ACCADEMIA DEI PALICI di PALAGONIA (CT) SEZIONE A : poesia in lingua a tema libero, partecipanti 400 liriche.



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Transcript:

ACCADEMIA DEI PALICI di PALAGONIA (CT) La Giuria della 1 a EDIZIONE DEL PREMIO DI POESIA " PALIKE' " Presidente: Componenti: la scrittrice dott.ssa MARIA ATTANASIO la poetessa, Dott.ssa LINA RICCOBENE il poeta, Avv. RENATO PENNISI il poeta VITO TARTARO il poeta, Prof. PAOLO SALAMONE segretario senza diritto di voto: SANTO GRASSO comunica la graduatoria dei vincitori SEZIONE A : poesia in lingua a tema libero, partecipanti 400 liriche. Primo premio La donna che accarezzava i treni di Benito Galilea (Roma) Secondo Premio Come la goccia che si fa acqua e scava di Gennaro Grieco (Trana - TO) Terzo Premio Gente del Sud di Francesco Piscopo (Caltanissetta) Quarte classificate ex-aequo, le poesie: L ultima luna di Alfonsina C. Cancemi (Caltagirone CT) I veli neri del dolore di Giovanni Caso (San Severio SA) Il volo di Francesca Giovelli (Caorso PC) C è sempre un ora di Domenico Luiso (Bitonto Ba)

SEZIONE B: poesia in dialetto siciliano, partecipanti 110 liriche. Primo Premio Senza vuci di Flora Restivo (Erice TP) Secondo Premio Pirreri di Angelo Rizzo (Serradifalco CL) Terzo Premio alla poesia Disirturi di Carmelo Cataldo (Scordia CT) Quarte classificate ex-aequo le poesie: Radiche di Michelangelo Grasso (Catenanuova - EN) Pisanti di Marco Scalbrino (Trapani) Non è lu scuru di Carlo Trovato (Catania) Fuori concorso sono state, inoltre, assegnate due targhe: una alla memoria del compianto poeta Salvo Basso, l altra, per meriti letterari, al Prof. Giuseppe Cavarra. La cerimonia di premiazione è avvenuta in Palagonia alle ore 19,00 dell 11 novembre 2002 nei locali del Covo delle pulci, Vicolo dei merli, 11.

PISANTI Comu siddu lu pisu, tuttu di l universu di ncapu a li spaddi avissi a scinniri cu tramùsciu d ossa sangu e làstami paru paru jusu jusu nzina a li pedi è nèsciri. E munciniatu di li vìsciri di la terra subbissari. MARCO SCALABRINO PISANTI Come se / l universo, in tutto il suo peso / dovesse scendere / con sconquasso di ossa / sangue e spasmi / per intero / giù giù / attraverso me / sino ai miei piede / ed erompere. / E sprofondare / tortuoso / nelle viscere della terra.//

NUN E LU SCURU E all ultimi lazzi stu dramma-farsa. Quantu prima, senza applàusu o faidda di gloria, s astuta ogni luci e spiranza di rèplica. Non è lu scuru ca m aspetta dd oc arreri ca mi fa la vucca amara è dd arvulu ca non pòtti sdradicari, dda siti ca mi lassò appilatu, dda vela ca spasimò pi lu mari è ddu celu ca mi sfujiva di li manu, ddu currìvu ca mi ristò ncurpuratu, dda lacrima ca non pòtti stujari Non è l incognitu misu a lu passu ca mi stringi li cannarini è lu sensu ca non pòtti còghiri di sta pinusa arrancata a pedi scàusi fra n-còcciù di vitru e n-chiovu arraggiatu CARLO TROVATO NON E IL BUIO E alle ultime battute / questo dramma-farsa.// Quanto prima, / senza applauso / o scintilla di gloria, / si spegne ogni luce / e speranza di replica.// Non è il buoi / che mi aspetta lì dietro / che mi fa / la bocca amara / è quell albero / che non ho potuto

sradicare, / quella sete / che mi lasciò assetato, / quella vela / che spasimò per il mare // è quel cielo / che mi sfuggì dalle mani, / quell amarezza / che mi restò incorporata / quella lacrima / che non ho potuto mai asciugare // Non è l incognito / messo al passo / che mi stringe / la trachea // è il senso / che non ho potuto cogliere / di questo penoso arrancare / a piedi scalzi, / fra un coccio di vetro / e un chiodo arrugginito //

