L ORGANIZZAZIONE DEI VIVENTI

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1 L ORGANIZZAZIONE DEI VIVENTI La biosfera è il grande ambiente in cui abitano gli esseri viventi, adattati a diverse condizioni climatiche, a vari tipi di suolo e alla maggiore o minore disponibilità di cibo e di acqua. Queste diverse condizioni creano all interno della biosfera differenti tipi di ambiente. L ambiente in cui una determinata specie trova le condizioni adatte alla sua esistenza è l habitat di quella specie. Ogni individuo stabilisce, nel proprio habitat, delle relazioni ben precise con gli altri individui della stessa specie, con individui di specie diverse e con l ambiente stesso in cui vive. La scienza che studia le relazioni fra i vari organismi e fra gli organismi e l ambiente è l ecologia (dal greco oikos, casa, e logos, studio ). Ogni ambiente è caratterizzato da fattori fisico-chimici o abiotici, quali l aria, l acqua, il suolo, la temperatura, la luce, ecc., e da fattori biologici o biotici, cioè gli esseri viventi che lo popolano e interagiscono con esso. Gli individui, animali e piante, che popolano un ambiente non vivono isolati ma si presentano inseriti in una perfetta organizzazione. In uno stesso territorio troviamo innanzitutto varie popolazioni, cioè gruppi di individui della stessa specie che convivono e sono legati fra loro da relazioni adatte a garantire la loro stessa sopravvivenza. Popolazioni diverse che condividono lo stesso ambiente formano la comunità biologica o biocenosi tipica di quell ambiente. In un bosco, per esempio, troviamo la popolazione dei lombrichi, degli insetti, degli scoiattoli, delle felci, e delle querce, il cui complesso forma, appunto, la comunità biologica di quel bosco. L ambiente con i solo fattori abiotici che lo caratterizzano prende il nome di biotopo. GLI ECOSISTEMI Un ambiente è caratterizzato dal proprio biotopo e dalla propria biocenosi, cioè dalla propria componente non vivente e dalla propria componente vivente. L insieme del biotopo e della comunità biologica rappresenta l unità ecologica fondamentale nell organizzazione della vita: tale unità prende il nome di ecosistema. POPOLAZIONE COMUNITA BIOLOGICA POPOLAZIONE + POPOLAZIONE BIOTOPO = ECOSISTEMA Uno stagno, per esempio, è un ecosistema: esso comprende gli animali e i vegetali che vivono nelle sue acque, sul suo fondale e sulle sue rive, ma comprende anche il terreno stesso del fondale e delle rive, l acqua e l aria sovrastante.

2 Sono ecosistemi: il prato, il bosco, la siepe, lo stagno, il ruscello, ma anche la foresta, il deserto, la savana, il mare, ecc. che formano i grandi ecosistemi della Terra. LE CATENE ALIMENTARI I rapporti che in ogni ecosistema gli esseri viventi instaurano tra di loro e con l ambiente in cui vivono sono dovuti fondamentalmente al bisogno primario di nutrirsi, e quindi dipendono dalla disponibilità di cibo e dalle modalità con ci gli esseri viventi si procurano il cibo. Tra animali e vegetali si stabiliscono infatti delle precise relazioni, dette catene alimentari, la cui funzione è quella di assicurare a ogni membro della catena il nutrimento necessario. In ogni ecosistema i componenti di una catena alimentare vengono distinti in tre livelli, detti livelli trofici. Il primo livello è quello dei produttori, formato dagli organismi autotrofi (le piante o meglio i vegetali in genere). Essi, mediante la fotosintesi clorofilliana, producono il nutrimento per se stessi e per tutta la comunità partendo da sostanze inorganiche (anidride carbonica, acqua e sali minerali) e utilizzando solo l energia solare. Il secondo livello è quello dei consumatori, formato dagli organismi eterotrofi. Essi utilizzano per nutrirsi le sostanze organiche fabbricate dai produttori, direttamente (gli erbivori, detti consumatori di 1 ordine) o indirettamente (i carnivori e l uomo, detti consumatori di 2, 3 ordine). Il terzo livello è quello dei bioriduttori o decompositori, formato da organismi (funghi, muffe, batteri, lombrichi, insetti, ecc.) in grado di nutrirsi di residui organici (foglie morte, fusti caduti, escrementi, cadaveri di animali, ecc.). Tali residui vengono da loro decomposti e restituiti all ambiente sotto forma di sostanze inorganiche che vengono riutilizzate dai produttori. Le varie catene alimentari