante e, secondo alcuni commentatori, rigido, non impedisce che ogni anno in media 1 lavoratore su 5 inizi a lavorare con un nuovo datore di lavoro e circa 1 lavoratore su 5 lasci il suo precedente datore di lavoro. 3 A fronte dunque di una scarsa dinamica dei flussi netti di lavoro, che si manifesta per altro in un mercato del lavoro vicino alla piena occupazione, emerge una elevata dinamica dei flussi lordi. Nelle nostre due province il 20% degli occupati dipendenti nella manifattura, in media, si separa ogni anno. Di questi solo il 17% (maschi e femmine con meno di 50 anni) non rientra nell universo del lavoro dipendente nemmeno nel lungo periodo (60 mesi) e quindi, tralasciando l occupazione nel pubblico impiego che non fa parte della nostra base dati, possiamo dire che il flusso di lavoro dall occupazione alla disoccupazione è di circa il 3,4% per anno. 4 Ogni anno in media entra nell universo del lavoro dipendente della manifattura, come primo ingresso, poco più del 6% dello stock. 3 Ottenuto come rapporto tra il numero dei lavoratori che si associano e i lavoratori esposti al rischio di mobilità (media del periodo ) e tra il numero dei lavoratori che separano e i lavoratori esposti al rischio di mobilità (vedi più avanti). 4 Parliamo di disoccupazione in senso improprio, come il lettore non farà fatica a capire, intendendo riferirci in realtà ai passaggi tra durate di lavoro registrate nei nostri archivi e periodi di non lavoro, definiti come periodi in cui il lavoratore non è registrato nell archivio Inps dei dipendenti.

6 6 Un lavoratore può muoversi per una infinità di motivi e con infinite modalità. Da una mansione ad un altra, da un occupazione ad un altra, da un industria ad un altra, da occupato a disoccupato o può uscire dalla forza lavoro. La popolazione può inoltre variare per le migrazioni o per i cambiamenti demografici (nascite e morti). I movimenti dei lavoratori vengono riassunti attraverso svariati indici di turnover (Davis et al., 1999; Rapiti, 1998). Il turnover è misurato dalla somma delle associazioni e delle separazioni e la sua grandezza rappresenta il processo di riallocazione dei lavoratori, che ha luogo nell intervallo di tempo oggetto di analisi, nel sistema economico. Il tasso di turnover complessivo o total turnover, TT è calcolato come TT = 1 (a s) N + a = associazioni nell intervallo s = separazioni nell intervallo N= flusso di occupati nell intervallo (1) Seguendo Anastasia, Gambuzza e Rasera (2000) calcoliamo la misura del turnover rapportando la grandezza a numeratore a un insieme che tenga conto dell intero complesso dei lavoratori che almeno in qualche momento dell anno abbiano avuto un rapporto di lavoro: in tal modo si riferiscono più correttamente i flussi (a numeratore) all insieme dei soggetti che sono sottoposti al rischio di fare mobilità nel periodo in esame. Il denominatore è definito come lo stock all inizio del periodo, più i dipendenti associati nel periodo e ancora occupati a fine periodo, più i dipendenti entrati nel periodo e non presenti a fine periodo, ossia i transitati nel periodo. Seguendo la letteratura economica avremmo invece adoperato a denominatore una misura dello stock degli occupati nell intervallo (iniziale, finale o la loro media: per tutti si veda Davis et al., 1999). In questo caso la grandezza a numeratore verrebbe rapportata a una grandezza a denominatore che riguarda solo parte degli individui che si possono associare o separare nell intervallo e il risultato mancherebbe di coerenza. Usiamo di norma il concetto definito in (1), salvo calcolare l indice di turnover rapportando la somma di associazioni e separazioni allo stock degli occupati, quando questo viene richiesto da esigenze di confronto. Il total turnover, TT, si distingue dal turnover dei lavoratori, GWT, poiché ad ogni lavoratore possono far capo, nell unità di tempo, più separazioni o più associazioni che vengono qui conteggiate una sola volta GWT = 1 N (a + s ) i i a i = numero dei lavoratori che hanno 1 o più associazioni nell intervallo s i = numero dei lavoratori che hanno 1 o più separazioni nell intervallo N= flusso di occupati nell intervallo non forza lavoro non forza lavoro disoccupato associazione - separazione disoccupato = occupato occupato (2) var. dell occupazione Un aspetto importante, strutturale, dello sviluppo economico è rappresentato dalla crescita e dal declino delle imprese e degli impianti. 5 In ogni industria possono coesistere imprese che 5 Inutile ricordare al lettore che i dati previdenziali fanno riferimento alla sede aziendale eletta per essere titolare di questo tipo di rapporti contributivi. Imprese con diversi stabilimenti possono dunque avere più sedi contributive oppure accentrare i versamenti presso una unica sede.

