Algebra Lineare e Geometria. Il teorema fondamentale dell algebra. 1 Non c è un ordine totale sull insieme dei complessi

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1 Università di Bergamo Anno accademico Primo anno di Ingegneria Algebra Lineare e Geometria Il teorema fondamentale dell algebra 1 Non c è un ordine totale sull insieme dei complessi Vogliamo mostrare che non c è nessuna possibilità di ordinare i complessi in modo utile. È chiaro che possiamo decidere un ordine dei complessi, ma qualunque sia la scelta fatta l ordine non avrà un certo numero di proprietà importanti. Che proprietà vogliamo che un ordine abbia? (1) Vogliamo innanzitutto che se a C valga a a (questa proprietà si chiama riflessività). (2) Vogliamo che se a e b verificano a b e b a allora a = b (questa proprietà si chiama antisimmetria). () Per finire vogliamo inoltre che se a, b e c verificano a b e b c allora a c (questa proprietà si chiama transitività). Una relazione è detta di ordine se verifica le tre proprietà precedenti. Inoltre siccome l insieme dei complessi ha una somma e un prodotto, vogliamo che l ordine abbia delle buone proprietà in merito a queste operazioni. (4) Vogliamo che se a b allora per ogni c abbiamo a + c b + c (questa proprietà è una regolarità rispetto alla somma). (5) Vogliamo che se a b allora per ogni c 0 abbiamo ac bc (questa proprietà è una regolarità rispetto al prodotto). (6) Per finire vogliamo che 0 1. Osserviamo che sappiamo dalla proprietà (6) che 0 1. Quindi dalla proprietà (4) risulta 0 + ( 1) 1 + ( 1) cioè 1 0. Vediamo allora il caso del complesso i. Se risultasse i 0, allora 1 = i 2 = i i 0 i = 0 e questo sarebbe possibile solo se 1 = 0. Se invece risultasse i 0 allora i 0 e quindi 1 = i 2 = ( i) 2 = ( i) ( i) 0 ( i) = 0 1

2 e questo sarebbe possibile solo se 1 = 0. Quindi non risulta né i 0 né i 0 (si dice che i e 0 non sono confrontabili). Si può definire un ordine su C, si può richiedere che abbia le proprietà (4) e (5) ma allora alcune coppie di elementi (tipo (0; i)) risultano non confrontabili. Si dice che l ordine non è totale (al contrario di R in cui per qualsiasi x e y R risulta x y o y x). non 2 Il teorema fondamentale dell algebra Sia P (z) = a n z n + a n 1 z n a 1 z + a 0 un polinomio di grado n 1 (cioè con a n 0). Vogliamo mostrare che esiste z 0 C tale che P (z 0 ) = 0 (cioè che esiste una radice z 0 del polinomio P (z)). Possiamo supporre che in un punto α si abbia P (α) 0 (se no abbiamo finito perché allora α C, P (α) = 0). Sia P = 1 P. Abbiamo allora P (α) = P (α) P (α) P (α) che P (z 0 ) = 0 se e solo se P (z 0 ) = 0, perché per ogni z C, P (z) = P (z) P (α) ragione facciamo un cambiamento di notazione e poniamo P = P. = 1. È chiaro. Per questa Il polinomio P si scrive P (z) = a n z n + a n 1 z n a 1 z + a 0 = n i=0 a iz i (abbiamo quindi cambiato la definizione degli a i rispetto all inizio, ( ma semplicemente dividendoli da una costante). Abbiamo a n 0 e poniamo S = max a) Vogliamo mostrare che esiste un M tale che n 2n a 0, n 1 a n 2n a 1, a n..., 2n z, z M P (z) 2 a 0. Per z 0, abbiamo P (z) = a n z (1 n + a n 1 a nz per z 0, a n 2 a n, 2n a n 1 a n ). + a n 2 a nz a 1 a nz n 1 + a 0 a nz n ). Segue che P (z) = a n z n 1 + a n 1 a n z + a n 2 a n z + + a 1 2 a n z + a 0 n 1 a n z n. Per z S e per ogni i = 0,..., n 1, si ha z 2n n i a n i a n quindi e quindi z n i 2n a n i a n a zn i n a i 2n. 2

