Profumo. Prefazione. Sole. Luce. Brezza fresca di Luglio.



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Transcript:

Profumo Prefazione Sole. Luce. Brezza fresca di Luglio. Profumo di fiori, di lavanda, di rose; profumo di erbe, di rosmarino, di menta; profumo di vita e odore di morte, d inferno, di dolore; un odore che marchia l anima e non la lascia in pace. Estate 2010 Diego era sempre lì, sulla sua sedia di vimini che ogni estate era la culla di tante piccole pennichelle. Il sole era alto nel cielo e l aria della campagna lo accompagnava nel mondo dei sogni, che, dopo tanto tempo, portavano ancora con sé il profumo dei tempi andati e mai più dimenticati. In punta di piedi una piccola birba si stava avvicinando al suo nonnino, con gli occhi vivaci e vispi di una bambina di dieci anni che vuole fare uno scherzetto. «Nonno sveglia!» Diego balzò sulla sedia tra le risate di Giada. «Piccola peste! Vuoi farmi venire un infarto?!» Tentava sempre di fare il nonno duro, ma la nipotina, gioia della sua vita, ormai gli aveva addolcito il cuore e con un solo sorriso poteva ottenere tutto ciò che voleva da lui. «Dai nonno! Ma guarda che bella giornata! Vuoi perdertela per un sonnellino? Andiamo a giocare nel prato!» Dopo un lungo sospiro, Diego si alzò, non senza le difficoltà che comportavano i suoi anni, e iniziò a seguire con lo sguardo la piccola chioma corvina che saltellava nel prato della sua vecchia casa di vacanze. Si guardò intorno e d improvviso vide due figure lontane sfocate correre verso casa nella direzione opposta a Giada e portare con loro profumo di lavanda. Non era la prima volta che presente e passato si confondevano per Diego Estate 1940 Erano i primi giorni di vacanza nella nuova casa che papà aveva comprato in campagna per sfuggire un po al caos di Napoli. Anna e suo fratello minore si dirigevano verso casa, carezzati dall aria in cui echeggiavano le loro risate felici. I due avevano lasciato la mamma cucinare e si erano lanciati all esplorazione del grande prato dietro la villa. «Guarda quanti fiori, Daniele, e senti che profumo! Quest aria a Napoli si sogna solo!» Daniele, che aveva solo undici anni, non ascoltava più la sorella parlare; si era precipitato a cogliere lavanda, margheritine e viole da regalare alla mamma (E non è escluso che lo facesse anche per avere una porzione più grande del suo piatto preferito!). «Anna, vieni a vedere quanti colori!» Quell arcobaleno di fiori che gli riempì lo sguardo non l avrebbe mai dimenticato.

Dopo una mattina sotto il sole, i due ragazzi stavano tornando a casa gioiosi, ma volevano entrarci indifferenti, nascondendo il regalino. «Fermati Dani! Entra piano prima tu, io ti seguo, e poi insieme gridiamo Per te, mamma! Va bene?» «Va bene!» E così fecero: Daniele avanti e Anna indietro; il piccolo aprì la porta. «Per te, mam» Le grida felici sfumarono nella puzza di bruciato che avvolgeva la cucina rustica. La mamma sembrava ipnotizzata: aveva smesso di girare il ragù nella pentola e guardava dritta davanti a sé, attraverso la finestrina sui fornelli. Il papà si teneva la testa fra le mani, i gomiti appoggiati al tavolo di legno e una sigaretta che si consumava da sola fra le dita. Daniele, con la bocca spalancata, si voltò verso la sorella. Anche lei ora sembrava pietrificata e un fulmine nei suoi occhi tradì il terrore che provava. Sembrava che quella voce metallica dalla radio fosse l unica ancora reale, la sola viva in quella casa. Popolo italiano! Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore! Tra gli applausi lontani e il fumo un mazzolin di fiori cadde distrutto sul pavimento. Dopo quella fatidica e terribile trasmissione radio, in casa aveva governato il silenzio. Nessuno aveva più aperto bocca e, terminato il pranzo pieno di tensione, la mamma si era ritirata in camera, il papà era rimasto in cucina immerso nei propri pensieri e Anna era salita e, con grande stupore del fratellino che l aveva seguita, aveva iniziato a raccogliere le sue cose. «Anna ma che fai? Vuoi scappare?» Le chiese preoccupato Daniele. «No.» Lei stava ancora cercando il coraggio e le parole giuste per spiegare al suo piccolo angelo che sarebbe arrivato l inferno. «E allora cosa fai?» Daniele aspettava ancora di capire cosa stesse succedendo. Anna, che con isterica fretta stava preparando le valigie come le aveva detto di sfuggita poco prima la madre, si fermò. «Preparo le valigie, Dani. Dobbiamo tornare a casa.» Si voltò e vide il dispiacere farsi lacrime sul viso di Daniele. «Ma io non voglio partire!» «Piccolo, vieni qua - lo abbracciò - vedi, sarà solo per poco: papà deve risolvere un problema di lavoro; poi vedrai che torneremo presto.» «Si sicura?» «Sì, sicura» Ad Anna piangeva il cuore. Non aveva avuto il coraggio di dire la verità a Daniele, le era sembrato meglio che non sapesse nulla. L innocenza dei suoi anni lo avrebbe tenuto al sicuro, almeno per un altro po. «Dai, ora smetti di piangere per niente e vai a riempire la tua sacca. Piccolo esploratore un nuovo viaggio ti aspetta!» Lo rassicurò con un sorrisino forzato e un occhiolino e lui fece lo stesso, precipitandosi poi a preparare le sue cose nella stanza accanto. E così Anna rimase sola.

