L «Aida» di De Bosio all Arena di Chiara Squarcina Quando si pensa all Arena di Verona il pensiero scivola immancabilmente all Aida di Giuseppe Verdi e il conseguente nonché naturale collegamento richiama alla mente un maestro come Gianfranco De Bosio. Il binomio Aida-De Bosio è ormai qualcosa di assodato, di inscindibile, e questo per molteplici ragioni. L unico che poteva svelarcele è proprio De Bosio stesso, che, seppur impegnatissimo nell allestimento (ovviamente di Aida) in programma dal 20 giugno all Arena, ha trovato il tempo di incontrarci e spiegare questo assioma che nel tempo si consolida sempre più. Sedici stagioni fa racconta il regista quando proposi all allora Soprintendente areniano, Carlo Alberto Cappelli di ricostruire l edizione del 1913 non pensavo certo a un successo così clamoroso. In realtà la questione è molto semplice: l Aida firmata dall architetto Ettore Fagioli era geniale da un punto di 27 che ha animato la creatività di Fagioli e di percepire quale fosse il suo chiaro intento scenografico. Gli stessi eredi della sua famiglia me lo hanno riconosciuto. Non ho mai, in alcun momento, voluto che venisse meno quel profondo rispetto nei riguardi della vena originale dell architetto perché sebbene fossero pochi i bozzetti a disposizione erano assolutamente esaustivi sul tipo di lettura dell opera. Ovviamente in questi anni ci sono state delle naturali se non addirittura ovvie modifiche mirate alla ricerca di una perfezione ideale. Quest anno il corpo di ballo aprirà con una breve azione il trionfo, mai successo prima d ora. Inoltre i due cori contrapposti dei popoli si esprimeranno con movimenti più accentuati, più drammatici. Il tutto perché negli anni si sfrutta anche l esperienza pervenuta dagli studi scenografici di Vittorio Rossi nel 1982 e quella del 1992 di Rinaldo Olivieri. Ora sto lavorando con Giuseppe De Filippi Venezia. Sempre quest anno poi l ultimo quadro sarà realizzato diversamente dal penultimo perché abbiamo trovato una soluzione di rotazione della scena che permette di accelerare il cambiamento. Quali sono i punti di forza e quelli più deboli del testo verdiano che secondo Lei un regista deve affrontare nel mettere in scena l Aida. Qui la discussione è apertissima. Molta critica considera il Aida All Arena vista scenografico perché riusciva a essere grandiosa e rispettare al contempo il monumento Arena. L opera non sovrasta il contenitore condividendo il ruolo di protagonista con l Arena nel massimo rispetto dello spazio, inteso nel senso completo dalla parola. La rappresentazione coinvolge tutto lo spazio disponibile perché così dev essere. È un dialogo in perfetta sintonia d intenti fra la partitura e il luogo in cui viene rappresentata. Non c è conflittualità: il pubblico si sente parte di quanto accade in maniera molto più forte di quanto potrebbe succedere in un altro teatro perché non esiste una vera separazione tra l ascoltatore e l esecutore. In realtà l Aida, grazie all Arena, sommerge visivamente e fonicamente il pubblico. Come è cambiata la lettura dell opera verdiana che sta preparando per la stagione estiva dell Arena rispetto alla precedente versione? Quando la ideò, Fagioli era giovanissimo. Io, impegnato a riprenderla, non ho mai pensato a una riproduzione ma a una rievocazione che ogni anno si arricchiva, anche perché non è mai stata possibile una consultazione complessiva del materiale creativo in quanto i documenti disponibili che si erano salvati erano pochi bozzetti. Questo però non mi ha impedito di intuire lo spirito Verona Arena 4, 12, 16, 22, 26, 28, 31 luglio, ore 21.15 5, 8, 16, 18, 21, 27, 30 agosto, ore 21.00 trionfo musicalmente una musica qualunque. Lo stesso Verdi lo chiamava il «rata-plan», con una certa autoironia. In realtà il trionfo è il momento più esaltante in assoluto per il pubblico che strappa sempre da tre a cinque applausi a scena aperta. Pertanto dal punto di vista musicale lo si può definire «banale» ma da quello drammaturgico è eccellente. L ultimo quadro, secondo Mila, manca di ispirazione però è una scena che funziona sempre e tanto più in Arena. Spesso i punti più fragili musicalmente sono i punti forti dal punto di vista scenico e viceversa. In realtà le «parti colossali» dello spettacolo incidono di più sull aspetto scenografico mentre le parti più legate al belcanto come il dialogo fra Amneris e Aida sono meno coinvolgenti visivamente: in quei momenti scatta l introspezione emotiva e la musica si apre alla sensibilità del singolo ascoltatore. L Aida era stata scritta per inaugurare lo stretto di Suez. Oggi la messinscena di quest opera potrebbe essere intesa come una lettura sociologica di convivenza fra due popoli? Sicuramente. Abbiamo l idea di sviluppare questa tematica durante la prossima rappresentazione dell Aida al Filarmonico perché all Arena questo aspetto si perderebbe.
