Cielo d Alcamo. Contrasto

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Cielo d Alcamo Contrasto Edizione elettronica Giuseppe Bonghi, anno 1994 da: Poesia italiana del Duecento a cura di Piero Cudini, ed. Garzanti, Milano 1978, Revisione ed edizione HTML: Giuseppe Bonghi, Giugno 1996 * * * I II III IV Rosa fresca aulentis[s]ima ch apari inver la state le donne ti disiano, pulzelle e maritate: tràgemi d este focora, se t este a bolontate; per te non ajo abento notte e dia, penzando pur di voi, madonna mia. 5 Se di meve trabàgliti follia lo ti fa fare. Lo mar potresti arompere, a venti asemenare, l abere d esto secolo tut[t]o quanto asembrare: avere me non pòteri a esto monno; avanti li cavelli m aritonno. 10 Se li cavelli artón[n]iti, avanti foss io morto, ca n is[s]i [sì] mi pèrdera lo solacc[i]o e l diporto. Quando ci passo e vèjoti, rosa fresca de l orto, bono conforto dònimi tut[t]ore: poniamo che s ajumga il nostro amore. 15 Ke l nostro amore ajùngasi, non boglio m atalenti: se ti ci trova pàremo cogli altri miei parenti, guarda non t ar[i]golgano questi forti cor[r]enti. Como ti seppe bona le venuta, consiglio che ti guardi a la partuta. 20 V Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare? Una difensa mèt[t]oci di dumili agostari: non mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha n Bari. Viva lo mperadore, graz[i ] a Deo! Intendi, bella, quel che ti dico eo? 25

2 VI VII VIII IX X XI Tu me no lasci vivere né sera né maitino. Donna mi so di pèrperi, d auro massamotino. Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino, e per ajunta quant ha lo soldano toc[c]are me non pòteri a la mano. 30 Molte son le femine c hanno dura la testa, e l omo con parabole l adimìna e amonesta: tanto intorno procàzzala fin che ll ha in sua podesta. Femina d omo non si può tenere: guàrdati, bella, pur de ripentere. 35 K eo ne [pur ri]pentésseme? Davanti foss io aucisa ca nulla bona femina per me fosse ripresa! [A]ersera passàstici, cor[r]enno a la distesa. Acquìstati riposa, canzoneri: le tue parole a me non piac[c]ion gueri. 40 Quante sono le schiàntora che m ha mise a lo core, e solo purpenzànnome la dia quanno vo fore! Femina d esto secolo tanto non amai ancore quant amo teve, rosa invidïata: ben credo che mi fosti distinata. 45 Se distinata fósseti, caderia de l altezze, ché male messe fòrano in teve mie bellezze. Se tut[t]o adivenìssemi, tagliàrami le trezze, e consore m arenno a una magione, avanti che m artoc[c]hi n la persone. 50 Se tu consore arènneti, donna col viso cleri, a lo mostero vènoci e rénnomi confleri: per tanta prova vencerti fàralo volenteri. Conteco stao la sera e lo maitino: besogn è ch io ti tenga al meo dimino. 55 XII Boimè tapina misera, com ao reo distinato! Geso Cristo l altissimo del tut[t]o m è airato: comcepìstimi a abàttere in omo blestemiato. Cerca la terra ch este gran[n]e assai, chiù bella donna di me troverai 60

3 XIII XIV XV XVI XVII XVIII Cercat ajo Calabr[ï]a, Toscana e Lombardia, Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria, Lamagna e Babilonïa [e] tut[t]a Barberia: donna non [ci] trovai tanto cortese, per che sovrana di meve te prese. 65 Poi tanto trabagliàsti[ti], fac[c]ioti meo pregheri che tu vadi adomàn[n]imi a mia mare e a mon peri. Se dare mi ti degnano, menami a lo mosteri, e sposami davanti da la jente; e poi farò le tuo comannamente. 70 Di ciò che dici, vìtama, neiente non ti bale, ca de le tuo parabole fatto n ho ponti e scale. Penne penzasti met[t]ere, sonti cadute l ale; e dato t ajo la bolta sot[t]ana. Dunque, se pot[t]i, tèniti villana. 75 En paura non met[t]ermi di nullo manganiello: istòmi n esta grorïa d esto forte castiello; prezzo le tue parabole meno che d un zitello. Se tu no levi e va tine di quaci, se tu ci fosse morto, ben mi chiaci. 80 Dunque vor[r]esti, vìtama, ca per te fosse strutto? Se morto essere déb[b]oci od intagliato tut[t]o, di quaci non mi mòs[s]era se non ai de lo tuo frutto lo quale stäo ne lo tuo jardino: disïolo la sera e lo matino. 85 Di quel frutto non àb[b]ero conti né cabalieri; molti lo disïa[ro]no marchesi e justizieri, avere no nde pòttero: gìro nde molto feri. Intendi bene ciò che bol[io] dire? Men este mill onze lo tuo abere. 90 XIX Molti so li garofani, ma non che salma ndài: bella, non dispregiàremi s avanti non m assai. Se vento è in proda e gìrasi e giungeti a le prai, arimenbrare t ao [e]ste parole, ca de[n]tr a sta animella assai mi dole. 95