7 7 aumentano e imprese che contraggono l occupazione, imprese che nascono e imprese che chiudono. Il turnover dei posti di lavoro è misurato dalla somma delle creazioni e delle distruzioni di posti di lavoro. Il turnover dei posti di lavoro o job turnover misura il cambiamento dei posti di lavoro a livello di singola impresa. Un posto di lavoro creato indica un lavoratore in più occupato rispetto allo stock di lavoratori presenti all inizio dell intervallo in un impresa, o comunque la creazione di un posto di lavoro da parte di una nuova impresa; un posto di lavoro distrutto indica la riduzione di un posto di lavoro in un impresa. Il Job Turnover, GJT, misura quindi la mobilità necessitata, che segue lo sviluppo/diminuzione delle imprese e la loro dinamica. Il Job Turnover è misurato avendo a riferimento due date, una iniziale e una finale; le nostre misure sono annue. 6 Il Job Turnover o turnover dei posti di lavoro è diverso dal turnover dei lavoratori, che viene calcolato sommando tutte le associazioni e tutte le separazioni. Il turnover dei lavoratori può risultare elevato anche in presenza di un turnover nullo dei posti di lavoro, come avviene sempre quando associazioni e separazioni si compensano in aggregato. Pensiamo a un mercato del lavoro stazionario in termini aggregati, dove tuttavia i lavoratori si muovono tra le imprese, cambiano lavoro, per avvicinarsi a casa, per trovare un lavoro che più li soddisfi, per una varietà infinita di ragioni. Anche le imprese possono ruotare i lavoratori a parità di posti di lavoro per migliorare la composizione della propria forza lavoro, per cercare nuove competenze e per varie altre ragioni, così facendo riallocano i propri lavoratori sugli stessi posti di lavoro. posti di lavoro in stabilimenti che iniziano posti di lavoro in stabilimenti che si espandono creazioni - distruzioni posti di lavoro in stabilimenti che contraggono posti di lavoro in stabilimenti che chiudono = variazione dell occupazione Il turnover dei posti di lavoro viene ottenuto dai nostri archivi aggregando i dati individuali a livello di impresa e calcolando la creazione e la distruzione dei posti di lavoro, che vengono poi sommate a livello delle singole imprese. Il turnover dei posti di lavoro è la somma, per tutte le imprese, del turnover calcolato per le singole imprese. Il tasso di turnover dei posti di lavoro o riallocazione dei posti di lavoro o Gross Job Turnover è ottenuto rapportando la somma di creazioni e distruzioni (in valore assoluto) al numero dei soggetti esposti al rischio di mobilità. GJT = 1 N (c + d ) F Â j=1 j j c j = creazione di posti di lavoro nell intervallo nell impresa j, j=1,,f. d j = distruzione di posti di lavoro nell intervallo nell impresa j, j=1,,f. N= flusso di occupati nell intervallo (3) Ricordando le precedenti tre espressioni, possiamo scrivere: F a - s = Â (c j - d j) = DE (4) j=1 6 Secondo Schettkat, il Job Turnover misura la ristrutturazione che ha luogo nel sistema economico e, per questa ragione, non deve risentire delle variazioni di breve periodo nell occupazione, quindi è opportuno che la sua misura sia annuale (Schettkat, 1996a, p. 19).

8 8 La differenza tra associazioni e separazioni totali o tra creazioni e distruzioni misura la crescita netta dello stock dell occupazione (4) e noi sappiamo che nell industria manifatturiera in senso stretto la creazione di occupazione è trascurabile; ciò non deriva dal fatto che non si creano posti di lavoro, ma che i posti creati vengono quasi interamente bilanciati dai posti distrutti. Sulla base delle tre definizioni precedenti, abbiamo altresì che TT GWT GJT (5) Definito l intervallo di riferimento, solo il total turnover dei lavoratori può essere calcolato in modo non ambiguo sommando le associazioni e le separazioni per sottoinsiemi di questo intervallo (ad esempio dalla somma delle associazioni e separazioni trimestrali possiamo ottenere quelle annuali). Il turnover dei posti di lavoro invece si accresce quanto più si riduce l intervallo elementare cui si riferiscono le creazioni e le distruzioni, poiché quando si allunga l intervallo di riferimento, le transizioni di natura temporanea vengono eliminate dalla grandezza a numeratore. Nel nostro caso, considerando la media del periodo , la somma delle creazioni-distruzioni rilevate a livello trimestrale e riferita ai 4 trimestri dell anno, è di posti di lavoro mentre il calcolo fatto a livello annuale è di posti di lavoro. Circa posti di lavoro possono quindi essere considerati temporanei, creati e distrutti nell anno. Solo nel caso di misurazione continua le tre misure della mobilità si identificano (Schettkat, 1996a). Si può pensare alle associazioni e alle separazioni che si verificano complessivamente in un sistema economico distinguendone due componenti. La prima grandezza è data dalle associazioni e dalle separazioni generate dalla crescita netta nell occupazione. La seconda grandezza misura il flusso dei lavoratori che non dipende dal cambiamento nel livello dell occupazione, che quindi rappresenta la riallocazione dei lavoratori tra imprese a parità di occupazione. Questa seconda grandezza si ottiene per differenza tra il turnover complessivo e il turnover dei posti di lavoro e rappresenta la mobilità in eccesso o turbolenza (churning) del mercato del lavoro. Esprime la ricollocazione del lavoro nell unità di tempo in eccesso rispetto a quella resa necessaria dalla crescita-decrescita dei posti di lavoro. Alcuni autori parlano anche, impropriamente, di mobilità volontaria (Schettkat, 1992) intendendo sottolineare che la mobilità non è necessitata dall esigenza di fronteggiare le variazioni occupazionali, i movimenti nella struttura produttiva, la nascita e la morte delle imprese. Ciò non significa che tutta questa mobilità possa essere etichettata come volontaria; basti pensare al lavoro stagionale o ad altre forme di lavoro temporaneo che entrano, secondo la definizione proposta, nella mobilità di sostituzione o churning, e che nella generalità dei casi rispondono a precise politiche del personale delle imprese e poco hanno di volontario. Il churning viene espresso dalla: CH = TT-GJT (6) TT/GWT è un ulteriore indice di mobilità, trasversale alle categorie sopra esposte. La sua grandezza indica il numero medio di associazioni e/o separazioni sperimentate nell intervallo da un lavoratore che si muove. Indica, quindi, la mobilità dell individuo. Non deve essere considerato una componente della mobilità di sostituzione poiché può comprendere episodi di associazione-separazione dovuti a creazione-distruzione di posti di lavoro.