presenti in un ecosistema permettono così il riciclo delle sostanze necessarie alla vita mediante un continuo scambio di materia: dall ambiente agli esseri viventi attraverso i produttori e, successivamente, i vari consumatori, e dagli esseri viventi nuovamente all ambiente attraverso l insostituibile opera dei bioriduttori. Ogni anello della catena alimentare permette il trasferimento di sostanze organiche da un essere vivente all altro, ogni essere infatti può mangiare ed essere mangiato. Contemporaneamente, ogni essere restituisce all ambiente parte delle sostanze organiche (rifiuti, escrementi, carcasse, ecc.) che i decompositori trasformano in sostanze inorganiche e rimettono in circolo, permettendo il funzionamento dell ecosistema in cui sono inseriti. In uno stesso ecosistema esistono molte catene alimentari, che possono anche incrociarsi in uno o più anelli formando delle reti alimentari. È stato stimato che per poter sopravvivere gli organismi di una catena alimentare devono essere in numero sempre minore a mano a mano che si passa dai produttori ai vari consumatori: gli organismi devono cioè presentare una distribuzione a piramide che viene detta, appunto piramide ecologica o alimentare. In ogni ecosistema la sopravvivenza degli esseri viventi è garantita dalle reti alimentari che si formano al suo interno e dalla distribuzione dei vari organismi secondo la piramide ecologica. La presenza di molti produttori e di pochi consumatori di ordine superiore determina infatti, all interno degli ecosistemi, un equilibrio biologico perfetto, che la natura provvede da sola a mantenere. In un qualunque ecosistema, fra prede e produttori si stabilisce sempre una condizione di equilibrio che assicura la sopravvivenza delle varie specie. Questo è ciò che accade solo se la natura non è disturbata da gravi fattori esterni, quali i disastri ambientali (frane, alluvioni e incendi) o i dannosi interventi da parte dell uomo, il solo essere vivente capace di sconvolgere questo equilibrio biologico. Abbiamo visto come in ogni ecosistema le catene alimentari permettano il continuo riciclaggio della materia. Infatti, attraverso i vari anelli della catena, la materia circola dall ambiente agli organismi e da questi all ambiente in un eterno ciclo detto ciclo della materia. In questo continuo e ripetuto scambio di materia tra i componenti viventi e i componenti non viventi di un

3 ecosistema si inseriscono alcuni importanti elementi chimici indispensabili ai vari organismi, in particolare quegli elementi chimici di cui è composto il corpo di ogni essere vivente: il carbonio, l idrogeno e l ossigeno (acqua), l azoto e il fosforo. Questi elementi formano dei veri e propri cicli (Vedi il ciclo del carbonio e dell azoto, modulo di chimica). DINAMICA DEGLI AMBIENTI Il fattore antropico Nel grande ambiente in cui vivono tutti gli esseri viventi, uomo compreso, che abbiamo chiamato biosfera, esiste una notevole varietà di ambienti: gli ecosistemi. Gli ecosistemi, determinati dalla varietà dei fattori biotici e abiotici, sono caratterizzati soprattutto dalle relazioni che si instaurano fra questi fattori. Possiamo dire che ogni singolo fattore, biotico o abiotico, di un ambiente influenza ed è a sua volta influenzato da tutti gli altri fattori, sia in modo diretto che indiretto. Il clima e i fattori fisici e chimici di un ambiente hanno una grande influenza sugli esseri viventi, sia animali sia vegetali. Questi fattori, infatti, determinano le specie che vivono in quell ambiente, il loro numero, le loro caratteristiche particolari ed il loro comportamento. A loro volta, anche gli animali e la vegetazione influenzano, sia pure nell arco di periodi di tempo piuttosto lunghi, le condizioni fisico-chimiche e climatiche di un ambiente. Un altro elemento macroscopico che influenza l ambiente è rappresentato dalla presenza e dall opera dell uomo, la specie vivente che oggi maggiormente condiziona le caratteristiche degli ambienti. La distruzione delle foreste, la pratica dell agricoltura, l inquinamento, la costruzione di dighe e bacini artificiali, l espandersi delle città ecc., hanno in breve tempo alterato l aspetto dell intero pianeta, influenzandone il clima, la piovosità, il suolo, la temperatura, ecc. Infatti, fra i diversi fattori che determinano gli ambienti, l ecologia considera ormai predominante il fattore antropico, cioè tutto ciò che in un ambiente è prodotto o modificato dall opera dell uomo. AMBIENTE è caratterizzato da FATTORI ABIOTICI FATTORI BIOTICI FATTORI ANTROPICI fattori che intrecciano relazioni e formano ECOSISTEMI producono CONTINUI CAMBIAMENTI L equilibrio dinamico Tutti gli ecosistemi sono soggetti a continui cambiamenti ma, come abbiamo visto, al loro interno le varie catene alimentari, il continuo ciclo della materia e le piramidi ecologiche

