San Tommaso d Aquino Summa Theologiae II-II, 83 La preghiera. La preghiera

Documenti analoghi
San Tommaso d Aquino Summa Theologiae II-II, 179 Divisione della vita in attiva e contemplativa. Divisione della vita in attiva e contemplativa

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae I-II, 1 Il fine ultimo dell uomo. Il fine ultimo dell'uomo

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae I, 2 Se Dio esista. Se Dio esista

La S. MESSA (In rosso ci sono le risposte dell Assemblea)

I PRONOMI (PERSONALI,

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La scienza di Dio

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae II-II, 82 La devozione. La devozione

Capitolo II INIZIO E CONCLUSIONE DI ATTI COMUNI

S. Th., I a, q. 19, a. 9 Se Dio voglia i mali

lemma traduzione parte del discorso gruppo posizione māgnus -a -um grande Aggettivo: I Classe (I e II Misura 25 Declinazione)

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae I, 20 L amore di Dio. L'amore di Dio

Tommaso dʼaquino, Summa Theologiae, I-II Indice delle prime 5 questioni, Prologo, e alcuni respondeo

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae I-II, 5 Il conseguimento della beatitudine. Il conseguimento della beatitudine

I PRONOMI RELATIVI. LA PROPOSIZIONE RELATIVA LA PROLESSI DELLA PROPOSIZIONE

Il primato del bene sul vero nella dottrina dei perfettibili di Padre Alberto Boccanegra

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I DEFUNTI

Giampaolo Azzoni La legge in Tommaso d Aquino: una archeologia del principio di legalità

Il simbolo nicenocostantinopolitano. La sintesi delle verità di fede cristiane: testo e punti di attenzione

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae I, 21 Giustizia e Misericordia di Dio. Giustizia e misericordia di Dio

Omelia di Pentecoste. 8 giugno Tutti furono colmati di Spirito Santo (At 2, 4).

Grido di Vittoria.it

Pro Loco di San Salvatore Telesino Provincia di Benevento

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae III, 75 La conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo

Padre Nostro che sei nei cieli (Mt 6.9)

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae II-II, 18 Il soggetto della speranza. Il soggetto della speranza

Giovedì 18 giugno XI settimana del Tempo Ordinario. + VANGELO (Mt 6,7-15) Voi dunque pregate così. + Dal Vangelo secondo Matteo

L eucaristia memoriale della Pasqua

MISSIONARIO DEL MISTERO DI DIO

A cura di Chiesacattolica.it e LaChiesa.it. PRIMA LETTURA Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio.

I PRONOMI E AGGETTIVI

Dal vangelo secondo Giovanni. In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c'erano anche alcuni Greci.

PRIMA PARTE. L AZIONE DIVINA NELLA GIUSTIFICAZIONE.

Il culto nella Bibbia

Sacra Famiglia anno C


Crisi dell Eurocentrismo e futuro dell umanesimo europeo

Sia santificato il tuo nome

Preghiera del Sinodo

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae III, 25 Il culto di Cristo. Il culto di Cristo

Dio e l uomo OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO DI IRELIGIONE CATTOLICA PRIMARIA OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO ANNUALI CLASSE PRIME CLASSI SECONDE CLASSE TERZA

TOMMASO D'AQUINO. Legge naturale e legge umana

I sette doni dello Spirito Santo La nostra vita può essere paragonata ad una barca priva di motore e spinta a fatica a remi dai rematori, ma se si

Preghiera del mattino

I doni dello Spirito Santo: 3. Il Consiglio. Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l amore di Dio Padre, e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.

OBBLIGHI DI INFORMAZIONE E PUBBLICITÀ PER I BENEFICIARI

ESAME DI COSCIENZA. Vieni, o Spirito Santo, riempi il cuore dei tuoi fedeli, accendi in essi il fuoco del tuo amore.

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I DEFUNTI

Riti di introduzione. Il Signore ci invita alla sua mensa. Esercizi Spirituali - anno della Fede - Parrocchia SAN LORENZO -Lunedì.

Et ipse : La imago Dei nel prologo alla seconda parte della Summa Theologiae

Chiesa di Cristo, Pisa. Se fossi. Riflessioni sulla lotta contro il signore di questo mondo (Giovanni 12:31; 2Corinzi 4:4)

La giustizia è l Amore soddisfatto, è l amore che gioisce in se stesso. (4 ottobre 1894)

Pregare è incontrarsi con qualcuno Come vorrei incontrare Dio! Ma come fare? Dove lo trovo? Lo so, me l hanno detto: Dio è sempre con noi.

LE MIE PREGHIERE IERI E OGGI

Litanie di Gesù. Ecco la prima Litania di Gesù all Umanità (1)- Protezione contro il Falso Profeta.

SOLENNITA': SANTISSIMA TRINITA'

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae II-II, 175 Il rapimento. Il rapimento

DE RELIGIONE 1: la religione in se stessa e nei suoi atti interni (SAN TOMMASO D AQUINO, Summa theologiae

Ordinario della Messa

Pregare nel nome di Gesù

IL CURRICOLO PER IL PRIMO CICLO D ISTRUZIONE SCUOLA PRIMARIA E SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO RELIGIONE

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Ita per consolare essa-stessa scrisse a-lei per lettera la-sua benedizione e anche assolse essa Eng Esp Fra Por

Devozione al Sacro Cuore di Gesù

LEZIONI SPIRITUALI LEZIONE I

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae III, 79 Gli effetti dell Eucarestia. Gli effetti dell'eucarestia

Novena all Immacolata Concezione si recita dal 29 novembre al 7 dicembre o per nove giorni consecutivi, in ogni momento di necessità

Legge naturale e legge umana

Attualità del pensiero politico di Dante?

DELLA SCUOLA DEL SABATO

LA QUESTIONE DEL RAPPORTO FRA OPERAZIONE DIVINA E OPERAZIONE CREATURALE NEL PENSIERO DI TOMMASO D AQUINO

- Messia (in ebraico) Cristo (in greco) Unto con olio = Consacrato = Sacerdote (in italiano)

QUANDO PREGATE Il Padre Nostro

LEZIONE 2 DELLA SCUOLA DEL SABATO

Così dice il Signore:

Preghiera universale Venerdì santo

RICEVI LO SPIRITO SANTO

. Base Dati a partire dalle opere di Tommaso d'aquino.

ADORAZIONE EUCARISTICA OPERATORI PASTORALI

OMELIA SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae II-II, 182 Confronto tra la vita attiva e la contemplativa. Confronto tra la vita attiva e la contemplativa

I 10 Comandamenti. Mosè e le 10 regole dell Amore

LO SVILUPPO DELLA DIMENSIONE RELIGIOSA

LA CONSACRAZIONE A MARIA E LA SUA INTERCESSIONE

1 Novembre - TUTTI I SANTI

Le nostre preghiere. Questa Corona è formata da 33 grani divisi in tre gruppi di undici.

CONSIGLIO. consigliare ed ascoltare col cuore

Giorgio Ronzoni testo Luca Salvagno illustrazioni. IL DONO PERFETTO Alla scoperta dei doni dello Spirito Santo

NON VOGLIO CHE SIATE NELL IGNORANZA

Istituto per il LogoCounseling 2014 PaoloGiovanni Monformoso

Oggi vorrei soffermarmi sull azione che lo Spirito Santo compie nel. guidare la Chiesa e ciascuno di noi alla Verità. Gesù stesso dice ai

LITURGIA EUCARISTICA

Testo: 1 Corinzi 3:5-9 LUG 19 febbraio 2017 Tema: Ognuno di noi riceverà la ricompensa per il lavoro svolto

SAN GIOVANNI XXIII, papa

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae II-II, 180 La vita contemplativa. La vita contemplativa

Io sono con voi anno catechistico

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Amare Dio con tutta l anima

Gli adulti hanno il diritto e dovere di ricevere la catechesi della Dottrina Sociale della Chiesa. Scheda 1

Transcript:

San Tommaso d Aquino Summa Theologiae II-II, 83 La preghiera La preghiera Secunda pars secundae partis Quaestio 83 Prooemium Seconda parte della seconda parte Questione 83 Proemio [42461] IIª-IIae q. 83 pr. Deinde considerandum est de oratione. Et circa hoc quaeruntur decem et septem. Primo, utrum oratio sit actus appetitivae virtutis vel cognitivae. Secundo, utrum conveniens sit orare. Tertio, utrum oratio sit actus religionis. Quarto, utrum solus Deus sit orandus. Quinto, utrum in oratione sit aliquid determinate petendum. Sexto, utrum orando debeamus temporalia petere. Septimo, utrum pro aliis orare debeamus. Octavo, utrum debeamus orare pro inimicis. Nono, de septem petitionibus orationis dominicae. Decimo, utrum orare sit proprium rationalis creaturae. Undecimo, utrum sancti in patria orent pro nobis. Duodecimo, utrum, oratio debeat esse vocalis. Tertiodecimo, utrum attentio requiratur ad orationem. Quartodecimo, utrum oratio debeat esse diuturna. Quintodecimo, utrum oratio sit efficax ad impetrandum quod petitur. Sextodecimo, utrum sit meritoria. Septimodecimo, de speciebus orationis. [42461] IIª-IIae q. 83 pr. Passiamo così a parlare della preghiera. Su questo tema tratteremo diciassette argomenti: 1. Se la preghiera sia un atto della facoltà appetitiva o di quella conoscitiva; 2. Se pregare sia un'azione ragionevole; 3. Se la preghiera sia un atto di religione; 4. Se si debba pregare soltanto Dio; 5. Se nella preghiera si debba chiedere qualche cosa di determinato; 6. Se sia lecito pregando chiedere dei beni temporali; 7. Se siamo tenuti a pregare per gli altri; 8. Se siamo tenuti a pregare per i nemici; 9. Le sette domande del Pater Noster; 10. Se pregare sia proprio della creatura ragionevole; 11. Se i santi in paradiso preghino per noi; 12. Se la preghiera possa essere vocale; 13. Se per la preghiera si richieda l'attenzione; 14. Se la preghiera debba essere continua; 15. Se sia efficace a impetrare ciò che si domanda; 16. Se sia meritoria; 17. Le varie specie di preghiera. Se la preghiera sia un atto della potenza appetitiva

Secunda pars secundae partis Quaestio 83 Articulus 1 Seconda parte della seconda parte Questione 83 Articolo 1 [42462] IIª-IIae q. 83 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod oratio sit actus appetitivae virtutis. Orationis enim est exaudiri. Sed desiderium est quod exauditur a Deo, secundum illud Psalm., desiderium pauperum exaudivit dominus. Ergo oratio est desiderium. Sed desiderium est actus appetitivae virtutis. Ergo et oratio. [42463] IIª-IIae q. 83 a. 1 arg. 2 Praeterea, Dionysius dicit, in III cap. de Div. Nom., ante omnia ab oratione incipere est utile, sicut Deo nosipsos tradentes et unientes. Sed unio ad Deum per amorem fit, qui pertinet ad vim appetitivam. Ergo oratio ad vim appetitivam pertinet. [42464] IIª-IIae q. 83 a. 1 arg. 3 Praeterea, philosophus, in III de anima, ponit duas operationes intellectivae partis, quarum prima est indivisibilium intelligentia, per quam scilicet apprehendimus de unoquoque quid est; secunda vero est compositio et divisio, per quam scilicet apprehenditur aliquid esse vel non esse. Quibus tertia additur ratiocinari, procedendo scilicet de notis ad ignota. Sed oratio ad nullam istarum operationum reducitur. Ergo non est actus intellectivae virtutis, sed appetitivae. [42465] IIª-IIae q. 83 a. 1 s. c. Sed contra est quod Isidorus dicit, in libro Etymol., quod orare idem est quod dicere. Sed dictio pertinet ad intellectum. Ergo oratio non est actus appetitivae virtutis, sed intellectivae. [42466] IIª-IIae q. 83 a. 1 co. Respondeo dicendum quod, secundum Cassiodorum, oratio dicitur quasi oris ratio. Ratio autem speculativa et practica in hoc differunt quod ratio speculativa est apprehensiva solum rerum; ratio vero [42462] IIª-IIae q. 83 a. 1 arg. 1 SEMBRA che la preghiera sia un atto della potenza appetitiva. Infatti: 1. La preghiera mira all'esaudimento. Ora, ciò che Dio esaudisce è il desiderio; poiché sta scritto: "Il Signore esaudisce il desiderio degli umili". Perciò la preghiera è un desiderio. Ma il desiderio è un atto della potenza appetitiva. Quindi anche la preghiera. [42463] IIª-IIae q. 83 a. 1 arg. 2 2. Dionigi ha scritto: "Prima di ogni cosa è utile cominciare dalla preghiera, come per consegnare e per unire noi stessi a Dio". Ma l'unione con Dio si fa con l'amore, che appartiene a una facoltà appetitiva. Dunque la preghiera è un atto della volontà. [42464] IIª-IIae q. 83 a. 1 arg. 3 3. Il Filosofo alla parte intellettiva assegna due operazioni: la prima di esse è "l'intellezione degli indivisibili", cioè l'atto col quale conosciamo l'essenza di ciascuna cosa; la seconda è "la composizione e divisione", con la quale si giudica che una cosa è o non è. Ad esse si aggiunge una terza, cioè il "raziocinio", che è il procedere dalle cose note a quelle ignote. Ora, la preghiera non si riduce a nessuna di queste operazioni. Dunque essa non è un atto della potenza intellettiva, ma di quella appetitiva. [42465] IIª-IIae q. 83 a. 1 s. c. IN CONTRARIO: S. Isidoro afferma, che "pregare equivale a parlare". Ma la parola, o dizione, appartiene all'intelletto. Dunque la preghiera non è un atto della potenza appetitiva, ma di quella intellettiva. [42466] IIª-IIae q. 83 a. 1 co. RISPONDO: Secodo le parole di Cassiodoro, "oratio è come dire oris ratio", cioè ragione della bocca. Ora, la ragione speculativa differisce dalla ragione pratica per il fatto che la speculativa si limita alla conoscenza delle

practica est non solum apprehensiva, sed etiam causativa. Est autem aliquid alterius causa dupliciter. Uno quidem modo, perfecte, necessitatem inducendo, et hoc contingit quando effectus totaliter subditur potestati causae. Alio vero modo, imperfecte, solum disponendo, quando scilicet effectus non subditur totaliter potestati causae. Sic igitur et ratio dupliciter est causa aliquorum. Uno quidem modo, sicut necessitatem imponens, et hoc modo ad rationem pertinet imperare non solum inferioribus potentiis et membris corporis, sed etiam hominibus subiectis, quod quidem fit imperando. Alio modo, sicut inducens et quodammodo disponens, et hoc modo ratio petit aliquid fieri ab his qui ei non subiiciuntur, sive sint aequales sive sint superiores. Utrumque autem horum, scilicet imperare et petere sive deprecari, ordinationem quandam important, prout scilicet homo disponit aliquid per aliud esse faciendum. Unde pertinent ad rationem, cuius est ordinare, propter quod philosophus dicit, in I Ethic., quod ad optima deprecatur ratio. Sic autem nunc loquimur de oratione, prout significat quandam deprecationem vel petitionem, secundum quod Augustinus dicit, in libro de Verb. Dom., quod oratio petitio quaedam est; et Damascenus dicit, in III libro, quod oratio est petitio decentium a Deo. Sic ergo patet quod oratio de qua nunc loquimur, est rationis actus. [42467] IIª-IIae q. 83 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod desiderium pauperum dicitur dominus exaudire, vel quia desiderium est causa petendi, cum petitio sit quodammodo desiderii interpres. Vel hoc dicitur ad ostendendum exauditionis velocitatem, quia scilicet dum adhuc aliquid in desiderio pauperum est, Deus exaudit, antequam orationem proponant; secundum illud Isaiae LXV, eritque, antequam clament, ego exaudiam. cose; mentre la ragione pratica è anche causa di esse. Ora, un essere è causa di un altro in due maniere. Primo, perfettamente, producendo una necessità: e ciò avviene quando un effetto è soggetto totalmente all'influsso di una causa. Secondo, imperfettamente, producendo una predisposizione: quando l'effetto non è sottoposto totalmente all'influsso di una causa. La ragione, dunque, in due modi può essere causa delle cose. Primo, determinando una necessità: e in tal modo la ragione comanda, precisamente con il comando, non solo alle potenze inferiori e alle membra del corpo, ma anche ai sottoposti. Secondo, inducendo e quasi predisponendo: quando, cioè, la ragione chiede che si faccia qualche cosa a coloro che non le sono soggetti, siano essi uguali o superiori. Ma tutte e due queste cose, cioè comandare e domandare, implicano una certa coordinazione: in quanto un uomo predispone che una cosa va fatta mediante un'altra. E quindi appartengono alla ragione, cui spetta il compito di ordinare; ed ecco perché il Filosofo ha scritto, che "la ragione porta alle azioni migliori sotto forma di preghiera". Ebbene, noi ora parliamo della preghiera in questo senso, in quanto essa indica una richiesta e una domanda, cioè secondo la definizione di S. Agostino, per il quale "la preghiera è una domanda"; o del Damasceno, per il quale "la preghiera è la richiesta fatta a Dio di cose oneste". Perciò è evidente che la preghiera di cui parliamo è un atto della ragione. [42467] IIª-IIae q. 83 a. 1 ad 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si può dire che il Signore esaudisce il desiderio degli umili, o perché il desiderio è la causa della richiesta: essendo la domanda quasi l'interprete del desiderio. - Oppure per mostrare la prontezza dell'esaudimento: cioè nel senso che Dio esaudisce quanto ancora è oggetto del desiderio, prima che gli umili esprimano una preghiera, conforme alle parole della Scrittura: "E avverrà che prima che essi chiamino, io risponderò". [42468] IIª-IIae q. 83 a. 1 ad 2 [42468] IIª-IIae q. 83 a. 1 ad 2