Era stanca. Il solo sentire quelle parole l aveva torturata. Pur essendo una quindicenne, era molto più matura della sua età e molto perspicace. Per questo aveva subito capito cosa significasse quel discorso. La voce di un imminente guerra, poi, già girava negli ambienti in cui viveva «Una guerra?» aveva detto la madre qualche mese prima nella loro casa di Napoli ad un amica. «No, impossibile. Mussolini non manderebbe mai l Italia in guerra!» Mentre Claudia non sembrava minimamente preoccupata, Anna, che stava origliando la discussione alla porta, percepiva una forte inquietudine nella voce di Matilde, l altra donna. «Credimi Claudia, fra pochi giorni torneremo a rivivere l incubo della Grande Guerra!» «Be, vedremo.» La mamma aveva poi dirottato la discussione e Anna si era persa fra i suoi pensieri. Potrebbe essere reale? Si era chiesta. Matilde aveva ragione, era tutto vero... Disgustata chiuse gli occhi. Dai, Anna, alzati: è solo l inizio. Facendosi forza aprì gli occhi sul mondo reale e continuò il suo lavoro, assaporando il profumo d estate che entrava dalla finestra. Il sole stava facendo spazio alla luna e al buio. Per tutto il viaggio di ritorno in pullman aveva parlato solo Daniele, già eccitato al pensiero che sarebbero ritornati in vacanza, e esponeva a tutti ciò che avrebbe fatto. La sua allegria aveva distratto per un po Anna, Claudia e il papà Stefano. Arrivati a Napoli, però l aria era molto più pesante del solito; si capiva che qualcosa non andava. Erano passati quattro giorni da quando Mussolini aveva parlato al popolo, che già si stava preparando al peggio. Molti uomini erano stati reclutati per le battaglie e i rimanenti vivevano nel timore di un improvvisa chiamata alle armi. «Papà, partirai anche tu?» aveva chiesto una sera Anna preoccupata. Il padre non aveva alcuna intenzione di lasciare la famiglia «No, piccola, anche se lo volessero troverò il modo di tirarmi indietro e rimanere qui a buttarti sul letto e solleticarti fino a farti impazzire!» Stefano buttò sul letto sua figlia, giocando e facendo volar via tutti i cattivi pensieri. «Vengo anch io!» Daniele che aveva sentito le grida, si era precipitato in stanza della sorella e si era tuffato anche lui sul letto per far confusione. Sul ciglio della porta Claudia guardava i suoi tre piccoli amori riempirle il cuore di gioia. Si dimenticò anche della lettera che aveva appena messo in tasca. «Amore, oggi ho capito che non possiamo rimanere più qui, tormentati dal timore ogni volta che sentiamo un postino passare. Dobbiamo andarcene, la guerra non si sa quando finirà e» Stefano le prese la mano e la baciò. «Durerà poco, vedrai» Claudia si ritrasse. I suoi occhi esprimevano sincera preoccupazione e il viso scavato dai tempi duri non lasciava più trasparire la sua bellezza.

