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ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi di Diritto del Lavoro, Legislazione Sociale e Diritto Tributario RAFFAELLO RUSSO SPENA del CPO di Napoli N 36/2016 Napoli 7 Novembre 2016 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. LA MANCATA MANIFESTAZIONE DEL POTERE DISCIPLINARE NON E' INDICE SINTOMATICO DELL'AUTONOMIA DELLA PRESTAZIONE SE LO STESSO NON E' STATO ESERCITATO PER L'ASSENZA DI FATTI RILEVANTI SUL PIANO DISCIPLINARE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 21710 DEL 27 OTTOBRE 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 21710 del 27 ottobre 2016, ha statuito che, in tema di differenziazione fra lavoro autonomo e subordinato, il mancato manifestarsi del potere disciplinare non costituisce indice sintomatico dell'autonomia della prestazione se lo stesso non è stato esercitato, in concreto, per l'assenza di fatti rilevanti sul piano disciplinare. Nel caso in disamina, un collaboratore di un call-center, formalmente occupato con contratto di lavoro autonomo, dal giorno in cui gli era stata attribuita la posizione di responsabile, osservava regolarmente un orario di lavoro, riceveva direttive dal suo superiore gerarchico, riferiva dettagliatamente dell'attività espletata, ed era tenuto ad attenersi scrupolosamente alle istruzioni ricevute durante l espletamento della propria attività lavorativa di recupero credito. 1

Allontanato verbalmente dal luogo di lavoro, il prestatore adiva la Magistratura per vedere acclarata la natura subordinata del rapporto di lavoro e la conseguente nullità dell'atto di recesso. Orbene, gli Ermellini, aditi in ultima battuta per dirimere i contrasti di prime cure, hanno evidenziato che, il mancato esercizio del potere disciplinare può costituire indice sintomatico dell'autonomia del lavoro solo se significativa di una esclusione del potere stesso, in linea di principio, ma non quando esso non sia stato manifestato, in concreto, semplicemente per l'assenza di fatti rilevanti sul piano disciplinare. Pertanto, atteso che, nel caso de quo il potere disciplinare non era stato esercitato per la mancanza di fatti rilevanti, e che sussistevano altri indici sintomatici della subordinazione, i Giudici dell'organo di nomofilachia hanno rigettato il ricorso confermando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra le parti. IL LICENZIAMENTO PER RECIDIVA È LEGITTIMO A PARTIRE DALLA QUARTA MANCANZA COMMESSA ENTRO L'ANNO SOLARE MA SOLO IN OCCASIONE DI UN NUOVO ILLECITO DICIPLINARE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 17912 DEL 12 SETTEMBRE 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 17912 del 12 settembre 2016, ha (ri)confermato che il licenziamento disciplinare a causa di recidiva deve essere associato ad una nuova mancanza disciplinare, non rappresentando autonomo elemento costitutivo di illecito. Nel caso in specie, un lavoratore (direttore di un supermercato) era stato licenziato a causa di recidiva oltre la terza volta per mancanze punite con la sospensione ai sensi dell'art. 225 del CCNL delle aziende del terziario, distribuzione e servizi. In particolare, il datore di lavoro dopo aver sanzionato i singoli illeciti, per gli stessi addebiti, considerati complessivamente ai fini della recidiva, aveva proceduto ad irrogare la sanzione del licenziamento. La Corte d'appello di Torino accoglieva l'impugnazione promossa dal lavoratore. La società datrice, insoddisfatta, adiva la Suprema Corte per la cassazione della sentenza, contestando l'inesatta interpretazione della suddetta norma collettiva. 2

Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso in virtù della corretta applicazione del canone ermeneutico basato sull'interpretazione letterale della norma collettiva di riferimento. Il testo letterale della norma, hanno argomentato gli Ermellini, non lascia alcuna ombra di dubbio laddove prevede il licenziamento senza preavviso, tra l'altro, per la "recidiva, oltre la terza volta nell'anno solare in qualunque delle mancanze che prevedono la sospensione". Gli Ermellini hanno, altresì, specificato come, nella fattispecie, il licenziamento era irrogabile a partire solo dalla quarta mancanza infra-annuale, per la quale era prevista la sospensione. In tal caso, la parte datoriale poteva provvedere a contestare la nuova specifica mancanza, precisando che la stessa realizzava la recidiva oltre la terza volta nell'anno solare rispetto a tre mancanze precedenti e solo allora avrebbe potuto intimare il licenziamento. In nuce, il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere ormai consumato, essendogli consentito soltanto di tener conto delle sanzioni eventualmente applicate, entro l'anno solare (Ccnl Terziario), ai fini della recidiva. NON CONFIGURA AUTONOMA ORGANIZZAZIONE, PRESUPPOSTO IMPOSITIVO DELL IRAP, L UTILIZZO DI INGENTI BENI STRUMENTALI E L IMPIEGO SALTUARIO DI COLLABORATORI. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 20610 DEL 12 OTTOBRE 2016 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 20610 del 12 ottobre 2016, ha statuito che ai fini IRAP non ricorre il presupposto impositivo dell autonoma organizzazione quando un professionista (nel caso in specie un medico) nell esercizio della propria attività professionale si avvale di beni strumentali estremamente costosi ma, necessari allo svolgimento della propria attività anche se si avvalga della collaborazione di altri professionisti. IL FATTO 3