Ad secundum dicendum quod, sicut supra dictum est, voluntas movet rationem ad suum finem. Unde nihil prohibet, movente voluntate, actum rationis tendere in finem caritatis, qui est Deo uniri. Tendit autem oratio in Deum quasi a voluntate caritatis mota, dupliciter. Uno quidem modo, ex parte eius quod petitur, quia hoc praecipue est in oratione petendum, ut Deo uniamur; secundum illud Psalm., unam petii a domino, hanc requiram, ut inhabitem in domo domini omnibus diebus vitae meae. Alio modo, ex parte ipsius petentis, quem oportet accedere ad eum a quo petit, vel loco, sicut ad hominem; vel mente, sicut ad Deum. Unde dicit ibidem quod, quando orationibus invocamus Deum, revelata mente adsumus ipsi. Et secundum hoc etiam Damascenus dicit quod oratio est ascensus intellectus in Deum. [42469] IIª-IIae q. 83 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod illi tres actus pertinent ad rationem speculativam. Sed ulterius ad rationem practicam pertinet causare aliquid per modum imperii vel per modum petitionis, ut dictum est. 2. Come abbiamo già spiegato, la volontà muove la ragione verso il proprio fine. Perciò niente impedisce che sotto la mozione della volontà un atto della ragione tenda verso il fine della carità, che è l'unione con Dio. Ebbene la preghiera per due motivi tende verso Dio sotto l'influsso del volere mosso dalla carità. Primo, in rapporto alle cose che si chiedono: poiché nella preghiera si deve chiedere specialmente questo, la nostra unione con Dio, sull'esempio del Salmista: "Una sola cosa chiedo al Signore, e questa domando: di abitare nella casa del Signore tutti i giorni di mia vita". Secondo, in rapporto al soggetto che chiede, e che è nella necessità di avvicinarsi a chi rivolge la domanda: materialmente, se si tratta di un uomo; spiritualmente, quando si tratta di Dio. Ecco perché Dionigi nel brano citato scrive, che "quando invochiamo Dio con la preghiera, siamo presenti a lui con l'anima aperta". E in tal senso anche il Damasceno afferma, che "la preghiera è un'elevazione della mente a Dio". [42469] IIª-IIae q. 83 a. 1 ad 3 3. Quei tre atti appartengono alla ragione speculativa. Ma alla ragione pratica appartiene inoltre la facoltà di causare qualche cosa sotto forma di comando o di preghiera, secondo le spiegazioni date. Se pregare sia un atto ragionevole Secunda pars secundae partis Quaestio 83 Articulus 2 Seconda parte della seconda parte Questione 83 Articolo 2 [42470] IIª-IIae q. 83 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod non sit conveniens orare. Oratio enim videtur esse necessaria ad hoc quod intimemus ei a quo petimus id quo indigemus. Sed, sicut [42470] IIª-IIae q. 83 a. 2 arg. 1 SEMBRA che pregare non sia un atto ragionevole. Infatti: 1. La preghiera è necessaria solo per presentare a colui che preghiamo le cose di

dicitur Matth. VI, scit pater vester quia his indigetis. Ergo non est conveniens Deum orare. [42471] IIª-IIae q. 83 a. 2 arg. 2 Praeterea, per orationem flectitur animus eius qui oratur ut faciat quod ab eo petitur. Sed animus Dei est immutabilis et inflexibilis, secundum illud I Reg. XV, porro triumphator in Israel non parcet, nec poenitudine flectetur. Ergo non est conveniens quod Deum oremus. [42472] IIª-IIae q. 83 a. 2 arg. 3 Praeterea, liberalius est dare aliquid non petenti quam dare petenti, quia, sicut Seneca dicit, nulla res carius emitur quam quae precibus empta est. Sed Deus est liberalissimus. Ergo non videtur esse conveniens quod Deum oremus. [42473] IIª-IIae q. 83 a. 2 s. c. Sed contra est quod dicitur Luc. XVIII, oportet orare, et non deficere. [42474] IIª-IIae q. 83 a. 2 co. Respondeo dicendum quod triplex fuit circa orationem antiquorum error. Quidam enim posuerunt quod res humanae non reguntur divina providentia. Ex quo sequitur quod vanum sit orare, et omnino Deum colere. Et de his dicitur Malach. III, dixistis, vanus est qui servit Deo. Secunda fuit opinio ponentium omnia, etiam in rebus humanis, ex necessitate contingere, sive ex immutabilitate divinae providentiae, sive ex necessitate stellarum, sive ex connexione causarum. Et secundum hos etiam excluditur orationis utilitas. Tertia fuit opinio ponentium quidem res humanas divina providentia regi, et quod res humanae non proveniunt ex necessitate, sed dicebant similiter dispositionem divinae providentiae variabilem esse, et quod orationibus et aliis quae ad divinum cultum pertinent dispositio divinae providentiae immutatur. Haec autem omnia in primo libro improbata sunt. Et ideo oportet sic inducere orationis utilitatem ut neque rebus humanis, divinae providentiae subiectis, necessitatem imponamus; neque etiam divinam dispositionem mutabilem aestimemus. Ad cui abbiamo bisogno. Ora, a detta del Vangelo, "il Padre vostro sa che avete bisogno di tutto questo". Dunque non è ragionevole pregare. [42471] IIª-IIae q. 83 a. 2 arg. 2 2. La preghiera tende a piegare l'anima di chi l'ascolta, perché faccia quanto gli si chiede. Ma l'animo di Dio è immutabile e inflessibile, come dice la Scrittura: "Colui che è la gloria d'israele non si pentirà e non si lascerà piegare dalla compassione". Perciò non è un atto ragionevole pregare Dio. [42472] IIª-IIae q. 83 a. 2 arg. 3 3. È un gesto più liberale dare a chi non chiede, che dare a chi chiede: poiché a detta di Seneca, "nessuna cosa è comprata a più caro prezzo di quella che è comprata con le preghiere". Ma Dio è liberalissimo. Dunque non è ragionevole pregare Dio. [42473] IIª-IIae q. 83 a. 2 s. c. IN CONTRARIO: Sta scritto: "Bisogna pregare, senza stancarsi". [42474] IIª-IIae q. 83 a. 2 co. RISPONDO: Tre furono gli errori dell'antichità a proposito della preghiera. Alcuni pensarono che le cose umane non sono governate dalla provvidenza divina. E da ciò segue che la preghiera, come qualsiasi culto verso Dio, è cosa vana. Contro di essi sono quelle parole di Malachia: "Avete detto: Invano si serve Dio". - Al secondo posto troviamo l'opinione di quanti affermavano che tutto avviene per necessità, anche nelle cose umane: sia per l'immutabilità della provvidenza divina, sia per il determinismo degli astri, sia per la concatenazione delle cause. E anche per costoro si esclude ogni utilità della preghiera. - Il terzo errore fu l'opinione di coloro che, pur ammettendo il governo della divina provvidenza sulle cose umane, ed escludendo che esse avvengano per necessità, affermavano che le disposizioni della divina provvidenza sono mutevoli, e che la loro mutazione può dipendere dalle preghiere e dalle altre funzioni del culto divino. - Ora, noi, tutti questi errori li abbiamo confutati nella Prima Parte. Perciò l'utilità della preghiera va difesa in modo da

