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Transcript:

ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 35/2015 Napoli 28 Settembre 2015 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. L'ACCETTAZIONE DEL TFR E LA TEMPORANEA INERZIA DEL LAVORATORE NON POSSONO ESSERE ASSIMILATE AD UNA MANIFESTAZIONE DI VOLONTA' DIRETTA ALLA RISOLUZIONE PER MUTUO CONSENSO DEL RAPPORTO DI LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 18032 DEL 14 SETTEMBRE 2015 La Corte di Cassazione, sentenza n 18032 del 14 settembre 2015, ha statuito che l'accettazione del trattamento di fine rapporto da parte del lavoratore e le sua (temporanea) inerzia, anche se per un considerevole lasso temporale, non possono essere considerate quale manifestazione di una volontà intesa alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o di rinuncia all'impugnativa per illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro. Nel caso in disamina, un dipendente di Poste Italiane Spa impugnava i contratti a termine, più volte stipulati fra le parti, decorso un notevole lasso temporale dall'ultima scadenza, incassando, nelle more, il trattamento di fine rapporto spettantegli. Soccombente in entrambi i gradi di merito, il prestatore ricorreva in Cassazione. 1

Orbene, gli Ermellini, nel ribaltare integralmente il deliberato di merito, hanno evidenziato che l'inerzia del lavoratore, per un notevole lasso temporale, anche se accompagnata dall'accettazione del tfr, non è, da sola, idonea a poter far ritenere che il dipendente abbia accettato la risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del termine ovvero per mutuo consenso. Pertanto, atteso che, nel caso de quo, il lavoratore non aveva, in alcun modo esplicito ed inequivocabile, manifestato la sua acquiescenza all'estinzione del rapporto di lavoro, i Giudici dell'organo di nomofilachia hanno cassato la sentenza, rinviando gli atti alla Corte territoriale, in diversa composizione, per un nuovo deliberato di merito. IL LICENZIAMENTO PER VIOLAZIONE DEI DOVERI FONDAMENTALI CONNESSI AL RAPPORTO DI LAVORO NON NECESSITA DELLA PREVENTIVA AFFISSIONE DEL CODICE DISCIPLINARE. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 17366 DEL 1 SETTEMBRE 2015 La Corte di Cassazione - sentenza n 17366 del 1 settembre 2015, ha statuito che l'applicazione del principio di necessaria pubblicità preventiva del codice disciplinare è esclusa laddove il comportamento sanzionabile sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito. Nella vicenda in esame, la Corte d'appello di Napoli, riformando la sentenza del Giudice del lavoro della stessa città, aveva rigettato la domanda di un direttore di filiale di un istituto di credito ritenendo che la sanzione espulsiva inflittagli era proporzionata alla gravità degli illeciti disciplinari contestatigli. In particolare, tenuto conto del ruolo ricoperto dal lavoratore, la Corte territoriale aveva dato rilievo agli episodi consistiti nel non avere ottemperato alle procedure interne regolanti il processo di erogazione del credito, di aver autorizzato anticipi sulla base di semplici fotocopie di fatture, di aver deliberato un considerevole mutuo per un importo superiore a quello consentito e di aver permesso ad un terzo estraneo alla banca di accedere alla postazione del terminale con sessione aperta per l'immissione di dati riferibili ad operazioni di mutuo fondiario. 2

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il lavoratore lamentando la mancata affissione nella sede lavorativa del codice disciplinare che avrebbe dovuto ricomprendere le ipotetiche condotte addebitate. Orbene, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso ed ha ribadito che le gravi violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, doveri che sorreggono la stessa esistenza del rapporto (id: art. 2104 e 2105 c.c.), e, specificamente, quelli derivanti dalle direttive aziendali - la cui vigenza per un soggetto preposto ad una filiale di istituto di credito devono ritenersi conosciute allo stesso modo delle norme di comune prudenza ed a quelle del codice penale - comportano che, ai fini della legittimità del provvedimento irrogativo di un licenziamento disciplinare, non e' necessario indicarle nel codice disciplinare, così come e' sufficiente la previa contestazione dei fatti che implichino la loro violazione, anche in difetto di un'esplicita specificazione delle norme violate. L ADEGUAMENTO AGLI STUDI DI SETTORE E ATTO NEGOZIALE EMENDABILE ESCLUSIVAMENTE CON UNA DICHIARAZIONE INTEGRATIVA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 18180 DEL 16 SETTEMBRE 2015 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 18180 del 16 settembre 2015, ha statuito il principio che la dichiarazione dei redditi non è emendabile se il contribuente ha optato per l adeguamento agli studi di settore, se non tempestivamente corretta attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa. IL FATTO Ad una società, a seguito di liquidazione ex art. 36 bis D.lgs. n. 74/2000, veniva notificata cartella esattoriale per recupero di Iva non versata, corrispondente alla maggiore imposta dovuta a seguito adeguamento ai risultati degli studi di settore. La società prontamente impugnava la suddetta cartella dinanzi alla giustizia tributaria riuscendone ad ottenere dalla C.t.r. l annullamento. In particolare, il Giudice dell Appello motivava la decisione nel senso che la sola compilazione di un rigo della dichiarazione non è sufficiente per ritenere che il contribuente abbia optato per l'adeguamento agli studi 3