«No, io non mi fido; ti prego, torniamo ad Avellino, lì dove nessuno arriverà e saremo al sicuro» disse giocando col lenzuolo: muoveva sempre le mani quand era in ansia. Dopo un istante di silenzio, Claudia si sentì abbracciata da dietro. «Va bene» Le grandi braccia la proteggevano, ma le poche parole del marito le lasciarono intendere che anche i giganti possono avere paura. In quel momento capì che lei doveva proteggere la sua famiglia ad ogni costo: avrebbe asciugato le lacrime che ora sentiva scorrere sulla schiena in qualsiasi modo e non avrebbe permesso a nessuno di svuotare gli occhi di chi l aveva fatta innamorare e di chi ogni giorno la faceva sentire madre. Quei giorni non dovevano finire. «Matilde, devi farmi un piacere.» Claudia la mattina seguente era uscita di buon mattino dicendo che doveva fare la spesa, ma in realtà si era recata dall amica. «Vieni, entra.» Le disse, facendola accomodare in soggiorno. Matilde non si aspettava questa visita improvvisa e soprattutto fu intimorita dall agitazione dell amica. «Dimmi» «Tu non hai più tuo marito, quindi puoi capire come io non voglia perdere il mio.» La donna si incupì, perdendosi in ricordi dolorosi. «Devi accompagnarmi dai carabinieri per dichiarare Anna, Daniele e Stefano scomparsi.» «Cos hai in mente?» «Devono fuggire, Matilde, andar via in un posto più sicuro. Io rimarrò per rendere tutto più vero. Sai, è arrivata» «Va bene, non dire altro - aveva capito tutto ti accompagno. Quando?» «Domani, devo avere il tempo di mandarli via.» Claudia si commosse e Matilde si alzò dalla sua poltrona e le andò incontro, abbracciandola. «Sono a casa!» Silenzio, solo il cigolio della porta che si chiudeva. «Ehi, dove siete?» Nessuno rispose. Dove saranno? Si chiese Claudia, posando le borse in cucina e recandosi in soggiorno. «Sorpresa!» Non poteva credere ai suoi occhi: la stanza era stata decorata e aveva un profumo magnifico di fiori e sul tavolo c era una torta un po strana! l avranno fatta i miei piccoli. Pensò. «Auguri mamma!» Gridarono felici i figli. Claudia, stupita, non riuscì a dire una parola. Da dietro una voce le porse un mazzolino di lavanda. «Buon compleanno, Amore.» E la baciò sul collo. «Oh, Grazie a tutti!» Si era dimenticata che giorno fosse. Si commosse, si girò e baciò con dolcezza il marito. «Oh basta!» Aveva poi detto Daniele un po scandalizzato. Tutti risero.

«Ma lasciali stare!» Lo rimproverò la romantica sorella. «No, loro fanno quello e io non posso mangiare la torta poi!» «Ma aspetta un min» «Ora basta voi!» Erano intervenuti i genitori divertiti. Il quadretto era carino ma non dovevano litigare, non si poteva rovinare un momento perfetto. Claudia poggiò la testa sul petto del marito che la stringeva a sé. «Su, dai, festeggiamo!» «Siiiii.» l urlo si alzò all unisono dai due fratelli e Anna iniziò a tagliare la torta. «Grazie» disse Claudia al marito, nella confusione del momento. «Di niente, cara» «No, di tutto» Non si doveva aggiungere altro, gli sguardi dicevano molto più delle parole. «Venite a mangiare?» La voce di Daniele le ridestò dal sogno ad occhi aperti e si avviarono dai piccoli. In casa quel giorno si respirò aria di felicità e amore. La guerra fu come un vento lontano. Nei festeggiamenti i brutti pensieri e le preoccupazioni avevano dato alla famiglia un po di tregua. Ma poi Claudia, mentre stava rimettendo la casa in ordine, si ricordò della lettere che ancora aveva in tasca. «Amore.» Si rivolse al marito seduto sul divano che fumava. Le aveva sempre dato fastidio l odore del tabacco, ma ormai si era abituata. «Si.» «Devi partire subito. Tu e i bambini. Se non lo farete ti verranno a prendere e noi saremo spacciati. Ieri è arrivata La lettera. - ormai non riusciva più a fermarsi, doveva dirgli tutto in quel momento, quando i bambini non c erano - Ho pensato che voi potreste scappare ad Avellino, come avevamo detto ieri sera, mentre io resterò qui. Potrei dire che siete scomparsi e, se cambierete nome, nessuno vi troverà. Io sola sarò una garanzia che è la verità» Stefano ascoltò tutto in silenzio. Poi, quando la moglie si fermò per riprendere fiato e si sedette accanto a lui, spense la sigaretta e iniziò: «E tu che farai?» «Io - era una cosa a cui non aveva pensato - potrei trasferirmi da Matilde. In fondo anche lei è sola, ci faremo compagnia. E potrei iniziare a lavorare» «Lavorare?» Gli occhi dell uomo facevano trasparire tristezza e rassegnazione, ma anche ammirazione per il coraggio della propria donna. «Sì, potrei lavorare per qualcuno come cameriera o anche come operaia» Stefano era senza parole. La testa china fra le mani. Sapeva che se avesse voluto sopravvivere avrebbe dovuto fare come gli aveva appena detto la donna che amava. Si girò e la guardò. La sera prima sembrava fragile come una bambina: ora era una donna sicura e forte, forse anche più forte di lui. I suoi occhi scuri lo fissavano interrogativi e vigili. Se avesse detto no avrebbero dovuto trovare in fretta un altra soluzione perché, se la lettera era davvero arrivata il giorno prima, i soldati si sarebbero fatti vivi entro cinque giorni per non aver avuto risposte. «Dov è la lettera?» Chiese lui.

