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N 35/2013 7 Ottobre 2013 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. IL RIFIUTO DEL LAVORATORE ALLO SVOLGIMENTO DI MANSIONI AGGIUNTIVE PUO ESSERE LEGITTIMO E NON GIUSTIFICARE IL LICENZIAMENTO SE CORRISPONDE ALL ILLEGITTIMO COMPORTAMENTO DEL DATORE DI LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 17713 DEL 19 LUGLIO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 17713 del 19 luglio 2013, ha affermato che il rifiuto, da parte del lavoratore subordinato, di essere addetto allo svolgimento di mansioni non spettanti può essere legittimo e non giustificare il licenziamento, sempre che il rifiuto sia proporzionato all'illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede. Nella fattispecie de qua, un lavoratore, dipendente di un ipermercato con la qualifica di business controller era stato licenziato in tronco per asserita insubordinazione, consistente nel rifiuto di svolgere il servizio di permanenza di direzione di un punto vendita. 1

La Corte d Appello di Catania aveva respinto la domanda del lavoratore tesa alla dichiarazione di illiceità del licenziamento intimato, sulla scorta della legittima esigibilità del compito di servizio di permanenza di direzione, richiesto dal datore di lavoro, in ossequio al contenuto del mansionario aziendale, ove espressamente la suddetta mansione era inserita tra le funzioni attribuite al Quadro-Capo Settore (id: Business controller). Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione deducendo l illecita sussistenza del motivo di licenziamento, rappresentato dalla richiesta di espletamento del compito aggiuntivo del servizio di permanenza di direzione che, invero, comportava l assunzione di responsabilità penali. Il rifiuto di effettuare esclusivamente le suddette mansioni non avrebbe potuto configurare insubordinazione, legittimante il licenziamento per giusta causa. Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore ed ha, preliminarmente, chiarito come la centralità della controversia fosse rappresentata dalla paventata esposizione a responsabilità penale (ragione determinante il rifiuto), denunciata dal lavoratore e connessa allo svolgimento delle novellate mansioni, invero non comprese tra quelle di inquadramento bensì, tra quelle di Capo settore, come si evince dal contratto collettivo, assolutamente preminente rispetto al mansionario aziendale. All uopo, gli Ermellini hanno confermato che la giurisprudenza della Corte di Cassazione penale, su tali basi, ha già ritenuto, ad esempio, che, tra i soggetti responsabili del reato di detenzione e commercializzazione di novellame, rientra anche il direttore di filiale di un supermercato ed in questa cornice, può annoverarsi anche colui che svolge il "servizio di responsabile di permanenza" in un ipermercato. Pertanto, la valutazione della giusta causa del licenziamento avrebbe dovuto essere fatta sulla base dell'esame del complessivo comportamento del lavoratore, dando adeguata considerazione al fatto che egli si è limitato a sottrarsi all'illegittima imposizione del datore di lavoro di assumere un compito estraneo alla propria qualifica, il cui svolgimento già in passato lo aveva esposto a responsabilità penali, come tali incidenti sulla sua personale libertà e moralità. 2

IL RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO, MORALE E DI QUELLO ESISTENZIALE SONO CUMULABILI, ATTESA LA LORO DIVERSA FINALITA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 16413 DEL 28 GIUGNO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 16413 del 28 giugno 2013, ha statuito che il risarcimento del danno spettante al lavoratore mobbizzato deve essere autonomamente quantificato in ogni sua accezione (id: biologico, morale, esistenziale), essendo gli indennizzi pienamente cumulabili fra di loro, attese le diverse finalità tutelate. Nel caso de quo, un lavoratore veniva trasferito, dalla propria azienda, in un'altra sede produttiva e, contemporaneamente, svuotato delle proprie funzioni trovandosi, de facto, ad un forzoso riposo quotidiano nel mentre, gli altri colleghi di lavoro erano impegnati in frenetici ritmi produttivi. Il dipendente adiva i Giudici di prime cure al fine di ottenere il ristoro sia del danno biologico che di quello morale ed esistenziale. Soccombente in entrambi i gradi di merito, il datore di lavoro ricorreva in Cassazione. Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il decisum di merito, hanno sottolineato come le varie tipologie di risarcimento danno abbiano ognuno una diversa finalità: il ristoro dell'integrità psico-fisico (id: danno biologico), della sofferenza interiore temporanea (danno morale), il pregiudizio dell'immagine attraverso l'umiliazione della professionalità (danno esistenziale). Pertanto, atteso che, nel caso in commento il lavoratore era stato sottoposto ad un intenso mobbing da parte del datore di lavoro, i Giudici di Piazza Cavour hanno confermato il suo diritto al risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale ognuno autonomamente quantificato ma integralmente cumulabili fra di loro. DATORE DI LAVORO NON RESPONSABILE DELL INFORTUNIO SE IMPARTISCE LA DOVUTA FORMAZIONE IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO ED ADIBISCE IL DIPENDENTE ALLE MANSIONI CONFACENTI LA SUA QUALIFICAZIONE PROFESSIONALE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 17938 DEL 24 LUGLIO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 17938 del 24 luglio 2013, ha statuito, in materia di infortunio sul lavoro, la mancanza di responsabilità in capo al datore di lavoro 3