28 Breve storia della «Carmen» veronese di Zeffirelli di Marco Gandini Zeffirelli ha avuto un rapporto speciale con Verona. In seguito al ben celebre film su Giulietta e Romeo del 1968, la città e le sue varie amministrazioni tentarono più volte di impegnare il Maestro in una produzione operistica all anfiteatro romano. Per motivi di varia natura non si riuscì mai a creare una situazione favorevole. In aggiunta, Zeffirelli, per un certo periodo, riteneva di non trovare un titolo appropriato che potesse prestarsi a una messinscena particolare, tenuto anche conto delle specificità dello spettacolo en plein air. Nel 1995, l amministrazione dell epoca a guida dell Arena riuscì a convincere il Maestro, che proprio la particolarità dello spazio areniano avrebbe offerto un contesto ideale a una rappresentazione «grandiosa» dello stile operistico zeffirelliano. Il titolo scelto fu Carmen, assente dai cartelloni da parecchio tempo, seppur considerata opera di grande attrattiva per il vasto ed eterogeneo pubblico dell Arena. Carmen non solo contiene momenti musicali celeberrimi ai più, ma da un punto di vista formale può essere considerata «spettacolare» per la consistente presenza del coro, per l alternanza dei pezzi musicali di ensamble ad arie e duetti di natura più intima, per la possibilità di inserire momenti di ballo, e infine per l attrattiva esercitata da un certo «esotismo» di carattere spagnolo. Il Maestro avvertì soprattutto la necessità di dare evidenza proprio allo speciale folklorismo della partitura, sentì che la presenza di una parte spagnola fosse fondamentale alla buona resa dello spettacolo. Io stesso andai in Spagna e intrapresi una lunga serie di audizioni di gruppi di danza spagnoli che potessero essere impiegati nello spettacolo. Quello che Zeffirelli desiderava non era tanto un organico di ballo, ma un gruppo di persone che arricchissero con la loro presenza il carattere «gitano» che avrebbe fatto da leit motiv anche nella realizzazione scenografica. Ricordo che visionammo moltissimi video di gruppi andalusi incontrati a Siviglia e nelle cittadine limitrofe di Carmona Utrera Huelva Jerez de la Frontera. Alla fine si decise di scritturare un gruppo che faceva capo a El Camborio, coreografo che già aveva lavorato in una Carmen all Arena nell allestimento di Berrocal, e che quindi conosceva le specificità del luogo. El Camborio potè garantire la presenza di un gruppo di ballerini spagnoli e soprattutto gestire (per il lungo periodo di permanenza a Verona mediamente di tre mesi, tra prove e recite) una parte di veri gitani che avrebbero dato quel particolare «colore» che Zeffirelli voleva. L aspetto gitano era preponderante, e Zeffirelli inserì il gruppo di questi gitani spagnoli in quasi tutte le scene di Carmen. Carmen stessa era considerata una gitana e da questo derivano le scene di ballo in cui lei è protagonista all inizio del secondo atto. Da un punto di vista scenografico la gitaneria era accentuata dalla presenza di «accampamenti gitani» posti sui gradoni laterali dell Arena a incorniciare costantemente la parte centrale che, nell alternanza dei quadri, rappresentava la piazza di Siviglia, la taverna, la montagna, e l esterno alla Plaza de Toros a cui Zeffirelli diede un aspetto particolare ponendovi una grande croce a somiglianza del Cristo de Los Faroles di Cordoba. Carmen rappresentò il debutto di Zeffirelli in Arena, debutto fortunato, perché ottenne grandissimo successo e fu uno dei titoli areniani successivamente più