«Eccola.» Claudia la estrasse dalla tasca e gliela porse. Alla luce della lampada a olio sul tavolino di fronte a loro a Stefano sembrò l invito ad una condanna a morte. Realizzò che era tutto vero e che il coraggio della moglie era amore per la propria famiglia, ma anche paura per quello che sarebbe potuto accadere. Si alzò e con un profondo sospiro prese le mani della donna. «Hai ragione, amore. Porterò con me i bambini., ma teniamoci in contatto.» Claudia, forse come conseguenza al troppo stress, scoppiò a piangere, si alzò e abbracciò il marito. Dopo un po si stacco e disse: «Preparate le valigie. Ora» Stefano la guardò rassegnato ed annuì. Poi la baciò. Un bacio dolce. L ultimo prima di una lunga distanza. Mentre stavano andando dai ragazzi, decisero che gli avrebbero dato la notizia del viaggio con disinvoltura. Claudia andò dal piccolo Daniele, che, all idea di tornare ad Avellino lasciò le sue macchinine e corse incontro alla madre. «Che bello mamma! Lo sapevo che presto saremmo ripartiti.» Claudia gli accarezzò i capelli castani e, con le lacrime agli occhi e un sorriso, gli diede un bacio sulla fronte. «Si, piccolo angelo.» Daniele non si accorse della tristezza della madre e preparò la sua borsa con euforia. Stefano entrò in camera di Anna, che stava mettendo a posto. «Ciao papà» Anna gli rivolse un sorriso e il padre fece lo stesso. «Ciao principessa» «Papà, dai, sono grande ormai.» Non mancavano opportunità per ricordare al padre che era cresciuta e che non era la piccola principessa di un tempo. «Si, piccola» Rispose ridendo Stefano. Anna si arrese. Era inutile. «Cosa c è, papà?» «Prepara i bagagli, andiamo ad Avellino.» La ragazza si fermò e lo guardò perplessa. «Perché?» «Perché dobbiamo andarcene da Napoli - si fece serio - forza, fra un ora giù.» Stefano uscì e chiuse la porta. Anna capì che la lettera era arrivata. Non perse tempo, prese tutto ciò che le serviva e, nel chiudere la finestra, guardò un ultima volta il mare. Era tranquillo. Pensò a una frase studiata da poco: La quiete prima della tempesta. Un ultimo bacio sulla fronte fu quello che Claudia diede ai suoi figli sul ciglio della porta. Tutto il suo coraggio le permise di non apparire debole e triste agli occhi dei suoi due angeli. «Ci vediamo presto, mamma!» le aveva detto eccitato Daniele, convinto che la madre presto li avrebbe raggiunti. «Ciao, mamma» fu quello che disse, invece, Anna. Non sapeva cosa avessero architettato i genitori e il non conoscere la rendeva ancora più inquieta. «Ciao, piccoli miei» Poi Claudia si rivolse al marito: «State attenti e ricordate i vostri nomi» I vostri nomi? Anna, che stava ascoltando, non riuscì a capire il senso di quella frase.

«Lo faremo amore. Ti amo» «Anche io» Si baciarono, poi Stefano si incamminò coi figli verso la strada dove dovevano prendere il pullman. I bambini, però, ad un certo punto, si girarono e gridarono: «Ti volgiamo bene mamma!» Claudia si commosse e riuscì solo a salutarli con la mano. Non sapeva se li avrebbe più rivisti. Quando ormai non riusciva a vedere più nemmeno l ombra dei suoi cari, Claudia tornò in casa, prese cappellino e borsetta e andò da Matilde. Doveva fare in fretta. Quando bussò alla sua porta, l amica l aprì pronta ed uscì. «Forza andiamo» le disse. Mentre camminavano Matilde volle rompere il silenzio e distrarre un po la donna. «Ieri mattina ho dimenticato di dirtelo: buon compleanno.» «Grazie.» rispose Claudia, felice che anche l amica l avesse ricordato. «Ti hanno preparato qualcosa?» Le raccontò della sorpresa. «Che cosa meravigliosa!» esordì Matilde e le regalò un sorriso. «Si.» anche Claudia sorrise e dagli occhi si intuiva la felicità che le avevano dato i suoi familiari quel giorno; ma una lacrima riportò anche un addio doloroso. «Dai Claudia, vedrai che andrà tutto bene.» Matilde l abbracciò per un po. «Vorresti trasferirti da me? Potremmo farci compagnia.» le propose. Claudia ci pensò un po su, poi le rispose grata: «Sarebbe perfetto» «Bene, ti preparerò la stanza più bella e sarà un po come tornare indietro nel tempo.» Claudia scoppiò in una risata e l amica ne fu compiaciuta. Poi il silenzio irruppe quando si accorsero di essere arrivate. Si guardarono. «Sei pronta, cara?» La madre fece un lungo respiro. «Pronta.» e si incamminarono verso l entrata dell edificio. Quando dichiarò alla polizia che il marito Stefano e i suoi due fogli, Anna e Daniele, erano scomparsi, Claudia si contenne con serietà dal piangere. Fatta la deposizione, tornarono prima a casa sua, dove Matilde l aiutò a radunare le cose da portare con sé; poi chiuse tutto e, quando girò l ultima volta la chiave nella porta d ingresso, titubò. «Cos hai?» le chiese l amica. Semplicemente la giornata l aveva scossa e forse questo era davvero troppo. Ma non aveva altra scelta. «Niente.» Prese la chiave e si incamminò a braccetto di Matilde verso casa. «Piccoli, devo dirvi una cosa molto importante.» Stefano prima di salire sul pullman e rischiare di mandare tutto all aria doveva avvertire i propri figli.