4 determinano un particolare ciclo della materia e le piramidi ecologiche determinano un particolare tipo di equilibrio biologico, detto equilibrio ecologico. Che cosa significa? Poiché in un ecosistema avvengono continuamente dei cambiamenti, i fattori abiotici e biotici che lo caratterizzano intrecciano relazioni adatte a mantenere l equilibrio o a raggiungerne uno nuovo, che comunque permette la sopravvivenza dell ecosistema stesso o la sua trasformazione in un altro tipo di ecosistema. Un ecosistema ha quindi una sua vita : nasce attraverso i lenti cambiamenti che i viventi e non viventi provocano e subiscono, cresce raggiungendo un suo equilibrio biologico, può mutare evolvendosi verso nuovi equilibri al sopraggiungere di altri cambiamenti e, a volte, può anche scomparire se i suoi fattori subiscono delle alterazioni irreversibili. Non si parla quindi di ecosistemi fissi e immutabili, ma di dinamica degli ecosistemi che porta, attraverso una lenta serie di cambiamenti, a una successione ecologica da un ecosistema all altro, fino al raggiungimento del massimo grado di stabilità, detto climax. Il ciclo vitale degli ecosistemi Questa lenta e graduale successione ecologica di un ecosistema ne rappresenta quindi il ciclo vitale. La sua durata dipende dall ecosistema stesso, dal tipo di cambiamento intervenuto e dalla causa che lo ha determinato. Vediamo alcuni esempi: Un lago può trasformarsi naturalmente in una palude, poi in un prato e infine in un bosco in poche centinaia di anni: il fiume che alimenta il lago trascina con sé anche sabbia e fango, che si depositano sul fondo del lago assieme ai resti dei vegetali che vivono sulle sue rive; l interramento del lago inizia appunto a partire dalle rive, esso viene prima invaso dalle canne, quindi avanzano i primi salici e gli ontani; il lago è così scomparso, rimane una palude circondata da un verde prato con piante adatte a crescere su un suolo asciutto; gli arbusti e i cespugli vengono così gradualmente sostituiti da grandi alberi su un suolo ormai asciutto; infine si insediano i tipici animali del bosco. Da un terreno lasciato spoglio da un incendio può nascere un bosco nell arco di un secolo. Infatti sul terreno bruciato, fertile anche per la presenza delle ceneri e di molti sali minerali, dopo poco tempo si forma un prato. Dopo circa dieci anni si diffondono i primi arbusti legnosi che prevalgono sulle erbe, poi compaiono i primi alberi, che nel giro di anni si impongono sul resto della vegetazione dando origine al bosco. Ci circonda una grande varietà di ecosistemi. Essi possono essere: piccoli: una pozzanghera, un aiuola, il giardinetto; grandi: un lago, una prateria, il mare, una foresta; naturali o artificiali: rispettivamente un bosco o un campo coltivato dall uomo. E ancora: di pianura, collinari, montani; domestici (una stalla, un frutteto l orto); di acqua dolce e di acqua salata, ecc. In tutti questi ecosistemi il motore delle molteplici attività dei vari esseri viventi è il Sole. L energia che proviene dal sole rappresenta il 99% di tutta l energia disponibile sul nostro pianeta. Essa viene assorbita in gran parte dal suolo e dagli oceani, dai quali prende inizio l indispensabile ciclo dell acqua. Una parte dell energia solare viene utilizzata dai vegetali per la fotosintesi clorofilliana, attività fondamentale e insostituibile per la formazione di qualsiasi catena alimentare e quindi per la sopravvivenza degli ecosistemi. I BIOMI All interno del grande ambiente biosfera, gli ecosistemi possono essere raggruppati in grandi ambienti, detti biomi, in relazione alle diverse zone climatiche che caratterizzano le differenti aree geografiche della terra e che determinano, di conseguenza, la presenza di popolazioni di animali e vegetali diverse nei vari territori.