huius ergo evidentiam, considerandum est quod ex divina providentia non solum disponitur qui effectus fiant, sed etiam ex quibus causis et quo ordine proveniant. Inter alias autem causas sunt etiam quorundam causae actus humani. Unde oportet homines agere aliqua, non ut per suos actus divinam dispositionem immutent, sed ut per actus suos impleant quosdam effectus secundum ordinem a Deo dispositum. Et idem etiam est in naturalibus causis. Et simile est etiam de oratione. Non enim propter hoc oramus ut divinam dispositionem immutemus, sed ut id impetremus quod Deus disposuit per orationes sanctorum esse implendum; ut scilicet homines postulando mereantur accipere quod eis omnipotens Deus ante saecula disposuit donare, ut Gregorius dicit, in libro dialogorum. [42475] IIª-IIae q. 83 a. 2 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod non est necessarium nos Deo preces porrigere ut ei nostras indigentias vel desideria manifestemus, sed ut nosipsi consideremus in his ad divinum auxilium esse recurrendum. [42476] IIª-IIae q. 83 a. 2 ad 2 Ad secundum dicendum quod, sicut dictum est, oratio nostra non ordinatur ad immutationem divinae dispositionis, sed ut obtineatur nostris precibus quod Deus disposuit. [42477] IIª-IIae q. 83 a. 2 ad 3 Ad tertium dicendum quod Deus multa nobis praestat ex sua liberalitate etiam non petita. Sed quod aliqua vult praestare nobis petentibus, hoc est propter nostram utilitatem, ut scilicet fiduciam quandam accipiamus recurrendi ad Deum, et ut recognoscamus eum esse bonorum nostrorum auctorem. Unde Chrysostomus dicit, considera quanta est tibi concessa felicitas, quanta gloria attributa, orationibus fabulari cum Deo, cum Christo miscere colloquia, optare quod velis, quod desideras postulare. non imporre una necessità alle cose umane, soggette alla divina provvidenza, senza considerare mutevoli le disposizioni divine. Per chiarire la cosa si deve riflettere che la divina provvidenza non solo dispone gli effetti da produrre, ma anche le cause e l'ordine con cui devono essere prodotti. E tra le altre cause per certi effetti ci sono le azioni umane. Quindi è necessario che gli uomini compiano certe cose, non per cambiare coi loro atti le disposizioni divine, ma per attuare così codesti effetti secondo l'ordine prestabilito da Dio. Lo stesso del resto avviene per le cause materiali. E questo vale anche per la preghiera. Infatti noi preghiamo non allo scopo di mutare le disposizioni divine: ma per impetrare quanto Dio ha disposto di compiere mediante la preghiera dei santi; e cioè, come dice S. Gregorio, affinché gli uomini, "col pregare meritino di ricevere quanto Dio onnipotente aveva loro disposto di donare fin dall'eternità". [42475] IIª-IIae q. 83 a. 2 ad 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Non è necessario che noi presentiamo delle preghiere a Dio, per svelare a lui le nostre necessità e i nostri desideri: ma per chiarire bene a noi stessi che in codesti casi bisogna ricorrere all'aiuto di Dio. [42476] IIª-IIae q. 83 a. 2 ad 2 2. La nostra preghiera, come abbiamo visto, non è ordinata a cambiare le disposizioni divine: ma a ottenere con le nostre preghiere ciò che Dio ha disposto. [42477] IIª-IIae q. 83 a. 2 ad 3 3. Dio nella sua liberalità ci dà molte cose anche senza che gliele chiediamo. Ma è per il bene nostro che alcune le condiziona alle nostre preghiere: cioè perché impariamo ad aver flducia in lui, e a riconoscere che egli è causa dei nostri beni. Di qui le parole del Crisostomo: "Considera quanta felicità ti è concessa, e quanta gloria: parlare con Dio nella preghiera, scambiare colloqui con Cristo, desiderare ciò che vuoi, e chiedere quanto desideri".

Se la preghiera sia un atto di religione Secunda pars secundae partis Quaestio 83 Articulus 3 Seconda parte della seconda parte Questione 83 Articolo 3 [42478] IIª-IIae q. 83 a. 3 arg. 1 Ad tertium sic proceditur. Videtur quod oratio non sit actus religionis. Religio enim, cum sit pars iustitiae, est in voluntate sicut in subiecto. Sed oratio pertinet ad partem intellectivam, ut ex supradictis patet. Ergo oratio non videtur esse actus religionis, sed doni intellectus, per quod mens ascendit in Deum. [42479] IIª-IIae q. 83 a. 3 arg. 2 Praeterea, actus latriae cadit sub necessitate praecepti. Sed oratio non videtur cadere sub necessitate praecepti, sed ex mera voluntate procedere, cum nihil aliud sit quam volitorum petitio. Ergo oratio non videtur esse religionis actus. [42480] IIª-IIae q. 83 a. 3 arg. 3 Praeterea, ad religionem pertinere videtur ut quis divinae naturae cultum caeremoniamque afferat. Sed oratio non videtur aliquid Deo afferre, sed magis aliquid obtinendum ab eo petere. Ergo oratio non est religionis actus. [42481] IIª-IIae q. 83 a. 3 s. c. Sed contra est quod dicitur in Psalm., dirigatur oratio mea sicut incensum in conspectu tuo, ubi dicit Glossa quod in huius figuram, in veteri lege incensum dicebatur offerri in odorem suavem domino. Sed hoc pertinet ad religionem. Ergo oratio est religionis actus. [42482] IIª-IIae q. 83 a. 3 co. Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ad religionem proprie pertinet reverentiam et honorem Deo exhibere. Et ideo omnia illa per quae Deo reverentia exhibetur pertinent ad religionem. Per [42478] IIª-IIae q. 83 a. 3 arg. 1 SEMBRA che la preghiera non sia un atto di religione. Infatti: 1. La religione, essendo parte della giustizia, risiede nella volontà. Invece la preghiera appartiene alla parte intellettiva, come abbiamo visto. Perciò la preghiera non è un atto di religione, ma del dono d'intelletto, che ha il compito di elevare la mente a Dio. [42479] IIª-IIae q. 83 a. 3 arg. 2 2. L'atto di latria è di necessità di precetto. La preghiera invece non sembra avere questa necessità di precetto, ma deriva da una semplice volizione: non essendo altro che la richiesta di ciò che si vuole. Dunque la preghiera non è un atto di religione. [42480] IIª-IIae q. 83 a. 3 arg. 3 3. Spetta alla religione far sì che uno "offra alla divinità atti e cerimonie di culto". Ora, la preghiera non offre nulla a Dio: ma piuttosto mira a ottenere qualche cosa da lui. Quindi la preghiera non è un atto di religione. [42481] IIª-IIae q. 83 a. 3 s. c. IN CONTRARIO; Nei Salmi si legge: "S'innalzi la mia prece, come incenso, davanti a te"; e la Glossa spiega che, "per significare la preghiera, era prescritto nell'antica legge di offrire l'incenso in odore soave al Signore". Ma questo appartiene alla religione. Dunque la preghiera è un atto di religione. [42482] IIª-IIae q. 83 a. 3 co. RISPONDO: Come sopra abbiamo detto, alla religione spetta propriamente prestare a Dio riverenza ed onore. Perciò tutto quello che serve a rendere onore a Dio appartiene alla virtù di religione. Ora, con la preghiera

