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ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 44/2015 Napoli 30 Novembre 2015 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. LE IMMAGINI DEI SISTEMI DI VIDEOSROVEGLIANZA SONO PIENAMENTE UTILIZZABILI NEL CORSO DEL PROCESSO PENALE ANCHE SE L'IMPUTATO E' UN LAVORATORE SUBORDINATO DELL'AZIENDA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 39206 DEL 15 MAGGIO 2015 La Corte di Cassazione Sezione Penale -, sentenza n 39206 del 15 maggio 2015, ha statuito che le immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza aziendale possono legittimamente essere utilizzate, in sede di processo penale, anche se l'imputato è un lavoratore dipendente. Nel caso in disamina, il dipendente di una farmacia veniva condannato, nei gradi di merito, sia alla adeguata pena di giustizia che al risarcimento del danno, per aver sottratto farmaci e denaro dall'azienda ove era occupato. La prova di tale comportamento criminoso veniva acquisita attingendo alle riprese effettuate dal sistema di videosorveglianza aziendale. 1

Il prestatore ricorreva in Cassazione sostenendo l'inutilizzabilità delle immagini per palese violazione dell'art. 4 della L. n 300/70 che disciplina l'utilizzo degli impianti audiovisivi sui luoghi di lavoro. Orbene, gli Ermellini, nel confermare integralmente il deliberato dei prime cure, hanno evidenziato che le immagini riprese dai sistemi di videosorveglianza datoriali, installati al fine di tutelare il patrimonio aziendale, sono legittimamente utilizzabili, in sede penale, al fine di dimostrare il comportamento criminoso posto in essere dal proprio dipendente. Pertanto, atteso che, nel caso de quo, il lavoratore si era reso colpevole della sottrazione di costosi farmaci, e finanche di somme di denaro, i Giudici dell'organo di nomofilachia ne hanno confermato la condanna (anche) al risarcimento del danno cagionato, ed ampiamente comprovato, nel corso del procedimento istruttorio, dalle immagini registrate dal sistema di videosorveglianza. GRAVA SUL DATORE DI LAVORO L'ONERE DI DIMOSTRARE L'INADEMPIMENTO FORMATIVO PER CAUSE IMPUTABILI ALL'APPRENDISTA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 22624 DEL 5 NOVEMBRE 2015 La Corte di Cassazione, sentenza n 22624 del 5 novembre 2015, ha ribadito che l'elemento essenziale del contratto di apprendistato è costituito dall'addestramento effettivo del lavoratore al fine di acquisire una professionalità qualificata. Nella vicenda in esame, la Corte d'appello di Firenze confermava la nullità di un contratto di apprendistato per inadempimento formativo e, conseguentemente, dichiarava l'illegittimità del recesso datoriale per superamento del periodo di comporto in quanto calcolato erroneamente sulla base del contratto apparente (id: apprendistato). Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il datore di lavoro lamentando che, invero, la Corte aveva trascurato circostanze che deponevano per una scarsa collaborazione del lavoratore, non avendo evidenziato che l'elevato numero di assenze per malattia avevano reso impossibile programmare i corsi di formazione. 2

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ed ha ribadito che la formazione del lavoratore costituisce elemento essenziale del contratto di apprendistato. Pertanto, nel caso in specie, hanno continuato gli Ermellini, incombeva sul datore di lavoro l'onere di dimostrare che la causa dell'inadempimento formativo era dipesa dalle assenze per malattia del lavoratore, allegando prova dell'effettivo svolgimento dei corsi di formazione nelle medesime giornate. Infatti, trattandosi di un'eccezione di natura estintiva dell'obbligazione nascente dal contratto di apprendistato, la stessa non poteva che gravare sulla parte che l'aveva sollevata e che intendeva avvalersene ai fini dell'esonero dalla responsabilità contrattuale. GLI STUDI DI SETTORE NON RISULTANO APPLICABILI IN CASO DI FORTE CRISI ECONOMICA QUANDO LO SCOSTAMENTO DEI RICAVI RISPETTO AGLI STANDARD RISULTA LIEVE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 22946 DEL 10 NOVEMBRE 2015 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 22946 del 10 novembre 2015, ha precisato che gli studi di settore non sono applicabili qualora i maggiori ricavi contestati rappresentino una percentuale bassa dello scostamento rispetto a quanto dichiarato dall'imprenditore, soprattutto in periodo di forte crisi economica. Nel caso in specie, a carico di una ditta di autotrasporti l Agenzia delle Entrate aveva emesso avviso d accertamento ai fini IRPEF e IVA sulla base delle risultanze degli studi di settore rilevando uno scostamento del 21% rispetto ai ricavi dichiarati. Sia in primo grado che in secondo l imprenditore riusciva ad ottenere l annullamento del suddetto avviso. In particolare i Giudici della C.T.R. avevano riconosciuto che lo scostamento dei ricavi accertati rispetto a quanto dichiarato dal contribuente era del 21 % e che ciò non poteva essere qualificata come incongruenza grave ex art. 62 sexies D.L. n. 331/93. Inoltre, sempre i Giudici di Appello, facevano rilevare come nell avviso di accertamento impugnato, mancavano delle specifiche motivazioni a sostegno della decisione dell Ufficio dell Amministrazione finanziaria di non prendere in considerazione i chiarimenti 3