Un medico presentava all Agenzia delle Entrate istanza di rimborso IRAP per alcuni anni. Contro il silenzio rifiuto dell Amministrazione Finanziaria presentava ricorso dinanzi agli organi della Giustizia Tributaria. La CTR, in particolare nel respingere l appello, affermava la sussistenza dei requisiti minimi di organizzazione sufficienti ad integrare il presupposto impositivo dell Irap, rilevando che il contribuente: 1. aveva percepito rilevanti compensi; 2. aveva dichiarato significative quote di ammortamento di beni strumentali; 3. aveva corrisposto compensi a terzi di importo non trascurabili. Da qui, il ricorso per Cassazione da parte del professionista. Orbene, i Giudici del Palazzaccio, accogliendo il ricorso del contribuente, hanno (ri)affermato il principio giuridico che il professionista risulta soggetto a IRAP, purché ricorra il presupposto dell autonoma organizzazione, quando: sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell organizzazione; impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l esercizio dell attività in assenza di organizzazione; si avvalga, non occasionalmente di lavoro altrui che ecceda la soglia di un collaboratore che esplichi mansioni meramente esecutive o di segreteria (SS.UU. n. 9451/2016). Per tutto quanto sopra, gli Ermellini hanno ritenuto che, ai fini del presupposto impositivo Irap, risulta irrilevante l ammontare dei compensi percepiti dal contribuente e che, avuto riguardo all entità dei beni strumentali, la disponibilità da parte di un medico di beni strumentali anche di un certo rilievo economico non è idonea a configurare il presupposto dell autonoma organizzazione, in quanto detti beni, anche di una certa consistenza, rientrino nelle attrezzature usuali per tale categoria di professionisti. Allo stesso modo, hanno continuato i Giudici delle Leggi, non è sufficiente ad integrare il presupposto impositivo il versamento da parte del contribuente di compensi a terzi non inseriti nella struttura 4

organizzativa del professionista e le cui prestazioni non abbiano carattere continuativo. PRESCRIZIONE ORDINARIA PER LE FRODI IN MATERIA DI IVA SE NON C E IL REQUISITO DELLA GRAVITA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE PENALE - SENTENZA N. 44584 DEL 24 OTTOBRE 2016 La Corte di Cassazione Sezione Penale -, sentenza n 44584 del 24 ottobre 2016, ha statuito che, per le frodi IVA con importi non particolarmente considerevoli ed in assenza di ulteriori indici gravosi, deve ritenersi che non sussista il requisito della gravità della frode e, di conseguenza, è legittima la prescrizione ordinaria. Con la sentenza de qua, i Giudici di Piazza Cavour hanno annullato, senza rinvio, la condanna disposta dai Giudici Territoriali nei confronti di tre imputati, riconoscendo i reati a loro ascritti come estinti per prescrizione. Secondo la S.C., nel caso di specie, le frodi IVA agli stessi contestate non rientravano tra i reati per i quali possono trovare applicazione i principi in materia di durata massima del termine di prescrizione, come nel caso di condotte che denotano una spiccata capacità criminale, ovvero una particolare organizzazione di mezzi, la partecipazione di più soggetti o l interposizione fittizia di più società nelle singole operazioni, e sulla cui base è possibile applicare i principi richiamati nella sentenza sulla causa n. C-105/14 "Taricco" della Corte di Giustizia UE dell 8 settembre 2015. Infatti, sulla base della citata pronuncia della Corte di Giustizia, i requisiti che integrano l illegittimità comunitaria per ineffettività della complessiva disciplina sanzionatoria delle frodi sotto il profilo dell eccessiva brevità del termine prescrizionale complessivo a seguito di interruzione sono: la pendenza di un procedimento penale riguardante frodi gravi in materia di imposta sul valore aggiunto; l ineffettività delle sanzioni previste in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell Unione Europea. Per gli Ermellini è da ritenere inapplicabile, inoltre, anche il c.1 bis dell art. 17 D.Lgs n. 74/2000, che eleva di un terzo i termini di prescrizione dei reati previsti 5

dagli articoli da 2 a 10 del medesimo decreto, essendo norma successiva alla commissione dei reati contestati. Pertanto, nel caso de quo, il computo della prescrizione va effettuato con gli ordinari criteri di cui agli artt. n.157 c.1, n.160 c.3 e n.161 c.2, C.P. L ESERCIZIO DEL DIRITTO DI CRITICA NON INTEGRA GLI ESTREMI DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 21203 DEL 19 OTTOBRE 2016 La Corte di Cassazione, sentenza n 21649 del 26 ottobre 2016, ha ritenuto illegittimo un licenziamento comminato ad un dipendente che, con una lettera, aveva espresso al proprio datore di lavoro la necessità di apportare delle correzioni organizzative atteso che il proprio superiore gerarchico aveva assunto, nei propri confronti, atteggiamenti scorretti ed offensivi. La sentenza è particolarmente interessante in quanto considera rientranti nel legittimo diritto di critica, in ragione anche della correttezza formale e sostanziale utilizzata dal subordinato e dal non aver diffuso le segnalazioni in ordine a situazioni che influiscono sul regolare andamento dell attività. Invero, nei gradi di merito la controversia aveva avuto esiti contrastanti (prodatore nel 1 grado, pro-lavoratore in appello). Ebbene, gli Ermellini, in linea con la Corte territoriale, hanno ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa, atteso che il lavoratore, nella fattispecie in esame, aveva fatto un uso corretto del diritto di critica in quanto non aveva travalicato la verità oggettiva e non aveva utilizzato espressioni gratuite lesive della dignità del datore e del superiore gerarchico. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO 6

(*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo. Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro 7