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N 33/2013 23 Settembre 2013 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. LA MANCATA EMISSIONE DEGLI SCONTRINI FISCALI E L INCASSO DEI RELATIVI IMPORTI INTEGRA LA GIUSTA CAUSA DEL LICENZIAMENTO DELLA CASSIERA. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 16829 DELL 8 LUGLIO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 16829 dell 8 luglio 2013, ha statuito che la mancata emissione degli scontrini fiscali, da parte della dipendente addetta alla cassa, integra la giusta causa di licenziamento, rilevando nella condotta una lesione irrimediabile del necessario vincolo fiduciario. La Corte d'appello di Roma aveva rigettato l'impugnazione proposta da una cassiera, addetta ad un punto vendita sito all interno di un aeroporto, diretta all'annullamento del licenziamento intimatole, per aver omesso di registrare le somme di denaro ricevute dai clienti per l'acquisto dei beni, incassando i relativi importi. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la lavoratrice assumendo che, dalle relazioni di servizio e dalle testimonianze allegate dal datore di lavoro non sarebbe emerso 1

il carattere determinante delle circostanze poste a base della ritenuta sussistenza della giusta causa del licenziamento, in quanto si sarebbe trattato, semmai, di una mera negligenza nell'emissione di alcuni scontrini. La ricorrente imputava, sostanzialmente, alla Corte d'appello di aver errato nel considerare proporzionata la sanzione del licenziamento. La Suprema Corte, nel confermare il giudizio espresso dalla Corte territoriale, ha preliminarmente rimarcato l adeguata valutazione, ad opera dei Giudici del merito, del fatto contestato che non era limitato alla sola mancata emissione degli scontrini fiscali, essendo esteso anche al denunziato incasso dei relativi importi. La condotta fraudolenta aveva trovato altresì, puntuale riscontro nel materiale probatorio raccolto, vale a dire quello rappresentato dalle relazioni del personale incaricato di effettuare i controlli, dalle deposizioni dei testi e dalle verifiche di cassa compiute al termine del turno lavorativo della ricorrente. In nuce, hanno concluso gli Ermellini, le modalità della condotta e la frequenza degli episodi contestati, deponevano per la mala fede della lavoratrice, la quale aveva finito, in tal modo, per ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che avrebbe dovuto sorreggere il rapporto di lavoro. L IMPRENDITORE CHE DICHIARA COSTI RELATIVI ALLA RETRIBUZIONE DEI DIPENDENTI, CERTIFICATI IN BUSTA PAGA MA, EROGATI IN MISURA INFERIORE, COMMETTE REATO DI DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA MEDIANTE ALTRI ARTIFICI. CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 36900 DEL 9 SETTEMBRE 2013 La Corte di Cassazione - Sezione Penale -, sentenza n 36900 del 9 settembre 2013, ha affermato che l imprenditore che deduce costi per retribuzioni eccedenti quelle effettivamente erogate, non commette reato di Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (cfr. art. 2 D.Lgs.74/2000) ma, quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (cfr. art.3 D.Lgs.74/2000). Ecco il fatto storico. Un imprenditore siciliano si era visto condannare, nei primi due giudizi di merito, alla pena di quattro mesi di reclusione, per l evasione di imposte sui redditi perpetrata a mezzo di dichiarazione fraudolenta. 2

La contestazione traeva origine dall accertamento che le buste paga e, quindi, la rappresentazione dei costi del personale dedotti in dichiarazione riportassero importi per retribuzioni in misura superiore a quelli effettivamente corrisposti ai propri dipendenti. Da qui la contestazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante annotazione di falsi documenti contabili (ex art. 2 del D.Lgs.74/2000), finalizzata alla fittizia indicazione di costi per ottenere un abbattimento della base imponibile. Gli Ermellini, tuttavia, hanno rigettato tale tesi, sostenendo la mancanza di quel quid pluris necessario ad ostacolare l attività di accertamento e caratterizzare il reato contestato. Nello specifico, invece, stante l effettiva esistenza dei rapporti di lavoro, la condotta perseguita non è ascrivibile ad operazioni inesistenti ma, ad una mancata erogazione di parte della retribuzione evidenziata in busta paga e, quindi, più correttamente da ricomprendere nei reati di cui all art. 3 del D.Lgs.74/2000, che prevede pene detentive solo al superamento di determinati limiti di imposta evasa. DISTACCO LEGITTIMO ANCHE NEL CASO IN CUI LA SUA DURATA NON SIA PREDETERMINATA. TRIBUNALE DI MILANO - SEZIONE LAVORO - SENTENZA N. 443 DEL 4 FEBBRAIO 2013 Il Tribunale di Milano Sezione Lavoro, sentenza n 443 del 4 febbraio 2013, ha statuito la legittimità del distacco anche nel caso in cui la sua durata non sia predeterminata. Come noto, l'istituto del distacco, introdotto nel nostro ordinamento positivo dall art. 30 del D. Lgs. n 276/2003 (id: Riforma Biagi), richiede, ai fini della sua piena legittimità, la sussistenza dei seguenti requisiti essenziali: interesse del distaccante; temporaneità; esecuzione di una determinata attività lavorativa. Orbene, i Giudici di merito, con la sentenza in commento, hanno sottolineato che il requisito della temporaneità può ritenersi soddisfatto anche nel caso in cui la durata del distacco non sia predeterminata ma, ex adverso, segua pedissequamente il permanere dell interesse del distaccante. 3