9 9 3. Le misure della mobilità del lavoro secondo gli archivi previdenziali Inps e Netlabor. Rileviamo subito che i dati relativi al turnover complessivo che otteniamo nelle province di Treviso e Vicenza, dopo aver reso per quanto possibile confrontabili le grandezze, appaiono molto elevati, se posti a paragone con la situazione di altri paesi Danimarca, Francia, US, Belgio, Canada, Germania e altri. Albœk et al., 1998; Awbond et al, 1999; Burgess et al., 2000; Leonard et al., 1987; Picot et al.,2001; Schettkat, 1996a;b) e quindi sfatano l idea diffusa di un mercato del lavoro italiano rigido, poco mobile. O almeno rovesciano l onere della prova. Le nostre grandezze possono essere confrontate in modo più diretto e convincente con analoghe misure calcolate da Anastasia, Gambuzza e Rasera (2000 e 2002) a partire dai dati Net-Labor per segmenti del territorio veneto; il confronto è riportato nella tabella 1. Questi autori fanno riferimento, nella loro prima indagine, ad un flusso di circa contratti di lavoro (contratti nuovi e cessazioni), a sei circoscrizioni territoriali piuttosto eterogenee tra di loro. Gli archivi Net-Labor rilevano i flussi del lavoro e i tre autori usano, nel calcolo della grandezza a denominatore degli indici di mobilità, una misura di flusso ricavata a partire dai dati di stock del censimento intermedio del 1996 e su di essa calcolano la grandezza dei lavoratori esposti al rischio di mobilità (N) secondo quanto abbiamo detto in precedenza. Alternativamente gli indici di mobilità vengono rapportati alla misura dello stock degli occupati al 1996 (per le grandezze ) e al 1998 (per le grandezze ). I dati Inps si riferiscono al totale dei dipendenti nel settore privato, secondo quanto indicato al paragrafo 2; del tutto simile è la copertura dei dati Net-Labor. Tabella.1. Misure del total turnover riferite a diversi ambiti territoriali del Veneto. Settore privato. Net-Labor/Istat. Inps c (Ateco 1981, 1-9) TT TT d GWT GWT d TT TT d GWT GWT d ,0 a 75,4 a 32,2 a 47,3 52,6 62,9 47,6 56, ,3 a 77,5 a 35,2 a 50,2 50,1 60,9 45,8 55, ,4 a 78,4 a 35,7 a 50, ,5 b 31,4 b 56,8 b ,2 b 33,4 b 62,3 b Fonte e metodo:. a 6 Scica: Belluno, Calalzo, Conegliano, Montebelluna, Mirano, San Bonifacio. Anastasia e al.2000, tab.4.1 e 4.2. b Province di Belluno, Treviso e Vicenza. Anastasia e al. 2001, tab.9. c Province di Treviso e Vicenza. Nostre elaborazioni sugli archivi previdenziali. d queste grandezze sono ottenute rapportando il rispettivo numeratore a una misura di stock. Le grandezze relative alla manifattura ci consentono di fare un confronto più preciso. Gli indici del turnover calcolati sui dati Netlabor proposti nel secondo studio di Anastasia, Gambuzza e Rasera (2001) si riferiscono alle tre province di Belluno, Treviso e Vicenza e vengono riportati nella tabella 2 con accanto gli analoghi indici calcolati a partire dagli archivi previdenziali per le due province di Treviso e Vicenza. Lo stock adoperato per calcolare i tassi di turnover presentati dallo studio citato (Anastasia et al.,2001) deriva dai dati Excelsior ed è di fonte diversa dalla fonte da cui derivano le grandezze delle associazioni e delle separazioni. Il confronto è rozzo perché le grandezze si riferiscono ad anni diversi e perché i dati previdenziali non considerano la provincia di Belluno. Un grossolano esercizio di confronto potrebbe essere tentato aggiungendo ai dati previdenziali le grandezze stimate riferite a Belluno; si può pensare a uno stock di dipendenti per l industria in senso stretto per questa provincia attorno ai addetti (Gambuzza et al., 2000, pp ). Si dovrebbero poi variare i dati di

10 10 stock e di flusso sulla base delle variazioni dell andamento dell occupazione nell industria nei 4 anni che dividono le due analisi. I dati di turnover sono piuttosto instabili nel tempo (dev. st = 7,3) e sono sensibili a possibili difformità nella classificazione e nel metodo di rilevazione. Dal confronto in tabella 2 ci sembra si possa ipotizzare, pur nella differenza degli anni di riferimento, una sostanziale concordanza dei risultati, che oscillano su valori compresi tra il 47 e il 57%, concordanza che ci pare maggiore di quanto era invece emerso dal confronto esteso a tutto l impiego privato (tabella 1). Tabella. 2. Misure del total turnover riferite a diversi ambiti territoriali del Veneto. Industria manifatturiera. Net-labor/Istat. Belluno, Treviso e Vicenza Inps. Treviso e Vicenza (Ateco 1981,1-4) anno Assoc. Separ. stock 98 TT anno Assoc. Separ. stock TT , , , ,78 Fonte: Anastasia e al. 2001, tab. 9 e nostre elaborazioni sugli archivi previdenziali La mobilità nell industria a partire dagli archivi previdenziali. Gli archivi previdenziali consentono il calcolo dei diversi tassi di mobilità relativamente al periodo Per il settore manifatturiero abbiamo la relativa certezza di aver corretto in modo opportuno gli archivi previdenziali per le duplicazioni, la mobilità spuria, la inaccuratezza di alcune rilevazioni; abbiamo inoltre cercato di accorpare le diverse posizioni contributive aziendali dovute a filiali, cantieri e le posizioni aperte in relazione a diversità nella posizione dei dipendenti (per esempio quelle riferite a dirigenti, lavoratori all estero e simili). Queste correzioni evitano un aumento non genuino della mobilità ed è per questa ragione che limitiamo l analisi all industria manifatturiera, definita in senso stretto (escludendo le costruzioni e il settore dell energia). Nelle nostre due province in media, nel ventennio, circa il 20% dei lavoratori che hanno lavorato in qualche momento nel corso dell anno sono nuovi assunti o sono comunque destinati a cambiare impresa nel corso dello stesso anno. Il turnover dei posti di lavoro, GJT, segna valori nettamente inferiori alla metà del turnover complessivo, TT, (figura 2) e quindi lascia ampio spazio a una quota di eccesso di mobilità dei lavoratori o di churning; quest ultimo spiega la maggior parte della mobilità complessiva dei lavoratori. Il churning è calcolato in base all espressione (6) ed è rappresentato alla figura 3 che ne sottolinea la forte crescita nel tempo, passando da valori del 18% ai primi anni ottanta a valori di 34% nei secondi anni novanta. Analogamente l altro indicatore che esprime la mobilità del singolo lavoratore nell unità di tempo, il rapporto TT/GWT, manifesta un andamento marcatamente crescente (figura 4). Esso misura, come abbiamo detto, il numero medio di separazioni e associazioni nell intervallo, per un lavoratore che si muove.

