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ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi di Diritto del Lavoro, Legislazione Sociale e Diritto Tributario RAFFAELLO RUSSO SPENA del CPO di Napoli N 26/2016 Napoli 18 Luglio 2016 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. COEFFICIENTE ISTAT PER T.F.R. MESE DI GIUGNO 2016 E stato reso noto l indice Istat ed il coefficiente per la rivalutazione del T.F.R. relativo al mese di Giugno 2016. Il coefficiente di rivalutazione T.F.R. Giugno 2016 è pari a 0,75 e l indice Istat è 99,90. LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA DEL DIPENDENTE CHE VIOLA I DOVERI DI CORRETTEZZA E BUONA FEDE NEI COMPORTAMENTI EXTRALAVORATIVI. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 13676 DEL 5 LUGLIO 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 13676 del 5 luglio 2016, ha nuovamente affermato la legittimità del licenziamento per giusta causa fondato su comportamenti extralavorativi del prestatore idonei a violare i canoni di correttezza e buona fede. Nel caso in commento, un dipendente, durante il periodo di assenza per malattia, a causa di discopatie e di lombalgia, veniva pizzicato a caricare nella propria autovettura alcune pesanti bombole di gas. Soccombente in entrambi i gradi di merito, il prestatore ricorreva in Cassazione. 1

Orbene, gli Ermellini, nel confermare integralmente il deliberato di prime cure, hanno evidenziato che il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati ma, anche qualsiasi condotta che, per la natura e le possibili conseguenze, risulti in contrasto con gli obblighi connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa. Pertanto, atteso che nel caso de quo il prestatore aveva sollevato bombole di gas, del peso di circa 30 kg cadauna, nel mentre era assente dal lavoro per una patologia suscettibile di aggravamento in caso di particolari sforzi fisici, i Giudici di Piazza Cavour hanno rigettato il ricorso confermando la sussistenza della giusta causa di licenziamento. L'ASSENZA INGIUSTIFICATA PER TRE GIORNI DAL LAVORO NON INTEGRA L'IPOTESI DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA SE IL CCNL APPLICATO PREVEDE UNICAMENTE UNA SANZIONE DI TIPO CONSERVATIVO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 13787 DEL 6 LUGLIO 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 13787 del 6 luglio 2016, ha (ri)confermato che la condotta inadempiente del lavoratore sanzionata dal Ccnl applicato, non può essere oggetto di autonoma e più grave valutazione da parte del datore di lavoro. Nel caso in esame, la Corte d'appello di Ancona, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva accolto l'impugnativa di licenziamento di un lavoratore licenziato "in tronco" per un'assenza ingiustificata, protratta per tre giorni e non comunicata al datore di lavoro. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il datore di lavoro per falsa interpretazione dell'art. 46 del Ccnl per i dipendenti delle aziende grafiche. In particolare, il ricorrente ha sostenuto che alla previsione contrattuale occorreva aggiungere l'ulteriore ipotesi, non valutata dai Giudici di prime cure, della mancata preventiva comunicazione dell'assenza. Su tale assunto, l'impresa datoriale ha sostenuto che l'illecito, di fatto, travalicasse l'ipotesi tipizzata dal Ccnl applicato. Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ritenendo corretta sia l'esegesi della contrattazione collettiva offerta dai Giudici di prime cure, sia la conseguente applicazione alla fattispecie occorsa. 2