«Dicci, papà. Cos hai?» chiese Anna, notando l espressione turbata del padre. «Dobbiamo cambiare nome, per proteggerci: Daniele tu da oggi sarai Diego e Anna tu ti chiamerai Sofia. Io, invece, sarò Domenico. Chiunque vi chiederà il nome, chiunque, dovrete dirgli questi nuovi e dovrete anche dire che vostra mamma non c è più.» Anna rimase in silenzio, capì la frase della madre Non dimenticate i nomi! : si riferiva a questo. Ora sapeva che tutto era stato fatto per non far partire il padre ed era abbastanza perspicace da intuire che la madre non li avrebbe raggiunti. «Va bene» riuscì a pronunciare. Daniele continuava a non capire, invece, e pensò che fosse tutto un gioco. «Contro chi giochiamo?» chiese curioso. «Cosa?» disse Anna. A Stefano servì un minuto per intenderlo «Contro tutti, angelo. Mi raccomando non dobbiamo perdere, ricorda il tuo nome!» «Diego!» gridò felice Daniele. Anna era contenta che il fratellino avesse preso tutto come un gioco e sorrise con lui proseguendo: «Sofia!» Stefano si compiacque. «Bene, Sofia e Diego, sta arrivando il pullman: pronti per salire!» Cinque minuti dopo erano già in viaggio per la nuova vacanza estiva. Estate 1941 Come previsto (e soprattutto sperato) nessuno cercò la famigliola e Stefano, Anna e Daniele - o meglio Domenico, Sofia e Diego - stettero al sicuro ad Avellino, dove la guerra non arrivò. I soldi erano pochi, ma la villa si trasformò in orto e, almeno, si aveva di che mangiare. Pian piano Diego iniziò a capire che la mamma non li avrebbe raggiunti e che la realtà non era un gioco. «Papà, come mai mamma non è ancora qui?» chiese una mattina d inverno, seduto vicino al camino, pur sapendo già che non gli avrebbero detto la verità. Era cresciuto molto in quei mesi, ma il papà non l aveva capito. «Piccolo, la mamma ha avuto un problema ed è dovuta restare lì a Napoli. Ma non ti preoccupare, arriverà.» gli rispose il padre. O magari non arriverà pensò il piccolo. «Ora lavora» disse Sofia scendendo le scale «È arrivata una sua lettera stamattina, papà: dice che una fabbrica l ha assunta e che vive con Matilde.» si fermò un istante e poi continuò «Racconta di Napoli» Stava per continuare ma lo sguardo duro del padre le fece capire che non doveva parlare con Diego. Si sapeva che erano iniziate le prime rivolte e che Napoli non era più sicura. Era preoccupatissimo per lei, ma non sapeva cosa fare. Sofia disse poi «Le manchiamo. Ci manda tanti baci» «La salutiamo anche noi!» sorrise Diego. «Si, manca anche a noi» confessò la ragazza ritornando in camera sua. «Claudia svegliati, forza! Le sirene»

