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ovvero. Agenda un po insolita per appunti.. mica tanto frettolosi con il gradito contributo del Centro Studi O. Baroncelli N 12/2014 Napoli 24 Marzo 2014 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa collaudata e gradita iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. IN MATERIA DI LICENZIAMENTI INDIVIDUALI PER G.M.O. IL DATORE DI LAVORO HA L ONERE DI PROVARE L IMPOSSIBILITA DI ADIBIRE ULTERIORMENTE IL LAVORATORE IN MANSIONI DIVERSE. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 902 DEL 17 GENNAIO 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 902 del 17 gennaio 2014, ha confermato che il datore di lavoro ha l onere di provare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato per la soppressione del posto di lavoro, quale conseguenza della contrazione dell attività commerciale. Il Tribunale di Milano aveva dichiarato illegittimo il licenziamento condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro. La decisione, impugnata in via principale dalla società ed incidentale dal lavoratore, veniva confermata dalla Corte d'appello di Milano. All uopo, la Corte di merito aveva osservato che il lavoratore, responsabile della qualità e del coordinamento delle risorse operative, venne dapprima demansionato, con la sottrazione di tali compiti e, successivamente, licenziato per soppressione del posto di lavoro; tale licenziamento era illegittimo, non avendo il datore di lavoro fornito la prova che il posto era stato soppresso, posto che le mansioni affidate al dipendente erano state 1

attribuite ad altra persona e che la società aveva continuato ad assumere, anche se con contratti atipici, altro personale. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha (ri)confermato che, il licenziamento per g.m.o. é dettato da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Orbene, la sussistenza delle ragioni di carattere produttivo-organizzativo è rimessa alla valutazione del datore di lavoro, senza che il Giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'articolo 41 Cost.. Spetta, invece, al Giudice il controllo della effettività e della non pretestuosità del riassetto organizzativo operato. Il datore di lavoro ha l'onere di provare, con riferimento alla capacità professionale del lavoratore ed alla organizzazione aziendale esistente, l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva o in posti di lavoro confacenti alle mansioni dallo stesso svolte, giustificandosi il recesso solo come extrema ratio. Nella specie, il Giudice di Appello, nel rispetto dei principi sopra enunciati, aveva accertato che non era stata dimostrata dalla società ricorrente la soppressione del posto di lavoro. IL LAVORATORE DIPENDENTE HA L ONERE DI DIMOSTRARE IL MOBBING POSTO IN ESSERE DAL PROPRIO DATORE DI LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 898 DEL 17 GENNAIO 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 898 del 17 gennaio 2014, ha statuito che grava sul lavoratore l'onere di dimostrare il comportamento mobbizzante subito. Nel caso de quo, un dipendente dell'agente per la riscossione riceveva, dal proprio datore, delle note di qualifica con esito non sufficiente vedendosi preclusa la possibilità di percepire il premio di risultato pattuito. Il lavoratore compulsava i Giudici di merito, sostenendo di essere stato vittima di un comportamento ostile e di una discriminazione perpetuata in 2