Gli Ermellini, nel ribadire il contenuto dell'art. 46 del Ccnl applicabile che testualmente sanziona con il licenziamento (per altro con preavviso) l'ipotesi dell'assenza ingiustificata e prolungata per oltre cinque giorni, hanno confermato che l'assenza del lavoratore, per tre giorni, avrebbe dovuto trovare adeguata sanzione nell'ampio e graduato corredo di misure conservative previste dalla contrattazione collettiva LE SOMME RISULTANTI DAL VERBALE DI CONCILIAZIONE IN SEDE GIUDIZIARIA DEBBONO ESSERE DEDOTTE NELL ESERCIZIO IN CUI IL VERBALE E, DAL GIUDICE, RESO ESECUTIVO. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 11728 DELL 8 GIUGNO 2016 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 11728 dell 8 giugno 2016, ha statuito che il costo relativo all'accordo transattivo in sede giudiziale può essere dedotto dal reddito d'impresa nell'esercizio in cui il Giudice rende esecutivo il verbale di conciliazione. IL FATTO Una società, dopo aver concluso, nell anno d imposta 2002, un accordo transattivo con un proprio dipendente, a seguito instaurazione di una controversia di lavoro, provvedeva ad iscrivere tra i costi del suddetto anno l importo dovuto. L Agenzia delle Entrate, sulla scorta di una verifica effettuata per l anno successivo (id: 2003), provvedeva a recuperare a tassazione, per l esercizio 2002, l importo delle somme dedotte in quanto ritenuto di competenza dell anno successivo 2003, anno in cui veniva firmato l accordo transattivo e corrisposto il relativo importo dovuto. L accertamento veniva prontamente impugnato dalla società dinanzi alla giustizia tributaria. In particolare la C.T.R., in riforma della sentenza di primo grado, che aveva solo parzialmente accolto il ricorso della contribuente, annullava interamente l'avviso di accertamento a carico della società, per carenza assoluta di motivazione. Escludeva, altresì, nel merito la fondatezza delle riprese a tassazione, rilevando la corretta imputazione dei costi nell'esercizio di competenza ex art. 75 T.U.I.R. ed affermando in ogni caso che l'indicazione di 3

un costo in un esercizio diverso da quello di competenza avrebbe unicamente implicato l'applicazione di sanzioni ed interessi, determinandosi, in caso di definitiva indeducibilità del costo, un ingiustificato arricchimento in capo all'amministrazione Finanziaria. Da qui, il ricorso per Cassazione da parte dell Amministrazione finanziaria. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, hanno accolto in toto il ricorso dell Amministrazione finanziaria, chiarendo quanto segue: la somma dovuta dal datore di lavoro al dipendente a seguito di controversia di lavoro, conclusasi con verbale di conciliazione dinanzi al Giudice del lavoro, va dedotta dal reddito imponibile dell'anno di imposta in cui il Giudice conferisce al predetto verbale valore esecutivo, e non in quello anteriore in cui l'accordo tra le parti si è perfezionato in quanto, solo dopo che il verbale è stato dichiarato esecutivo, lo stesso non è più modificabile e, quindi, gli eventuali oneri che ne derivino per una delle parti assumono il carattere della certezza, che è una delle condizioni della deducibilità fiscale (Cass. n. 12788/2001); il contribuente non è mai libero di scegliere arbitrariamente l'esercizio di imputazione dei costi, dovendo necessariamente operare la deduzione nel periodo di competenza, con obbligo di corrispondere al fisco, non solo le sanzioni e gli interessi, ma anche la maggiore imposta dovuta (Cass. n. 6331/2008 e n. 16198/2001); il recupero a tassazione di un costo dedotto senza rispettare il principio di competenza non determina in capo all Amministrazione un indebito arricchimento, potendo il contribuente richiedere a rimborso la maggiore imposta versata nei limiti ordinari della prescrizione sanciti dall'articolo 2935 c.c. (Cass. n. 6331/2008). Per le suddette motivazioni, la Corte Suprema ha accolto il ricorso cassando la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha compensato anche per intero tra le parti le spese processuali. 4