Ormai già da un anno era iniziato tutto. Matilde era corsa dall amica per avvertirla. Le sirene erano forti e a momenti sarebbero cadute le luci del cielo notturno ; dovevano assolutamente andare nel rifugio più vicino. «Claudia, dai, dobbiamo scappare!» Matilde era allarmata, non riusciva a ridestarla dal sonno e il tempo stringeva. «Stefano Domenico» disse Claudia aprendo gli occhi. «No, non c è! Svegliati forza!» Iniziò a darle dei colpetti e le versò dell acqua sul viso. Subito l amica si alzò e, rendendosi conto delle sirene, senza neanche rivolgerle la parola, le prese il braccio, uscirono dalla stanza, attraversarono il corridoio, scesero le scale e oltrepassarono l entrata principale. Per strada c era il finimondo! La gente gridava: «Pasquale, dove sei?» «Ho perso mio figlio! Aiuto!» Le voci si accavallavano, come anche i corpi. Per non perdersi le due corsero mano nella mano verso un sotterraneo a due isolati dalla loro casa. Quando arrivarono fecero giusto in tempo ad entrare che le porte si chiusero. Nel piccolo ambiente non si respirava, il caldo era soffocante; c erano decine di persone ansimanti e impaurite a cui mancava l aria, neonati che piangevano e donne che gridavano. C era odore di paura e di terrore: la puzza del male. «Grazie.» fu quello che riuscì a dire Claudia a Matilde mentre riprendeva fiato «E scusa ma stavo facendo un bel sogno, stranamente.» «Va bene.» rispose l amica «Ma non possiamo più correre questo risch» Improvvisamente si udì un sibilo vicino e un botto fortissimo. Tutti vennero strattonati dal tonfo, ma nessuno cadde: non c era spazio per cadere. Una donna anziana si sentì male. Non si poté far niente, non la si poteva far stendere. Claudia e Matilde si guardarono con gli occhi spalancati. «Era vicinissima!» disse Matilde. «Si.» «E se fosse caduta su» «Non voglio nemmeno pensarci! Basta che siamo vive!» «Hai ragione.» La cosa più importante era la vita e nient altro in quei momenti. I sibili delle bombe si udirono man mano sempre più lontani, finché non scomparvero del tutto. Dopo un po di silenzio, riaprirono le porte e tutti uscirono con furore. Se dentro l aria era poca, fuori era pesantissima, intrisa di fumo e puzza di bruciato. Claudia e Matilde si fermarono un minuto prima di imboccare la via della loro casa: la bomba era caduta molto vicina alla loro dimora, ma non l aveva colpita. Si sentirono sollevate; erano state fortunatissime quella notte e il cuore batteva all impazzata tanto era l adrenalina. Poi d improvviso Claudia sembrò preoccupata. «Matilde, hai visto gli Esposito scappare prima?» L amica ci pensò un minuto. «Non mi sembra, io non ricordo.»

Si lanciarono verso le macerie della casa dei loro vicini, ma non poterono avvicinarsi: era pericolosissimo. Ciò nonostante la donna ebbe la risposta che cercava: a pochi metri dalle rovine si fermò, ansimando e piangendo terrorizzata. «Cos hai?» chiese l amica, più distante. Claudia si accasciò e, portandosi una mano alla bocca, indicò un punto delle macerie che Matilde non poteva vedere. Questa si avvicinò all altra e rimase impietrita quando capì cosa stesse vedendo. Il braccio carbonizzato del figlio degli Esposito giaceva senza più il resto del corpo tra le pietre. Estate 1942 Mentre a Napoli la guerra era pane quotidiano, in campagna era solo un eco lontano. «Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri a Sofia, tanti auguri a te!» Gli applaudi della amiche fecero da sottofondo allo spegnimento delle diciotto candeline sulla piccola crostata alla ciliegia. «Grazie!» rispose sorridendo Sofia. «Auguri piccola mi!» le disse il padre commosso. «Buon compleanno sorellona.» le augurò il fratello, con la voce ormai da ragazzo. «Grazie.» disse di nuovo la festeggiata felice, abbracciando la sua famiglia. Ma un velo di malinconia le scese sul volto: «Vorrei che mamma fosse qui» Nessuno dei due rispose, ma la ragazza sapeva che anche loro lo desideravano. «Sofia vieni a ballare con noi!» Le amiche della ragazza avevano acceso la radio e si muovevano a suon di musica. Sofia si precipitò da loro. «Tuo fratello sta crescendo proprio bene!» «Rosa, ma cosa dici?» «Rosa ha ragione, non è male il ragazzino.» disse Pina. «Ma è piccolo!» replicò Carmela. «Ecco, brava, faglielo capire tu che farebbero meglio a pensare ai più grandi tipo Mariano!» fece Sofia con occhi sognanti. «Eh, Mariano!» scandirono in coro le ragazze ridendo. «Sch! Volete che mio padre senta?» disse la festeggiata, ridestata dai suoi sogni. E tutte risero per l inconveniente. Fortunatamente Domenico e Diego si erano avviati in cucina per tagliare la torta. «Ti sei proprio innamorata, vero?» le chiese seria Rosa. «Se quello che provo, quel formicolio allo stomaco che ho ogni volta che lo vedo, è amore, allora si, mi sono proprio innamorata!» rispose sorridendo Sofia.

