Vittorio Monaco. Vecchi Versi

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Transcript:

Vittorio Monaco Vecchi Versi I

INTRODUZIONE Viriamo in un 'epoca sempre Più scarna ed essenziale che ha messo in un canto il Piacere della narrazione. Eppure, memoné e racconti, ~'alufazioni t r1:fowioni (non imporla se in t'trsi o in prosa) s"wno per prosani, per collocarci nel mondo, per allacciarci agli altri, per capire che non riamo soli. II loro essere espressioni simboliche difigun, situaifoni, personaygi, eventi disegna, infatti, una vi.roda collettiva che impegna a pen.rare al plurale, colloca su uno scenario multiplo, insm ve in un perrorso già da altri sperimentato mn esiti spesso rostrottiti cd incoraggianti, an mta ad 4Jrontarf il negativo per vincer/o f superar/o. Ogni storia, ptrtanto, rimanda ad altre storie e insegna che tutto si lega c si connette, perchi ogni storia narrata, letta o agolfala lega agli altri e raddoppia la rete de1ù relaifoni. Pruisamente in 10M itinerario si insm vono i t'trsi di Vi/ hm o 1I1onaco. Quuti, infatti; da un lato sembrano ansiosi di.rajvare qud patrimonio di pensim.rempn Più insidiato dalla [-oracità di un mondo distratto, smemorato, malalo di plta; c, dall'altro, si pongono in veste di trasparente metafora di un unir'trso che si vorrebbe Più intelligente, solidale, attento ai hisogni collettiri. Dei/a.rm/tura di V itton o Monaro protagonista i l'io

dr/i" n'to fj/wtidiol/ri 1Ir/1II0 (OIlCT'fto agirt, pensart, Jriffrire, riuscir!', filllir~. Una Ct/1f'J!.O/la lùihile, empin'ca, cbiaroscurale che dù'flllfl, rolì, prrt~jlo prr lilla rijleuio/it etica mlfart dell'uomo. Di qlli //rlrl ragnalda di Ift/cdati d/t ora Jtigll/atii!{al/o la brutalifrì di t'io1enze (folldamentalùnl/;' ora si a/tarriano sul senso del passato; ora scandagliano l'aft/iii;p delle emozioni; ora porano /a mata!!a dei untimenti; ora denunciano il pejo delle pra!!; prescrittive che murano ndla prigio!/( dei roohi ora n'chiamano l'attenzione mll'imporlanza di quella Jocùtà com'lìliafe, di quel brodo sociale, di quel t'ioi collettivo (ovviamente pur (On tutte le me omhrt) che /a contemporaneità ha cancellato con aggrejsiva animo.rità; ora ricreano gli umori inconfondibili di quel mondo fieramente popolare, corpo.ramenfe nutrito di giudii! sbn'gativi (adeghati a cotifermare che "tutto è in ordine e che il mondo ha un senso"), impudicamente lontano da dubbi (Jalva rare t(ceziom); ora denunciano l'ingiujhzia della dùeguaglianza; ora inj/stono mi signijìcato di "quell'andare lontano ': verso l'eltero, che ha cambiato il cartogramma sociale e odturale di tante contrade d'abrui!{o e inciso indelebi/mente tante cojaeni!. Sono riflessiomforti e insieme melanconirb~, quindi, quelle che questi f)(jt"ji consegnano al lettore. Rijkssioni cbe coinvolgono; che rivitalii}{ano il sussurro del mondo; che n'.rcoprono i larciti ddla nostra cultura considerati in.rervibi/i; che incorporano e proiettano rirordiper assaporare quella magia che riattiva la memoria emotiv(i e indhu (I//a ~ooglia di dire per viviftmre la consapevo /ett..a di si e aprirsi sulla famiglia umana. E/de Spedicato ungo