forniti dal contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale e la documentazione depositata. Ebbene, con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour hanno confermato la decisione della C.T.R. respingendo l impugnazione proposta dalla difesa erariale, (ri)affermando che la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l applicazione dei parametri o degli studi di settore, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza, non è determinata per legge dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards, ma nasce soltanto all esito del contraddittorio che deve essere attivato obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell accertamento. In sede di contraddittorio, il contribuente potrà, con ogni mezzo e contenuto, provare la sussistenza di condizioni che giustificano l esclusione della propria impresa dall area dei soggetti ai quali sono applicabili gli standards o illustrare la specifica realtà della propria attività economica, nel periodo preso in esame (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012). In tale quadro complessivo, gli Ermellini hanno così chiarito che "il tema della grave incongruenza appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l Ufficio procede dalla rilevazione dello scostamento ed incrementa il significato presuntivo ad esso attribuibile se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori ed avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analiticopresuntivo" ed ancora che "la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse (id: nel caso in esame il 21%), ma deve avere come riferimento altri indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività" (cfr. Cass. n. 26843/2014). 4

Alla luce delle considerazioni suddette il ricorso dell Amministrazione finanziaria è stato rigettato. LA DELIBERA DELL ASSEMBLEA VINCOLANTE SE NON E IMPUGNATA NEI TERMINI DI LEGGE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE CIVILE - SENTENZA N. 22349 DEL 2 NOVEMBRE 2015 La Corte di Cassazione I Sezione Civile -, sentenza n 22349 del 2 novembre 2015, ha statuito che le delibere dell assemblea contrarie alla legge ovvero all atto costitutivo, la mancanza del verbale, l impossibilità o illiceità dell oggetto, e le delibere del consiglio di amministrazione lesive dei diritti dei soci, sono impugnabili, ai fini dell annullamento o di declaratoria di nullità, entro il termine previsto dagli articoli 2377, 2378, 2379 e 2388, c.4 del C.C., che rappresenta la regola generale vigente in tema di disciplina dell invalidità delle deliberazioni assembleari delle società di capitali. Pertanto, quando il socio, pur se dissenziente, non abbia proposto la relativa impugnazione, la delibera assembleare resta, comunque, esecutiva e altrettanto vincolante per la società, per la pluralità dei soci e nei confronti dei terzi. Ex adverso, nella sola ipotesi di deliberazioni che modificano l oggetto sociale prevedendo eventualmente attività illecite o verosimilmente impossibili è consentita, ai sensi dell articolo 2479, c.1, l impugnazione della delibera sine die ed il rilievo d ufficio della nullità da parte del Giudice, sempre senza limiti di tempo. Nel caso di specie, gli Ermellini con la sentenza de qua, confermando quanto già decretato dai Giudici di Prime Cure, hanno ritenuto in toto infondate le doglianze lamentate da un socio riguardanti il recesso di quest ultimo avvenuto in seguito alla sottoscrizione di un aumento del capitale sociale adottata in assenza del ricorrente. 5

L ORGANIZZAZIONE DELL IMPRESA COMPETE SOLO ED ESCLUSIVAMENTE ALL IMPRENDITORE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 23698 DEL 19 NOVEMBRE 2015 La Corte di Cassazione, sentenza n 23698 del 19 novembre 2015, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo, in quanto l'adibizione a mansioni inferiori del dipendente licenziato avrebbe comportato la necessità di modificare l'assetto organizzativo aziendale, la cui scelta è rimessa esclusivamente al datore di lavoro. Nel caso in commento, sia il Tribunale che la Corte d'appello di Brescia accoglievano l'impugnativa di licenziamento ed in particolare la Corte d'appello riteneva rilevante il fatto che, a fronte della soppressione del posto di lavoro, non vi fosse stata un'offerta di reimpiego a mansioni inferiori di responsabile ufficio acquisti, resosi vacante al momento del licenziamento e compatibile con profilo professionale il ricorrente. Nel caso de quo, Gli Ermellini, hanno ribadito, in materia di disciplina delle mansioni e sul divieto di demansionamento, che l'art. 2103 del c.c. va interpretato in modo bilanciato fra le esigenze datoriali di ambire ad un'organizzazione produttiva ed efficiente e del lavoratore di mantenere il proprio posto di lavoro, ben potendo il datore di lavoro, in presenza di ristrutturazione anche demansionare il lavoratore, fermo restando il mantenimento del livello retributivo. Tali ipotesi sono già presenti nel nostro ordinamento, si pensi alle lavoratrici durante la gestazione e fino ai sette mesi post partum, oppure alle ipotesi di lavoratori divenuti inabili durante il rapporto lavorativo ed in modo ancora più pregnante nelle ipotesi di esubero, anche alla luce della nuova riformulazione dell'art. 2103 ad opera del Dlgs 81/2015. In conclusione, l organo di nomofilachia non ha ritenuto corretta la soluzione adottata dalla Corte di merito spintasi sino al punto di imporre una, seppur modesta, scelta organizzativa al datore di lavoro, essendo la libertà d'iniziativa economica un diritto costituzionalmente garantito (art. 41 Cost.). Ad maiora 6

IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo. Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro 7