orationem autem homo Deo reverentiam exhibet, inquantum scilicet se ei subiicit, et profitetur orando se eo indigere sicut auctore suorum bonorum. Unde manifestum est quod oratio est proprie religionis actus. [42483] IIª-IIae q. 83 a. 3 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod voluntas movet alias potentias animae in suum finem, sicut supra dictum est. Et ideo religio, quae est in voluntate, ordinat actus aliarum potentiarum ad Dei reverentiam. Inter alias autem potentias animae, intellectus altior est et voluntati propinquior. Et ideo post devotionem, quae pertinet ad ipsam voluntatem, oratio, quae pertinet ad partem intellectivam, est praecipua inter actus religionis, per quam religio intellectum hominis movet in Deum. [42484] IIª-IIae q. 83 a. 3 ad 2 Ad secundum dicendum quod non solum petere quae desideramus, sed etiam recte aliquid desiderare sub praecepto cadit. Sed desiderare quidem cadit sub praecepto caritatis, petere autem sub praecepto religionis. Quod quidem praeceptum ponitur Matth. VII, ubi dicitur, petite, et accipietis. [42485] IIª-IIae q. 83 a. 3 ad 3 Ad tertium dicendum quod orando tradit homo mentem suam Deo, quam ei per reverentiam subiicit et quodammodo praesentat, ut patet ex auctoritate Dionysii prius inducta. Et ideo sicut mens humana praeeminet exterioribus vel corporalibus membris, vel exterioribus rebus quae ad Dei servitium applicantur, ita etiam oratio praeeminet aliis actibus religionis. l'uomo rende onore a Dio: poiché si sottomette a lui e confessa col pregare di aver bisogno di lui, quale causa dei suoi beni. È chiaro quindi che la preghiera è propriamente un atto della virtù di religione. [42483] IIª-IIae q. 83 a. 3 ad 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La volontà muove le altre potenze dell'anima al suo proprio fine, come sopra abbiamo visto. Ecco perché la religione che risiede nella volontà può ordinare gli atti delle altre potenze all'onore di Dio. Ora, tra le altre potenze dell'anima l'intelletto è quella più alta e più vicina alla volontà. Perciò dopo la devozione, che appartiene direttamente alla volontà, la preghiera, che appartiene all'intelletto, e che solleva l'intelletto umano verso Dio, è la prima tra gli atti della virtù di religione. [42484] IIª-IIae q. 83 a. 3 ad 2 2. Ricade sotto il precetto non solo chiedere le cose che desideriamo, ma anche desiderarle rettamente. Ora, mentre il desiderare così rientra sotto il precetto della carità: il chiedere ricade sotto un precetto della virtù di religione. Precetto che nel Vangelo così suona: "Chiedete e vi sarà dato". [42485] IIª-IIae q. 83 a. 3 ad 3 3. Pregando l'uomo offre la sua mente a Dio, sottomettendola e quasi presentandola a lui con riverenza, come risulta dalle parole di Dionigi riferite all'inizio della questione. Perciò, come la mente umana è superiore alle membra esterne e ai beni esteriori, che si possono consacrare al servizio di Dio, così la preghiera è superiore agli altri atti di religione. Se si debba pregare soltanto Dio Secunda pars secundae partis Quaestio 83 Articulus 4 Seconda parte della seconda parte Questione 83 Articolo 4

[42486] IIª-IIae q. 83 a. 4 arg. 1 Ad quartum sic proceditur. Videtur quod solus Deus debeat orari. Oratio enim est actus religionis, ut dictum est. Sed solus Deus est religione colendus. Ergo solus Deus est orandus. [42487] IIª-IIae q. 83 a. 4 arg. 2 Praeterea, frustra porrigitur oratio ad eum qui orationem non cognoscit. Sed solius Dei est orationem cognoscere. Tum quia plerumque oratio magis agitur interiori actu, quem solus Deus cognoscit, quam voce, secundum illud quod apostolus dicit, I ad Cor. XIV, orabo spiritu, orabo et mente. Tum etiam quia, ut Augustinus dicit, in libro de cura pro mortuis agenda, nesciunt mortui, etiam sancti, quid agant vivi, etiam eorum filii. Ergo oratio non est nisi Deo porrigenda. [42488] IIª-IIae q. 83 a. 4 arg. 3 Praeterea, si aliquibus sanctis orationem porrigimus, hoc non est nisi inquantum sunt Deo coniuncti. Sed quidam in hoc mundo viventes, vel etiam in Purgatorio existentes, sunt multum Deo coniuncti per gratiam. Ad eos autem non porrigitur oratio. Ergo nec ad sanctos qui sunt in Paradiso debemus orationem porrigere. [42489] IIª-IIae q. 83 a. 4 s. c. Sed contra est quod dicitur Iob V, voca, si est qui tibi respondeat, et ad aliquem sanctorum convertere. [42490] IIª-IIae q. 83 a. 4 co. Respondeo dicendum quod oratio porrigitur alicui dupliciter, uno modo, quasi per ipsum implenda; alio modo, sicut per ipsum impetranda. Primo quidem modo soli Deo orationem porrigimus, quia omnes orationes nostrae ordinari debent ad gratiam et gloriam consequendam, quae solus Deus dat, secundum illud Psalm., gratiam et gloriam dabit dominus. Sed secundo modo orationem porrigimus sanctis Angelis et hominibus, non ut per eos Deus nostras petitiones cognoscat, sed ut eorum precibus et meritis orationes [42486] IIª-IIae q. 83 a. 4 arg. 1 SEMBRA che si debba pregare Dio soltanto. Infatti: 1. La preghiera è un atto di religione, come abbiamo visto. Ma a Dio soltanto dev'essere riservato il culto della religione. Dunque si deve pregare soltanto Dio. [42487] IIª-IIae q. 83 a. 4 arg. 2 2. È inutile presentare una preghiera a chi non può conoscerla. Ora, Dio soltanto è in grado di conoscere le preghiere. Sia perché spesso si prega con un atto interiore, che Dio solo conosce, più che con le parole; conforme alla dichiarazione dell'apostolo: "Pregherò con lo spirito, e pregherò con la mente". Sia perché, come dice S. Agostino, "i morti anche se santi non sanno quello che fanno i vivi, compresi i loro figli". Perciò la preghiera non va rivolta che a Dio. [42488] IIª-IIae q. 83 a. 4 arg. 3 3. Se rivolgiamo la preghiera a dei santi, lo facciamo in quanto essi sono uniti a Dio. Ma ci sono delle anime, sia tra quelle viventi in questo mondo, sia tra quelle attualmente in purgatorio, che sono molto unite a Dio con la grazia. Eppure ad esse non rivolgiamo delle preghiere. Dunque non le dobbiamo rivolgere neppure ai santi che sono in Paradiso. [42489] IIª-IIae q. 83 a. 4 s. c. IN CONTRARIO: Sta scritto: "Chiama pure, se c'è chi ti risponda: e rivolgiti a qualcuno dei santi". [42490] IIª-IIae q. 83 a. 4 co. RISPONDO: Due possono essere gli scopi per cui a una persona si rivolge la preghiera: primo, perché l'adempia direttamente; secondo, perché si presti a raccomandarla. Nel primo senso rivolgiamo la preghiera a Dio soltanto: poiché tutte le nostre preghiere devono essere ordinate a conseguire la grazia e la gloria, che son date soltanto da Dio, secondo l'espressione dei Salmi: "Grazia e gloria le largisce il Signore". Nel secondo senso rivolgiamo la preghiera agli angeli e ai santi: non per far conoscere a Dio col loro