rappresentati. L allestimento venne riproposto negli anni seguenti al 1995 con cadenza quasi annuale. Il successo di Carmen determinò un legame e un affetto speciale di Zeffirelli per l Arena di Verona e per la città in generale. Il Maestro scoprì le grandi possibilità che l anfiteatro poteva offrire alla rappresentazione, e volle ritornare con altri allestimenti, Trovatore, Aida, Butterfly. Carmen era il debutto per Zeffirelli all Arena, ma non il debutto nell opera. Il Maestro aveva fatto una produzione, che oggi possiamo definire storica, di Vienna negli anni settanta e che Vienna ancora oggi ripropone. Quel famoso allestimento vedeva la partecipazione di uno staordinario Domingo e la direzione d orchestra inarrivabile del Maestro Kleiber. L edizione di Vienna è in un certo senso la madre di quella che poi Zeffirelli fece all Arena, in cui egli riconobbe la paternità di alcuni momenti proprio alla lettura che con Kleiber venne fatta dell opera. Un momento particolare è dato dalla posposizione del preludio IV come secondo numero musicale dell ultimo atto. Questo preludio è quello connotato fortemente dal carattere spagnolo, e diventa un occasione importante di ballo, a Vienna come anche a Verona. Nella prima edizione del 1995 il ballo del IV atto sulla musica del preludio veniva addirittura esteso con l inserzione di altre musiche di Bizet. La Carmen del 1995 aveva per protagonisti principali Sergei Larin e la straordinaria Denis Graves considerata la Carmen «del momento», la direzione d orchestra affidata a Daniel Oren. Il percorso attraverso Carmen, da Vienna a Verona continuò con un altra importantissima tappa, l anno seguente il debutto in Arena. Nel 1996 venne infatti chiesto a Zeffirelli un nuovo allestimento e fu deciso sulla scia del successo areniano di proporre una nuova Carmen per il pubblico americano. Il contesto era di assoluto prestigio: Waltraud Meier al suo debutto nel ruolo di Carmen, Placido Domingo e Angela Gheoghiu come Micaela, direttore d orchestra James Levine. Se Carmen dell Arena deve riconoscere un origine nell edizione di Vienna, quella del Met ha una evidente somiglianza con quella veronese. Il Metropolitan Opera di New York fece dell allestimento uno dei titoli di repertorio più frequentati e venne riproposto l anno successivo (1997) come inaugurazione di stagione (alla presenza dell allora Presidente Clinton) con la stessa Denis Graves dell edizione 95 di Verona. Dopo numerose rappresentazioni, l allestimento è stato quest anno venduto all Opera di Tel Aviv che, a un mese dall apertura di stagione in Arena di quest anno con Carmen, ne ha programmate ben 16 recite. L edizione odierna all Arena rappresenta un ulteriore avanzamento nello sviluppo e «vita» di questo spettacolo. Zeffirelli ha concepito una variante alla scenografia originaria della prima edizione del 95. L immagine è sostanzialmente affine, ma presenta soprattutto nel secondo e nel quarto atto degli elementi (dei grandissimi pannelli dipinti) che aumentano l impatto visivo di questi due quadri. Queste modifiche sono state concepite per dare allo spettacolo un nuovo punto di interesse in vista delle future riprese e principalmente della ripresa dell allestimento il prossimo anno nel contesto di celebrazione che l Arena farà a Zeffirelli dedicando l intera stagione alla programmazione dei suoi spettacoli areniani (Carmen, Trovatore, Aida, Butterfly) con l aggiunta del nuovo allestimento di Turandot in apertura. Carmen, manifesto Usa 1896 (wikipedia).