( :'II"/'IIN I! (J ANI)I ~ri1na (2002) C-\:-;:ZÒ:-;jA ClA.'\IOCSTI1\:A (2002) A l/dir spen/e, 10110 UI1 cielo nero, lo vita va per filare controvento. A una (osta, a uno Jcoglio, dove tira la S0111 - /o fortuna o un accidente. Bambini spersi, donne t trtahlt't senza uno (aio dh k rasnclln... Va la barro di straca e di do/{jri a sulle pente, sotto un cùlo SCI/ro. Lascia lo fame e cerra lo speranza, come gli uccelli a fine di stagione, che si addensano a stormi su una pianta e li alzano a lontane migraziom: Umili pmi, liomini e ragaztj, o«bi dì L'rITO, carne di nemmo... E va la barca di dolori l stracci a stelle!pen/e, sollo IIn rido JCllro. A chiuse stèlle, sòuc iù dale nice, la vita va pe' mare còntra viènte. A na còsta, a nu scòjjc, a do' la tira la sòrte - la fortuna o n'accedènte. Cétele spièrte, fèmmenc e criarore sènza na casa che le rasse<::uca... Va hl barca de strèccc C dc delure a chiuse stèlle, sòtte iù dale scure. Lassa la fame e cèrca la speranza, 'mma fènne i cièjje a 6ne de stagione, quande a storme s'assè:mbranc a na pianta e s'àuzanc a [untane megrazione. Cellocce spiè:rtc, llèmmene e uejjune, uècchic de vrite, crune de nesciune... Va la barca d c: strècce e de delure a chiùse stelle, sòue iù dale scure. 6 7

(1975) PaJJa"""o la serata alla canh"na. Ore di noia. lo, Tonino e Rocro. QJlondo il tino raggitmge la corina, o una a lino scemano le brocche... Siparlo/lO di noi; di Pettorano, di quel poco che ancora I/i si fa; di qhonto (tula guadagparsi il pane; di chi "nume e di chi se ne va. 'Vov'è finito il tempo di una w/ta?" ti rùjmandal'tl Rocco. ''Quanta genie! N ell'anno, dalla umina al ro«ollo, i morti diea e i nati erano cento. Lungo via Cmcio, giù per il Mulino, /a sera tra una jejta di ragai!(!: una voce, un bicchiere, un Hlf.mdolino - ~ sifatet'd ((1rnwale in piatj:p. La giot,tntrì sciamava intorno a morre, come snomano It api di mallina al primo so/t... Aldino, la Tamorra, Michele il rosso, Antonio polentina... 8 (1975) Ciò me im è slal, ~'"" />" mn, "6!i i PmI per altri. Stàscmc l'àlltra sèira a la cantina, a core cupe. l '. Tuninc c RÒcche. Quande le vine tocca la eurina, a una a una scòrtanc le vròcche... Avame 'sci te 'n conte de Pettrane, dc le male e le béne che se fa; de quante còst.'l abbuscarse le pane; de chi remane e di che se \ "3. "Ònda è fenite iù tièmpc de na vota?" s'addem manncva Ròcche. "Q uanta gèntcl l'anne, da la Semèn ta a la mccota, i muèrte dicce e i nète avane cièntc. Sòtte la Cència, abballe p'iù Muli ne, la sm a èva na fèsta de quattale: na voce, nu becchiére, nu viulinc - ed t:va a mèzza estate carnevale. La gioventù sciamèva attòrne a mùrra, 'mma sciàmane le!ape la marina a spònta - soie... Ald6cce, la Tamòrra, Mecchéle iù ro.rcr, AntònJe pulm/ina... 9