3 a Quindi per z S e per ogni i = 0,..., n 1 abbiamo i a nz 1. Dalla disuguaglianza triangolare, deduciamo che la somma degli n termini della forma i n i 2n a a nz ha n i modulo minore o uguale a = 1. Ricordiamo che la disuguaglianza triangolare ha come conseguenza che se a e b sono due numeri complessi, a+b a b. 2n 2n 2 Nel nostro caso, significa che 1 + a n 1 a n z + a n 2 a n z + + a 1 2 a n z + a 0 n 1 a n z n = 1 2. Quindi il modulo di P (z) è almeno z n a n per z S. Scegliendo z M = ( ) 2 max S, n 4 a0 a n, si ha P (z) 2 a 0. b) Ci limitiamo quindi a studiare il polinomio sul disco chiuso (compreso il bordo) di centro 0 e raggio M. Enunciamo il teorema di Weierstrass limitato al nostro caso: Teorema: Qualunque sia il disco chiuso D e qualunque sia il polinomio P esistono due punti z m D e z M D tali che z D, P (z m ) P (z) P (z M ), cioè in z m (risp. z M ) la funzione P (z) raggiunge un minimo (risp. un massimo). Sul disco chiuso di centro 0 e raggio M, secondo il teorema di Weierstrass, P (z) ha un minimo. Supponiamo quindi che z 0 sia tale che z, z M P (z) P (z 0 ) (cioè P (z 0 ) è il minimo di P (z) sul disco 1 ). Se P (z 0 ) = 0 abbiamo finito. Se no, sia Q(z) = 1 P (z + z P (z 0 ) 0). Abbiamo Q(0) = 1 P (0 + z P (z 0 ) 0) = P (z 0) P (z 0 = 1. Il ) polinomio Q è una semplice modificazione di P e quindi Q(0) è il minimo di Q sul disco di centro z 0 e di raggio M. c) Mostriamo che ciò non è possibile. Siccome Q(0) = 1, abbiamo Q(z) = 1 + b k z k + + b n z n ove k è scelto in modo che b k 0 (e b n è necessariamente diverso da 0 perché P è di grado n e quindi anche Q). Consideriamo, per h reale positivo, la funzione f(h) = Q(hρ) con ρ una qualsiasi radice k-esima di 1 b k. Abbiamo allora: Possiamo riscriverlo f(h) = 1 h k + b k+1 ρ k+1 h k b n ρ n h n. f(h) = 1 h k ( 1 + b k+1 ρ k+1 h + + b n ρ n h n k). 1 a dir la verità è il minimo su tutto C perché fuori dal disco il modulo è almeno 2 a 0, mentre P (0) = a 0 quindi il minimo sul disco è minore o uguale a a 0

4 Poniamo g(h) = 1 + b k+1 ρ k+1 h + + b n ρ n h n k (cioè la parte tra parentesi). Abbiamo allora f(h) = 1 h k g(h). Per h sufficientemente piccolo, g(h) è vicina ad 1. Per essere più precisi, prendiamo ( ) 1 ε = min 4(n k)b k+1 ρ k+1, 1 4(n k)b k+2 ρ k+2,..., 1 n k 4(n k)b n ρ n, dove si intende che se un b i = 0 allora scompare dal minimo (osservazione: se b i = 0, la frazione sarebbe infinita, quindi il termine che contiene b n sarebbe più piccolo di questo e quindi ha senso eliminarlo dal minimo). Per ragioni simili a quelle viste in precedenza per P, se 0 < h ε abbiamo g(h) 1 1. In altre parole, per 4 0 < h ε il complesso g(h) sta nel disco di centro 1 e raggio 1. 4 Ricordiamo che abbiamo P (hρ+z 0) = Q(hρ) = f(h) = 1 h k g(h). Cioè f(h) è P (z 0 ) la distanza tra 1 e h k g(h). Guardiamo allora il grafico seguente: centro 0 raggio 1 centro 1 raggio C: centro 1 raggio 1 4 Il valore di g(h) sta all interno della circonferenza C di centro 1 e raggio 1 4. Allora per 0 < h min(1, ε), h k g(h) sta all interno della parte di piano che è delimitata a destra dalla circonferenza C, e sopra e sotto dai due segmenti che partono da 0 e sono tangenti alla circonferenza C (parte rappresentata sul grafico). Si vede che questa specie di triangolo (con la base circolare) è tutto all interno del disco di centro 1 e di raggio 1. Cioè tutti i punti di questo triangolo sono a distanza minore di 1 del punto 1. La distanza da 1 a h k g(h) deve quindi essere minore di 1 e ciò significa che f(h) < 1 per 0 < h min(1, ε). Di conseguenza 1 non è il minimo di Q(z) e siamo arrivati ad una contraddizione. Quindi Q(0) = 0 e di conseguenza P (z 0 ) = 0 e abbiamo finito 2. 2 La dimostrazione ci dice un po di più: ci dice che ogni minimo relativo di P (z) è uguale a 0, cioè se in z 0 c è un minimo relativo di P (z) allora P (z 0 ) = 0, cioè z 0 è una radice di P 4