5 Per bioma infatti si intende il complesso di popolazioni vegetali e animali che, in una certa regione geografica, hanno raggiunto una stabilità ecologica (climax) mantenuta tale dall equilibrio delle condizioni ambientali. Una prima suddivisione di questi grandi ambienti distingue i biomi terrestri, il bioma marino e i biomi di acqua dolce. I biomi terrestri La distribuzione dei principali biomi terrestri corrisponde alle varie zone climatiche. Essi sono: la foresta decidua, la foresta di conifere o taiga, la foresta tropicale, la prateria, la macchia, la tundra, il deserto e l ambiente polare. Osserviamo le principali caratteristiche di questi otto biomi terrestri. La foresta decidua è il bioma tipico delle zone temperate dell Europa, dell Asia e dell America settentrionale. Il suo clima è caratterizzato da inverni freddi ed estati relativamente calde e da una piovosità media di circa mm all anno. La sua vegetazione, molto ricca e varia, è formata da alberi piuttosto alti di latifoglie, che d inverno perdono le foglie (decidue), e da un folto sottobosco di arbusti. Tra le piante ad alto fusto troviamo: querce, faggi, pioppi, castagni, noccioli e aceri. Nel sottobosco vi sono: felci, muschi, violette selvatiche, ranuncoli, ginepri, rovi e agrifogli. Gli animali più comuni della foresta decidua sono: insetti quali api, calabroni e farfalle; insettivori quali talpe, toporagni, picchi e capinere; grandi e piccoli erbivori quali daini, cervi, caprioli, cinghiali, topi, conigli e scoiattoli; carnivori come lupi, volpi, donnole, martore, gufi e sparvieri. La foresta di conifere o taiga è il bioma tipico delle nostre zone alpine e appenniniche e di vaste regioni degli Stati Uniti, del Canada, dell ex Unione Sovietica e della Scandinavia. Il suo clima è caratterizzato da inverni lunghi, estati brevi e autunno e primavera spesso assenti, nonché da una piovosità media di circa 700 mm annui e abbondanti nevicate. La sua vegetazione è formata da piante sempreverdi e da grandi alberi: larici, abeti rossi e bianchi, salici, pioppi e sequoie. Gli animali più comuni di questo bioma sono: uccelli e insetti, scoiattoli e altri roditori; cervi, caprioli, volpi e lepri (che troviamo anche nelle nostre montagne) e poi alci, orsi bruni e grigi (soprattutto nell America del Nord) e tigri, caratteristiche della foresta siberiana. La foresta tropicale è il bioma tipico della zona geografica che si estende fra i tropici a cavallo dell equatore. Essa è caratterizzata da un clima molto caldo e umido senza una vera distinzione in stagioni e una piovosità media di oltre mm all anno. La sua vegetazione è la più ricca e lussureggiante di tutta la terra. Vi troviamo alti alberi quali palme, mogani, ebani, caucciù, banani, mangrovie e, nel sottobosco, felci e piante carnivore. Piante caratteristiche della foresta tropicale sono le orchidee che crescono sui rami degli alberi. Gli animali più comuni di questo bioma sono pipistrelli e numerose specie di uccelli fra i quali pappagalli, colibrì, numerosi serpenti e altri rettili, rospi giganti e varie specie di scimmie quali mandrilli, scimpanzé, gorilla (in Africa) e oranghi (in Indonesia), grossi carnivori quali giaguari e leopardi. La prateria è il bioma tipico delle zone temperate. Comprende le steppe in Russia e nell Asia centrale, la pampa in Argentina, il veldt in Sudafrica, la savana africana e le grandi praterie nell America settentrionale. Il suo clima è caratterizzato da inverni freddi ed estati calde, con una piovosità media di circa 600 mm all anno, ma concentrata soprattutto in primavera. La sua vegetazione, alquanto povera, presenta acacie, euforbie e baobab, ma soprattutto erbe e cespugli erbosi. Gli animali più comuni di questo bioma sono: cavalli e asini selvatici, antilopi e bisonti, diverse specie di roditori, carnivori quali lupi, volpi e tassi, molti uccelli fra i quali aquile imperiali e inoltre anfibi e rettili. Nella savana, in particolare, troviamo alcuni erbivori quali bufali, zebre, giraffe, rinoceronti, elefanti, lepri e conigli, nonché varie specie di carnivori quali i gatti selvatici, ghepardi, leopardi, avvoltoi e soprattutto leoni.

