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N 28/2012 9 Luglio 2012 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. IL DIRITTO ALLA DIFESA DEL LAVORATORE NON INTEGRA LA SCELTA DEL LUOGO E DELL ORARIO DELLA CONVOCAZIONE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 8845 DEL 1 GIUGNO 2012 La Corte di Cassazione, sentenza n 8845 del 1 Giugno 2012, ha affermato che, in caso di procedimento disciplinare, la convocazione in orario lavorativo e nel luogo di lavoro non rientra tra i diritti del lavoratore che chieda di essere ascoltato per esporre le proprie ragioni. Nel caso in specie, un lavoratore sosteneva la violazione del procedimento previsto dalla Legge n 300 del 1970, art. 7, in quanto, a seguito della contestazione disciplinare, aveva chiesto di essere sentito a sua difesa durante l'orario di lavoro e presso la sua sede di lavoro, e l'azienda aveva disatteso la sua richiesta. 1

Il Tribunale di Bergamo e la Corte Territoriale di Brescia, avevano respinto le motivazioni addotte dal lavoratore, sia in relazione alla reiterata serie di infrazioni disciplinari, unitariamente contestate, che alla paventata violazione della procedura di cui alla Legge n. 300 del 1970, art. 7. Orbene, proposto ricorso per cassazione della sentenza, gli Ermellini, hanno confermato che i giudici di prime cure hanno correttamente osservato che la convocazione in orario lavorativo e nel luogo di lavoro non rientra tra i diritti del lavoratore, purché la convocazione in orari o luoghi diversi non si traduca, per le difficoltà della sua attuazione, in una violazione del diritto di difesa. Nella specie non sono stati evidenziati elementi per ritenere che la convocazione presso gli uffici di Bergamo, alle ore 14,30, rendessero difficile o gravoso l'esercizio del diritto di difesa. Tale principio risulta in linea con la giurisprudenza della Corte (cfr., Cassazione sentenza del 31 marzo 2011 n 7493), secondo cui ai sensi della Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, comma 2, in caso di richiesta a seguito di procedimento disciplinare, il lavoratore ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro; tuttavia, ove il datore, a seguito di tale richiesta, abbia convocato il lavoratore, questi non ha diritto ad un diverso incontro limitandosi ad addurre una mera disagevole o sgradita possibilità di presenziare, poiché l'obbligo di accogliere la richiesta del lavoratore sussiste solo ove la stessa risponda ad un'esigenza difensiva non altrimenti tutelabile. IL PERIODO DI CONGEDO MATRIMONIALE NON DEVE NECESSARIAMENTE RICOMPRENDERE IL GIORNO DI CELEBRAZIONE DELLE NOZZE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 9150 DEL 6 GIUGNO 2012 La Corte di Cassazione, sentenza n 9150 del 6 giugno 2012, ha statuito che il congedo matrimoniale può essere fruito in un periodo non comprendente necessariamente il giorno delle nozze. Nel caso de quo un lavoratore veniva licenziato dalla propria azienda per essersi assentato dal lavoro, fruendo dei giorni di congedo matrimoniale, in un periodo diverso da quello in cui si erano celebrate le nozze. 2

I giudici di merito, aditi dal prestatore, accoglievano le sue doglianze, dichiarando illegittimo il licenziamento, atteso che, il lasso di tempo, intercorso fra il giorno del matrimonio e la fruizione del congedo matrimoniale, era stato di una brevità tale da non pregiudicare la finalità ispiratrice della norma disciplinante il congedo. Orbene, i Giudici di legittimità, nell avallare anch essi il decisum dei gradi di merito, hanno avuto modo di precisare che la normativa di riferimento (id: R.D.L. n. 1334/37, convertito nella legge n. 2387/37, in vigore ratione temporis), nel prevedere la durata del congedo nella misura massima di quindici giorni, nulla statuisce circa la decorrenza di tale periodo di astensione lavorativa. Hanno quindi evidenziato gli Ermellini che, in mancanza di una espressa previsione della contrattazione collettiva, di diverso tenore, il lavoratore ben può decidere di fruire del congedo matrimoniale in un periodo diverso da quello di celebrazione delle nozze sempre che lo stesso sia in stretta connessione con l evento rispettando in tal modo la ratio legis. LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA INTIMATO AD UN POSTALE CHE RICICLAVA FRANCOBOLLI USATI AL FINE DI INCASSARNE IL CORRISPETTIVO DELL AFFRANCATURA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 9018 DEL 5 GIUGNO 2012 La Corte di Cassazione, sentenza n 9018 del 5 giugno 2012, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore postale che, dopo aver riciclato i francobolli già utilizzati, vendeva gli stessi ai clienti dell ufficio postale, al quale era addetto, appropriandosi del controvalore in denaro, ancorché di modica entità. Nel caso di specie un lavoratore di Poste Italiane veniva licenziato poiché pizzicato a staccare, dai plichi in giacenza, francobolli già timbrati al fine di applicarli ad altra corrispondenza, consegnata dalla clientela, appropriandosi della somma ricevuta per l affrancatura. La vicenda ha avuto un iter giudiziale di merito controverso: il Giudice di I grado ha, infatti, confermato la legittimità del licenziamento, mentre la Corte distrettuale, considerata anche l esiguità di valore dei francobolli (circa 20.000 lire), ha smentito il GUL, ritenendo sproporzionata la sanzione espulsiva. I Giudici di Piazza Cavour, nel dirimere la querelle, hanno nuovamente ribaltato il deliberato, statuendo la legittimità del licenziamento, e qualificando il comportamento del 3

