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ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 15/2014 Napoli 14 Aprile 2014 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. L INDENNITA OMNICOMPRENSIVA PER ILLEGITTIMA APPOSIZIONE DEL TERMINE EX ART. 32, COMMA 5, DELLA LEGGE 183/2010 NON HA NATURA RETRIBUTIVA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 3027 DELL 11 FEBBRAIO 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 3027 dell 11 febbraio 2014, ha statuito che le somme per risarcimento del danno corrisposte al dipendente, a seguito della conversione del contratto di lavoro per illegittima apposizione del termine, non hanno natura retributiva e, pertanto, non devono essere assoggettate a rivalutazione monetaria ed interessi. Nel caso de quo, un dipendente di Poste Italiane Spa chiedeva (e otteneva) la declaratoria di nullità del termine apposto al proprio contratto di lavoro a tempo determinato per la mancanza delle rappresentate condizioni di eccezionalità. La Corte territoriale, adita dal datore, nel confermarne la sentenza di condanna, disponeva la corresponsione dell'indennità omnicomprensiva - ex art. 32, comma 5, L. n 183/2010 - maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi. 1

Poste italiane Spa ricorreva in Cassazione. Orbene, gli Ermellini, nell'avallare il decisum di merito limitatamente alla riscontrata illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, hanno, contestualmente, negato la natura retributiva dell'indennità risarcitoria sancendo, conseguentemente, l'inapplicabilità della rivalutazione monetaria e degli interessi. I Giudici di Piazza Cavour hanno inoltre evidenziato che sono da ritenersi di natura retributiva esclusivamente le somme erogate dal datore di lavoro a seguito di un suo (accertato) inadempimento relativo alla mancata erogazione di compensi spettanti al subordinato. Pertanto, attesa la natura risarcitoria dell'indennità omnicomprensiva prevista dalla L. n 183/2010 (id: Collegato lavoro ), i Giudici dell'organo di nomofilachia hanno negato l'applicabilità, alla stessa, della rivalutazione monetaria e degli interessi. IL DATORE DI LAVORO E L UNICO LEGITTIMATO A CHIEDERE ALL ENTE PREVIDENZIALE LA RESTITUZIONE DEI CONTRIBUTI INDEBITAMENTE VERSATI. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 3491 DEL 14 FEBBRAIO 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 3491 del 14 febbraio 2014, ha (ri)confermato che nei casi in cui i soggetti del rapporto di lavoro subordinato siano coniugi, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado conviventi del datore di lavoro, il rapporto si presume gratuito e quindi escluso dall'obbligo assicurativo, senza necessità di accertamenti da parte dell'istituto. Nella vicenda de qua, due lavoratori impugnavano di fronte al Tribunale di Ancona un verbale di accertamento elevato dall'inps con il quale venivano annullati i periodi contributivi relativi al lavoro subordinato da loro prestato nell'ambito dell'impresa familiare, successivamente trasformata in s.n.c., alle dipendenze del padre, sull'assunto che "nell'impresa familiare non può sussistere un rapporto di lavoro subordinato. Il Tribunale di Ancona accoglieva il ricorso e dichiarava il diritto dei ricorrenti ad effettuare i versamenti contributivi quali lavoratori subordinati; il 2

giudice d'appello respingeva l'appello proposto dall'inps, confermando così la decisione di primo grado. Ne seguiva il ricorso in cassazione dell'inps. Secondo l'ente di previdenza, i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere che l'articolo 2115 c.c., e tutta la normativa in materia previdenziale pongono a carico esclusivo del datore di lavoro l'obbligo di pagare la contribuzione all'inps, e che il lavoratore può sostituirsi nel versamento solo allorquando la stessa sia prescritta e non operi il principio di automaticità delle prestazioni. Orbene, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell Inps ed ha ribadito che la fattispecie di assicurazione sociale va scomposta in due rapporti, tra loro autonomi: quello previdenziale, intercorrente fra il lavoratore e l'ente pubblico, e quello contributivo, che lega quest'ultimo al datore di lavoro. Vi é poi il sottostante rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, che ha ad oggetto l'obbligo di costituire la provvista, ossia di pagare i contributi agli enti previdenziali. Preso atto della scomposizione dei diversi rapporti, l'obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie ha per soggetto attivo l'istituto assicuratore e per soggetto passivo il datore di lavoro, debitore di tali contributi nella loro interezza (id: anche per la parte a carico del lavoratore), mentre il lavoratore é unicamente il beneficiario della prestazione previdenziale e resta estraneo a tale rapporto obbligatorio. Il datore di lavoro è quindi l'unico legittimato a chiedere all'ente previdenziale la restituzione dei contributi indebitamente versati e in tale caso il lavoratore potrà agire nei confronti del datore di lavoro per la restituzione della sua quota. Nel caso in esame, i lavoratori non potevano quindi agire in via autonoma nei confronti dell'inps per l'accertamento del rapporto di lavoro subordinato, ne' tantomeno potevano chiedere di sostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi. GRAVA SUL DATORE DI LAVORO L ONERE DI PROVARE IL REQUISITO DIMENSIONALE AZIENDALE AI FINI DELL INAPPLICABILITA DELLA TUTELA REALE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 3026 DELL 11 FEBBRAIO 2014 3

