La mia vita (se così si può dire)

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1 La mia vita (se così si può dire)

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3 Vanda Maggi LA MIA VITA (SE COSÌ SI PUÒ DIRE) Racconto di una storia vera

4 Copyright 2012 Vanda Maggi Tutti i diritti riservati

5 Dedicato a mio Marito

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7 Presentazione Dopo tanto tempo ho trovato la forza ed il coraggio di rendere pubblica la mia storia con relative angosce, stati d ansia e momenti di terrore. Non è stato facile, anche perché sono certa che rimarrà tutto come prima: i benpensanti non riusciranno mai a debellare questa piaga, grazie al loro buonismo e ipocrisia, mentre sappiamo solo noi vittime cosa si prova alla fine o all inizio di un nuovo giorno. Per contattarmi: vanda.maggi@alice.it. 7

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9 I Ciao a tutti, mi chiamo Vanda, ho 44 anni e ho deciso mio malgrado di raccontare la mia vita, dalla mia nascita ad oggi. Tutto questo è dettato da angosce interiori che mi spingono a tirar fuori tutto e renderlo pubblico, sperando che scatti qualcosa nelle vostre coscienze, così che si presti più attenzione e forse si riescano ad evitare ad altri i fatti a me successi. Quando nacqui mi dissero che era una bella giornata di sole, io ero una bella bambina di sei chili con due splendidi occhi azzurri. Mia madre mi allattò sino ai due anni e mezzo circa, età di cui comincio ad avere i primi ricordi e coscienza di cose e persone. 9

10 Eravamo una famiglia numerosa: avevo quattro fratelli e due sorelle, mentre io ero l ultima nata e, anche se loro erano più grandi di me, questo non m impedì di divertirmi con loro. Io andavo all asilo e, tutte le mattine, mia madre mi accompagnava a scuola con il mio cestino di vimini, con dentro una piccola merenda e una bambolina di pezza di nome Camilla. Una bella mattina, precedente la festività di Santa Lucia, come tradizione, la santa si presentò all asilo: era tutta vestita di bianco col volto coperto e tutti i bambini rimanevano a bocca aperta, anche se qualcuno aveva un po paura e si nascondeva dietro le insegnanti. Io ricordo che mi alzai in piedi ed esclamai ad alta voce: UN ANGELO! Lei mi sentì e si diresse verso di me. Non parlava ma, a gesti, mi fece capire di aprire le mie manine che subito riempì di caramelle sino a farle cadere, poi allungò la mano e 10

11 mi accarezzò il viso. Non mi stupii ma riconobbi quella carezza. La carezza di una mamma non si può dimenticare. Non dissi mai niente a lei quasi per paura che tutto scomparisse. A quell epoca, avevo come compagna di giochi anche una tartaruga che chiamavo Gertrude. L accudivo con amore: quando la lavavo lei tirava fuori la testolina e si allungava tutta e, quando l accarezzavo, mi dava dei piccoli colpetti con la linguetta che mi facevano il solletico e io mi mettevo a ridere. Un pomeriggio, tornando dall asilo, scoprii che la mia Gertrude era scomparsa. Uno dei miei fratelli l aveva fatta cadere dal terzo piano accidentalmente. Immaginate la mia disperazione, nonostante le sue scuse e la promessa di una nuova tartaruga. Tutti i miei fratelli, però, erano bravi con me, non mi facevano mancare niente e quando loro erano a 11

12 scuola, io restavo a casa con la mamma, che faceva la sarta, e la osservavo mentre cuciva i costumi per il teatro della mia città. Io, ai suoi piedi, la imitavo con le mie bambole di pezza, lei mi seguiva con lo sguardo, dandomi vari consigli su cosa e come fare. L immagine di lei che ricordo con più affetto, però, è quella di quando mi prendeva in braccio e accarezzava i miei lunghi capelli: ancora adesso, dopo tutti questi anni, ne sento il bisogno perché quel gesto mi dava tanta sicurezza. Oggi, mio marito, quando mi vede un po giù, prova a farmi sentire la stessa sensazione, ma non è la stessa cosa. Così crescevo felice fin quando, come in tutte le belle favole, non arrivò il cattivo. Nel mio triste caso, il cattivo fu il male che, inesorabilmente, si portò via mia madre: assistetti impotente al suo declino, giorno dopo giorno, mentre si spegneva senza che io capissi 12