Settembre 1943 «Papà, papà, corri!» Sofia entrò di corsa in casa affannata. Il padre, seduto al tavolo intento ad intagliare legna, si girò di scatto e si alzò. «Cosa c è, figlia mia?» «Alla radio del bar sta succedendo» «Calmati, amore.» Domenico le porse una sedia e le riempì un bicchiere d acqua. «Bevi, riprendi fiato e dimmi tutto.» La ragazza era scioccata. «Papà a Napoli» L uomo alla parola Napoli iniziò ad agitarsi. «A Napoli i nazisti hanno preso il potere ci sono un sacco di rivolte, ma i tedeschi si vendicano e Papà, ho paura per mamma!» Il padre si era seduto a sua volta accanto alla figlia, con lo sguardo assente. «E da tempo che non scrive e chissà come sta.» Dopo qualche minuto in silenzio, Domenico si alzò e disse: «Prepara le valigie tue e di tuo fratello, vi porto da Chiara.» «Papà che vuoi fare?» «Tu fa ciò che ti ho detto, al resto penserò io.» e si diresse verso la sua stanza. Sofia rimase ancora un po seduta, cercando di capire cosa l aspettasse; poi a mente lucida andò in camera sua a raccogliere le sue cose. «Sofia? Papà?» Sofia scese le scale e accolse il fratello. «Ciao Diego.» e gli sorrise. «Dov è papà?» «E andato dalla signora Chiara a chiederle se possiamo restare da lei per un po.» Diego la guardò stupito «E perché mai?» «Credo voglia andare a Napoli.» «A Napoli?» «Si, a prendere mamma. Ma non ne sono sicura.» «Ma a Napoli» «Si, lo so.» e Sofia si girò e, tornando in camera, gli gridò: «Vieni a prendere la tua roba.» «Va bene, arrivo!» Diego chiuse la porta alle sue spalle e andò dalla sorella. 15 Settembre A Napoli tutte le strade erano sorvegliate dai nazisti e l unico modo per entrarvi era farlo di nascosto. Domenico aveva trovato un passaggio su un camion che trasportava immondizia, uno dei pochi che ogni tanto erano autorizzati ad entrare in città. Non era il massimo, il viaggio era scomodo e maleodorante, ma ci si doveva accontentare. Le strade erano piene di crepe e sassi e quando il camion iniziò a rallentare Domenico sentì voci farsi sempre più vicine. «Was tragt sie?» Cosa trasporta?

«Der Kenricht.» l immondizia rispose il conducente, sperando che non andassero a controllare; sapeva che se avessero scoperto l amico avrebbero ucciso entrambi. I nazisti si scambiarono occhiate, come indecisi sul da farsi. Domenico sentì l avvicinarsi dei passi, il cuore gli batteva a mille. Gianni, il conducente, guardava la scena impietrito: l avvicinarsi dei tedeschi al mezzo, l indecisione, i fucili puntati. Una mano alzò il telo per scoprire un po di sacchetti e nient altro! Uno di quei bastardi lo guardò mentre l altro, con forza, ricoprì il maleodorante carico. Una goccia di sudore rigò il viso di Gianni senza però far trasparire la sua preoccupazione. «Fahren!» gridò il tedesco: vada! Subito l uomo rimise in moto ed entrò in città. Domenico, ancora nascosto, tirò un sospiro di sollievo. «Bussano alla porta!» Matilde, smettendo di cucinare, si girò interrogativa verso Claudia, anche lei meravigliata. «E moltissimo tempo che nessuno ci cerca. Che facciamo? E anche tardi.» le chiese. «Se fosse qualcuno che cerca aiuto? Apriamo.» «E se non lo è?» Claudia non rispose, si alzò e si diresse verso la porta. Un altra bussata. Esitò per un attimo con la mano sulla maniglia, poi aprì. Fuori era buoi, pioveva, ma quel viso lei lo avrebbe riconosciuto anche nella notte più nera. Abbracciò la figura e pianse, come non aveva più fatto in tutti quegli anni di guerra. «Ciao amore mio.» le disse Domenico. Claudia lo baciò e gli prese la mano. «Vieni, entra.» «La casa è così vuota.» esclamò l uomo chiudendo la porta. «Si, Stefano, abbiamo dovuto vendere molti mobili!» rispose Matilde che si era catapultata all ingresso sentendo la voce dell amico. «Cara Matilde! Meglio se mi chiami Domenico!» le sorrise. «Si, giusto. Cosa ci fai qui? E perché hai quest odore particolare?» gli chiese lei scherzando. «Datemi il tempo di lavarmi e vi spiegherò tutto.» «Ti accompagno in bagno.» fece Claudia. Più tardi, con indosso i vestiti puliti che gli aveva dato Matilde, Domenico raggiunse le donne in cucina. «Come stanno i piccoli?» chiese la moglie. «Benissimo, al sicuro.» «Spiegaci tutto.» disse l amica. Stefano raccontò degli anni in campagna, della guerra mai arrivata e, naturalmente, dei figli, degli ultimi giorni e delle notizie che arrivavano sulla guerra in città. «Si, tutto chiaro, amore. Ma perché stai rischiando così tanto?» «Per te, perché voglio portarti via.» Claudia lo guardò: «Non posso venire con te.» «Cosa? Perché?»