4 XX XXI XXII XXIII XXIV XXV Macara se dolès[s]eti che cadesse angosciato: la gente ci cor[r]es[s]oro da traverso e da llato; tut[t]a meve dicessono: «Acor[r]i esto malnato»! Non ti degnara porgere la mano per quanto avere ha l papa e lo soldano. 100 Deo lo volesse, vìtama, te fosse morto in casa! L arma n anderia cònsola, ca dì e notte pantasa. La jente ti chiamàrano: «Oi perjura malvasa, c ha morto l omo in càsata, traìta!» Sanz on[n]i colpo lèvimi la vita. 105 Se tu no levi e va tine co la maladizione, li frati miei ti trovano dentro chissa magione. [...] be llo mi sof[f]ero pèrdici la persone, ca meve se venuto a sormonare; parente néd amico non t ha aitare. 110 A meve non aìtano amici né parenti: istrani mi so, càrama, e enfra esta bona jente. Or fa un anno, vìtama, che ntrata mi se [ n] mente. Di canno ti vististi lo maiuto, bella, da quello jorno so feruto. 115 Di tanno namoràstiti, [tu] Iuda lo traìto, como se fosse propore, iascarlato o sciamito? S a le Va[n]gele jùrimi che mi sï a marito, a vere me non pòter a esto monno: avanti in mare [j]ìt[t]omi al perfonno. 120 Se tu nel mare gìt[t]iti, donna cortese e fina, dereto mi ti mìsera per tut[t]a la marina, [e da] poi c anegàs[s]eti, trobàrati a la rena solo per questa cosa adimpretare: conteco m ajo a[g]giungere a pec[c]are. 125 XXVI Segnomi in Patre e n Filïo ed i[n] santo Mat[t]eo: so ca non se tu retico [o] figlio di giudeo, e cotale parabole, non udi dire anch eo. Morta si [è] la femina a lo ntutto, pèrdeci lo saboro e lo disdotto. 130

5 XXVII XXVIII XXIX XXX XXXI Bene lo saccio, càrama: altro non pozzo fare. Se quisso non arcòmplimi, làssone lo cantare. Fallo, mia donna, plàzzati, ché bene lo puoi fare. Ancora tu no m ami, molto t amo, sì m hai preso come lo pesce a l amo. 135 Sazzo che m ami, [e] àmoti di core paladino. Lèvati suso e vatene, tornaci a lo matino. Se ciò che dico fàcemi, di bon cor t amo e fino. Quisso t [ad]imprometto sanza faglia: te la mia fede che m hai in tua baglia. 140 Per zo che dici càrama, neiente non mi movo. Intanti pren[n]i e scànnami: tolli esto cortel novo. Esto fatto far pòtesi inanti scalfi un uovo. Arcompli mi talento, [a]mica bella, ché l arma co lo core mi si nfella. 145 Ben sazzo, l arma dòleti, com omo ch ave arsura. Esto fatto non pòtesi per null altra misura: s e non ha le Vangel[ï]e, che mo ti dico «Jura», avere me non puoi in tua podesta; inanti pren[n]i e tagliami la testa. 150 Le Vangel[ï]e, càrama? Ch io le porto in seno: a lo mostero prèsile (non ci era lo patrino). Sovr esto libro jùroti mai non ti vegno meno. Arcompli mi talento in caritate, ché l arma me ne sta in sut[t]ilitate 155 XXXII Meo sire, poi juràstimi, eo tut[t]a quanta incenno. Sono a la tua presenz[ï]a, da voi non mi difenno. S eo minespreso àjoti, merzé, a voi m arenno. A lo letto ne gimo a la bon ora, ché chissa cosa n è data in ventura. 160 1996-2003 - Biblioteca dei Classici Italiani by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: E mail Ultimo aggiornamento: 14 febbraio 2003