CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N DEL 31 LUGLIO 2013

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N 40/2013 11 Novembre 2013 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine ma, pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. LA CHIUSURA DELLA SOLA UNITA PRODUTTIVA NON GIUSTIFICA IL LICENZIAMENTO DELLA LAVORATRICE NEO-MAMMA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 18363 DEL 31 LUGLIO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 18363 del 31 luglio 2013, ha statuito l'illegittimità del licenziamento irrogato alla lavoratrice in maternità, laddove lo stesso non sia motivato da una cessazione totale dell'attività ma, solo dalla chiusura dell'unità produttiva alla quale la dipendente era adibita. Nel caso de quo, una lavoratrice, ancora nel periodo di tutela legale per maternità, veniva licenziata a seguito della chiusura del centro estetico di Torino presso il quale era occupata. L'Azienda, però, continuava regolarmente la propria attività presso gli altri centri estetici siti in varie località italiane. 1

Orbene, gli Ermellini, chiamati in causa per dirimere i contrasti di merito (pro-datore in I grado, pro-lavoratrice in appello), nell'avallare in toto il decisum della Corte territoriale, hanno sottolineato come la previsione normativa derogativa al divieto di licenziamento della dipendente neo-mamma ex art. 54 co. 3 del D. Lgs. n 151/2001 (id: Testo Unico della maternità e della paternità) abbia efficacia nel solo caso di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta, non essendo suscettibile di applicazione estensiva. Pertanto, atteso che, nel caso in commento la cessazione dell'attività non riguardava l'intera azienda ma, ex adverso, esclusivamente la singola unità produttiva, i Giudici dell'organo di nomofilachia hanno sancito l'illegittimità dell'atto di recesso datoriale. IL RICORSO IN AUTOTUTELA PER L AGGIUDICAZIONE DI UNA GARA PUBBLICA NON SOSPENDE I TERMINI PER LA PROPOSIZIONE DEL RICORSO AL T.A.R.. CONSIGLIO DI STATO SENTENZA N. 4356 DEL 2 SETTEMBRE 2013 Il Consiglio di Stato, sentenza n 4356 del 2 settembre 2013, ha affermato che, il termine previsto per la proposizione di ricorsi davanti al giudice amministrativo non può essere sospeso sollecitando il potere di autotutela dell'amministrazione. Nel caso in specie, la Commissione di Gara di un Ente Pubblico per i Servizi Tecnico- Amministrativi della Regione Toscana aggiudicava, in via definitiva, alla società risultante prima in graduatoria, un appalto riguardante i servizi di archiviazione presso un azienda sanitaria. La seconda classificata, costituita in A.T.I., con informativa ex art. 243 bis del D.Lgs. n. 163/2006, preannunciava l'intendimento di proporre ricorso giurisdizionale ed invitava la Stazione Appaltante ad agire in autotutela, disponendo d'ufficio l'annullamento della predetta aggiudicazione. Sospesa dapprima la stipula del contratto, si riuniva nuovamente la Commissione di Gara che, con nuova determinazione, disponeva definitivamente l aggiudicazione dell appalto ancora una volta alla società prima in graduatoria. L'A.T.I., insoddisfatta, proponeva ricorso dinanzi al T.A.R. per la Toscana che ne accoglieva le doglianze e stabiliva l aggiudicazione dell appalto alla seconda classificata. La questione è stata riproposta in appello dalla società esclusa, in relazione alla paventata tardività del ricorso principale, per non essere stato impugnato nei termini decorrenti dalla prima determinazione di aggiudicazione. 2

Orbene, il Consiglio di Stato ha ribaltato il giudizio di prime cure e confermato l'orientamento già espresso dalla costante giurisprudenza secondo cui, il termine previsto per la proposizione di ricorsi, davanti al giudice amministrativo, avverso l'aggiudicazione di una gara pubblica, non può essere riaperto sollecitando il potere di autotutela dell'amministrazione. Pertanto, il concorrente non aggiudicatario di un pubblico appalto, che non abbia tempestivamente impugnato l'atto lesivo dell'aggiudicazione ad altro candidato, non può essere così rimesso in termini, posto che la richiesta di un intervento in autotutela conseguirebbe l'elusione del sistema dei termini decadenziali e vanificherebbe l'esistenza di una celere definizione della lite, propria della normativa sulle gare pubbliche. I CRITERI DI QUANTIFICAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO E DI QUELLO MORALE DEVONO ESSERE AUTONOMAMENTE DETERMINATI ED ESPRESSAMENTE INDICATI NELLA SENTENZA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 18806 DEL 7 AGOSTO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 18806 del 7 agosto 2013, ha statuito che la liquidazione del danno biologico e di quello morale deve essere effettuata singolarmente e con autonomi criteri di quantificazione che devono essere dettagliatamente indicati nelle motivazioni della sentenza. Nel caso in commento, un'infermiera, nel sollevare un degente non autosufficiente, restava infortunata riportando una lesione alla colonna vertebrale. I Giudici di merito, aditi dalla subordinata, liquidavano il danno biologico e morale, in suo favore, cumulativamente ed in base ad una generica equa valutazione del danno. Il datore, attesa la genericità delle motivazioni e l'impossibilità di conoscere le singole modalità di quantificazione del danno biologico e morale, ricorreva in Cassazione. Orbene, i Giudici del Palazzaccio, nell'accogliere le doglianze del ricorrente, hanno sottolineato come il danno biologico e quello morale debbano essere distintamente quantificati attraverso criteri oggettivi ed autonomi, verificabili dalle parti interessate attraverso la disamina delle motivazioni della sentenza. 3