nostrae sortiantur effectum. Et ideo dicitur Apoc. VIII quod ascendit fumus aromatum, idest orationes sanctorum, de manu Angeli coram domino. Et hoc etiam patet ex ipso modo quo Ecclesia utitur in orando. Nam a sancta Trinitate petimus ut nostri misereatur, ab aliis autem sanctis quibuscumque petimus ut orent pro nobis. [42491] IIª-IIae q. 83 a. 4 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod illi soli impendimus orando religionis cultum a quo quaerimus obtinere quod oramus, quia in hoc protestamur eum bonorum nostrorum auctorem, non autem eis quos requirimus quasi interpellatores nostros apud Deum. [42492] IIª-IIae q. 83 a. 4 ad 2 Ad secundum dicendum quod mortui ea quae in hoc mundo aguntur, considerata eorum naturali conditione, non cognoscunt, et praecipue interiores motus cordis. Sed beatis, ut Gregorius dicit, in XII Moral., in verbo manifestatur illud quod decet eos cognoscere de eis quae circa nos aguntur, etiam quantum ad interiores motus cordis. Maxime autem eorum excellentiam decet ut cognoscant petitiones ad eos factas vel voce vel corde. Et ideo petitiones quas ad eos dirigimus, Deo manifestante, cognoscunt. [42493] IIª-IIae q. 83 a. 4 ad 3 Ad tertium dicendum quod illi qui sunt in hoc mundo aut in Purgatorio, nondum fruuntur visione verbi, ut possint cognoscere ea quae nos cogitamus vel dicimus. Et ideo eorum suffragia non imploramus orando, sed a vivis petimus colloquendo. aiuto le nostre domande, ma perché le nostre richieste ottengano di essere esaudite mediante le loro preghiere e i loro meriti. Ecco perché nell'apocalisse si legge, che "salì il fumo dagli aromi", cioè "le orazioni dei santi, dalla mano dell'angelo al cospetto del Signore". - E questo è evidente anche dalle formule di preghiera di cui la Chiesa si serve. Infatti alla Trinità chiediamo di "aver misericordia di noi": mentre a tutti gli altri santi chiediamo di "pregare per noi". [42491] IIª-IIae q. 83 a. 4 ad 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Noi col pregare prestiamo il culto di religione soltanto a colui dal quale direttamente cerchiamo di ottenere quanto chiediamo, poiché in tal modo confessiamo che egli è l'autore dei nostri beni: non già a coloro che ricerchiamo come nostri intermediari presso Dio. [42492] IIª-IIae q. 83 a. 4 ad 2 2. I morti, considerata la loro condizione di natura, non conoscono le cose che avvengono in questo mondo, specialmente poi i sentimenti interni del cuore. Però, come insegna S. Gregorio, ai beati viene manifestato nella visione del Verbo quanto conviene che essi conoscano intorno alle nostre azioni, anche in rapporto ai moti interni del cuore. Ora, alla loro dignità si deve attribuire specialmente la conoscenza delle preghiere che ad essi sono rivolte, sia con le parole, che col pensiero. Perciò essi, nella luce di Dio, conoscono le preghiere che loro indirizziamo. [42493] IIª-IIae q. 83 a. 4 ad 3 3. Coloro che sono in questo mondo o in purgatorio non godono ancora la visione del Verbo, per poter conoscere le cose che noi pensiamo e diciamo. Ecco perché nelle preghiere non imploriamo la loro intercessione; la chiediamo invece ai vivi parlando con essi. Se nella preghiera si debba chiedere a Dio qualche cosa di determinato

Secunda pars secundae partis Quaestio 83 Articulus 5 Seconda parte della seconda parte Questione 83 Articolo 5 [42494] IIª-IIae q. 83 a. 5 arg. 1 Ad quintum sic proceditur. Videtur quod in oratione nihil determinate a Deo petere debeamus. Quia, ut Damascenus dicit, oratio est petitio decentium a Deo. Unde inefficax est oratio per quam petitur id quod non expedit, secundum illud Iac. IV, petitis et non accipitis, eo quod male petatis. Sed sicut dicitur Rom. VIII. Nam quid oremus sicut oportet, nescimus. Ergo non debemus aliquid orando determinate petere. [42495] IIª-IIae q. 83 a. 5 arg. 2 Praeterea, quicumque aliquid determinate ab alio petit, nititur voluntatem ipsius inclinare ad faciendum id quod ipse vult. Non autem ad hoc tendere debemus ut Deus velit quod nos volumus, sed magis ut nos velimus quod Deus vult, ut dicit Glossa, super illud Psalm., exultate, iusti, in domino. Ergo non debemus aliquid determinatum a Deo petere. [42496] IIª-IIae q. 83 a. 5 arg. 3 Praeterea, mala a Deo petenda non sunt, ad bona autem Deus ipse nos invitat. Frustra autem ab aliquo petitur ad quod accipiendum invitatur. Ergo non est determinate aliquid a Deo in oratione petendum. [42497] IIª-IIae q. 83 a. 5 s. c. Sed contra est quod dominus, Matth. VI et Luc. XI, docuit discipulos determinate petere ea quae continentur in petitionibus orationis dominicae. [42498] IIª-IIae q. 83 a. 5 co. Respondeo dicendum quod, sicut maximus Valerius refert, Socrates nihil ultra petendum a diis immortalibus arbitrabatur quam ut bona tribuerent, quia hi demum scirent quid unicuique esset utile; nos autem plerumque id [42494] IIª-IIae q. 83 a. 5 arg. 1 SEMBRA che nella preghiera non si debba chiedere a Dio niente di determinato. Infatti: 1. Come dice il Damasceno, "la preghiera è la domanda fatta a Dio di cose convenienti". Perciò la preghiera è inefficace, se si chiedono cose che non vanno bene, conforme alle parole di S. Giacomo: "Chiedete, ma non ottenete, perché chiedete male". Ora, a detta di S. Paolo, "noi non sappiamo domandare quello che si conviene". Perciò nel pregare non dobbiamo chiedere niente di determinato. [42495] IIª-IIae q. 83 a. 5 arg. 2 2. Chi chiede qualche cosa di determinato mira a piegare la volontà di colui al quale si rivolge, perché compia quello che lui vuole. Ora, noi non dobbiamo mirare a far sì che Dio voglia quello che vogliamo noi, ma piuttosto a voler noi quello che Dio vuole, come dice la Glossa nel commentare il Salmo: "Esultate, o giusti, nel Signore". Dunque non dobbiamo chiedere a Dio niente di determinato. [42496] IIª-IIae q. 83 a. 5 arg. 3 3. A Dio non possiamo chiedere cose cattive: a quelle buone poi Dio stesso ci invita. E quindi è inutile domandarle. Perciò nella preghiera non si deve domandare a Dio niente di determinato. [42497] IIª-IIae q. 83 a. 5 s. c. IN CONTRARIO: Il Signore nel Vangelo ha insegnato lui stesso ai discepoli a chiedere determinatamente le cose che sono contenute nelle domande del Pater Noster. [42498] IIª-IIae q. 83 a. 5 co. RISPONDO: Come riferisce Valerio Massimo, "Socrate pensava che agli dei immortali non si dovesse chiedere altro che concedessero il bene: poiché essi sanno quello che è vantaggioso per ciascuno;

votis expetere quod non impetrasse melius foret. Quae quidem sententia aliqualiter vera est, quantum ad illa quae possunt malum eventum habere, quibus etiam homo potest male et bene uti, sicut divitiae, quae, ut ibidem dicitur, multis exitio fuere; honores, qui complures pessumdederunt; regna, quorum exitus saepe miserabiles cernuntur; splendida coniugia, quae nonnunquam funditus domos evertunt. Sunt tamen quaedam bona quibus homo male uti non potest, quae scilicet malum eventum habere non possunt. Haec autem sunt quibus beatificamur et quibus beatitudinem meremur. Quae quidem sancti orando absolute petunt, secundum illud, ostende faciem tuam, et salvi erimus; et iterum, deduc me in semitam mandatorum tuorum. [42499] IIª-IIae q. 83 a. 5 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod licet homo ex se scire non possit quid orare debeat, spiritus tamen, ut ibidem dicitur, in hoc adiuvat infirmitatem nostram quod, inspirando nobis sancta desideria, recte postulare nos facit. Unde dominus dicit, Ioan. IV, quod veros adoratores adorare oportet in spiritu et veritate. [42500] IIª-IIae q. 83 a. 5 ad 2 Ad secundum dicendum quod cum orando petimus aliqua quae pertinent ad nostram salutem, conformamus voluntatem nostram voluntati Dei, de quo dicitur, I ad Tim. II, quod vult omnes homines salvos fieri. [42501] IIª-IIae q. 83 a. 5 ad 3 Ad tertium dicendum quod sic ad bona Deus nos invitat quod ad ea non passibus corporis, sed piis desideriis et devotis orationibus accedamus. mentre noi spesso chiediamo cose che sarebbe meglio non ottenere". In questa sentenza c'è del vero, rispetto alle cose indifferenti che possono avere un risultato cattivo, e che l'uomo può usare bene e male: come "le ricchezze, che per molti furono una rovina", secondo l'espressione dello stesso Autore; "gli onori, che mandarono in malora tanta gente; i regni, che spesso si sono conclusi miserabilmente; gli splendidi matrimoni, che spesso distruggono del tutto le famiglie". Però ci sono dei beni che l'uomo non può usare malamente, beni che non possono avere un risultato cattivo. E sono quelli che ci rendono beati, o che ci meritano la beatitudine. E questi beni i santi li chiedono nella preghiera in maniera esplicita; come in quei testi dei Salmi: "Mostraci la tua faccia e saremo salvi"; "Guidami per la via dei tuoi comandamenti". [42499] IIª-IIae q. 83 a. 5 ad 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene l'uomo da sé non possa sapere quello che deve domandare nella preghiera, tuttavia, "lo Spirito Santo aiuta la nostra infermità" in quanto, come aggiunge S. Paolo, ispirandoci santi desideri, ci fa chiedere come si conviene. Ecco perché il Signore afferma nel Vangelo, che "i veri adoratori devono adorare nello Spirito e nella verità". [42500] IIª-IIae q. 83 a. 5 ad 2 2. Quando nel pregare chiediamo cose relative alla nostra salvezza, noi conformiamo la nostra volontà a quella di Dio, il quale, a detta di S. Paolo, "vuole che tutti gli uomini si salvino". [42501] IIª-IIae q. 83 a. 5 ad 3 3. Dio ci invita alle cose buone, non perché ci avviciniamo ad esse con i passi del corpo, ma con pii desideri e con devote preghiere. Se nel pregare si possano chiedere a Dio cose temporali