L AMMISSIONE DEL CONTRIBUENTE, ANCORCHE RESA IN AUTOTUTELA, FA DECORRERE I TERMINI PER L ACCERTAMENTO. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 13133 DEL 24 GIUGNO 2016 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 13133 del 24 giugno 2016, ha statuito che la dichiarazione effettuata dal contribuente di aver ricevuto una liberalità indiretta diversi anni prima dai propri genitori, riapre il termine di decadenza per il pagamento dell imposta di donazione. Nel caso di specie, i Giudici di Piazza Cavour, hanno accolto il ricorso dell Agenzia delle Entrate, ribaltando in toto la sentenza dei Giudici Territoriali che aveva dichiarato illegittimi gli avvisi di accertamento notificati a due fratelli per il mancato pagamento dell imposta di donazione. Gli avvisi de quibus riguardavano la liberalità indiretta dichiarata dagli stessi contribuenti con istanza di autotutela nel corso di accertamento sintetico ai fini Irpef, effettuata in loro favore dai genitori, mediante versamento in conto corrente di un assegno circolare per una cospicua somma di denaro. Nel ricorso incidentale, i contribuenti deducevano, tra l altro, la violazione e falsa applicazione della normativa in materia di imposta di donazione di cui al D.Lgs. n. 346/1990 e D.P.R. n. 131/1986, in quanto i cinque anni di prescrizione dalla data di registrazione della liberalità indiretta erano già da tempo spirati, a fronte di avvisi di accertamento notificati in epoca sicuramente successiva. Gli Ermellini, invece, hanno rilevato che il rinvio operato dal D.Lgs. 346/1990 alla disciplina propria della liquidazione e riscossione ex D.P.R. n.131/1986 va contemperato con la peculiarità del caso, ove è in oggetto una liberalità indiretta mediante versamento in conto corrente. Pertanto, è rilevante l art. 56 bis del D.Lgs. in parola, secondo cui il presupposto dell accertamento dell imposta di donazione scaturisce, nel caso di specie, dall autodichiarazione della liberalità indiretta, così come resa dagli interessati nel corso di procedimenti di accertamento dei tributi, per cui deve essere esclusa l eccepita decadenza quinquennale. In nuce, la S.C. ha definitivamente sancito che la decorrenza dei termini di decadenza dell imposta di successione parte proprio dalla dichiarazione del contribuente ancorché rilasciata in sede di autotutela. 5

I FATTI CONTESTATI, POSTI A BASE DEL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE, SONO IMMODIFICABILI. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 13580 DEL 4 LUGLIO 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 13580 del 4 luglio 2016, ha ribadito che il principio di immodificabilità della contestazione disciplinare attiene alla relazione fra i fatti contestati e quelli posti a base del recesso, ma non la qualificazione giuridica degli stessi. Nel caso in commento, la Corte d'appello di Torino, in riforma del Tribunale di Novara, dichiarava illegittimo il licenziamento comminato ad un lavoratore che nell'area d'ingresso aziendale aveva consegnato dei sacchetti di umido ad un utente, facendosi pagare in cambio 10, invece che indirizzarlo presso la zona deputata alla distribuzione e vendita dei materiali. I Giudici d'appello, rilevavano che la condotta tenuta dal dipendente integrasse solo ipotesi di sanzioni disciplinari conservative. Nel caso de quo, gli Ermellini, nel confermare a pieno l'iter logico giuridico della Corte d'appello, hanno respinto i motivi posti a base del ricorso, ritenendo che il comportamento tenuto dal lavoratore non configurasse un'ipotesi di violazione dell'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 del c.c. ed escludendo anche l'ipotesi di concorrenza sleale. In conclusione, gli aspetti di rilievo della sentenza in commento vanno ricercati in riferimento al principio di immodificabilità della contestazione di cui all'art. 7 Legge 300/1970. Difatti, i Supremi Giudici, hanno ribadito che non si tratta di violazione del principio di immodificabilità quando il fatto addebitato resti immutato, riferendosi cioè all'episodio e all'insieme degli elementi connessi con il fatto. Quindi, deve sempre sussistere una relazione fra i fatti contestati e quelli che ne motivano il recesso, che non riguarda invece la qualificazione giuridica dei fatti addebitati, ben potendo il datore di lavoro ricondurre i fatti contestati ad una diversa ipotesi disciplinare, senza però poter introdurre nuove circostanze rispetto a quelle contestate. Ad maiora 6

IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo. Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro 7