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ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 01/2015 Napoli 7 Gennaio 2015 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. L INPS E TENUTO AD EMETTERE IL PREAVVISO DI IRREGOLARITA PRIMA DEL RILASCIO DEL DURC ANCHE SE LO STESSO E RICHIESTO IN SEDE DI AGGIUDICAZIONE DI UNA GARA DI APPALTO. CONSIGLIO DI STATO SENTENZA N. 5064 DEL 14 OTTOBRE 2014 Il Consiglio di Stato, sentenza n 5064 del 14 ottobre 2014, ha affermato che l INPS è tenuto ad emettere il preavviso di irregolarità, prima del rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva negativo, anche se lo stesso è richiesto ai fini della corretta aggiudicazione di una gara di appalto. Nel caso de quo, un azienda veniva esclusa dall aggiudicazione di una gara di appalto a seguito dell emissione di un DURC con esito negativo senza la notifica del preventivo invito a regolarizzare. Inevitabile il ricorso ai Giudici amministrativi. Orbene, il Consiglio di Stato, chiamato in ultima battuta a dirimere la querelle, nel confermare il deliberato del TAR, ha evidenziato che la normativa in materia di regolarità contributiva ex D.M. 24 ottobre 2007 così come modificato dal D.L. n 69/2013 obbliga l Ente previdenziale ad invitare l impresa a regolarizzare la propria posizione prima 1

dell emissione del DURC, con esito di non regolarità, a prescindere dalla finalità per la quale viene inoltrata la richiesta di correntezza e correttezza contributiva. Pertanto, atteso che nel caso in disamina l azienda non aveva ricevuto alcun invito a regolarizzare la propria posizione debitoria, prima dell emissione del documento unico di regolarità contributiva riportante esito negativo, i Giudici di Palazzo Spada hanno confermato il deliberato del TAR che aveva accolto le doglianze dell azienda (illegittimamente) esclusa dalla gara di appalto. IL SEMPLICE ERRORE MATERIALE COMMESSO DAL DIPENDENTE NELL ESPLETAMENTO DELLE PROPRIE FUNZIONI NON COSTITUISCE AUTOMATICAMENTE GIUSTA CAUSA O GIUSTIFICATO MOTIVO DI LICENZIAMENTO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 25608 DEL 3 DICEMBRE 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 25608 del 3 dicembre 2014, ha statuito che la sanzione espulsiva del licenziamento non può essere automaticamente applicata al dipendente che, nell espletamento delle proprie mansioni, finanche di alto contenuto professionale, commette un mero errore materiale essendo, viceversa, necessario valutare, ai fini disciplinari, il comportamento complessivamente tenuto dal prestatore sul luogo di lavoro. Nel caso in commento, un cassiere di un Istituto di credito veniva licenziato per aver erroneamente registrato un operazione di prelevamento a carico di un correntista, diverso da quello effettivo, a causa dell erronea digitazione del numero di conto corrente. Soccombente in entrambi i gradi di merito, il dipendente ricorreva in Cassazione. Orbene, gli Ermellini, nel ribaltare integralmente il deliberato dei gradi di merito, hanno evidenziato che il mero errore materiale o la semplice svista lavorativa, non costituiscono automaticamente giusta causa (o giustificato motivo) di licenziamento, anche se il lavoratore riveste un ruolo importante nell organigramma aziendale, dovendosi, a tal fine, ponderare altri fattori quali la recidiva, il nocumento per il datore 2

di lavoro, l atteggiamento lavorativo tenuto, nel suo complesso, dal subordinato. Pertanto, atteso che, nel caso de quo, il lavoratore non aveva precedenti disciplinari e l errore non aveva arrecato danni all Istituto di credito in quanto il correntista aveva tempestivamente fatto notare l inesattezza, i Giudici di legittimità hanno annullato l atto di recesso comminato al cassiere. IL REATO DI OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE SULLE RETRIBUZIONI SUSSISTE ANCHE QUANDO L INADEMPIENZA E COLLEGATA ALLA MANCATA RISCOSSIONE DI CREDITI ED ALLE DIFFICOLTA DOVUTE ALLA CRISI ECONOMICA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE SENTENZA N. 51436 DELL 11 DICEMBRE 2014 La Corte di Cassazione - III Sezione penale, sentenza n 51436 dell 11 dicembre 2014, ha stabilito, nell ambito del reato di omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione dei sostituti di imposta, che la sopravvenuta illiquidità, conseguente alla mancata riscossione di crediti, non configura una causa di forza maggiore, tale da giustificare l inadempienza. Nella fattispecie in esame, un imprenditore era stato indagato per il reato ex art. 10 bis del Dlgs 74/2000 per avere omesso il versamento di ritenute per un importo superiore ad euro 50.000. La Procura della Repubblica aveva richiesto il sequestro mediante confisca per equivalente ed il contribuente si era rivolto al Tribunale del riesame di Sassari duolendosi che l omissione fosse collegata a cause di forza maggiore in relazione alla mancata riscossione di crediti, vantati dalla società, che versava in un particolare stato di crisi. Il Tribunale della libertà ha revocato l ordinanza ed avverso tale pronuncia il Procuratore della Repubblica ha proposto ricorso per cassazione lamentando che il Tribunale non si era attenuto ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso ed hanno ribadito che la condotta realizzata comporta, sostanzialmente, la indebita 3