Secunda pars secundae partis Quaestio 83 Articulus 6 Seconda parte della seconda parte Questione 83 Articolo 6 [42502] IIª-IIae q. 83 a. 6 arg. 1 Ad sextum sic proceditur. Videtur quod homo non debeat temporalia petere a Deo orando. Quae enim orando petimus, quaerimus. Sed temporalia non debemus quaerere, dicitur enim Matth. VI, primum quaerite regnum Dei et iustitiam eius, et haec omnia adiicientur vobis, scilicet temporalia; quae non quaerenda dicit, sed adiicienda quaesitis. Ergo temporalia non sunt in oratione a Deo petenda. [42503] IIª-IIae q. 83 a. 6 arg. 2 Praeterea, nullus petit nisi ea de quibus est sollicitus. Sed de temporalibus sollicitudinem habere non debemus, secundum quod dicitur Matth. VI, nolite solliciti esse animae vestrae, quid manducetis. Ergo temporalia petere orando non debemus. [42504] IIª-IIae q. 83 a. 6 arg. 3 Praeterea, per orationem nostram mens debet elevari in Deum. Sed petendo temporalia descendit ad ea quae infra se sunt, contra id quod apostolus dicebat, II ad Cor. IV, non contemplantibus nobis quae videntur, sed quae non videntur, quae enim videntur, temporalia sunt; quae autem non videntur, aeterna. Ergo non debet homo temporalia in oratione a Deo petere. [42505] IIª-IIae q. 83 a. 6 arg. 4 Praeterea, homo non debet petere a Deo nisi bona et utilia. Sed quandoque temporalia habita sunt nociva, non solum spiritualiter, sed etiam temporaliter. Ergo non sunt a Deo in oratione petenda. [42506] IIª-IIae q. 83 a. 6 s. c. Sed contra est quod dicitur Prov. XXX, tribue tantum victui meo necessaria. [42502] IIª-IIae q. 83 a. 6 arg. 1 SEMBRA che nel pregare non si debbano chiedere a Dio cose temporali. Infatti: 1. Quanto chiediamo nella preghiera noi lo cerchiamo. Ora, le cose temporali noi non dobbiamo cercarle; poiché sta scritto: "Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e vi saranno date in sovrappiù tutte queste cose", cioè i beni temporali; i quali vengono considerati non come cose da cercare, ma da aggiungere a quelle cercate. Perciò nella preghiera le cose temporali non si devono chiedere a Dio. [42503] IIª-IIae q. 83 a. 6 arg. 2 2. Nessuno chiede cose di cui non è preoccupato. Ma noi delle cose temporali non dobbiamo essere preoccupati; poiché sta scritto: "Non vi preoccupate per la vostra vita di che cosa mangerete". Dunque non è lecito nella preghiera chiedere cose temporali. [42504] IIª-IIae q. 83 a. 6 arg. 3 3. Con la preghiera la nostra anima deve elevarsi a Dio. Ma chiedendo cose temporali essa discende a cose che le sono inferiori, in contrasto con le parole dell'apostolo: "Non riguardando noi le cose visibili, ma quelle invisibili: le visibili infatti son temporanee, mentre le invisibili sono eterne". Perciò l'uomo non deve chiedere a Dio cose temporali nella preghiera. [42505] IIª-IIae q. 83 a. 6 arg. 4 4. L'uomo non deve chiedere a Dio altro che cose buone e utili. Ora, spesso i beni temporali sono nocivi, non solo spiritualmente, ma anche materialmente. Dunque non si devono chiedere a Dio nella preghiera. [42506] IIª-IIae q. 83 a. 6 s. c. IN CONTRARIO: Nei Proverbi si legge questa preghiera: "Dammi soltanto quel che è necessario al mio sostentamento". [42507] IIª-IIae q. 83 a. 6 co. [42507] IIª-IIae q. 83 a. 6 co.

Respondeo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, ad Probam, de orando Deum, hoc licet orare quod licet desiderare. Temporalia autem licet desiderare, non quidem principaliter, ut in eis finem constituamus; sed sicut quaedam adminicula quibus adiuvamur ad tendendum in beatitudinem, inquantum scilicet per ea vita corporalis sustentatur, et inquantum nobis organice deserviunt ad actus virtutum, ut etiam philosophus dicit, in I Ethic. Et ideo pro temporalibus licet orare. Et hoc est quod Augustinus dicit, ad Probam, sufficientiam vitae non indecenter vult quisquis eam vult et non amplius. Quae quidem non appetitur propter seipsam, sed propter salutem corporis et congruentem habitum personae hominis, ut non sit inconveniens eis cum quibus vivendum est. Ista ergo, cum habentur, ut teneantur; cum non habentur, ut habeantur, orandum est. [42508] IIª-IIae q. 83 a. 6 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod temporalia non sunt quaerenda principaliter, sed secundario. Unde Augustinus dicit, in libro de Serm. Dom. in monte, cum dixit, illud primo quaerendum est, scilicet regnum Dei, significavit quia hoc, scilicet temporale bonum, posterius quaerendum est, non tempore, sed dignitate, illud tanquam bonum nostrum, hoc tanquam necessarium nostrum. [42509] IIª-IIae q. 83 a. 6 ad 2 Ad secundum dicendum quod non quaelibet sollicitudo rerum temporalium est prohibita, sed superflua et inordinata, ut supra habitum est. [42510] IIª-IIae q. 83 a. 6 ad 3 Ad tertium dicendum quod quando mens nostra intendit temporalibus rebus ut in eis quiescat, remanet in eis depressa. Sed quando intendit eis in ordine ad beatitudinem consequendam, non ab eis deprimitur, sed magis ea elevat sursum. [42511] IIª-IIae q. 83 a. 6 ad 4 Ad quartum dicendum quod ex quo non petimus temporalia tanquam principaliter RISPONDO: Come insegna S. Agostino, "è lecito chiedere nella preghiera quello che è lecito desiderare". Ora, è lecito desiderare le cose temporali: non come oggetto principale, così da mettere in esse il nostro fine; ma come coefficienti che ci aiutano a tendere verso la beatitudine, cioè in quanto ci servono al sostentamento della vita corporale, e in quanto aiutano strumentalmente i nostri atti di virtù, come nota anche il Filosofo. Perciò è lecito pregare per le cose temporali, secondo le parole di S. Agostino: "Non c'è niente di riprovevole, se uno si limita a volere i mezzi sufficienti per vivere. I quali non sono desiderati per se stessi, ma per la salute del corpo e per il decoro personale, in modo da non sfigurare tra le persone con le quali si deve convivere. Perciò queste cose, quando uno le ha, può pregare per conservarle; e quando non le ha, può chiederle per averle". [42508] IIª-IIae q. 83 a. 6 ad 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le cose temporali non sono da chiedersi come principali, ma come secondarie. Di qui il commento di S. Agostino alle parole evangeliche: "Quando il Signore afferma che quello", cioè il regno di Dio, "dev'essere desiderato prima di tutto, lascia intendere che quest'altro", cioè il bene temporale, "dev'esser chiesto posteriormente, non già in ordine di tempo, ma di dignità: quello come nostro bene, questo come nostro necessario". [42509] IIª-IIae q. 83 a. 6 ad 2 2. Non è proibita qualsiasi preoccupazione per le cose temporali, ma quella superflua e disordinata, come sopra abbiamo notato. [42510] IIª-IIae q. 83 a. 6 ad 3 3. Quando la nostra mente attende alle cose temporali per appagarsi di esse, ne rimane sopraffatta. Invece quando vi attende in ordine alla beatitudine da conseguire, allora non ne rimane sopraffatta, ma piuttosto le solleva verso l'alto. [42511] IIª-IIae q. 83 a. 6 ad 4 4. Per il fatto che chiediamo i beni temporali non come scopo principale della richiesta, ma