No,,,; di amici, nomi di parenti, soffio di vocr e piaga senzo fondo: di qua, di là, volati ai quattro vmh, spersi per le città di tutto il,,,ondo. Di tanta genie viva nel Cinquanta, dlllongono le case - a poco a poco sole t svuotate rome un lanljjosonlo... A sant'antonio non Ii accmde un fuoco!" Un sorso... un altro, lenta.. E fo Tonino: 'T,re/la mùena CT"eSmno i pidocchil Lo forte è quelfa, cmen e fuliggine, e mancano per Piangere anche gli occbi, LA vi/a del (qfone i stmpn qut/h... Quante sere lit1 a letto stnza pan~/ Bulla il sangue, si astiuga la pelle t COI/Il ha fotto oggi fa domoni. Che cosa farci? Di (hi è la colpo qual/do III/ parsr na.!«sventura/o? È il destino... A (hi dà (arne e polpa e (J chi quattr'ossa secche e.rmmcate". 'Oh, no, Tonì ' ~ risposi qutsla /!O/fa; ''la (o/pa è sempre... colpa di qua/cullo: legna togliolo i colpa dell'a«tjla e fkllo grastia altrui illuo digiuno. IO Nome d'amice, nome: de pcriènte, fia te de voce c piàia senza fonne: s'henne spaliate 'n gire ai quèttre viènte, spièrte pc' le cetci de totte iù melone. D e tanta gènte vi\'a a iù Cenquam:i, rcmenene le case - a pùache a pùache voiete e sole 'mma nu campesantc... A sam'anrònie nen s'appéccia u fùache!" Nu soese... n'àutrc, liènte... E fa Tuninc: "i\hnnaggia la mesèria e i pcduè<:chie! La sòrte è chèsta, ceine scrita e flina, de chi pc' piagoe 'o téoe: manche i uècchie. La vita d'iù cafòune è sempre chèlla... Quante sèire: s'addòrme senza pane! Jètta le sangue, s'assllca la pèue e chemm'ha fatte uèjje fa dwllane. Che ce: putèmme fa? D e chi la còlpa, se 'Stu paése è natc desgraziate? É iù dcsune... A chi dà carne e polpa e a chi quatt'òssa sècche e scurtecate." "Nòne, Tuull"stavota respunnètte; "la còlpa è sempre: còlpa de caccune. Lè.ina tajjata é còlpa de l'accèttc c de la tròppa g rascia l'addejune. I l

Fatta la tresca e SJ!jJmberala l'aia, il grano a me - e a te paglùlhlt liiùta.. Lo dico do frattllo, tu lo sai: fio, 110n è il mondo che ha wluto Cristo". E /Wiché ufla parola tira l'altra (cotile I(n sorso di vino un altro fono), andava avanti ormai senza finc, alle calende greche, qurl discofjo: le sojjeren~ parlal10 da wle, come capita ai po'?!(j qualclh volto... Parok che siperdono - parole d~tte e ridette, cbe nessuno ascolto... Sul tardi, dalla piav::,a il campanile.fuonò le ore. Notle a colmo -.fonno, quando riposa il cane a Gnercminc t non abbaia l'altro alle Vutnne. L'ultimo fono... l'ultimo goccetto... Riordinò i bicchieri Gasperina; e con il vino che facew effetto uscimmo incespicando all'aria fina. Da cielo a cielo, f uori, quante stelle! Aligliaia di migliaia, da ogni partt... Soft t profonde, senza fine bellelontane da cbi rula e da cbi porlt. 12 A trèsca farra e are abbandunate, le gmne a mi - c a ti pajjuehe e Mstrc... Tuni, tu me ehenòscc 'mma nu frate: nn'è quésre u ma nne ch'ha vulme Créstc". E na parola prima, n'àutta apprièssc (chem mà nu sòn.;c tira n'àutre sorse) nen se vcdèva via che fenèssc, 'n cape de le calende, qui trascorse: le patemènze parlane da sole, 'mma fènne 'n gire i pèzze quacche vota... Parole che se pérdcne - parole dètte c redètte, che nesciunc 'scota... A tarde, da la préce iù campanine cruamése l'òra. Nòtte a colme - suènne, quandc s'addòrme iù cane a Gneremine e appòusa j'àutre cane a le Vecènnc. l'o teme sorse... j'oteme sguccètrc... Rezelése i biccruare Gaspeòne; e 'che le vine che facéva affiene rcsciamme 'ntruppcchènne a le serine. Da dale a ciale, fore, quante sti:llel Mcjjara de mejiara 'n gire dièsta... SOle e fu nnme, sènza fine bèlle - lumane da chi pan e e da chi resta. 13