La Corte di Cassazione, sentenza n 3026 dell 11 febbraio 2014, ha statuito che grava sul datore di lavoro l'onere di provare il requisito dimensionale aziendale al fine di dimostrare l'inapplicabilità della tutela reale in caso di illegittimo licenziamento. Nel caso de quo, un lavoratore impugnava il licenziamento disciplinare irrogatogli, chiedendo, al contempo, il reintegro nel posto di lavoro. Condannato in entrambi i gradi di merito, il datore di lavoro ricorreva in Cassazione, eccependo fra l'altro, l'erronea applicazione della tutela reale ex art. 18 L. n 300/70 stante l'insussistenza del necessario requisito dimensionale (id: più di quindici dipendenti). Orbene, i Giudici di legittimità, nell'avallare in toto il decisum di prime cure, hanno sottolineato come grava sul datore di lavoro l'onere di provare la mancanza del requisito dimensionale richiesto dallo Statuto dei lavoratori al fine dell'applicabilità (o meno) della tutela reale. Pertanto, atteso che nel caso in commento il datore non aveva dato prova del requisito dimensionale producendo, solo in Cassazione, alcuni documenti probatori (id: visura camerale e libro matricola), fra l'altro non esaustivi, i Giudici del Palazzaccio hanno confermato la reintegrazione del lavoratore (illegittimamente) licenziato. AI FINI DELLA LEGITTIMITA DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA E IRRILEVANTE LA TENUITA DEL DANNO SUBITO DAL DATORE DI LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 4723 DEL 27 FEBBRAIO 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 4723 del 27 febbraio 2014, ha confermato che in tema di legittimità del licenziamento per giusta causa ciò che rileva è la idoneità del comportamento tenuto dal lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell adempimento della prestazione lavorativa. Nella vicenda in esame, una lavoratrice, dipendente di una Associazione di servizi psico-pedagogici, con la qualifica di "tecnico della riabilitazione", veniva licenziata per giusta causa, integrata da comportamenti di sviamento della clientela consistiti nel favorire un altro centro. La Corte d'appello di Reggio Calabria aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l'impugnativa proposta dalla lavoratrice. 4

Invero, dall accertamento compiuto dal Tribunale, era risultato che la lavoratrice aveva sviato la clientela con riferimento in particolare a tre minori, favorendo un altra analoga struttura, di proprietà della sorella, che operava nel medesimo territorio. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la dipendente, lamentando che il giudice di merito non avrebbe correttamente applicato il criterio di proporzionalità che deve sussistere tra addebito e sanzione. Orbene, la Suprema Corte ha rigettato l appello proposto ed ha espresso un giudizio di congruità della motivazione addotta dalla Corte di appello e ciò, in relazione alle concrete modalità dei fatti, allo sviamento di clientela in concreto arrecato e alla reiterazione e persistenza nel tempo dello stesso. Quanto all'assenza di danno, hanno concluso gli Ermellini, si tratta di un elemento che correttamente la Corte d'appello ha ritenuto non essenziale per la valutazione della gravità della condotta, dal momento che, in tema di licenziamento, é irrilevante, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, e, quindi, della sussistenza della giusta causa di licenziamento, l'assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale a carico del datore di lavoro, mentre ciò che rileva è la idoneità della condotta tenuta dal lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento della prestazione lavorativa, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti. L AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA PUO IN AUTOTUTELA, NEL RISPETTO DEI TERMINI DI PRESCRIZIONE, ANNULLARE UN ATTO IRREGOLARE ED EMETTERNE UN SECONDO. CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 4823 DEL 28 FEBBRAIO 2014 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 4823 del 28 febbraio 2014, ha statuito che l Amministrazione finanziaria, nell'esercizio del potere generale di autotutela, può annullare l'avviso di liquidazione irregolare ed emetterne un secondo rettificato. Nel caso in specie, l Agenzia delle Entrate, al fine di sanare un vizio di sottoscrizione, sostituiva l avviso di liquidazione in materia di imposta di registro, oggetto del contendere, con altro avviso di identico contenuto. 5

Il contribuente eccepiva l illegittimità dell operato dell Amministrazione finanziaria dinanzi agli organi della giustizia tributaria. La C.T.P. accoglieva il ricorso del contribuente, sentenza poi riformata dalla C.T.R. che, in accoglimento dell appello delle Entrate, riconosceva la piena validità legale del secondo atto emesso in sostituzione. Da qui il ricorso per Cassazione del contribuente che poneva quale motivo di gravame l errata applicazione dell articolo 43 del D.P.R. n. 600/1973, comma 4, posto che la rinnovazione dell atto non era stata giustificata da elementi conosciuti o emersi a posteriori, ma unicamente per correggere il vizio formale del difetto di sottoscrizione. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, dopo aver preliminarmente chiarito l inapplicabilità dell articolo 43 citato, che difatti disciplinava l accertamento delle imposte sui redditi, mentre nella fattispecie si dibatteva in materia di imposta di registro, con la sentenza de qua, hanno precisato che l Amministrazione finanziaria può annullare l avviso di liquidazione irregolare (nella fattispecie privo di sottoscrizione da parte dell ufficio) ed emetterne un secondo rettificato nei termini di decadenza, ancorché identico nel contenuto e con lo stesso numero di protocollo dell atto sostituito, vista la mancanza, all interno dell ordinamento normativo tributario, di una norma ostativa. Si tratta, hanno puntualizzato i Giudici nomofilattici, dell esercizio del potere generale di autotutela, come già confermano da due precedenti sentenze di legittimità (cfr. Cass. 2531/2002 e Cass. 19064/2003), a nulla rilevando la circostanza per cui risultava ancora pendente sul primo atto un processo. Alla luce delle considerazioni che precedono, la Sezione Tributaria del Palazzaccio ha respinto il ricorso, condannando il contribuente alle spese di giudizio. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO 6

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello e Pietro Di Nono. 7