Il Tribunale di Milano ha colto l occasione per sottolineare che, nel caso in cui l'istituto de quo venga utilizzato in modo illegittimo, il dipendente matura il diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato direttamente in capo al soggetto beneficiario della prestazione lavorativa. IL LICENZIAMENTO, INTIMATO PRIMA DELLA LEGGE 92/2012, E INEFFICACE SE PRIVO DELLE MOTIVAZIONI POSTE A SUO FONDAMENTO. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 17122 DEL 10 LUGLIO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 17122 del 10 luglio 2013, ha statuito l illegittimità del licenziamento comminato senza l'indicazione, sebbene espressamente richiesta dal lavoratore, delle motivazioni poste a suo fondamento. Nel caso de quo, un dipendente, occupato presso un azienda con meno di 15 lavoratori, veniva licenziato ante il 18 luglio 2012 (data di entrata in vigore della Legge Fornero ) senza che gli venissero esplicitate, neanche dopo sua espressa richiesta, le relative motivazioni. I Giudici di I grado accettavano le doglianze del subordinato. La Corte territoriale le respingeva. Il dipendente ricorreva in Cassazione. Orbene, gli Ermellini, nell avallare in toto il decisum di I grado, hanno sottolineato come l atto di recesso privo dell'indicazione delle motivazioni poste a suo fondamento sia da ritenersi inefficace. Tale inefficacia comporta il diritto del lavoratore al risarcimento del danno patito da quantificare, nel range da 2,5 a 6 mensilità. Appare opportuno ricordare che la L. 92/2012 - art. 1 c. 37 - ha previsto che la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. IL MOBBING PRESUPPONE UNA MOLTEPLICITA DI COMPORTAMENTI PERSECUTORI E VESSATORI NEI CONFRONTI DEL LAVORATORE. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 19814 DEL 28 AGOSTO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 19814 del 28 agosto 2013, ha statuito che si configura la fattispecie del mobbing laddove il datore di lavoro ponga in essere 4

ripetuti comportamenti vessatori e persecutori nei confronti del lavoratore con l evidente intento di emarginarlo. Nel caso in commento, un insegnante richiedeva il risarcimento del danno per il comportamento mobbizzante posto in essere dalla propria direttrice, a suo dire, in ben 66 circostanze. Soccombente in entrambi i gradi di giudizio l insegnante ricorreva in Cassazione. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, nel confermare il deliberato di merito, hanno sottolineato come il mobbing si caratterizzi per il perpetuarsi di comportamenti volontari con l'evidente finalità vessatoria e persecutoria nei confronti del lavoratore. Pertanto, atteso che nel caso de quo la lavoratrice aveva denotato una intrinseca tendenza all eccessiva personalizzazione ed alla vis polemica, i Giudici di Piazza Cavour hanno escluso la sussistenza di un comportamento mobbizzante da parte della direttrice attesa l'instabilità psichica della ricorrente. LA SOLA DICHIARAZIONE DEL DIPENDENTE NON E SUFFICIENTE A PROVARE LA DATA DI INIZIO DEL RAPPORTO DI LAVORO IRREGOLARE ACCERTATO DAGLI ISPETTORI DI VIGILANZA. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 17054 DEL 10 LUGLIO 2013 La Corte di Cassazione, sentenza n 17054 del 10 Luglio 2013, ha stabilito che, per l'irrogazione della sanzione prevista dalla legge n 73 del 23 aprile 2002 (id: lavoro nero), non è sufficiente a provare la data di inizio del rapporto di lavoro la sola dichiarazione del dipendente, in mancanza di ulteriori elementi di prova. Nel caso in specie la CTR dell'emilia, in parziale accoglimento dell'appello avverso la sentenza della CTP di Rimini, rideterminava le sanzioni, rimodulandole favorevolmente nei confronti del titolare di un bar in complessivi 1650 ( 1500 quale importo fisso nella misura minima prevista + 150 per un giorno di scopertura), essendo stata accertata, da parte degli ispettori di vigilanza dell'inps, la presenza di un lavoratore irregolarmente occupato e non registrato nel libro matricola. Proponeva ricorso per cassazione l'agenzia delle Entrate, ritenendo illegittima la limitazione del periodo da sanzionare (id: un solo giorno) per lavoro irregolare sulla base del precipuo accertamento operato nel verbale dell' Inps. 5

Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e confermato che l irrogazione della sanzione prevista dalla legge n 73 del 23 aprile 2002 (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n 248 del 24 agosto 2006) non richiede, da parte dell'amministrazione, alcun onere di dimostrare l'effettiva durata del rapporto di lavoro irregolare, essendo sufficiente il mero accertamento dell'esecuzione di prestazione lavorativa da parte di soggetto che non risulti da scritture o da altra documentazione obbligatoria. È, invece, specifico onere del datore di lavoro dimostrare l'effettiva durata della prestazione lavorativa per evitare che, l'entità della sanzione pecuniaria sia determinata ex lege. All uopo, non è sufficiente a provare la data di inizio del rapporto di lavoro la sola dichiarazione del dipendente, in mancanza di ulteriori elementi di prova che facciano ritenere plausibile tale affermazione. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. HA COLLABORATO ALLA REDAZIONE DI QUESTO NUMERO MASSIMILIANO DE BONIS 6