I L IV1CCO.\'l'O /JE!. CARflO!... AIO (1977) lo C6NTE DE IÙ CARVUNARE (1977) 1 1 C.I--." ~ <pmit.rm la... ~ Cii",o.._~ti~~ ~h.ln~ _ 1i".. JIro"" <iòthtll:ti_"""",...u:...ahi--' '-' ~.loikn ptr tiildjti"...ao- Jìm_ Williaml!>101m f!acetlamo i carwmi fj Pecinisco l'anno che incappammo in qhel dilllvio. /llempo, di stagiont, giro a frrsco rd il dr/o fii bllio a,nrtà Luglio. Era d'estate - t ritornò l'inverno, giù jino al Piano delle Cinque Miglia: te nllllote, più nm dt/l'lnjrrno - t il mondo, intorno, piccolo e smarrito. Acqlla a dirotto, giorni e settimant, né si scorgeva segno di schiarita. Erano co/mi i JottJ per il Piano e l'erba sotto i faggi era marofo... Stavamo a/la (apanna. lo, Tabaao (Zio PepPino Ca"ara il curatina) e Gaetano, a batterci la jiacca. Sjiniti e più bagnati di IIn pii/cino., \ Faciavame i chervune a Pecenésche j'anne che s'ammattése qui dellavie. Iù tièmpe, de stagione, utése a fréschc c se chiudése u dale a meci. l..6jje. Eva de 'state - e recalése iù vièrne, fine al le Piane dc le Cènche - méjja: le n6vele chiù scure de le 'mbèrne e u manne se /acése pecccrejje. Acqua a zeff6nnc, j6rne e settemane, e 'n s'alluscèva ségne che fenèsse. S'avane c6lme i pi6zze pe' le piane e 'm miezze la faggéta èva le stèsse... Stavame a la capanna. l', Tabbacche (zi' Pcppine Carrara u curatine) e Caietane, a bàttese la fiacca. Chiù 'ntremenzite e 'mb6sse d'i pecine. 14 15

Anlli difame, q/ulli del Q"ardll/d! E se "na liia{(bia se ne owla,.'a o J/iole, l'int't:t7lo/a soffiù i pene san/e, la tifo o nstbio fonlf le dralt... Si tra al/en/alo ii/elio di lamiere, e le scarpe affondavano nel "'01/0: dmlro piovet'tl (noli capiti a nl'silfno!) peggio diflfod. L'acqua flllo al collo! Fumi di zolfo, va!llpe del demonio, fu/mini r tuoni, pioggia a fitti scrosci. "Ci ~ accendi una candela a Sant'AlI/ollio, ci lib~rasse lu; da questi colpi!" ansimò Cae/allo la leggera, con un filo difiato, a voce {lracca. "B quando passa un'esistenza intera?" cacciò un sospiro fai/do Zio Tabacco. lo s/alxj comt #n frate in IIn can/uccio, senza peccato a fan penilenzo. Da troppo telll/m Inl rodet'll "n cruccio, di allocar /ile - e persi la pazienza: "Qui non servono lacrime e lammti! Non è più Itlllpo di din orazioni o di accendere ceri a qualcht sankj. Lo t,io è un 'allrd.. quella di Bciffone!" 16 Ènne de fame, i'ènne d'iù Q uarantal E se na macchia se ne ièva a male, iù vièrne iva pari le péne sante, a réschie dc fcru 'mma le cecale... S'èva allentatc u téne dc bendune e i pìade sciacquavane a nemmòlla: dèntre piuèva (arciscnc d'agn une~ pègge de fore. Tona na pescòua. Fume de zuèlfe, vampe d'iù demònie, lèmpe c retrèccnc, acqua jorne e nòtte. "Gì, appéccia na cannéla a sant'amònie, ca ci-aiutèsse a 'sci da chèste bòtte", landùése Caitane la leggera 'che nu ftle de fiare, a voce stracca. "E mo' ce passa na 'sestènza 'ntera!" caccése nu scspire zi' Tabbacche. Chcmma nu frate, i stèva a nu curnécchie, renza peccare a fa la penetènza. Da trò ppe tièmpe me cuvèva u técchìe de lerechè - e scappesc la paciènza: "Basta dc jcnè làcrcme e lcmiènte! Quéste nn'è tièmpe de canti 'razione e d'appcccè lumine a totte i sèntc. La via è n'autra... a-da vem Baffone!" 17