Al via il XL Festival dell Operetta di Trieste di Arianna Silvestrini Trieste si conferma una delle capitali europee dell operetta. Nel capoluogo friulano si tiene quest anno, dall 11 giugno al 31 luglio, la quarantesima edizione del Festival internazionale dell operetta preceduta dalla rassegna «Aspettando il festival», manifestazioni organizzate dalla Fondazione Teatro Lirico «Giuseppe Verdi» con la collaborazione dell Associazione internazionale dell operetta Friuli Venezia Giulia. L apertura del pre-festival è stata affidata ai Solisti della Compagnia Corrado Abbiati di Reggio Emilia impegnati nel programma intitolato «Ballo al Savoy», una selezione di ritmi e melodie degli anni trenta con musiche di Abraham, Benatzky e Stolz. Giovedì 18 alle 18, nella Sala del Ridotto del Teatro Verdi, Andrea Binetti Dalla locandina del Festival al Teatro Verdi 29 il tenore Andrea Binetti si esibirà in un omaggio a Sandro Massimini, triestino d adozione, a partire dai brani del suo esordio nel 1970 nel Paese dei Campanelli. Il terzo appuntamento di «Aspettando il festival» si annuncia come una Festa della piccola lirica, ovvero una fantasia di brani famosi interpretati da alcuni tra i solisti che negli anni hanno collaborato con l Associazione friulana. Il 19 e il 20 giugno per le vie di Trieste si festeggerà con la sfilata bandistica «Parata di primavera», dalla famosa operetta di Robert Stolz, più volte rappresentata con successo nei quarant anni del Festival. Ma è con La vedova allegra di Franz Lehár che il 4 luglio si giunge al clou della manifestazione, in quella stessa città in cui nel 1907 si assistette alla prima italiana, diretta dall autore, dell operetta più rappresentata al mondo. Simbolo della belle-époque coprodotta dal Verdi in collaborazione con il Teatro Carlo Felice di Genova, il San Carlo di Napoli e l Arena di Verona La vedova allegra viene messa in scena fino al 25 luglio in un nuovo e raffinato allestimento creato nei laboratori della Fondazione lirica e ideato da Federico Tiezzi, regista toscano che per la prima volta si cimenterà in un campo teatrale del tutto inedito. Il festival proseguirà venerdì 10 luglio con la rappresentazione del Conte di Lussemburgo, operetta in due parti firmata sempre da Lehár, in cui si esibiranno i soprani Loredana Pellizzari e Miriam Sparo e i tenori Massimo Marsi e Francesco Paccorini del Coro stabile del Teatro Verdi. Pellizzari, Marsi e Paccorini saranno protagonisti anche dell esecuzione in forma di concerto, con la partecipazione straordinaria di Elio Pandolfi, di Sogno di un valzer, operetta in tre atti di Dörmann e Jacobson su musica di Oscar Straus. Il 12 luglio nella Sala Tripcovich del Verdi e il giorno seguente nel Piazzale del Castello di Udine gli appassionati potranno ascoltare i più famosi valzer e le più belle arie da operetta scritte da Lehár, Paul Abráhám e Emmerich Kálmán e interpretate dai solisti e dal Corpo di ballo del Teatro dell Operetta Ungherese, con la direzione del maestro Spennai Kálmán. A conclusione del festival, venerdì 31 luglio il Teatro Verdi ospiterà in una serata di Gran Galà un programma che ripercorre le più suggestive musiche di Straus, von Suppé, Gilbert, Loewe, Costa, Pietri, Ranzato, Rodgers e Zeller. Il maestro Romolo Gessi dirigerà, tra gli altri, Elena Borin e Andrea Binetti. L orchestra e il Coro del Verdi saranno diretti da Lorenzo Fratini, mentre il Coro delle voci Bianche da Maria Susovsky. Per i quarant anni del Festival è stata, inoltre, organizzata una mostra storica dell operetta intitolata Tu che m hai preso il cuor aperta al pubblico fino al 26 luglio nelle sale di Palazzo Gopcevich di Trieste. Elena Borin