lavoratore di gravità tale da ledere in modo irrimediabile il vincolo fiduciario con il datore di lavoro. Pertanto, la sanzione espulsiva irrogata dal datore è stata ritenuta conforme al dettato dell art. 2119 c.c. e rispettosa del principio di proporzionalità, ex art. 2106 c.c.. Il licenziamento per giusta causa è stato, dunque, avallato in toto. IL DIRITTO ALLA INAMOVIBILITA DEL LAVORATORE CHE ASSISTE UN FAMILIARE DISABILE SUSSISTE ANCHE IN ASSENZA DELLE CONDIZIONI DI GRAVITA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 9201 DEL 1 GIUGNO 2012 La Corte di Cassazione, sentenza n 9201 del 7 Giugno 2012, ha dichiarato sempre sussistente il diritto del lavoratore, che assista un familiare disabile, a non essere trasferito ad altra sede lavorativa. Nel caso in esame, un dipendente Telecom era stato trasferito da Reggio Calabria a Castrovillari, nonostante avesse invocato il diritto a non essere trasferito, giustificato dalla cura e dall assistenza prestata a favore del fratello convivente, affetto da handicap psico-fisico. La Corte di Appello di Reggio Calabria aveva ritenuto legittimo il trasferimento, sul rilievo che il fratello del lavoratore era stato giudicato dalla competente Commissione non in condizione di gravità; tanto escludeva il diritto del dipendente di opporsi al cambiamento di sede, così come disposto dalla Legge n. 104 del 1992, articolo 33, comma 5. Investita della vicenda la Suprema Corte, dopo una ricostruzione della cornice normativa in cui la vicenda si inscrive - ovvero il 1997 ove vigeva la disciplina della Legge n.104 del 1992, non ancora modificata dalla Legge n. 53 del 2000 e da ultimo dalla Legge n.183 del 2010 ha rimarcato la finalità della Legge n.104 del 1992 sui diritti delle persone affette da disabilità. In particolare, i Giudici del Palazzaccio hanno sottolineato che l'efficacia della tutela della persona con disabilità si realizza anche mediante la regolamentazione del contratto di lavoro in cui é parte il familiare della persona tutelata. Tanto premesso, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato che trova applicazione l'articolo 33, comma 5, atteso che tale norma postula, di volta in volta, un 4

bilanciamento di interessi valido, in via generale, per tutti i trasferimenti, atteso che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva ad un'altra "se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive". L'onere probatorio rafforzato incombe, pertanto, sul datore di lavoro con riferimento all'esigenza dell'impresa, atteso che il provvedimento, sovente è destinato a ricadute pregiudizievoli su quei rapporti di solidarietà familiare, tanto più bisognevoli laddove il nucleo familiare veda la presenza di anziani o disabili. Per tali motivi, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, sancendo che "il diritto del lavoratore a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso non può subire limitazioni anche allorquando la disabilità del familiare non si configuri come grave, risultando la sua inamovibilità giustificata dalla cura e dall'assistenza al familiare con lui convivente. IL DINIEGO AD ISTANZA IN AUTOTUTELA E IMPUGNABILE SOLTANTO PER DEDURRE VIZI DI ILLEGITTIMITA DEL RIFIUTO. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 10020 DEL 18 GIUGNO 2012 La Corte di Cassazione, sentenza n 10020 del 18 giugno 2012, ha (ri)affermato che il diniego conseguente ad istanza in autotutela può essere impugnato presso la competente Commissione Tributaria Provinciale solamente per addurre profili di illegittimità del rifiuto, quali ad esempio: presenza di un errore di fatto nell'accertamento o altro atto impositivo; presenza di vizi dell'atto non conosciuti, né conoscibili dal contribuente in origine; evidente illegittimità della pretesa fiscale. Ecco i fatti Un contribuente aveva impugnato il diniego dell'agenzia delle Entrate alla richiesta di annullamento in autotutela di avvisi di accertamento divenuti definitivi. La Ctp aveva annullato la pretesa erariale, mentre la Ctr aveva dichiarato l'inammissibilità del ricorso, precisando che mancava l'indicazione di un interesse pubblico all'annullamento dell'atto. Il contribuente ha fatto ricorso per Cassazione. 5

Ebbene, investiti del gravame, i Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto opportuno ribadire il principio di diritto secondo cui il contribuente, che richiede all'amministrazione finanziaria di annullare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, deve prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'amministrazione alla rimozione dell'atto. Ne consegue che contro il diniego dell'amministrazione di procedere all'esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr. Cassazione sentenze n.ri 11457/2010 e 16097/2009). Di conseguenza, chiariscono gli Ermellini, fuori dalla predetta situazione, l atto con il quale l amministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di annullare in autotutela un atto impositivo divenuto definitivo, stante la relativa discrezionalità, non è suscettibile di essere impugnato innanzi alle commissioni tributarie (cfr. sentenza Sezioni Unite n 3698/2009). Nel caso di specie non risultando dal ricorso indicato quale interesse dell amministrazione era stato posto a supporto dell istanza di annullamento in autotutela, il ricorso è stato ritenuto inammissibile. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. 6