Pertanto, atteso che nel caso di specie le motivazioni di merito erano inficiate da un eccesso di genericità, i Giudici di Piazza Cavour hanno rinviato gli atti alla Corte di Appello, in diversa composizione, per un nuovo decisum. LE CONDOTTE CHE LEGITTIMANO IL LICENZIAMENTO DICIPLINARE CONTENUTE NEI CONTRATTI COLLETTIVI HANNO VALORE PURAMENTE INDICATIVO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 20158 DEL 3 SETTEMBRE 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 20158 del 3 settembre 2013, ha (ri)confermato che l'elencazione delle condotte legittimanti l'irrogazione della sanzione del licenziamento per giusta causa, contenute nei C.C.N.L., hanno valore puramente indicativo e non tassativo. Nel caso de quo, un lavoratore chiedeva al Tribunale del lavoro di Roma l'annullamento del licenziamento disciplinare intimatogli in relazione alla sentenza di condanna a suo carico per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti. Il Tribunale di Roma rigettava la domanda. La Corte di appello di Roma rigettava l'appello ed osservava che il contratto collettivo - che prevedeva il licenziamento per giusta causa per detenzione e per uso o spaccio di sostanza stupefacenti all'interno della struttura - offriva solo un elenco di condotte sanzionabili con il recesso per giusta causa a titolo meramente indicativo e non esaustivo; i fatti addebitati, pur estranei all'ambiente ed alla prestazione di lavoro, erano talmente gravi da ledere il rapporto fiduciario, posto che il lavoratore era stato condannato per il reato di spaccio di tre grammi di cocaina. Dello stesso avviso la Suprema Corte che, contrariamente a quanto sostenuto dal lavoratore, ha ravvisato ulteriori argomenti di gravità a sostegno del giudicato che connotavano più gravemente la lesione del vincolo fiduciario. All uopo, la prestazione di lavoro si svolgeva in una Casa di Cura per degenti che opera come residenza per anziani non autosufficienti. Sapere che un dipendente, addetto a mansioni assistenziali in un ambiente così particolare e delicato, era stato condannato per spaccio di cocaina, non poteva che rompere il vincolo fiduciario tra le parti, apparendo connotato da un particolare disvalore ambientale come aveva osservato la Corte territoriale. I fatti esponevano indubbiamente la Casa di Cura ad eventuali danni e ripercussioni per la innegabile perdita di immagine, donde la conferma del licenziamento. 4

E LEGITTIMO L ACCERTAMENTO NEI CONFRONTI DEL DIPENDENTE PER LE RITENUTE NON VERSATE DAL DATORE DI LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 23121 DELL 11 OTTOBRE 2013 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 23121 dell 11 ottobre 2013, ha sancito che, in caso di mancato pagamento della ritenuta d acconto, l Amministrazione Finanziaria può emettere accertamento direttamente a carico del lavoratore il quale può poi agire, in via di regresso, nei confronti del sostituto d imposta. IL FATTO Un lavoratore riceveva la notifica di un avviso d accertamento da parte dell Amministrazione finanziaria, quale responsabile in solido con il proprio datore di lavoro, per l omesso versamento di ritenute d acconto attinenti il rapporto di lavoro subordinato intercorso. Il contribuente provvedeva ad impugnare il suddetto avviso dinanzi alle commissioni tributarie ottenendone l annullamento in entrambi i gradi del giudizio di merito. Da qui il ricorso per Cassazione da parte dell Agenzia delle Entrate. Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, dopo aver affermato che non poteva condividersi la considerazione fatta dai giudici di merito secondo cui in presenza di un'unica fonte di reddito costituita da lavoro dipendente le ritenute assumano il carattere di ritenuta definitiva a titolo d imposta, hanno osservato che, a prescindere se la ritenuta sia a titolo d imposta e a titolo di acconto, la definizione di sostituto d imposta contenuta nell art. 64, comma 1, del DPR 600/73 (id: colui che in forza di disposizione di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri [ ] ed anche a titolo di acconto ) non esclude che, in ogni caso, anche il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in fase di riscossione) obbligato solidale al pagamento dell imposta. Ciò posto, il sostituito è egli stesso soggetto all accertamento ed a tutti i conseguenti oneri; resta fermo, ovviamente, il diritto di rivalsa verso il sostituto che, dopo avere effettuato la ritenuta, non l abbia versata all Erario (cfr. Cass. n. 14033 del 2006 e n. 24962 del 2010). 5

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell Agenzia delle Entrate con rinvio al giudice di merito per un nuovo esame. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. 6