30 Il «Tristano» di Squarzina e Manzù Ricordo di uno spettacolo memorabile alla Fenice Luigi Squarzina, uno dei principali maestri del teatro italiano, nella sua lunga carriera ha allestito più di un centinaio di spettacoli di prosa, ma si è spesso e volentieri provato anche con l opera, per la quale firma poco meno di trenta regie. Uno dei vertici della sua produzione lirica è certamente il Tristano e Isotta di Richard Wagner, messo in scena alla Fenice il 31 marzo 1971. Per l occasione si conferma un sodalizio già sperimentato anni prima, quello con Giacomo Manzù, grande scultore «imprestato» al teatro, che realizza le scene e i costumi. A distanza di quasi quarant anni, il regista ci racconta quell emozionante esperienza. Era il 1971, e io avevo appena terminato due lavori importanti come Madre Courage e i suoi figli di Brecht e 8 Settembre, un testo a sei mani di Enzo De Bernart, Ruggero Zangrandi e mio, entrambi allestiti allo Stabile di Genova. Bisogna sottolineare che i protagonisti di quest avventura wagneriana erano tre: Mario Labrocca, il bravissimo sovrintendente della Fenice, Giacomo Manzù e il sottoscritto. In realtà con il grande scultore avevo già lavorato qualche anno prima, nel 1964. Quella volta avevamo affrontato l Oedipus Rex di Stravinskij per il Teatro dell Opera di Roma, e già allora Manzù aveva introdotto nella scenografia degli oggetti a forma di uovo, elemento che tornerà con forza nel Tristano. Lo spettacolo, nel quale erano inseriti 14 mimi, ebbe grande successo e fu replicato in varie stagioni successive. Credo che Labrocca lo abbia visto a Firenze nel 70: fatto sta che l anno successivo si concretizzò il progetto per questo Wagner innovativo, che Manzù come era sua consuetudine dal punto di vista scenografico aveva reso ironicamente, senza la seriosità di molte altre messinscene. Così, con le scene quasi interamente realizzate, ci ritrovammo a pianificare un calendario per le prove. E qui entra in gioco il Convitato di pietra, cioè il quarto protagonista di quest esperienza, vale a dire la Germania dell Est. Erano anni difficili, il mondo era diviso in due blocchi, e a dirigere l opera era stato chiamato Kurt Masur, ora notissimo in tutto il mondo, ma allora popolare prevalentemente nell Europa dell Est. L intero cast dei cantanti era tedesco, e tutti loro erano seguiti da un accompagnatore, che fungeva anche da sorvegliante
31 per evitare che qualcuno scegliesse in modo permanente l Occidente. Alla fine, dovemmo affrettare la preparazione, perché la delegazione tedesca aveva una certa fretta di tornare a casa. Ma Labrocca era un eccellente organizzatore, e per fortuna tutto l impianto scenico era già predisposto, così riuscimmo a lavorare lo stesso con grande armonia. E lo spettacolo veneziano, grazie anche alla straordinaria bravura di Manzù, fu un grande successo. (l.m.) Le preziose immagini dei bozzetti di scena e dei costumi di Giacomo Manzù sono state gentilmente concesse da Luigi Squarzina, che ha negli ultimi tempi donato il suo imponente archivio alla Fondazione Gramsci.