'7-11 via... di un colpo, bmtto prepotente/" saltò come una IJipera Gaetano; "un colpo al muso, che ti rotj!ptl i denti - e ti insegni a parlare da m stitmo. Tu chiudigli la bocca, Zio PepPì.' Per quf.rta bestia no; perdiamo il pane. A Ottobre io parto, e chiamo pure te: ho pronto un passaporto americano". America.. Tra lampi c scb;oppettate, dentro una maccbia, sotto il temporale, l'america era il libro delle fale, la medùina per qua!.riasi male, un voto, la speranza di fina fis/a, l'acquasanta cbe lava ogni peccato - ché non sembrava t'fra andare all'estero, lontano dal paese in cui sei nato... E \fo PeppùlO: "Statemi a sentire. Liti e partiti.rono una Inal'arte. j','o; non abbiamo niente da spartz"re. Le chiacchiere, lasciamole da parte. Tu, Gi',.rei Ufl ragaixp - e statti Zitto.?vIettiti l'acqua in bocca e non parlare. Chipada, sparla. E se tz" comprometti, un 'altra terra te ia puoi scordare. "Nu còlpe à-da veci... brotte fe tènte!" zumpòe 'mma na vépera Caitanc. "Nu lèccamòsse chc te fragne i diènte - e te 'mpara a parlà cruù da crestiane. Attòrajc la vòcca, zi' Peppì! O pe' 'ssa bièstia perdèmme le pane. A O ttòbre i' parte, e cruame pure a ti: ca é pronte u passapuèrte amerecane". Amèreca... 'N tranùèzze a scruuppcttate, dèntre na maccrua, sòttc iù tempurale, la 'Mèreca èva u lébbre de le fate, la medecina bona p'ògne male, n'augorie, la speranza de na fèsta, l'acquasanta che lava le peccata - ca '0 te parèva le vèire a ì dièsta, luntane dau paése a do' sci nate... E zi' Peppine: "Stèteme a sentì. Fa a bòtte p'i pertite è na ma!'arte, ca nu ' 0 tenèmme niènte che spartì. 'Sse cruàcchiare, lassèmmele da parte. Tu, Gi', sci nu uajjooe - e statte zétte. Méttete l'acqua 'm mòcca e neo parlà. Chi parla, sparla. E se te cumprumétte, pu' n'àutra tèrra te la pua scurdà. 18 19