5 Metodo di risoluzione delle equazioni del terzo grado Presentiamo il metodo di risoluzioni delle equazioni del terzo grado immaginato da Tartaglia e Cardano..1 Osservazione sulle equazioni del secondo grado Sia P (X) = X 2 + ax + b un polinomio (unitario) del secondo grado. Se z 0 e z 1 sono le soluzioni di P (X) = 0, allora P (X) = (X z 0 )(X z 1 ) e quindi X 2 +ax+b = X(X z 1 ) z 0 (X z 1 ) = X 2 z 1 X z 0 X+z 0 z 1 = X 2 (z 0 +z 1 )X+z 0 z 1. Segue che z 0 + z 1 = a e z 0 z 1 = b. Reciprocamente, se z 0 e z 1 sono due complessi di cui si conosce la somma S e il prodotto P allora (X z 0 )(X z 1 ) = = X 2 (z 0 + z 1 )X + z 0 z 1 = X 2 SX + P. Quindi z 0 e z 1 sono le due radici del polinomio Q(X) = X 2 SX + P. Si può procedere in modo diverso: abbiamo z 0 +z 1 = S quindi z 2 0 +z 0 z 1 = Sz 0 quindi z P = Sz 0 cioè z 2 0 Sz 0 + P = 0. Nello stesso modo z 2 1 Sz 1 + P = 0. Quindi z 0 e z 1 sono le due radici di Q(X) = X 2 SX + P..2 Le radici cubiche dell unità Denotiamo j = e 2iπ quindi Abbiamo j 2 = e 4iπ quindi j = i 2. j 2 = 1 2 i 2. Osserviamo che j 2iπ i = e = e 2iπ = 1. Da j = 1 segue j 4 = 1 j = j. Osserviamo inoltre che 1 + j + j 2 = i i 2 = 0. Da 1 + j + j 2 = 0 segue j + j 2 = 1 (si può anche vedere direttamente calcolando la somma). Non è fondamentale per i nostri scopi ma val la pena osservare che j 2 = j. 5

