NON PIGNORABILI I CONTI CORRENTI, POSTALI E BANCARI, DEI LAVORATORI DIPENDENTI E PENSIONATI CON REDDITI MENSILI FINO A EURO 5.000,00#.

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N 16/2013 29 Aprile 2013 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. NON PIGNORABILI I CONTI CORRENTI, POSTALI E BANCARI, DEI LAVORATORI DIPENDENTI E PENSIONATI CON REDDITI MENSILI FINO A EURO 5.000,00#. EQUITALIA NOTA DEL 23 APRILE 2013 Equitalia, nota del 23 aprile 2013, ha reso noto alle sue sedi periferiche, che non sarà possibile alcun pignoramento sui conti correnti bancari e postali di lavoratori dipendenti e pensionati, con la sola eccezione rappresentata da chi può contare su un reddito da almeno 5mila euro al mese. Pertanto, dallo scorso 23 Aprile, Equitalia ha posto fine, in via operativa e nelle more di una soluzione legislativa, ad una assurda ed iniqua normativa, per effetto della quale sarebbe stato possibile pignorare l intera consistenza di un conto corrente, anche nei casi in cui sul conto fossero confluiti soltanto stipendi e/o pensioni. Viceversa, qualora l Ente creditore avesse proceduto ad un pignoramento presso terzi (id: datore di lavoro e/o ente pensionistico), sarebbe 1

incorso nei limiti fissati dal decreto sulle semplificazioni fiscali (id: articolo 3, comma 5 del Dl 16/2012), ergo: un decimo per importi mensili fino a 2.500 euro; un settimo per importi superiori a 2.500 euro ma non superiori a 5.000 euro; un quinto per importi superiori a euro mensili 5.000,00#. LA NOTIFICA A MEZZO FAX AL LEGALE COSTITUITO E DA CONSIDERARE CORRETTAMENTE AVVENUTA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA ORDINANZA N. 8013 DEL 2 APRILE 2013 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, ordinanza n 8013 del 2 Aprile 2013, ha statuito che, la comunicazione della cancelleria, inviata al procuratore di parte al numero di fax da quest ultimo indicato nell atto, si considera correttamente notificata se il rapporto di trasmissione dà l ok, restando a carico del legale la possibilità di fornire la prova contraria della mancata ricezione. I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, uniformandosi a precedente giurisprudenza della stessa Corte (cfr. Cass. n. 5168/2012), hanno (ri)affermato che, la comunicazione a mezzo fax rientra, a norma dell art. 136 c.p.c., così come novellato dal D.L. n. 273/2005, tra le modalità di comunicazione alla parte del biglietto di cancelleria, quando è accertata l impossibilità di procedere alla consegna diretta o alla trasmissione a mezzo posta elettronica certificata. Vi è, dunque, hanno concluso i giudici nomofilattici, una presunzione di conoscenza quando l esito del rapporto di trasmissione è positivo e da esso risulta che il numero dell utente è quello corretto. Spetta, pertanto, al destinatario addurre elementi validi a confutare l avvenuta ricezione. AI FINI DELLA DEDUZIONE DEL MOBBING E NECESSARIA L ALLEGAZIONE DI UNA PREORDINAZIONE FINALIZZATA ALL EMARGINAZIONE DEL DIPENDENTE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 7985 DEL 2 APRILE 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 7985 del 2 Aprile 2013, ha affermato che il mobbing presuppone l'esistenza, e, quindi, l allegazione di una serie di atti vessatori teleologicamente collegati, al fine dell'emarginazione del soggetto passivo. 2

Nel caso in specie, la Corte di Appello di Perugia, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda di un lavoratore, proposta nei confronti del Comune di Nocera Umbra di cui era dipendente, avente ad oggetto la declaratoria dell'illegittimità della revoca dell'incarico di responsabile di sezione, con conseguente sua reintegrazione nel posto precedentemente occupato e condanna di controparte al risarcimento dei danni. Il lavoratore, lamentava altresì la dequalificazione professionale subita, conseguente alla privazione di qualsiasi incarico. La predetta Corte rilevava, invero, che il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che gli incarichi erano rimasti "sulla carta", non avendo avuto esecuzione, e che egli stesso era, perciò, rimasto inoperoso. La Suprema Corte, all uopo adita dal lavoratore, ne ha rigettato il ricorso, uniformandosi al giudizio espresso dai giudici di prime cure, secondo i quali, il mobbing presuppone l'esistenza e l'allegazione di una serie di atti vessatori, teleologicamente collegati, al fine dell'emarginazione del soggetto passivo. In altri termini, non è sufficiente la prospettazione di un mero "svuotamento delle mansioni", occorrendo, ai fini della deduzione del mobbing, anche l'allegazione di una preordinazione finalizzata all'emarginazione del dipendente. L ASPETTATIVA PER MALATTIA, AL TERMINE DEL PERIODO DI COMPORTO, HA EFFETTO SOSPENSIVO E DILATORIO DEI TERMINI PER LA LEGITTIMITA DEL LICENZIAMENTO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 6711 DEL 18 MARZO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 6711 del 18 Marzo 2013, ha dichiarato che i limiti temporali, per poter procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto, devono comprendere, oltre che detto periodo, anche quello dell'aspettativa per malattia, se richiesta dal lavoratore. Nella vicenda in esame, la Corte d'appello di Brescia aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore per superamento del periodo di prova, durante un periodo di aspettativa non retribuita, con effetto differito alla cessazione dello stesso. La società datrice di lavoro ricorreva in Cassazione, lamentando l erronea valutazione dei giudici di prime cure in relazione all esatta portata dell art. 51 CCNL imprese di pulizia, 3

