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Transcript:

ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 05/2015 Napoli 2 Febbraio 2015 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. VALIDO IL PATTO DI PROVA CHE FA RIFERIMENTO ALLA SOLA CATEGORIA CONTRATTUALE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 665 DEL 16 GENNAIO 2015 La Corte di Cassazione, sentenza n 665 del 16 gennaio 2015, ha statuito che è pienamente valido il patto di prova che faccia riferimento esclusivamente alla categoria contrattuale (id: livello) senza indicare, analiticamente, la mansione lavorativa. Nel caso in commento, un dipendente, assunto quale operaio generico di 1 livello del c.c.n.l. legno ed arredamento, veniva licenziato per mancato superamento del periodo di prova. I Giudici, aditi dallo stesso prestatore, ne rigettavano, in entrambi i gradi di merito, le doglianze imperniate sulla genericità delle mansioni indicate nel contratto individuale (id: operaio generico) e sull'espletamento, per un brevissimo periodo, di un'attività lavorativa diversa (id: verniciatore). Orbene, gli Ermellini, aditi in ultima battuta, nel confermare integralmente il deliberato di prime cure, hanno sottolineato che il patto di prova è sufficientemente specifico e, pertanto, pienamente valido, anche se fa semplicemente riferimento alla categoria contrattuale che consente, 1

al datore di lavoro, di assegnare il dipendente ad uno degli eventuali plurimi profili rientranti nel medesimo livello. Pertanto, atteso che nel caso de quo il datore di lavoro aveva regolarmente indicato, nella lettera di assunzione, la categoria contrattuale e che la differente mansione di verniciatore era stata espletata per un brevissimo tempo, senza, de facto, incidere minimamente sulla valutazione complessiva, inerente il periodo di prova, effettuata dall'azienda, i Giudici di legittimità hanno confermato la legittimità dell'atto di recesso datoriale. NON E CONSENTITO DI ATTRIBUIRE A DETERMINATI COMPORTAMENTI DEL LAVORATORE IL VALORE DI MANIFESTAZIONE PER FACTA CONCLUDENTIA DELLA VOLONTA DI DIMETTERSI SENZA POSSIBILITA DI PROVA CONTRARIA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 1025 DEL 21 GENNAIO 2015 La Corte di Cassazione, sentenza n 1025 del 21 gennaio 2015, ha (ri)confermato che le dimissioni rese per facta concludentia presuppongono una volontà effettiva di dimettersi, sebbene la concreta manifestazione avvenga in forma diversa dalla dichiarazione esplicita. Nella fattispecie in esame, la S.I.A.E., ritenendo applicabile l art. 68 del regolamento del personale, aveva considerato dimissionario un dipendente che, senza dare la prevista comunicazione, si era assentato senza giustificato motivo dal lavoro per un periodo superiore a 10 giorni lavorativi consecutivi. Il Tribunale di Roma aveva ritenuto corretto il comportamento della società che, dopo aver solo contestato l assenza ingiustificata, aveva ravvisato nella condotta del dipendente una implicita volontà di rassegnare le dimissioni. Avverso detta decisione ha proposto appello il lavoratore evidenziando che, si era premurato di comunicare telefonicamente il suo stato di malattia, motivo della sua assenza, e la società, riconoscendo l'avvenuta comunicazione dell'impedimento, aveva corrisposto anche il relativo trattamento economico. Pertanto, la mancata trasmissione dei relativi certificati medici, ancorché sollecitata dalla società, non poteva riferirsi ad una presunta volontà di dimettersi, mentre, doveva essere ravvisato 2

un vero e proprio licenziamento, nella specie illegittimo perché intimato senza il rispetto delle garanzie difensive previste dalla L. n. 300 del 1970. La Corte d'appello di Roma ha accolto le doglianze del lavoratore ed ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento. Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la società. La Suprema Corte ha approvato il decisum della Corte d Appello ed ha ribadito il principio secondo cui alle parti non è consentito di attribuire a determinati comportamenti del lavoratore il valore ed il significato negoziale di manifestazione implicita o per facta concludentia della volontà di dimettersi, senza possibilità di prova contraria. Nella fattispecie, hanno concluso gli Ermellini, si versava in una fattispecie di prolungata assenza causata da malattia, la quale, in mancanza di idonea documentazione, doveva considerarsi ingiustificata ed avrebbe potuto esser posta a fondamento di un licenziamento disciplinare nel rispetto però delle garanzie procedimentali di legge; ciò che non è avvenuto avendo la società ritenuto - erroneamente - che si versasse in ipotesi di dimissioni del lavoratore per fatti concludenti. NON E LICENZIABILE IL LAVORATORE CHE SOTTRAE FURTIVAMENTE DEL VINO PER POI CONSUMARLO SUL POSTO DI LAVORO IN UN PERIODO LIMITATO E COINCIDENTE CON UNA DIFFICILE SITUAZIONE PSICOLOGICA ED AMBIENTALE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 854 DEL 20 GENNAIO 2015 La Corte di Cassazione, sentenza n 854 del 20 gennaio 2015, ha confermato che è necessario il rispetto del principio di proporzionalità, fra infrazione e sanzione, ai fini di un legittimo esercizio del potere disciplinare. Nel caso in commento, la Corte d'appello di Catanzaro riformava la decisione di 1 grado, dichiarando illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore addetto alle vendite di un supermercato che, grazie alle verifiche del personale ed alle registrazioni delle telecamere di videosorveglianza, era stato sorpreso a consumare in pochi giorni - delle confezioni di vino in scatola, precedentemente sottratte in maniera furtiva. 3