modo continuativo al fine di emarginarlo e mortificarlo (id: mobbing), richiedendo il correlativo risarcimento danni e, al contempo, il premio di produzione negatogli dall'azienda. Orbene, gli Ermellini, aditi dal prestatore atteso il soddisfo solo parziale ottenuto nei gradi di merito, hanno sottolineato che grava sul dipendente l onere di dimostrare l esistenza del comportamento mobbizzante al quale ritiene di essere stato sottoposto. Pertanto, atteso che nel caso in commento il ricorrente non aveva dato sufficiente prova dei reiterati e prolungati comportamenti ostili ai quali sosteneva di essere stato sottoposto al fine di emarginarlo dal lavoro, i Giudici di Piazza Cavour ne hanno rigettato la richiesta di risarcimento danni per mobbing. IL DATORE DI LAVORO DEVE ADOTTARE TUTTE LE CAUTELE DETTATE DALLA NORMA E SUGGERITE DALLA COMUNE ESPERIENZA AL FINE DI TUTELARE LA SALUTE E LA SICUREZZA DEI PRESTATORI DI LAVORO. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 1477 DEL 24 GENNAIO 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 1477 del 24 gennaio 2014, ha statuito che, al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori, il datore di lavoro deve adottare tutte le cautele che la norma impone ed il comune sapere suggerisce. Nel caso de quo, un datore di lavoro veniva condannato dai Giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio, per le conseguenze patite da un dipendente per la prolungata esposizione alle fibre di amianto, nonostante all'epoca dell'accaduto (fine anni 70) non fossero ancora del tutto note le conseguenze del contatto con tale materiale. Orbene, i Giudici dell'organo di nomofilachia, aditi in ultima battuta dal condannato, nell'avallare in toto il decisum di prime cure, hanno sottolineato che, il datore di lavoro non solo deve rispettare tutte le previsioni dettate dalla normativa ma, deve anche adottare tutte le cautele che l'esperienza ed il comune sapere suggeriscono. Pertanto, atteso che nel caso di specie il datore di lavoro era rimasto particolarmente inoperoso, omettendo di adottare le opportune cautele atte a limitare le polveri nell'ambiente di lavoro, gli Ermellini hanno confermato la sua 3

condanna par la mancata adozione delle necessarie misure idonee a tutelare l'integrità psico-fisica dei dipendenti. L INTENTO DISCRIMINATORIO NEL COMPORTAMENTO ASSUNTO DAL DATORE DI LAVORO DEVE ESSERE VALIDAMENTE PROVATO DAL LAVORATORE AL FINE DI INTEGRARE IL RISARCIMENTO DEL DANNO ALLA SALUTE, DEL DANNO BIOLOGICO ED ESISTENZIALE. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 1149 DEL 21 GENNAIO 2014 La Corte di Cassazione, sentenza n 1149 del 21 gennaio 2014, ha escluso, a favore di un lavoratore, il riconoscimento del danno alla salute, del danno biologico e del danno esistenziale derivanti da comportamenti illegittimi per mobbing, per dequalificazione professionale e per l'emarginazione subita all'interno dell'azienda. Nella vicenda in esame, un lavoratore asseriva di essere stato ingiustamente trasferito ad altra sede e destinato a mansioni frustranti; era stato, altresì, colpito dall'applicazione di sanzioni disciplinari per lievi ritardi ed irregolarità formali, in particolare, era stato sanzionato un suo presunto allontanamento dal posto di lavoro, mentre invece egli si trovava in bagno; che, in conseguenza di tutto ciò, il suo stato di salute aveva subito un progressivo peggioramento e che, in seguito all ennesima contestazione, per l'ansia di non fare ritardo in ufficio era caduto dal ciclomotore riportando diversi traumi contusivi. Ciò premesso, chiedeva al Tribunale adito di dichiarare la illegittimità dei provvedimenti disciplinari irrogati e la illiceità dei comportamenti posti in essere. Chiedeva, pertanto, la completa ricostruzione della carriera con l'attribuzione delle mansioni corrispondenti e del risarcimento di tutti danni subiti ed in particolare del danno alla salute, del danno biologico e del danno esistenziale. Il Tribunale, dopo aver espletato la prova testimoniale, respingeva la domanda; parimenti la Corte d'appello di Napoli respingeva l'appello e confermava la sentenza. La questione, giunta al vaglio della Suprema Corte, è stata definitivamente rigettata, dopo aver passato in rassegna gli episodi narrati e posto in evidenza che la società, in relazione a ciascun episodio contestato, aveva 4