che abbia, regolarmente, impartito la dovuta formazione al proprio personale dipendente adibendolo alle mansioni proprie e consone (anche) alla pregressa esperienza professionale. Nel caso di specie, un caposquadra, addetto alla supervisione dell'operato degli altri subordinati, restava infortunato nel mentre era al lavoro. Soccombente in entrambi i gradi di giudizio, il lavoratore ricorreva in Cassazione. Orbene, i Giudici dell'organo di nomofilachia, nel confermare il deliberato di merito, hanno sottolineato che la responsabilità del datore di lavoro - ex art. 2087 c.c. - è di natura contrattuale con conseguente ripartizione degli oneri probatori fra le parti. Pertanto, il lavoratore infortunato, che rivendichi il correlato risarcimento del danno, è tenuto a fornire prova dell'evento lesivo e del nesso causale, mentre il datore di lavoro, resistente, deve provare di aver adottato tutte le misure che la norma in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed il comune sapere consigliano. Pertanto, atteso che nel caso in commento il datore aveva dato piena prova dell'adozione delle misure di sicurezza, avendo impartito la necessaria formazione al caposquadra finanche adibendolo a mansioni consone alla propria esperienza pregressa, i Giudici del Palazzaccio hanno escluso la sussistenza di una responsabilità a suo carico. L AZIONE DI REGRESSO INAIL E ESERCITABILE ANCHE NEI CONFRONTI DEI SOGGETTI ESTRANEI AL RAPPORTO ASSICURATIVO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 17486 DEL 17 LUGLIO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 17486 del 17 luglio 2013, ha statuito che, l'azione di regresso INAIL ex artt. 10 e 11 del D.P.R. N 1124/65 è esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro ma anche verso eventuali altri soggetti, responsabili dell'infortunio, sebbene estranei al rapporto assicurativo datore/lavoratore. Nel caso in commento, un lavoratore restava folgorato da una scarica elettrica nel mentre posizionava un pannello metallico sul braccio di un'autogru condotta da un addetto del tutto estraneo all'organico dell'azienda datrice di lavoro. L'INAIL, dopo aver erogato le dovute prestazioni agli eredi del de cuius, esercitava l'azione di regresso sia nei confronti dell'azienda datrice di lavoro, che del conducente dell'autogru, anche se parte estranea al rapporto assicurativo. 4

Soccombenti in entrambi i gradi di merito, sia l'azienda datrice di lavoro che il soggetto terzo adivano i Giudici di legittimità. Orbene, gli Ermellini, nell'avallare in toto il deliberato di prime cure, hanno sottolineato come l'azione di regresso INAIL non costituisca azione surrogatoria - ex art. 1916 c.c. - bensì una speciale azione spettante (jure proprio) all'istituto - ex artt. 10 e 11 DPR n 1124/65. Tale azione è esercitabile anche nei confronti dei terzi estranei al rapporto assicurativo che si siano resi responsabili o corresponsabili, con la loro condotta, dell'infortunio. Pertanto, atteso che, nel caso de quo era emersa la condotta negligente del datore di lavoro e del terzo, i Giudici di Piazza Cavour hanno confermato la legittimità dell'azione di regresso INAIL (anche) nei confronti del soggetto estraneo al rapporto assicurativo datore/lavoratore. IL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE E GIUSTIFICATO SE SOSTENUTO DA UNA IRRIMEDIABILE LESIONE DEL RAPPORTO FIDUCIARIO INTERCORRENTE CON IL DATORE DI LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 17362 DEL 16 LUGLIO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 17362 del 16 luglio 2013, ha confermato che, ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, è necessario che il comportamento posto a base del recesso sia tale da arrecare un pregiudizio agli scopi aziendali e per questo idoneo a recidere, irrimediabilmente, il rapporto fiduciario intercorrente con il datore di lavoro. Nella vicenda de qua, la Corte d'appello di Brescia aveva dichiarato l'illegittimità e l'ingiustificatezza del licenziamento intimato ad un dirigente industriale del comparto farmaceutico, precisando, in sintesi, che nella fattispecie ricorreva, ancor più delle paventate mancanze addebitate, un'ipotesi di mancato gradimento del dirigente che, sicuramente, abilitava la datrice di lavoro ad interrompere il rapporto, non assistito da stabilità, sobbarcandosi però l'onere di corrispondere oltre al preavviso, la specifica indennità supplementare, da liquidare, nella specie, nei minimi in considerazione della breve durata del rapporto. Per la cassazione della sentenza di appello, ha proposto ricorso la società farmaceutica che ha ribadito la condotta negligente addebitata al lavoratore in merito, sia ai ritardi di 5

approvvigionamento delle materie prime, sia alla inadeguata programmazione nell'acquisto di alcuni articoli, necessari per il lancio di una nuova produzione. La Suprema Corte, investita del caso, ha, preliminarmente, ricordato che il Giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale bensì, la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito. Nella specie, le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono state congruamente motivate e il ragionamento che sorregge la decisione non presenta alcun profilo di manifesta illogicità. Gli Ermellini, pertanto, hanno respinto il ricorso proposto ed hanno concluso che, la Corte bresciana si è correttamente attenuta ai principi in base ai quali, sia ai fini della giusta causa del licenziamento del lavoratore, sia ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, è necessario - mutatis mutandis - che il comportamento posto a base del recesso sia tale, fra l'altro, da arrecare un pregiudizio, non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali e per questo recidere irrimediabilmente il rapporto fiduciario che lega - rispettivamente e secondo differenti modalità - il lavoratore e il dirigente al datore di lavoro in ragione delle mansioni loro affidate. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. 6