RADICHI Chi ni sanu sti picciotti di unni veni stu pani masticatu. Chi ni sanu de ntrallazzi do duopo guerra u voscenza sabanadica di cu azzappava timpi strippi di cu mazziava petri siccannusi u sangu sutta l uocchiu do suli c à peddi scurciata mbuddi- mbuddi strinciennusi a curria. Chi ni sanu de matri ca ch è criatura mbrazza riciuppavunu spichi a alivi abbirmati e agghiuttiennu pruvulazzu cu lena nutricavunu spiranzi pi farili uomini d allittrari. Vuatri ca cu sti facci ngialanuti caminati a medda scecchi di fumu ragghiannu di sgaleggiu e scurdastuvu midè i vuostri catananni circati sti radichi c arricchisciunu. MICHELANGELO GRASSO RADICI Che ne sanno questi giovanotti / da dove viene / facilmente questo pane. / Che ne sanno degli intrallazzi / del dopo guerra / il vostra signoria mi benedica / di chi zappava erti sterili / di chi frantumava pietre / asciugandosi il sangue / sotto l occhio del sole / con la pelle scalfita / piena di bolle / stringendosi la cinghia. / Che ne sanno delle madri / che con i bambini in braccio / raccoglievano spighe / olive bacate / e ingoiando polvere / con lena / nutrivano speranze / per farli uomini colti. / Voi / che con queste facce pallide / camminate / in groppa ad asini di fumo / sparlando di sbiego / e avete dimenticato / pure i vostri bisnonni / cercate queste radici / che arricchiscono.//

DISIRTURI Fratè ddumamu ccomora fammi durmiri, almenu ppi n autru anticchia ca cco suonnu m arriggettu Fammi ddumari sta Malboro: veloci fratè a guerra s arrusica i casi sicca l occhi dei morti allinchia sti lacrimi di sali e niautri semu ancora cca -i spaddi o muru, u scuru davanti na luci di sigaretta ppi lanternaa circaru a stata chiù curta ca ni porta a casa. CARMELO CATALDO DISERTORE Fratello / fammi accendere / per adesso fammi dormire, / almeno per un altro po / perché dormendo mi tranquillizzo / la guerra consuma case / asciuga (rende privi di lacrime) gli occhi dei morti / colma queste lacrime / di sale / e noi siamo ancora qua / -spalle al muro, / l oscurità davanti / la luce di una sigaretta come / lume- / cercando la strada più corta / che possa condurci a casa.//

PIRRERI Pirreri vicchi e nuvi ca, pi seculi, tincìstivu di niuru lu paisi. ah, quantu vi nni tràstivu picciutti e patri di famiglia, ca scinnivanu appedi, cu lu lustru di la luna, e acchianavanu a spadda, cu lu suli e na fudda di genti, agnuna agnuna! Strata,a purti ddà unni si senti ancora sugliuzzari la sirena, alluntana di mia ddu bisbugliu, ch asciucava lu sangu nni li vini, alluntana di mia la nutizzia: Pinuzzu si scaccià!...gianni!...eduardu!... e l urlu di la matri e di la spusa, lu chiantu raucu di li picciliddi ANGELO RIZZO MINIERE Miniere vecchie e nuove che, per i secoli, / coloraste di nero il mio paese. / Ah, quanti ne prendeste giovanotti / e padri di famiglia, che scendevano / a piedi, con il chiaro della luna, / e salivano a spalla, con il sole / e una folla di gente, in ogni angolo! // Strada, che porti là dove si sente / ancora singhiozzare la sirena, / allontana da me quel bisbiglio, / che asciuga il sangue nelle vene; / allontana da me la notizia: / Pinuccio si schiacciò!...gianni!...edoardo!... / e l urlo della madre e della sposa, / il pianto roco dei bambini. //