condotto una approfondita istruttoria disciplinare. D'altro canto, non era privo di rilievo il fatto che, a fronte di accuse disciplinari anche gravi, sfociate in più di una sanzione disciplinare, il ricorrente non avesse contestato giudizialmente tali provvedimenti datoriali se non a distanza di molti anni, senza tuttavia fornire un solo elemento concreto di prova a sostegno della sua opposta versione dei fatti. LA DEDUCIBILITA DEI COMPENSI AGLI AMMINISRTATORI PRESUPPONE SEMPRE LA PREVENTIVA DELIBERA ASSEMBLEARE. CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 5349 DEL 7 MARZO 2014 La Corte di Cassazione - Sezione Tributaria -, sentenza n 5349 del 7 marzo 2014, ha (ri)affermato che ai fini della deducibilità dei compensi degli amministratori è sempre indispensabile la preventiva delibera dell assemblea dei soci, e ciò nel pieno rispetto dei requisiti di certezza e di inerenza dei costi prescritti dal TUIR. IL FATTO L'Ufficio dell'agenzia delle Entrate, con avviso di accertamento, emesso a carico di una società di capitali, provvedeva a riprendere a tassazione una serie di costi dedotti tra cui i compensi erogati ai consiglieri di amministrazione, in quanto non regolarmente determinati e deliberati dall organo assembleare. Contro l atto impositivo la società proponeva ricorso innanzi agli organi della giustizia tributaria. Sia la C.t.p. che la C.t.r., ritenevano legittimamente deducile, in quanto inerente, il costo relativo ai compensi erogati ai membri del consiglio d amministrazione, anche in mancanza di una regolare e preventiva delibera assembleare. L Agenzia delle Entrate, di parere contrario, proponeva ricorso per Cassazione. Orbene, i Giudici del Palazzaccio, con la sentenza de qua, nel ribadire quanto già statuito ed affermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 21933 del 29/08/2008, hanno statuito che: con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di 5

capitali, ai sensi dell art. 2389, primo comma cod. civ., (nel testo vigente prima delle modifiche, non decisive sul punto, di cui al d.lgs. n. 6 del 2003), qualora non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio. Infatti, i Giudici nomofilattici, hanno evidenziato come la mancanza della delibera assembleare richiesta ai fini della deducibilità non può essere sanata dalla successiva delibera di approvazione del bilancio, per una serie di ragioni. Eccole in dettaglio: l art. 2389 detta una disciplina di natura imperativa e inderogabile in tema di compensi agli amministratori, discendente dall'essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche nell'interesse pubblico, al regolare svolgimento dell'attività economica; in considerazione della previsione normativa come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea (articolo 2630 c.c., comma 2, abrogato dal Decreto Legislativo n. 61 del 2002, articolo 1); perché il codice civile espressamente distingue le delibere di approvazione del bilancio da quelle di determinazione dei compensi (articolo 2364 c.c., nn. 1 e 3); infine, per il diretto contrasto che vi è tra le delibere tacite e implicite con le regole di formazione della volontà della società (articolo 2393 c.c., comma 2). Tuttavia, hanno puntualizzato i Giudici di Piazza Cavour, non è escluso che l assemblea ordinaria deliberi il compenso agli amministratori anche nella stessa sede in cui approva il bilancio: infatti, un'assemblea convocata solo per l'approvazione del bilancio, essendo totalitaria, può comunque decidere di discutere espressamente e approvare la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori (Cass. n. 28243 del 2005). In conclusione, una preventiva delibera assembleare, ai fini del compenso degli amministratori, risulta necessaria e fondamentale per rispettare in pieno quel principio della certezza del costo di cui all art. 109 comma 1 del TUIR, certezza che, senza la delibera preventiva, verrebbe a mancare, a prescindere da quanto stabilito ai fini della deducibilità fiscale dal TUIR, 6

richiedente - a tal fine - che i compensi spettanti agli amministratori di società siano stati corrisposti. Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! Ha redatto questo numero la Commissione Comunicazione Scientifica ed Istituzionale del CPO di Napoli composta da Francesco Capaccio, Pasquale Assisi, Giuseppe Cappiello e Pietro Di Nono. 7