11 11 60% FIG.2. TURNOVER E GROSS JOB TURNOVER NELLA MANIFATTURA A TREVISO E VICENZA. 50% 40% Turnover dei lavoratori (TT) 30% 20% Turnover dei posti di lavoro (GJT) 10% 0% Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali. 40% FIG.3. ECCESSO DI RIALLOCAZIONE DEI LAVORATORI O CHURNING. MANIFATTURA. 35% 30% 25% TT-GJT 20% 15% 10% 5% 0% Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali.

12 12 1,10 FIG.4. NUMERO DEI POSTI DI LAVORO CAMBIATI NELL'ANNO DA UN LAVORATORE NELLA MANIFATTURA. 1,09 1,08 1,07 TT/TT pro-capite 1,06 1,05 1,04 1,03 1,02 1, Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali La mobilità per le dimensioni delle imprese, per le imprese che continuano e per le imprese in relazione alla loro età. La grandezza della mobilità complessiva dipende direttamente dalla mobilità che trae origine dalla vita e dalla morte delle imprese, dalla loro demografia. Infatti una elevata mobilità, e il suo andamento ciclico, potrebbero essere il risultato quasi esclusivo della nascita e della morte delle imprese, cioè la dinamica della mobilità potrebbe essere dovuta al fatto che nelle fasi ascendenti del ciclo sorgono molte nuove imprese (e ciò da luogo ad associazioni 7 ) e molte imprese escono nelle fasi basse (separazioni): da un punto di vista astratto questa mobilità, anche elevata, potrebbe essere compatibile con un occupazione perfettamente rigida, con zero associazioni e zero separazioni nelle imprese che continuano la loro attività nell intervallo. Questo aspetto potrebbe essere importante in due province, come Treviso e Vicenza, che sono caratterizzate dalla presenza di molte piccole imprese, con un elevata natalità e una elevata mortalità. Il risultato del calcolo del turnover limitato alle imprese che continuano ci consente di sottoporre a verifica questa ipotesi (figura 5 e tabella 3). Le varie misure della mobilità per le imprese che continuano sono di poco inferiori a quelle calcolate prendendo a riferimento l intero insieme delle imprese. Nelle imprese che continuano la grandezza del turnover totale permane a livelli molto elevati, cedendo solo di pochi punti percentuali, mentre la mobilità in eccesso o churning aumenta leggermente. Nelle imprese più stabili infatti le riallocazioni dei posti di lavoro sono, come ci si deve attendere, complessivamente inferiori di quanto accade nella totalità delle imprese. Di conseguenza il churning è maggiore per le imprese che continuano rispetto al churning, calcolato per le imprese nel loro complesso; l apporto alla mobilità legato alla nascita e chiusura delle imprese resta grosso modo costante nel tempo (4 punti percentuali di differenza tra le due misure), enfatizzando la componente più strutturale della mobilità, il turnover sugli 7 Intendiamo che le associazioni saranno superiori alle separazioni.

13 13 stabilimenti che continuano, ma mettendo anche in luce come la maggior parte del turnover complessivo sia sempre riconducibile alla mobilità in eccesso o churning (tabella 3). È questa la componente che spiega la mobilità del mercato del lavoro e che consegue alle scelte fate dalle imprese e dai lavoratori. Tabella 3. Numero dei dipendenti e tassi di turnover. Industria manifatturiera. Dipendenti Complesso delle imprese Imprese che continuano ( a ottobre) TT GJT CH CH/TT TT GJT CH CH/TT ,65 13,47 18,17 57,43 27,32 10,33 16,99 62, ,74 14,02 16,72 54,39 26,40 10,82 15,58 59, ,16 14,31 18,85 56,84 28,54 10,96 17,58 61, ,86 14,88 22,98 60,69 32,47 11,40 21,06 64, ,48 14,62 23,87 62,02 33,51 11,27 22,24 66, ,62 14,80 26,82 64,45 36,37 11,24 25,13 69, ,43 14,73 30,70 67,57 41,08 11,85 29,24 71, ,67 14,16 33,51 70,30 43,45 11,61 31,84 73, ,52 13,54 32,98 70,89 42,25 11,04 31,21 73, ,30 13,03 28,27 68,45 37,75 10,63 27,12 71, ,06 13,75 25,31 64,80 34,73 10,68 24,05 69, ,47 13,72 20,75 60,20 30,45 10,85 19,60 64, ,95 13,55 30,41 69,18 40,39 11,18 29,21 72, ,80 13,15 36,65 73,59 46,24 11,08 35,16 76, ,16 12,55 33,62 72,82 42,21 10,02 32,19 76,26 Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali. 60% FIG.5. TURNOVER DEI LAVORATORI E DEI POSTI DI LAVORO NEGLI STABILIMENTI CHE CONTINUANO. MANIFATTURA. 50% 40% Turnover dei lavoratori (TT) 30% 20% 10% Turnover dei posti di lavoro (GJT) 0% Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali.