6 . Le equazioni in forma ridotta Sia P (X) = X + px + q. Cerchiamo le radici di P sotto la forma z 0 = A+ B z 1 = ja+j 2 B z 2 =j 2 A+ jb Quindi z 0, z 1 e z 2 saranno le radici di P se e solo se Calcoliamo quindi P (X) = (X z 0 )(X z 1 )(X z 2 ) = ( X 2 (z 0 + z 1 )X + z 0 z 1 ) (X z2 ) = X (z 0 + z 1 )X 2 + z 0 z 1 X z 2 X 2 + (z 0 + z 1 )z 2 X z 0 z 1 z 2 = X (z 0 + z 1 + z 2 )X 2 + (z 0 z 1 + z 1 z 2 + z 2 z 0 )X z 0 z 1 z 2. z 0 + z 1 + z 2 = A + B + ja + j 2 B + j 2 A + jb = (1 + j + j 2 )A + (1 + j 2 + j)b = 0. z 0 z 1 + z 1 z 2 + z 2 z 0 = (A + B)(jA + j 2 B) + (ja + j 2 B)(j 2 A + jb) + (j 2 A + jb)(a + B) = ja 2 + j 2 AB + jab + j 2 B 2 + j A 2 + j 2 AB + j 4 AB + j B + j 2 A 2 + j 2 AB + jab + jb 2 = (j j 2 )A 2 + (j 2 + j + j 2 + j + j 2 + j)ab + (j j)b 2 = 0A 2 + ( 1 1 1)AB + 0B 2 = AB. z 0 z 1 z 2 = (A + B)(jA + j 2 B)(j 2 A + jb) = (ja 2 + j 2 AB + jab + j 2 B 2 )(j 2 A + jb) = (ja 2 AB + j 2 B 2 )(j 2 A + jb) = j A + j 2 A 2 B j 2 A 2 B jab 2 + j 4 AB 2 + j B 2 = A + B. Quindi i complessi z 0, z 1 e z 2 saranno soluzioni se e solo se p = AB e q = (A + B ). Quindi la somma di A e B è q e il prodotto A B = (AB) = p. Dall osservazione 27 fatta nel.1, A e B sono le due radici del polinomio Il suo discriminante è Q(X) = X 2 + qx p 27. = q p e quindi le soluzioni sono q ± q p 2 = 9q ± (4p + 27q 2 ). 18 6

7 Chi si sceglie per A o per B non importa: scambiando A e B si scambiano z 1 e z 2. Scegliamo quindi A = 9q + (4p + 27q 2 ), 18 dove la radice quadrata è una qualsiasi delle due possibili, abbiamo cioè A = 9q + (4p + 27q 2 ). 18 La radice cubica di cui sopra significa una delle tre radici cubiche (non importa quale: infatti, le tre possibilità differiscono una dall altra per moltiplicazione da j o j 2, quindi se scegliamo una o l altra radice cubica facciamo una permutazione della terna (z 0, z 1, z 2 )). Ci sono allora due possibilità: se A 0, allora B = p A. Se A = 0 allora necessariamente p = 0 (perché il coefficiente costante di Q è p ), quindi 27 Q(X) = X 2 + qx e dobbiamo prendere sono dove Riassumendo le radici di B = q. P (X) = X + px + q z 0 = A+ B z 1 = ja+j 2 B z 2 =j 2 A+ jb Se p 0 Se p = 0 A = 9q+ (4p +27q 2 ) A = 0 18 B = p B = q. A Sia la radice quadrata che la radice cubica sono una delle possibili radici (la forma delle soluzioni assicura che le scelte fatte non cambiano l insieme delle soluzioni). Tali formule non devono essere imparate a memoria. La quantità = 4p 27q 2 si chiama discriminante dell equazione di terzo grado. Se p e q sono reali allora ci sono soluzioni reali se e solo se 4p 27q 2 è maggiore o uguale a 0 (come nel caso del discriminante di un equazione del secondo grado). Inoltre c è una soluzione doppia (o tripla) se e solo se = 0 (come nel caso del discriminante di un equazione del secondo grado). Si può verificare che = (z 0 z 1 ) 2 (z 1 z 2 ) 2 (z 2 z 0 ) 2. 7

8 .4 L equazione generica Consideriamo il polinomio P (X) = X + ax 2 + bx + c. Abbiamo visto sopra come trovare le sue radici nel caso in cui a = 0. Se non sappiamo che a = 0, possiamo considerare il polinomio P (X) = P ( X a ) ( = X a ) ( + a X a ) 2 ( + b X a ) + c. Calcoliamo parzialmente il polinomio P (X): P (X) = X a X2 + + ax 2 + = X + dove i puntini stanno per un polinomio di grado (al massimo) 1 (si può svolgere il conto fino in fondo per avere la scrittura esatta di P ). Cioè P (X) = X + px + q con p e q che dipendono da a, b e c (basta svolgere il conto per avere le espressioni esatte). Possiamo allora trovare le radici z 0, z 1 e z 2 di P utilizzando il metodo del paragrafo. e le radici di P saranno z 0 + a, z 1 + a, z 2 + a. 8

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