Da quando, bene mio, il mondo è mondo, cbi lo comanda ha fatto e fa la ilgge. Ti incaponisci? Cali a Picco in fondo - e più abbm; più ti trot'i peggio. Abbi fidffcia in Dio e tira avanti. Qui non ii terra da ptantarci grano: deri emigrare in altri continenli, se vuoi t'/vere, un giorno, da cristiano!i. Era la t'erifà. Sua, la ragione. Chi parla sparla e soffre mala sorte, ché non ci può la mosca col leone. La ragione era quella... ma era slortal Ala dalo d)a la fame è lesta dum e caccia il peggior lupo dalk, tana, mi misi presto con la lingua ti posto: poche parole... e dette piano piano. Ed imparai l'arie di t'o/are! PrfJi così anch 'io un apparecchio, rfeci scalo per le vie del Canada... Parhi raga'{;?!j - e chi n'torna è un /Jecc!;io.,,\la denlro chiama ancora, da lontano, la voce di quellempo f non ha posa: antica come il vino e come il pane, sempre la stessa... il sogno di una cosa. 20 D a quande, béne mia, u monne é mònne, chi je chcmmanoa ha fatte e fa la lèggc. Se une cc 'ncòccia, cala a pécche affonne - e emù abbaia, chiù se trova pègge. Lassa fa a Ddia e pènsa a terè 'nnème! Ècche nn'é tèrra da piantarce grane: èmma mcgrà l'e n'àutre cumenème, se ulèmme fa na vita da crestiane". È:',ra le vèire. Zi' Pèppe èva ragiòne. Chi parla sparla e pate mala sòrta, ca nen ci - appò la mòsca a iù lione. La ragione èva chèlla... ma èva scmòrta! Ma date che la fame é còccia tòsta e caccia u pègge lupe da la tana, m'avètta mètte 'che la lèngua a pòs te a parlà pùache. - e a parlà cmù chiàne. E me 'mparètte l'arte de vulà! Cusd pur'i' pejj ètte n'apparècchie, da dale a dale, fine au Canadà... lètte uajj6ne - e ce revènghc vièccme. Ma dèntre chiama aneòura, da luntane, la voce de lentanne e nen appòusa: antica 'mma le vine e 'mma le pane, sèmpre la stèssa... iù suènne de na còusa.* '" L..,....._. _~... _ '*..._..._.~,.,. ~, " _"'_. "'...,;..,.,,.. ~...... ~ _. _ ~ ; ""..."_._. _. _t,... 21

AI'OCAUm:: 2000 ApUCALÉSSE 2000 Come un verme /a cima di un caw/o, /a Bestia ammorba il mondo e /0 contrista. Ricomanda Pilato - e Gesù Cristo pende di nuooo appeso a quattro tavole. L'ange/o sa/m/ore fa il samsta e il prete fa la predica a/le daulc. Perciò Tahvè si serve del diat'olo per cacdare all'infemo l'antictisto. E scorre il sangue, a fare smra e sporca /a pol/jere che reorla della terra- Kabul, Gerusalemme, JVuot'a York... Chi chiama pace la strage e la guerra, chi ch!ama bene la bomba e la forca e chi spara, chi scappa e chi si atterra. Chemmà iù vièrme na cima de càule, la Bièstia ammòrba u monne e i cuntrésta. Rechemmànna Pelate - e Gesù Créste repènne muèrte, appise a quattre tàule. l'àngele salvatore fa u sacrésta e u prèute fa la prèdeca a le ciàule. Cusci Giavé se sèrve d'iù deàule pc' reeaccià a le '1fbèrne i'antecréste. E scòrre sangue, a fa chiù scura e spòrca la pòlvere che rèsta de la tèrra - Kabùl, Gerusalemme, Nòva Y òrka.. Chi chiama pace la strage e la uèrra, chi chiama bine la bòmba e la fòrca e chi spara, chi scappa e chi s'attèrra. 22 23

VECCHI VERSI Vecchi versi tornati sulle carte, stampati come nuovi un'altra volta - scritti alla buona, ruvidi, senz'artc, in una lingua da tanto sepolta. Ma versi chiari, scrittura di parte, voce di un'idea ora dissolta e sogno di una cosa ancora vera. Parole che non mutano maniera. 25

Appendice PROFETI (c:pignrnrna) Allah akbar... e molti i suoi profe ti, i rituali, le regole, i divieti, le /tcnona, le chiose, le letture per simboli, metafore e figure. Ma amare l'altro, il raca, l'avversario, nel mondo dci profeti così vario e diverso, di rabbi e di messaggi, di archimandriti, di shji e di saggi, uno soltanto, solo lui lo ha detto. L'Ucciso. Che cimuore ad ogni ghetto. 27

FillifQ di IflVltJ'Orr MI_u di _brt 2002 M& sl4bilù,"11/o IilDgn>fial Bo/o/iIti ~r.l &a.o S"" GUJ""IIt/i (Chitti)