di settore ; inoltre, la dichiarazione fiscale è sempre emendabile e ritrattabile in presenza di errori, di fatto o di diritto, suscettibili di cagionare un prelievo fiscale più oneroso di quello previsto per legge. Da qui, il ricorso per Cassazione da parte dell Agenzia delle Entrate che, tra i propri motivi di gravame, evidenziava come l adeguamento agli studi di settore in dichiarazione costituisse esercizio di una facoltà di opzione riconosciuta dalle norme tributarie, per cui solo con una dichiarazione integrativa fosse possibile correggere la scelta dell adeguamento. Orbene, i Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza de qua, uniformandosi a precedente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1427/2013), hanno ribadito che le dichiarazioni dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza e possano, quindi, essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale a una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall'erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall'amministrazione. Pertanto, hanno concluso gli Ermellini, nel caso in specie, non vi è dubbio che la dichiarazione nel quadro VA42 dell intendimento di adeguamento (limitatamente ad IVA) allo studio di settore fosse da considerarsi atto negoziale (incidente sulla determinazione dell imponibile e sull entità del tributo da versare), perciò non emendabile, se non attraverso la presentazione di dichiarazione integrativa, atteso che l opzione in esame (id: adeguamento) è volta a mutare la base imponibile e perciò inidonea a costituire oggetto di un mero errore formale (Cass. n. 5852/2012) e, comunque, non originata da errore di calcolo o materiale ovvero da errori generati dall ignoranza di elementi di conoscenza successivamente acquisiti. Per le motivazioni suddette la causa è stata rimessa alla CTR per nuovo esame. 4

L IMPRENDITORE CHE NON E PIU CAPACE DI PRODURRE REDDITIVITA DA DESTINARE A PATRIMONIO PER ONORARE I PROPRI DEBITI VA DICHIARATO FALLITO. CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE FALLIMENTARE - ORDINANZA N. 18192 DEL 16 SETTEMBRE 2015 La Corte di Cassazione Sezione Fallimentare, ordinanza n 18192 del 16 settembre 2015, ha declinato il significato oggettivo dell'insolvenza, ai fini della dichiarazione di fallimento ex art. 5 Legge Fallimentare, precisando, altresì, che la stessa deve essere desunta da una valutazione complessiva delle condizioni economiche necessarie allo svolgimento dell'attività economica. Nel caso di specie, i Giudici del Palazzaccio, hanno respinto il ricorso dell'amministratore di una società dichiarata fallita, che lamentava una palese violazione della Legge Fallimentare vista sotto il profilo della sussistenza dei requisiti prescritti per la pronuncia di fallimento, evidenziando, come nel caso de quo, che l'attivo patrimoniale aziendale era nettamente superiore al passivo, con esclusione dei debiti non scaduti. Gli Ermellini, respingendo in toto la censura, hanno confermato appieno la relativa dichiarazione di fallimento, statuendo, in maniera definitiva, l oggettivo significato dell'insolvenza, identificato come uno stato non transitorio di impotenza funzionale a soddisfare le obbligazioni inerenti dell'impresa, espresso con l'incapacità di produrre beni con un margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze aziendali e, in primis, l estinzione dei debiti, oltre all impossibilità di ricorrere al credito in normali condizioni, senza subire rovinose decurtazioni del patrimonio. Sussistendo le condizioni in parola, per i Giudici nomofilattici, la declaratoria di fallimento non può, in alcun modo, essere esclusa dalla pur evidente circostanza che, come nel caso in commento, l'attivo di bilancio superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti. 5

LA DEQUALIFICAZIONE E/O IL DEMANSIONAMENTO VANNO ACCURATAMENTE VALUTATE DAL GIUDICE DI MERITO. CORTE DI CASSAZIONE SENTENZA N. 18223 DEL 17 SETTEMBRE 2015 La Corte di Cassazione, sentenza n 18223 del 17 settembre 2015, si è (ri)espressa sulla differenziazione fra demansionamento e dequalificazione, stabilendone gli ambiti applicativi. Nel caso in commento, la Corte d'appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Salerno, ha riconosciuto il demansionamento di un lavoratore trasferito al quale risultavano assegnate mansioni non riconducibili alla qualifica ricoperta nella precedente sede. La Corte d Appello di Salerno ha invece confermato la legittimità del trasferimento. Gli Ermellini, chiamati in ultima istanza, hanno ritenuto corretto l iter logico giuridico adottato della Corte di merito, constatando che, dopo il trasferimento alla nuova sede di destinazione, al lavoratore non sono mai state assegnate mansioni riconducibili alla propria qualifica di appartenenza. In particolare, i Giudici nomofilattici si sono soffermati sulla legittimità dell esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro che, sotto il profilo dell equivalenza (competenza richiesta, livello raggiunto, bagaglio professionale), impone l omogeneità tra le mansioni assegnate e quelle originarie. Conseguentemente, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato il principio di diritto in base al quale il Giudice non deve limitarsi ad una mera verifica fra le mansioni attuali e quelle precedenti; ma, deve, prima di tutto, verificare la corrispondenza delle mansioni assegnate con la qualifica di appartenenza, onde scongiurare una dequalificazione, e solo dopo, in caso di corrispondenza, procedere con la verifica della mansioni attuali con quelle precedentemente assegnate al fine di scongiurare un demansionamento. In entrambe le ipotesi l onere della prova è posto a carico del datore di lavoro. Ad maiora 6

IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello, Pietro Di Nono e Fabio Triunfo. Ha collaborato alla redazione il Collega Francesco Pierro 7