In conseguenza a ciò, il datore di lavoro esperito il procedimento disciplinare licenziava per giusta causa il lavoratore come tipizzato all art. 221 del CCNL applicato. Orbene, la Suprema Corte, nel pieno esercizio della funzione nomofilattica, ha ritenuto che la Corte territoriale non è incorsa in alcun errore di diritto e vizio logico, in quanto pur in presenza di un comportamento sanzionabile ed espressamente elencato dal CCNL fra le ipotesi di licenziamento per giusta causa, il fatto va necessariamente analizzato esternamente alla mera fattispecie contrattuale dovendo opportunamente valutare anche il principio di proporzionalità del provvedimento. Difatti, il lavoratore aveva sottratto le confezioni di vino in scatola per consumarle in un arco di tempo limitato (alcuni giorni di settembre del 2009), mostrando in ciò - un evidente stato straordinario di disagio psicologico, dovuto a situazioni familiari comprovate, rispetto all ordinaria indole mostrata dal lavoratore nel tempo. Quindi, in considerazione del breve lasso di tempo, dello scarso valore dei beni complessivamente sottratti, della temporanea condizione di disagio abbinata ad una condotta irreprensibile e le mansioni non comportanti particolari responsabilità, non essendo nel caso in commento l'adempimento connesso all affidamento, hanno indotto gli Ermellini a ritenere il fatto non irrimediabilmente lesivo del vincolo fiduciario tale da giustificare un provvedimento espulsivo. TARSU SEMPRE DOVUTA SUL GARAGE, ANCHE SE NON UTILIZZATO. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 33 DEL 7 GENNAIO 2015 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 33 del 7 gennaio 2015, ha chiarito che la TARSU è sempre dovuta, ai sensi dell'art. 62, D.Lgs. n. 507/1993, anche nel caso di possesso o detenzione di un garage a prescindere dalla circostanza che il contribuente ne faccia o meno uso, di modo che non spetta al Comune provare che il locale è fonte di produzione di rifiuti, bensì è onere del contribuente richiedere l esenzione dalla tassa, sempre che ne ricorrano le condizioni. 4

Nel caso di specie, il contribuente aveva proceduto ad impugnare dinanzi agli organi della giustizia tributaria un avviso d accertamento con il quale il Comune aveva richiesto il pagamento della TARSU per un garage inutilizzato. In entrambi i gradi di giudizio di merito il contribuente risultava vincitore, per cui il Comune provvedeva a ricorrere in Cassazione. Orbene, la Suprema Corte, ha accolto il ricorso. Infatti, gli Ermellini, con la sentenza de qua, hanno evidenziato come ai sensi dell art. 62 del D.lgs. 507/93 il pagamento della TARSU sia dovuto da chiunque occupi o conduca locali, a qualsiasi scopo adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale e, quindi, anche il garage inutilizzato. Mentre, non risultano soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati. In definitiva, hanno concluso i Giudici del Palazzaccio, il presupposto oggettivo per l'applicazione dell'imposta è costituito dalla circostanza che l'interessato occupi quello specifico locale, non rilevando quale sia la sua destinazione d'uso, a prescindere del tutto dal titolo giuridico o di fatto, in base al quale gli immobili sono occupati o detenuti, per cui grava sul contribuente l'onere di provare la sussistenza delle condizioni per poter beneficiare delle agevolazioni stabilite dall art. 62 su citato (cfr. Cass. n. 4676/2014 e Cass. n. 6651/2014). Per tutto quanto sopra, la sentenza impugnata è stata cassata senza rinvio, decidendo direttamente la Cassazione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. IN UNA COMPRAVENDITA IMMOBILIARE IL CONTRATTO E CONCLUSO CON LA SEMPLICE COMUNICAZIONE DELL AGENZIA ALL ACQUIRENTE DELL AVVENUTA ACCETTAZIONE DELLA PROPOSTA IRREVOCABILE. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE CIVILE - SENTENZA N. 25923 DEL 9 DICEMBRE 2014 La Corte di Cassazione Sezione Civile -, sentenza n 25923 del 9 dicembre 2014, ha statuito che in una compravendita immobiliare il contratto è da ritenersi concluso anche con la semplice comunicazione 5

dell agenzia all acquirente dell avvenuta accettazione della proposta irrevocabile. E, pertanto, sufficiente la comunicazione con cui il nuncius (ergo: intermediario) informa il proponente di essere in possesso della accettazione scritta, senza dover dunque anche trasmettere tale accettazione. La decisione della S.C. è giunta in seguito a due pronunce di merito contrastanti. In nuce, gli Ermellini, richiamando con un interpretazione l'art. 1326 c.1, C.C., in base al quale il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte e tale conoscenza si può realizzare anche senza la sua trasmissione al proponente, hanno accolto le doglianze del venditore ribadendo che, il contratto si deve ritenere ugualmente concluso quando, pur non essendo stata l'accettazione indirizzata al proponente, questi ne abbia comunque avuto conoscenza. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo. Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro 6