14 14 Le misure della mobilità variano molto al variare delle dimensioni delle imprese e presentano dei valori molto elevati per le imprese di piccola dimensione. Lo spettro dei valori assunti dalle distribuzioni dell indice del turnover totale è molto ampio al variare delle dimensioni, anche se presenta un significativo andamento convergente al passare del tempo (figura 6). La deviazione standard è massima al 1985 e minima al 1994, con un trend netto verso la riduzione. 80% FIG. 6. TURNOVER TOTALE PER DIMENSIONI DI IMPRESA NELLA MANIFATTURA. 60% 40% 20% 0% <= >= Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali. Le ragioni sono diverse e investono differenti problemi. Gli alti valori del turnover esprimono una situazione veritiera che sottintende il fatto che le piccole imprese fanno probabilmente una politica del personale maggiormente fondata sulle figure meno professionali e sfruttano in maggior misura il lavoro giovanile, i contratti di apprendistato e i contratti di formazione e lavoro che sono contratti per loro natura non permanenti. Vi è poi un ovvio problema di rigidità nell uso del lavoro legato alla non scomponibilità delle unità di lavoro (il così detto problema di numeri interi), che può (paradossalmente) tradursi in una maggiore grandezza della misura della mobilità. Un esempio è probabilmente il modo migliore per capire questo ultimo punto. Consideriamo una impresa con un dipendente 8 che deve fronteggiare una breve punta di domanda che richiede un mese di lavoro addizionale; l impresa, a questo scopo, associa un nuovo dipendente e lo separa dopo 1 mese. Ha un tasso di turnover complessivo TT=100%. Un impresa di 100 dipendenti può operare in modo analogo e presentare identici tassi di turnover, ma può anche scegliere di associare meno lavoratori e distribuirli per un maggior intervallo temporale (assumiamo ad esempio che 33 lavoratori per 3 mesi producono quanto 100 lavoratori per 1 mese). La gestione del personale da parte dell azienda di maggiori dimensioni è quindi potenzialmente più flessibile. Nel caso dei 33 lavoratori che lavorano per 3 mesi il tasso di turnover è molto inferiore al precedente, TT = 50%. Un altro elemento che gonfia la grandezza del turnover è dovuto al fatto che gli archivi previdenziali rilevano i soli dipendenti e quindi un impresa formata dal titolare e da un lavoratore che nel corso dell anno viene 8 Ad esempio Solinas discute della comparabilità tra le grandezze che derivano dall archivio Cerved (registro delle ditte) e quelle che derivano dall archivio previdenziale. (1996, Appendice IV).

15 15 sostituito, presenta una grandezza del total turnover del 100%, mentre il valore che risulta dal nostro esercizio sugli addetti sarebbe del 67%. Infatti il flusso dei dipendenti che possiamo calcolare a partire dai dati Inps, nell intervallo considerato, è 2, mentre quello veritiero sarebbe 3 (il titolare e il dipendente temporaneo); questo errore aumenta in maniera significativa la misura del turnover per tutte le piccole imprese. 9 Si potrebbe tentare un esercizio di correzione grossolana consistente nell aggiungere allo stock dei dipendenti una grandezza pari al numero delle imprese, per le imprese con meno di 50 dipendenti (ipotizzando un soggetto non dipendente per impresa 10 ); la tabella 4 mostra come questa correzione compatti la distribuzione del turnover per dimensioni di impresa, tanto che la nuova distribuzione presenta una deviazione standard che è il 50% di quella della distribuzione iniziale. Il turnover totale aggregato verrebbe alla fine ridotto di 3-4 punti (del 10% circa), e di questo si deve tener conto quando si fanno confronti tra basi dati che hanno per oggetto territori caratterizzati dalla presenza, in misura significativamente diversa, di imprese di piccola dimensione. È interessante notare che le imprese che hanno il maggior turnover dei posti di lavoro sono le imprese di dimensioni molto piccole. Le imprese più piccole devono l elevata mobilità del lavoro a numerose imprese che aumentano l occupazione e altrettanto numerose imprese che la contraggono: questa classe dimensionale contiene, infatti, la classe di ingresso per molte attività imprenditoriali. Le imprese maggiori manifestano anch esse un accentuata rotazione dei posti di lavoro, specie negli anni di crisi 1992 e 1993, che tuttavia trova spiegazione prevalente in una contrazione occupazionale. Tabella 4. Turnover totale per le imprese di piccola dimensione. Industria manifatturiera. Turnover totale calcolato in base al numero degli occupati dipendenti Turnover totale, corretto per la presenza del titolare tra gli occupati ,38 47,24 31,26 45,27 41,68 30, ,37 43,07 28,70 43,84 38,00 27, ,69 47,28 32,06 45,49 41,72 31, ,80 52,84 35,90 49,86 46,62 34, ,84 51,78 35,54 49,17 45,69 34, ,03 54,87 38,07 49,31 48,41 36, ,78 57,48 42,77 50,55 50,72 41, ,59 58,02 45,83 48,99 51,19 44, ,89 55,30 45,29 48,49 48,79 43, ,56 50,74 40,20 43,97 44,77 39, ,77 46,72 38,12 43,41 41,23 37, ,49 41,38 32,76 39,64 36,51 31, ,87 50,15 42,57 44,20 44,25 41, ,27 55,36 48,93 47,34 48,85 47, ,31 51,73 46,71 45,22 45,65 45,33 Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali. 9 Per le imprese con meno di 10 addetti in media il tasso di turnover è sopravvalutato del 15%, la sopravvalutazione sarebbe maggiore se prendessimo a denominatore una misura di stock. 10 Nelle piccole imprese il numero degli addetti differisce dal numero dei dipendenti in misura significativamente maggiore di quanto proponiamo nell esercizio. Infatti spesso i soci sono più di uno o comunque si adopera il lavoro di familiari che sono a tutti gli effetti addetti, ma non dipendenti. Sono d altro canto addetti che hanno un rischio di mobilità significativamente diverso da quello dei dipendenti, e quindi le risultanti misure della mobilità risultano comunque ibride.