appropriazione di somme altrui di cui si ha la detenzione e tale evenienza rende del tutto irrilevanti eventuali difficoltà economiche impreviste. In particolare, sono state ritenute non rilevanti, ai fini dell applicazione della forza maggiore o dello stato di necessità, le diverse ipotesi in cui si ritenga di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti per evitare licenziamenti, si sia dovuto pagare i debiti ai fornitori, pena il fallimento della società, ovvero si sia verificata la mancata riscossione di crediti vantati e documentati, tutte situazioni, queste ultime, insite nel generale rischio di impresa. IL TERMINE DI 30 GIORNI DI PERMANENZA PRESSO LA SEDE AZIENDALE, PER L EFFETTUAZIONE DI UNA VERIFICA FISCALE, HA NATURA ORDINATORIA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 24690 DEL 30 NOVEMBRE 2014 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 24690 del 20 novembre 2014, ha statuito che, in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente (id: 30 giorni) è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso. Nel caso in specie, l'agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica fiscale da cui erano emersi maggiori componenti positivi di reddito rispetto a quanto dichiarato, aveva spiccato un avviso di accertamento nei confronti di una società per azioni ai fini IRES, IRAP e IVA. La società ricorreva alla giustizia tributaria, risultando vincitrice in entrambi i gradi di giudizio di merito. L Amministrazione finanziaria ricorreva in Cassazione ponendo quale motivo principale di gravame il fatto che la CTR avesse attribuito efficacia perentoria (con conseguente effetto di nullità del provvedimento di accertamento che dalla verifica dipende) al termine previsto dall art. 12 della legge 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente) per la durata massima delle verifiche fiscali, e ciò nonostante che la legge non contempli alcuna sanzione per la sua eventuale violazione. 4

Ebbene, i Giudici del Palazzaccio, nell accogliere il ricorso dell Agenzia delle Entrate, con la sentenza de qua, hanno posto in evidenza come la CTR, nella propria motivazione, avesse operato un erronea interpretazione della disposizione di legge (id: art.12 legge 212/2000), dichiarando l inutilizzabilità, ai fini dell accertamento, dei dati raccolti nel corso della verifica lunga perché il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell'amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'amministrazione (cfr. ex plurimis Cass. n. 17002/2012, Cass. n. 14020/ 2011 e Cass. n. 19338/2011). Sulla scia di queste considerazioni il ricorso è stato accolto e la causa è stata rinviata alla CTR per nuovo giudizio. LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI PUO ESSERE EMENDATA, ANCHE IN SEDE DI CONTENZIOSO, IN CASO DI ERRORE NELLA COMPILAZIONE A SFAVORE DEL CONTRIBUENTE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 26187 DEL 12 DICEMBRE 2014 La Corte di cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 26187 del 12 dicembre 2014, ha (ri)confermato l'emendabilità della dichiarazione annuale in sede di contenzioso, statuendone la piena legittimità, almeno quando questa è fondata su un mero errore di compilazione a sfavore del contribuente che l'ha presentata. In base all ex articolo 2 DPR 322/1998 è consentito integrare le dichiarazioni annuali per correggere errori od omissioni con successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini di esercizio dell attività accertatrice, pur con applicazione di sanzioni. Se gli errori sono a sfavore del contribuente che l'ha presentata, la correzione è possibile con dichiarazione da presentare non oltre 5

il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d imposta successivo. Nel caso di specie, un contribuente aveva proposto ricorso in Cassazione, dopo la soccombenza nei primi due gradi di giudizio, evidenziando un inesistente debito IVA di ben 1.283.638.00 euro, scaturente dal controllo automatizzato delle dichiarazioni per l anno 2001, a fronte di un reale credito di 19.970,00 euro. Con la sentenza de qua, i Giudici del Palazzaccio, ribadiscono che la dichiarazione può essere emendata, finanche in sede contenziosa, se scaturita da un iscrizione a ruolo conseguente alla liquidazione automatizzata della dichiarazione, se un mero errore di compilazione ha fatto emergere un imposta palesemente non dovuta. In nuce, per la Suprema Corte, se non fosse data la possibilità di emendare la dichiarazione con errore di compilazione a sfavore, si obbligherebbe il contribuente a versare imposte totalmente difformi alla propria capacità contributiva. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo. 6