SENZA VUCI Sunnu vint anni patri chi t arriposie e davanti a la to balata spissu nun c è mancu un ciuri. Nun aju tempu nun aja cui mi cunnuci nun aja però ti penzu. Penzu chi mai na vota dicisti < brava > < sì bedda figghia mia > Dicisti < li picciriddi si vàsanu mentri dòrminu. > Nun era veru! Li figghi si vàsanu vigghianti pirchi l amuri è vita e nun s ammùccia. Nun sappi mai patri zoccu era pi tia veramenti. Ora ddocu unni sì truvasti forsi la figghia chi vulevi n ummira senza vuci FLORA RESTIVO SENZA VOCE Già da vent anni / padre / tu riposi / e davanti alla tua finestra di marmo / spesso non c è neppure un fiore.// Non ho tempo / non ho chi mi accompagna / non ho / però ti penso.// Penso che mai una volta / mi hai detto < brava > / o < come sei bella figlia mia >.// Dicevi < i bambini si baciano quando dormono. >// Non era vero! / I figli si baciano mentre sono svegli / perché l amore è vita / e non si nasconde.// Non ho mai saputo / padre / cosa ero veramente / per te.// Ora / là dove stai / chissà se hai trovato la figlia che volevi: / un ombra senza voce.//

C E SEMPRE UN ORA C è sempre un ora, forse la sua ombra, per il tuo cielo che si scioglie in vento per le mie mai appese alla finestra. C è sempre un ora, forse l ho sognata, che si decanta nella mia bottiglia alla deriva. E il mare non ha tempo. E un ora eterna o un attimo dorato che sparge occhi sulle mie macerie e insemina di sole la tua forma. Un ora fatta di quaranta carte spiegate a schiera sul mio tavolino che ha una gamba zoppa e un chiodo in testa Un ora la mia storia un fante ansante sul tetto una regina con il cono e un re con il bastone consumato. C è sempre un ora, forse un grumo d aria, che si scolora nei tuoi occhi grigi e poi ritorna col pennello in mano. E la mia storia passa. Tra le dune solo una palma. La mia ora folle ha silenziose grida La sua eco s insabbia e muore sopra il tuo orologio DOMENICO LUISO

IL VOLO Il grande angelo bianco ha il volto bendato di rosa, nella sua città tinta di nuovo colore, svestita di gocce di nebbia velata di fragile sole; e immutabile sta per spiccare il suo volo e annulla nel dolce suo slancio lo spazio tra la piazza ed il cielo. Anche noi abbiamo voli inespressi in questo breve tragitto di passi e lo sguardo bendato ad immaginarci su strade di poche parole e di silenzi tratteggiate; anche per noi è lo slancio invisibile il tempo di un muto contratto di un breve respiro, ma il volto dell angelo senza più velo ci mostra più libero un lembo di terra e di limpido cielo. E tu oltre le righe della vita di quel volo disegni la traiettoria che credevo smarrita. GIOVELLI M. FRANCESCA

I VELI NERI DEL DOLORE E delle lunghe attese, e delle veglie alla casa che ti vide bambino senza angeli in questa terra di afrori, non altro destino ricordi, che non fosse di carezze e scudiscio e di croci doloranti nella carne. Al grido di falci callose si ruppero i petti e il vino bevuto a riposo di zappa ancora non toglie l arsura. Qui al sud da tempo le donne hanno deposto I veli neri nel dolore, ma il vero dolore rimane e i coltelli sono sempre affilati. sai dei fiumi che tremano nella valle di luna e che d inverno tracimano oscuri e perduti, sai delle montane sventrate dalle piogge e dai fuochi che bruciano arbusti e speranze. Puoi credere o non credere al Dio della vita, puoi dargli il volto che vuoi, un volto che mi somiglia, ma non ti consola la camicia che metti nei giorni di festa al paese ingigliato. E il prezzo di vivere non ti è mai scontato. Tu la conosci da sempre la morte che taglia l erba e dissecca il pozzo e morde la mano la mano dei bambini. Solo il trionfo della vanga sul duro dell alba sveglia il silenzio, come la voce di Pietro per tre volte gridata a crociare il Cristo rinnegato. Da sempre le rinunzie sono sangue incrostato sulla bocca, da sempre seppellisci i tuoi morti per farli tacere. GIOVANNI CASO