16 16 Si potrebbe ancora obiettare che l andamento ciclico del turnover dei lavoratori, anche depurato dalla demografia delle imprese, potrebbe risentire della diversa età delle imprese stesse e riflettere così un effetto di composizione, di carattere ciclico. Secondo Contini e Revelli, che riprendono la letteratura recente (1997, p. 250) il turnover sarebbe maggiore per le imprese giovani (con meno di 8-10 anni di età) rispetto alle imprese vecchie; quindi nelle fasi ascendenti del ciclo, quando aumentano i nuovi ingressi, crescerebbe il turnover. L ipotesi avanzata da Contini e da Revelli, e presuppone delle rotture significative nelle serie del turnover calcolate per età delle imprese e tuttavia non resiste alla verifica empirica condotta sulla nostra base dati. La figura 7 mette in luce, per alcuni anni, come il valore del tasso di turnover totale calcolato per la nostra popolazione sia solo leggermente decrescente al passare delle età degli stabilimenti e questo risultato sembra generalizzabile a tutti gli anni di cui disponiamo. Non ci sono quindi elementi che avvalorino un effetto ciclico del turnover dovuto all età delle imprese (figura 7) % FIG. 7. TURNOVER (TT) PER LE IMPRESE ATTIVE NELL'ANNO DI RIFERIMENTO,CLASSIFICATE PER LA LORO CLASSE DIETA'. INDUSTRIA MANUFATTURIERA. 80% % 0% Anni di età delle imprese Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali. La maggior parte del turnover dei lavoratori è poco legata alla variazione dell occupazione a livello di impresa. Il suo andamento ciclico riflette un andamento pressochè parallelo di associazioni e separazioni, un fenomeno che da luogo necessariamente a un accorciamento delle durate dei lavori. In generale ben il 60% del turnover complessivo non riflette una variazione occupazionale di natura strutturale, ma rappresenta un processo di riallocazione dei flussi di 11 Le imprese che nascono e muoiono hanno un turnover ben maggiore di quello delle imprese che continuano, ma l andamento ciclico è molto simile. Le nuove imprese e le imprese che muoiono presentano maggiore variabilità nelle serie delle associazioni e separazioni, ma nel complesso la somma delle associazioni e separazioni (il numeratore del TT) per queste imprese è strettamente correlato (93%) con la stessa grandezza calcolata per le imprese che continuano, quindi non influenza l andamenti ciclico del TT. Non sarebbe probabilmente così se le nuove imprese mantenessero una elevata mobilità per diversi anni, come ipotizzato da Contini e Revelli, dando luogo a fenomeni di cumulo in funzione delle diverse fasi del ciclo.

17 17 lavoro; più del 40% di questo processo di riallocazione è riconducibile a rapporti di lavoro brevi, che comunque sono destinati a chiudersi entro 6 mesi dalla stipulazione. Si tratta di lavori o stagionali (estivi) o comunque di contratti che configurano l impiego di lavoratori per pochi mesi, in alcuni casi in modo abbastanza episodico. Infatti circa la metà di questi lavoratori, una volta chiuso il contratto, non trova un altro lavoro alle dipendenze in tempi rapidi (tabella 5), anche se negli anni più recenti il periodo di inattività tra un lavoro e l altro si riduce drasticamente. 12 Oltre al desiderio dei giovani di cambiare lavoro fino a che si trova una collocazione soddisfacente, c e anche, ed è forse prevalente, una domanda da parte delle imprese che si dirige a un segmento precario del mercato del lavoro, quello dei giovani appunto; una domanda per un lavoro breve che è molto difficile cogliere nelle statistiche. 13 Il churning, in altre parole, non sembra riflettere una politica volta a migliorare il matching tra posti di lavoro e lavoratori. Una tale politica richiederebbe che si assumessero lavoratori nuovi e si separassero i lavoratori meno efficienti a parità di occupazione; se il matching è migliorato ci aspetteremmo che una buona parte dei nuovi assunti permanesse nell incarico. Non è questo, o almeno non lo è in buona misura: nelle fasi ascendenti del ciclo si fa ricorso a lavori brevi, lavori in cui il lavoratore associato dopo breve tempo è separato dall impresa e questo spiega come il turnover sia ciclico e come siano cicliche sia le associazioni che le separazioni. Tabella 5. Associazioni e separzioni relative a rapporti di lavoro brevi. Industria manifatturiera. Lavori brevi ( 6 mesi) Stagionali sul churning estivi /churning sui lavori iniziati/chiusi nell anno seguiti da inattività /churning ,68 39,48 24,07 12, ,18 40,78 26,43 11, ,99 40,45 29,67 11, ,49 43,65 23,32 12, ,16 42,18 25,16 12, ,88 43,26 23,49 13, ,98 41,41 22,56 13, ,92 41,14 21,78 14, ,52 41,65 18,82 14, ,50 41,63 22,44 15, ,10 43,36 19,99 15, ,06 43,29 34,35 15, ,01 44,83 31,84 16, ,02 47,59 23,81 18, ,89 45,17 24,07 16,36 Fonte e metodo: la seconda colonna esprime il rapporto tra la somma delle associazioni che si chiudono in 6 mesi e le separazioni che si sono aperte meno di 7 mesi prima e il totale delle associazioni e separazioni. Gli stagionali sono definiti come quei lavoratori che lavorano da maggio a settembre o durante parte di questo periodo. 12 I rapporti che durano meno di 6 mesi sono in media ( ) il 43% del churning (col.3 tabella 5). Ai primi anni novanta il tempo di attesa, da parte di un separato, per rientrare nel lavoro dipendente è più breve che nei primi anni ottanta, sia per i giovani che per i lavoratori maturi. 13 La colonna 4 in tabella 5 esprime la quota nel churning coperta dai lavori brevi seguiti da un episodio relativamente lungo di disoccupazione che poi finisce per un nuovo lavoro dipendente o nell uscita dall archivio Inps; in queste condizioni la separazione dal primo lavoro non rappresenta, probabilmente, un esito desiderato dal lavoratore ma è il risultato di una politica di mobilità da parte delle imprese. Sulla stima dell occupazione temporanea in Veneto, si veda Anastasia et al. (2002)