che prevede la facoltà del datore di lavoro di licenziare il dipendente per superamento del periodo di comporto, anche laddove il successivo periodo di aspettativa, eventualmente richiesto, non sia cessato. La Suprema Corte, all uopo compulsata, ha ricordato l esatta portata dell art. 51 del CCNL imprese di pulizia che, dopo aver stabilito in mesi 36 il periodo di comporto, ai commi 7, 8 e 9, stabilisce: "Superati i limiti di conservazione del posto, l'azienda, su richiesta del lavoratore, concederà un periodo di aspettativa non superiore a 4 mesi durante il quale, il rapporto di lavoro rimane sospeso a tutti gli effetti senza decorrenza della retribuzione e di alcun istituto-contrattuale. Decorsi i limiti di cui sopra, l'impresa, ove proceda al licenziamento del lavoratore, corrisponderà il trattamento di fine rapporto di lavoro e l'indennità sostitutiva di preavviso [...]". I Giudici di Piazza Cavour hanno ulteriormente osservato che, facendo applicazione dei criteri di ermeneutica negoziale, di cui agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., occorre interpretare il contratto, partendo dal senso letterale delle parole, senza limitarsi ad esso e con il fine di accertare quale sia stata la comune volontà delle parti, tenendo conto, altresì, del criterio sistematico della correlazione delle singole clausole al senso complessivo dell'atto. In base a questi criteri va, innanzitutto, evidenziato che l'espressione "il rapporto di lavoro rimane sospeso a tutti gli effetti" è già di per sé stessa indicativa della permanenza del vincolo contrattuale durante l'aspettativa e di un rinvio alla cessazione di detto periodo dell'esercizio dei diritti ed obblighi delle parti, permanenza che sarebbe priva di significato, se fosse consentito un recesso, ad effetti differiti, al termine del periodo di aspettativa. Pertanto, hanno concluso gli Ermellini nel rigettare il ricorso proposto, ne consegue che i limiti temporali, per poter procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto, devono essere ulteriormente dilatati, in modo da comprendere, oltre che il periodo di comporto, anche quello dell'aspettativa se richiesta dal lavoratore. L OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE PREVIDENZIALI NON E PUNIBILE SE IL DEBITORE NON VIENE MESSO A CONOSCENZA DI POTER SANARE L ILLECITO. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 15632 DEL 4 APRILE 2013 4

La Corte di Cassazione Sezione Penale -, sentenza n 15632 del 4 aprile 2013, ha statuito che la sanzione penale, prevista a carico del datore di lavoro che non effettui il versamento delle ritenute a carico del lavoratore, può essere applicata solo dopo che il trasgressore sia stato informato della facoltà di estinguere il reato mediante il versamento del dovuto. Come noto, l art. 2 comma 1-bis della Legge 638/1983 prevede che, nel caso in cui il datore non versi i contributi a carico del lavoratore, regolarmente trattenuti, sia passibile della pena della reclusione fino a tre anni o della multa fino a euro 1.032,91. Nel caso in cui, lo stesso provveda al versamento di quanto dovuto entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell avvenuto accertamento della violazione, è applicabile la clausola della non punibilità. Nel caso de quo, l amministratore di un condominio veniva condannato, nei gradi di merito, per l omesso versamento delle ritenute per lavoro dipendente. Dal procedimento istruttorio emergeva, però, che lo stesso non aveva mai ricevuto la diffida da parte dell INPS e che il decreto di citazione in giudizio non riportava la facoltà concessa dalla norma richiamata. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, aditi dall amministratore, nel ribaltare il deliberato di prime cure, hanno sottolineato come il datore di lavoro inadempiente debba essere informato dell omissione contributiva e della correlata clausola di non punibilità - ex art. 2 c. 1-bis L. 638/1983. Il decreto di citazione in giudizio può essere ritenuto sostitutivo dell avviso INPS solo, laddove, abbia un contenuto equipollente all avviso dell Ente previdenziale. Pertanto, atteso che nel caso de quo, il debitore non era stato correttamente informato in merito alla clausola di non punibilità, gli Ermellini hanno cassato la sentenza e rinviato gli atti ai Giudici di merito. LA DENUNCIA INFORTUNIO HA VALORE CONFESSORIO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 8611 DEL 9 APRILE 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 8611 del 9 aprile 2013, ha statuito che, deve essere attribuito valore confessorio alla denuncia d infortunio, resa dal datore di lavoro, per la parte in cui contiene la descrizione delle circostanze generatrici dell evento traumatico. 5

Nel caso de quo, un lavoratore, infortunatosi cadendo da uno scaffale, adiva la Magistratura per ottenere la condanna del datore di lavoro. I Giudici di Merito rigettavano la domanda, sostenendo che il dipendente non avesse dato prova dei fatti, non potendosi attribuire valore confessorio alla denuncia di infortunio presentata dall azienda, in quanto resa senza cognizione delle possibili conseguenze giuridiche. Il subordinato ricorreva in Cassazione. Orbene, gli Ermellini, nel ribaltare il decisum di merito, hanno sottolineato come l elemento soggettivo della confessione (id: animus confitendi) si configuri come mera volontà e consapevolezza di riconoscere la verità del fatto, anche nel caso in cui manchi la consapevolezza delle (nefaste) conseguenze giuridiche. Pertanto, atteso che nel caso di specie il datore aveva scientemente indicato nella denuncia di infortunio che il dipendente era effettivamente caduto da uno scaffale, i Giudici di Piazza Cavour hanno condannato l azienda al risarcimento del danno in suo favore, attesa la mancata adozione delle necessarie misure di sicurezza nei luoghi di lavoro ex art. 2087 c.c. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. 6