L ULTIMA LUNA Inutilmente cerco la tua ombra di querci per sciogliere ai tuoi piedi i petali del cuore in un braciere fumante di silenzi Sacerdotessa d amore sacrificherò la mia veste per darti la mia pelle nuda La favola ch era in me si è spenta e labirintici specchi deformano la mia sete in maschera d acciaio duro Mi bruciano le ali lapilli di morte chiudono in bozzolo nero l ultima luna Strapperò alla terra sabbia calda e cenere per la mia carne fragile finché il mare mi scioglierà precipite mescolando il suo pianto al pianto mio Già sui muri si disegna l ombra gigantesca Sono stanca di respirare smog stanca di credere nel gioco antico se nera la vertigine si spezza in un caleidoscopio di cuccioli feriti Che qualcuno mi spalanchi la porta per udire ancora parole di vento sull ara antica di Pompei dissepolta ALFONSINA CAMPISANO CANCEMI

GENTE DEL SUD Facilmente la sorte non svela i trucchi del prestigiatore nei giochi di carte e anche gli abbracci dei nostri compagni sembrano fatti d aria, solo sentimenti intatti sopravvivono: emanano fumo e lingue di fuoco, le passioni si fanno leggere e fissano veli di merletto alle chiome nere con pettini d argento a forma di liuto. Segno che la vita Non è fatta soltanto di catene, che la gente del Sud non parla solo lingue incomprensibili e selvagge. Ma dopo tanto ardore la lampada si spegne e solo negli occhi innamorati trilla l ultimo sorriso dell amante, è tempo di cantare e di correre non di sottomettersi alla tirannia del riposo finchè l acqua pestata dai secolari deflussi scoscesi riesce a sopportare il peso delle barche. Da ora in poi, però, la balalaica triste si ridesta e il carnevale comincia, non so se diabolico o catartico del sonno e della notte. FRANCESCO PISCOPO

COME LA GOCCIA CHE SI FA ACQUA E SCAVA Che sia devozione, per questa terra. che sia paziente cura. Che sia l emozione, il senso, e una mano che sappia ritentare. Ascolta, quando è tempo si parte, silenziosi : appena un varco, una piega; una piega ma tutta tua del mondo, tua, dovrai credere, e di questa terra :generazione spontanea, vita e di vita sorgente inesauribile, destino necessario : come la goccia che si fa acqua e scava, dalla finitezza infinta luogo e, ascolta, non è fluire casuale : l acqua che scorre varia le golene, smuove la zolla e spinge le radici, sta in questa terra e ne è, profondo, il cuore. Sarai, come la goccia, sarai impronta lieve, sussulto breve; sarai guizzo e schiuma, impeto e follia sari ampia distesa o immota corrente, proditoriamente ti perderai preso da troppa luce. GENNARO GRIECO

LA DONNA CHE ACCAREZZAVA I TRENI La donna che accarezzava i treni, esclusa dai portali delle piazze e dalle chiese dove i preti sono altari di sicurezza e colombe predestinate, oggi si riconosce in un gesto di disordine mentre urina cieca ai lati della strada. Succede che il morto non sia morto se l illusione condisce i patimenti e ne allarga i confini soppesando tutti i dati, inclusa la nascita Qui nessuno l ha guardata, neanche l uccello allontanandosi dai primi freddi per tornare sfinito ai caldi delle terre rianimate nessuno ha chiuso più chiuso o aperto gli occhi per riconoscersi in quest angolo di cielo dove niente torna e niente diparte se non l anima, costretta dagli affari Che io sappia fu proprio uno che di vita se ne intende, un prete, che un giorno vide il cadavere illuminato nel mattino e lo cacciò al riparo di una fossa al cimitero senza suoni recitazioni od olio santo. Che non sono gli angeli intoccabili e muti? Poi venne la pioggia di marzo con la croce di Pasqua e il messale porporino posato sull altare vicino a un mazzetto di viole straniere che faceva da cornice a una preghiera. All angolo di strada avevano sistemato un venditore di fusaglie, l invero sfinito e la parola virtuale di un segreto divenuto acqua. Lungo il viale d aria dell assenza, in terra d altri, prima della resurrezione, la donna che accarezzava i treni era nessuno. BENITO GALILEA