quaesita, sed in ordine ad aliud, eo tenore a Deo petimus ipsa ut nobis concedantur secundum quod expediunt ad salutem. in ordine ad altro, è chiaro che chiediamo a Dio che ci conceda codesti beni in modo che giovino alla nostra salvezza. Se siamo tenuti a pregare per gli altri Secunda pars secundae partis Quaestio 83 Articulus 7 Seconda parte della seconda parte Questione 83 Articolo 7 [42512] IIª-IIae q. 83 a. 7 arg. 1 Ad septimum sic proceditur. Videtur quod non debeamus pro aliis orare. In orando enim sequi debemus formam quam dominus tradidit. Sed in oratione dominica petitiones pro nobis facimus, non pro aliis, dicentes, panem nostrum quotidianum da nobis hodie, et cetera huiusmodi. Ergo non debemus pro aliis orare. [42513] IIª-IIae q. 83 a. 7 arg. 2 Praeterea, ad hoc oratio fit quod exaudiatur. Sed una de conditionibus quae requiruntur ad hoc quod oratio sit audibilis, est ut aliquis oret pro seipso, unde super illud Ioan. XVI, si quid petieritis patrem in nomine meo, dabit vobis, Augustinus dicit, exaudiuntur omnes pro seipsis, non autem pro omnibus. Unde non utcumque dictum est, dabit, sed, dabit vobis. Ergo videtur quod non debeamus pro aliis orare, sed solum pro nobis. [42514] IIª-IIae q. 83 a. 7 arg. 3 Praeterea, pro aliis, si sunt mali, prohibemur orare, secundum illud Ierem. VII, tu ergo noli orare pro populo hoc, et non obsistas mihi, quia non exaudiam te. Pro bonis autem non oportet orare, quia ipsi pro seipsis orantes exaudiuntur. Ergo videtur quod non debeamus pro aliis orare. [42512] IIª-IIae q. 83 a. 7 arg. 1 SEMBRA che non siamo tenuti a pregare per gli altri. Infatti: 1. Nel pregare dobbiamo uniformarci alla formula che il Signore ci ha insegnato. Ora, nel Pater Noster le domande son fatte per noi, non per gli altri, per es.: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano", e così per le altre domande. Dunque non dobbiamo pregare per gli altri. [42513] IIª-IIae q. 83 a. 7 arg. 2 2. La preghiera è fatta per essere esaudita. Ma una delle condizioni richieste per essere esauditi è che uno preghi per se stesso; a proposito infatti di quelle parole evangeliche: "Qualunque cosa domanderete al Padre in nome mio egli ve la concederà", S. Agostino spiega: "Tutti saranno esauditi pregando per se stessi, non già per tutti. Ecco perché non dice semplicemente la concederà, bensì la concederà a voi". Perciò è evidente che non dobbiamo pregare per gli altri, ma soltanto per noi. [42514] IIª-IIae q. 83 a. 7 arg. 3 3. Per gli altri c'è la proibizione di pregare, se sono cattivi; poiché si legge in Geremia: "Tu dunque non pregare per questo popolo, e non interporti presso di me, perché non ti esaudirò". Per i buoni non è necessario; perché pregando essi per se stessi, vengono esauditi. Dunque è chiaro che non siamo tenuti a pregare per gli altri. [42515] IIª-IIae q. 83 a. 7 s. c. [42515] IIª-IIae q. 83 a. 7 s. c.

Sed contra est quod dicitur Iac. V, orate pro invicem, ut salvemini. [42516] IIª-IIae q. 83 a. 7 co. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, illud debemus orando petere quod debemus desiderare. Desiderare autem debemus bona non solum nobis, sed etiam aliis, hoc enim pertinet ad rationem dilectionis, quam proximis debemus impendere, ut ex supradictis patet. Et ideo caritas hoc requirit, ut pro aliis oremus. Unde Chrysostomus dicit, super Matth., pro se orare necessitas cogit, pro altero autem, caritas fraternitatis hortatur. Dulcior autem ante Deum est oratio, non quam necessitas transmittit, sed quam caritas fraternitatis commendat. [42517] IIª-IIae q. 83 a. 7 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod, sicut Cyprianus dicit, in libro de Orat. dominica, ideo non dicimus, pater meus, sed noster; nec, da mihi, sed, da nobis, quia unitatis magister noluit privatim precem fieri, ut scilicet quis pro se tantum precetur. Unum enim orare pro omnibus voluit, quo modo in uno omnes ipse portavit. [42518] IIª-IIae q. 83 a. 7 ad 2 Ad secundum dicendum quod pro se orare ponitur conditio orationis, non quidem necessaria ad effectum merendi, sed sicut necessaria ad indeficientiam impetrandi. Contingit enim quandoque quod oratio pro alio facta non impetrat, etiam si fiat pie et perseveranter et de pertinentibus ad salutem, propter impedimentum quod est ex parte eius pro quo oratur, secundum illud Ierem. XV, si steterit Moyses et Samuel coram me, non est anima mea ad populum istum. Nihilominus tamen oratio meritoria erit oranti, qui ex caritate orat, secundum illud Psalm., oratio mea in sinu meo convertetur, Glossa, idest, etsi non eis profuit, ego tamen non sum frustratus mea mercede. [42519] IIª-IIae q. 83 a. 7 ad 3 Ad tertium dicendum quod etiam pro IN CONTRARIO: Sta scritto: "Pregate l'uno per l'altro, per essere salvi". [42516] IIª-IIae q. 83 a. 7 co. RISPONDO: Come abbiamo ricordato sopra, nel pregare siamo tenuti a chiedere quello che siamo tenuti a desiderare. Ora, noi dobbiamo desiderare il bene non solo per noi, ma anche per gli altri: ciò infatti rientra nei doveri di carità che siamo tenuti a esercitare verso il prossimo, com'è evidente dalle cose già spiegate. Perciò la carità esige che noi preghiamo per gli altri. Di qui le parole del Crisostomo: "A pregare per se stessi costringe la necessità; a farlo per gli altri stimola la carità fraterna. Ma presso Dio è più gradita la preghiera raccomandata dalla carità fraterna, che quella mossa dalla necessità". [42517] IIª-IIae q. 83 a. 7 ad 1 SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come spiega S. Cipriano, "non diciamo "Padre mio", ma "nostro"; non "dammi", ma "dacci", proprio perché il Maestro dell'unione dei cuori non ha voluto che si facesse la preghiera in forma privata, cioè pregando ognuno soltanto per se stesso. Volle infatti che ciascuno pregasse per tutti, così come lui stesso portò nella sua unica persona il peso di tutti". [42518] IIª-IIae q. 83 a. 7 ad 2 2. Pregare per sé è una condizione necessaria non già per meritare, ma per l'efficacia sicura nell'impetrare. Infatti capita talora che la preghiera fatta per gli altri non impetri (la grazia), anche se è fatta con pietà, con perseveranza, e per cose relative alla salvezza (eterna), a causa dell'impedimento esistente da parte dell'interessato. In Geremia infatti si legge: "Anche se Mosè e Samuele stessero in preghiera davanti a me, io non mi volgerei verso questo popolo". Tuttavia la preghiera rimane meritoria per chi prega mosso dalla carità. Infatti a proposito delle parole del Salmo: "La mia orazione si è ripercossa sul mio seno"; la Glossa commenta: "cioè, sebbene essa non abbia loro giovato, io tuttavia non ho perduto la mia mercede". [42519] IIª-IIae q. 83 a. 7 ad 3 3. Si deve pregare e per i peccatori, perché si