18 18 I lavori brevi sono definiti come i lavori la cui durata è inferiore a 6 mesi e i cui lavoratori, una volta separati, non si riassociano al lavoro dipendente entro i 5 mesi successivi. Nostra elaborazione sugli archivi previdenziali. 5. La segmentazione del mercato del lavoro. Di fronte a tassi elevati di mobilità, come quelli che abbiamo riscontrato nelle nostre due province, è importante capire se siamo di fronte a un fenomeno generalizzato, che taglia trasversalmente settori, età e tipi di lavoro, oppure di una anomalia che colpisce alcune categorie di lavoratori, che si muovono in maniera molto intensa mentre altri restano stabilmente ancorati al loro posto di lavoro. Gli studi sui rapporti di lavoro ininterrotti, le carriere lunghe, ci dicono che gli Usa sono i paesi con lavori ininterrotti di durata più breve, 6.6 anni in media, mentre i lavori ininterrotti con durate più elevate si hanno in Grecia, Italia e Svezia, seguiti da Belgio, Giappone e Portogallo (Auer et al., 2000, p. 381; Dall Aringa et al., 2000). La quota dei lavoratori con durata minore di un anno è particolarmente alta, superiore al 20% negli Usa, Spagna e Danimarca ed è invece bassa in Giappone Grecia e Italia. I lavoratori con 20 anni di rapporto di lavoro continuo sono il doppio in Italia che in Usa e UK. Da questi dati si capisce che, in Italia, le relazioni di lungo periodo nel mercato del lavoro sono frequenti. Potrebbe essere così anche nelle nostre due province e se così fosse, bisogna vedere se è possibile riconciliare un gran numero di carriere lunghe con l elevata mobilità. Cominciamo col rilevare, con l aiuto di un esempio numerico che, almeno da un punto di vista astratto, alta mobilità e carriere lunghe non sono fenomeni contradditori. Ipotizziamo che alla conclusione di un rapporto segua immediatamente un nuovo rapporto, che non vi siano ingressi e pensionamenti e che l occupazione non vari. Un elevato turnover, ad esempio un tasso TT= 50%, può essere il risultato di una popolazione 1. uniformemente mobile in cui ogni lavoratore ha una durata media di lavoro ininterrotta di circa 4 anni. 2. segmentata, con lavoratori stabili e lavoratori molto mobili. Ad esempio un turnover del 50% risulta da una popolazione di lavoratori composta dal 70% da individui relativamente stabili durante il periodo analizzato (con una carriera ininterrotta di 7 anni) e per il restante 30% da individui molto mobili, perennemente occupati, ma con rapporti di lavoro di durata di circa 3 anni, tra loro adiacenti. È la seconda ipotesi, e non la prima, quella che rispecchia meglio la situazione di fatto del nostro territorio negli anni recenti. Disaggregando la misura del turnover totale per sesso, qualifica e classi di età rileviamo come il dato aggregato sottenda profonde variazioni al mutare di alcune caratteristiche individuali. Infatti buona parte della mobilità si riferisce a lavoratori poco qualificati, a operai più che a impiegati, in giovane età, con meno di 25 anni. La fascia di età è la variabile esplicativa di maggior peso: il turnover dei giovani è doppio di quello dei lavoratori della classe di età immediatamente successiva, tra i 25 e i 34 anni di età (tabella 6). Le ragioni sono varie e hanno a che fare, oltre che con un costume, ormai frequente, che porta i giovani a muoversi tra diverse possibilità prima di stabilizzarsi, con motivi istituzionali quali, da un lato, l obbligo di leva, dall altro le diverse tipologie di contratto a breve scadenza previste dalla legge e volte a promuovere l inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, che consentono una maggiore mobilità (apprendistato e CFL). Si deve tener presente che le associazioni e le separazioni annue che, in media, si possono ricondurre a forme contrattuali a tempo determinato tipiche dell età giovanile, contratti di formazione e lavoro, apprendistato, rappresentano tra il 30 e il 40% delle associazioni-separazioni complessive e tra il 40 e il 55% delle associazioni e separazioni dei giovani con meno di 31 anni. Se ci chiediamo, in generale, quante siano le associazioni che danno luogo a un rapporto di lavoro breve, un rapporto che si chiude in breve tempo, diciamo entro 6 mesi, qualsiasi sia il motivo della chiusura, troviamo un valore elevato.