«Io non posso» «Perché?!» «Te lo racconto io! A Napoli ormai il comando è dei tedeschi, di Schöll, ed è un inferno, tra bombe, gente morta, picchiata o deportata.» «E quindi non sarebbe meglio che vi porti via?!» Domenico si stava innervosendo. «No. Tu non puoi capire cosa significhi per noi vivere l inferno: tutto questo deve finire!» «Cosa vorreste fare voi?!» l uomo era sempre più agitato. «Calmati amore!» esordì Claudia, che era stata in silenzio tutto il tempo. «Ti rendi conto dopo tutto quello che ho passato per riuscire ad arrivare qui oggi cosa sono costretto a sentire?!» il marito si alzò infuriato. «Basta Domenico! Ascoltami un ultimo istante e capirai!» disse Matilde. «Siamo in un gruppo, stiamo organizzando una rivolta.» Domenico si sedette. «Come?» chiese. «Combattendo!» L uomo guardò entrambe le donne: ora anche Claudia sembrava sicura di sé. «Vi aiuterò.» «Grazie.» risposero. Poi si alzò e se ne andò, lasciando intatta la sua zuppa. Le due donne in silenzio misero a posto in cucina. Anche le loro zuppe non furono toccate: il solo profumo delle verdure bastò a saziare la loro fame di libertà. 27 Settembre «Allora, gente, oggi è il gran giorno. Anche altri dei nostri ora si stanno preparando per liberare la nostra città. Noi dobbiamo riprenderci Castel Sant Elmo e ci stiamo preparando da mesi per riuscirci. Non dobbiamo perdere!» «Non perderemo!» gridò qualcuno. «Le nostre donne ci aspetteranno qui, al sicuro, e presteranno soccorso ai feriti.» Le donne si guardarono, infondendosi coraggio. «Ora, andiamo!» «Claudia, aspettami!» «Ti aspetterò, amore.» «Ti amo.» «Ti amo anch io.» Si salutarono con un bacio fugace prima che qualcuno strattonasse Domenico e lo portò fuori. I tedeschi non tardarono a difendersi su ogni fronte. «Tenente Stimolo!» «Domenico.» «Passiamo per di là. C è un passaggio segreto per entrare al castello.» «Va bene, chiama altri due uomini che vengano con noi.» «Gianni, Giulio, venite con noi.» Tutti e quattro col fucile pronto si avviarono verso la porta indicata da Domenico. Non c erano tedeschi a guardia.

«Siamo fortunati.» disse Gianni. «Non cantate vittoria, ragazzi.» ribadì il tenente. «Dobbiamo essere vigi» Giulio si girò e vide ciò che non avrebbe mai voluto. «Domenico!» gridò all amico. Un colpo di fucile, puzza di polvere da sparo e un tonfo. Era troppo tardi: l uomo non fece nemmeno in tempo a rendersi conto dell avvertimento. 31 Settembre «Sofia, Diego, venite al bar?» chiese Chiara. Ormai era normale andarci ogni giorno per avere notizie di Napoli. Tutti erano in fermento nell entroterra, soprattutto i due ragazzi, che attendevano ancora notizie dei genitori. «Si, arriviamo.» scesero le scale di corsa e si avviarono con la donna al bar. Lì la radio parlò: Napoli è libera! Tutti fecero gran festa, si abbracciavano, ballavano e piangevano di gioia. Nella mischia, mentre Diego aveva appena conosciuto una ragazza di nome Marta, per Sofia tutto il chiasso era scomparso e il suo cuore batteva alla vista di due donne conosciute con le valigie di cartone ferme sulla soglia del bar. Estate 2010 «Nonno? Nonno??» Giada sembrava preoccupata alla vista del nonno, che sembrava ipnotizzato. «Nonno!» lo strattonò e lui per poco non cadde. «Si, amore.» Diego si ridestò dai ricordi, tornando di colpo al presente. «Ma cos hai? Non ti senti bene?» «No, no, piccola.» le sorrise e l accarezzò, con una lacrima che gli scendeva sul viso. «E allora perché piangi?» «Oh non sto piangendo. Ho solo qualcosa nell occhio.» e se lo strofinò. «Va bene rispose senza convinzione la piccola ora che facciamo?» «Ora» «A tavola!» gridò nonna Marta dalla casa, facendo segno con la mano. «Ora si va a mangiare!» disse ridendo nonno Diego. Giada gli prese la mano e insieme si incamminarono verso la casa. Nell aria limpida dell estate il profumo del ragù li raggiunse ancor prima di entrare.