19 19 Ben 1/3 di tutte le associazioni chiudono entro 6 mesi e altrettante sono le separazioni che terminano un rapporto di lavoro iniziato meno di 6 mesi prima (tabella 5). I soggetti esposti al rischio (il denominatore del tasso di turnover) hanno per il 30% una età compresa tra 14 e 25 anni e per il 70% un età superiore. I primi hanno un numero di associazioni e separazioni molto alto con un turnover totale dell 80% circa (che significa rapporti di lavoro di durata media di poco superiore ai 24 mesi), i secondi un numero di associazioni e separazioni nettamente più basso e un turnover attorno al 30%, che significa una durata media del rapporto di lavoro di circa 6-7 anni. Il tasso di turnover aggregato aumenta nel tempo, ma non tanto quanto ci si potrebbe attendere guardando alla dinamica della sua componente giovanile, perché l elevata percentuale di giovani sul complesso degli occupati viene drasticamente ridimensionata al passare dagli anni iniziali a quelli finali dell intervallo. Tabella 6. Il turnover totale per alcune caratteristiche dei lavoratori. Industria manifatturiera. Sesso Qualifica Classi di età Maschi Femmine Operai Impiegati Da 14 a 24 da 25 a 34 da 35 a 44 da 45 a ,05 31,05 32,17 26,29 52,94 20,96 15,55 18, ,08 30,23 31,19 26,59 51,26 20,49 15,29 19, ,35 32,87 33,78 27,84 56,66 22,22 16,69 19, ,80 37,96 38,71 30,7 65,04 25,33 18,55 20, ,59 38,32 39,21 32,31 65,24 26,70 18,42 20, ,47 40,31 42,47 34,26 69,67 29,54 20,86 21, ,26 42,58 46,83 34,97 75,81 33,61 22,26 21, ,22 45,24 48,93 36,42 77,30 38,39 25,33 22, ,28 43,78 47,81 35,82 74,85 39,54 26,21 22, ,94 38,71 42,56 31,64 68,82 34,96 23,72 20, ,19 37,26 40,05 31,13 66,93 32,27 22,45 22, ,60 32,64 35,79 26,04 61,78 27,76 19,79 21, ,30 40,11 46,27 30,67 78,82 35,61 24,62 29, ,35 45,68 52,86 32,85 88,64 42,99 30,98 24, ,74 41,98 48,68 32,64 82,94 40,51 28,20 26,18 Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali. Questi stessi risultati sembrano spingerci verso un interpretazione articolata della mobilità, un interpretazione che vede le diverse età caratterizzarsi per una diversa mobilità. Non tanto quindi una segmentazione tra individui, ma una segmentazione per età, che è poi molto meno statica e grave della prima. Un approccio più diretto consiste nel calcolare direttamente gli anni di carriera ininterrotti (tenure) per gli individui del nostro archivio e raggrupparli per classi di durata. La lunghezza della base dati ci consente di analizzare direttamente la tenure completa per un numero significativo di anni. Con tenure completa all anno t di T anni intendiamo che il lavoratore che è occupato in t era occupato con lo stesso datore di lavoro sia in (t - i) che in (t + T - i), i = 1 T. Nell analisi che segue scegliamo una tenure lunga 7 anni o più, cosa che ci consente di ottenere dati di periodi di lavoro ininterrotti per gli anni ; una tenure di 10 anni avrebbe ridotto il nostro campo di indagine a un paio danni, il 1986 e il Allo stesso tempo così facendo teniamo debito conto della censura dell archivio verso destra e sinistra. Nel territorio che analizziamo, una quota rilevante, il 70-80%, dei lavoratori dipendenti che hanno tra i 27 e i 54 anni di età hanno più di 7 anni di tenure. Pochi di meno sono quelli che continuano la tenure fino 10 anni: dopo i 7 anni la probabilità di una interruzione del rapporto è

20 20 molto bassa. 14 Pochi sono i lavoratori interessati da rapporti di lavoro brevi: meno del 10% dei dipendenti lavora meno di 12 mesi (figura 8). Anche ampliando le classi di età fino a comprendere lavoratori di età compresa tra 16 a 54 anni, questa percentuale non supera il 12%. Queste misure sono relativamente simili ai dati presentati da Burgess che riportano come negli USA il 20% dei dipendenti (26-45) fosse occupato da meno di 12 mesi, il 20% in Olanda, l'11% in Francia, il 16% in Germania, l'8% in Italia e il 4% in Giappone (Burgess, 1998a; Auer et al., 2000; Dell Aringa et al., 2000). Osserviamo, anche, come l'importanza della tenure lunga nel nostro territorio sia caduta nel tempo mentre sono aumentati i rapporti di minore durata: i rapporti che sono durati meno di 60 mesi sono passati dal 15% al 26%. Questo è avvenuto nonostante l'invecchiamento marcato della popolazione che avrebbe fatto pensare ad un aumento della quota di lavoratori caratterizzati da stabilità della carriera. 100% FIG.8. COMPOSIZIONE DELLO STOCK SECONDO LA DURATA DEL RAPPORTO DI LAVORO. INDUSTRIA MANUFATTURIERA 75% 50% 25% 0% meno di 1 anno da 1 a 4 anni da 5 a 6 anni 7 o più anni Fonte: nostra elaborazione sugli archivi previdenziali. Un analisi attenta delle carriere lunghe (Tattara et al., 2003) consente di disaggregare il fenomeno e offre degli spunti interpretativi. Maschi e femmine presentano una quota di carriere lunghe molto simile, nè l'andamento temporale appare diverso. Maggiormente significativa appare la differenza per grado di istruzione. Coloro che non hanno conseguito il diploma di istruzione secondaria hanno carriere lunghe decisamente più brevi della media e di coloro che hanno, presumibilmente, conseguito un livello di istruzione superiore. L archivio della sicurezza sociale ci consente di analizzare i dati sulle durate ininterrotte del lavoro in relazione al settore produttivo e alle dimensioni di impresa. La riduzione della quota 14 Si può stimare, dal prodotto dei retention rate, la probabilità condizionata che un lavoro di 7 anni duri fino a 10 anni e oltre. La probabilità di lavorare 3 anni in più, dopo 7 di lavoro ininterrotto, è, per i maschi, del 75%. La probabilità di lavorare 3 anni nel periodo da 0 a 3 anni è solo del 44%.

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