6 La macchia è il bioma tipico del bacino del Mediterraneo, di alcune zone della California e delle coste meridionali dell Australia. Il suo clima è caratterizzato da inverni miti e piovosi ed estati calde e secche, con una piovosità media di circa 350 mm annui. La sua vegetazione, forse originata della foresta sempreverde, è costituita da querce, pino marittimo, ulivo e leccio; nel sottobosco troviamo pungitopi, asparagi selvaggi, piccoli arbusti aromatici come lavanda, timo e rosmarino, e ancora ginestra e oleandro. Gli animali più comuni di questo bioma sono cinghiali, daini, mufloni, caprioli, conigli, lepri e istrici, molte specie di uccelli quali merli, cardellini, capinere e fringuelli; numerosi insetti e rettili quali bisce, vipere e lucertole. La tundra è il bioma tipico delle zone costiere del Mare Artico nell emisfero boreale, di vaste zone del Canada, della Siberia e delle Alpi, appena sotto la fascia delle nevi perenni. Essa è caratterizzata da un clima molto freddo, con giorni lunghi in estete e brevi in inverno; precipitazioni molto scarse (circa 120 mm all anno) e quasi essenzialmente a carattere nevoso. La vegetazione è molto limitata, a causa della temperatura media annuale sempre sotto lo zero. Il terreno è costantemente ghiacciato, spesso fino a grandi profondità, e solo d estate disgela in superficie; questo impedisce alle radici delle piante di svilupparsi in profondità. Piante tipiche della tundra sono salici nani, betulle e soprattutto licheni e muschi. Gli animali più comuni di questo bioma sono renne, il buoi muschiati, lepri, caribù, volpi polari, orsi bianchi e lupi; durante l estate troviamo anche oche e cigni; e poi pernici bianche, gufi delle nevi e girifalchi. Il deserto è il bioma tipico di vaste zone della terra; circa un quinto delle terre emerse comprese fra i circoli polari sono desertiche. Grandi deserti sono il Sahara e il Kalahari in Africa, il Gobi nell Asia occidentale. Il deserto è caratterizzato da un clima arido con forti escursioni termiche e piogge scarsissime, 120 mm all anno circa. La vegetazione del deserto, ridottissima, è costituita essenzialmente da xerofite, piante capaci di assorbire grandi quantità di acqua e di immagazzinarla al loro interno: sono il cresoto, la jucca e il cactus. Gli animali più comuni di questo bioma sono coyote, dromedari, cammelli, topi delle piramidi, lepri del deserto, scorpioni, ragni e numerose specie di uccelli che generalmente sono solo dei fugaci visitatori e tornano rapidamente nelle oasi. L ambiente polare è il bioma tipico dei ghiacciai perenni del Polo Nord e del Polo Sud. Il suo clima è caratterizzato da temperature bassissime durante tutto l anno e lunghe notti in inverno. La vegetazione nell ambiente polare è praticamente assente: crescono solo pochi ciuffi di muschi, licheni e alghe terrestri nei brevi periodi di luce solare. Tutti gli animali dell ambiente polare, privo di vegetazione, dipendono dal mare, unica fonte di cibo. Tipici di questo bioma sono pinguini, trichechi, foche e otarie, balene e balenottere, il cui nutrimento essenziale è il krill, un gamberetto lungo 5 cm che si nutre di fitoplancton. I biomi marini Il bioma marino è costituito da quell immensa distesa di acqua che forma gli oceani e i mari. La distribuzione degli esseri viventi nel bioma marino è determinata soprattutto dalla profondità; è in base alla profondità, quindi, che il bioma marino viene suddiviso in quattro fasce principali: fascia intercotidale, fascia litorale, fascia batiale, fascia abissale. La fascia intercotidale è la zona compresa fra i limiti dell alta e della bassa marea. È popolata da organismi capaci di resistere al moto ondoso rifugiandosi nel fondale, come i granchi e i molluschi bivalvi, o attaccandosi alle rocce, come le patelle, i balani, i crostacei, le attinie e i celenterati. La fascia litorale è la zona compresa fra il limite della bassa marea e una profondità di circa 200 m, che è il limite massimo a cui giunge la luce solare. La sua popolazione, costituita soprattutto da specie vegetali marine e da una ricca fauna, è distinguibile in: plancton, necton e bentos. Il plancton è formato da alghe microscopiche quali le diatomee, da uova, larve, protozoi e meduse, che sono incapaci di nuotare autonomamente e vengono quindi

7 trasportati da onde e correnti. Il necton è formato da crostacei, molluschi, pesci e cetacei (balene, capodogli, squali, tutti grandi nuotatori capaci di muoversi nell immensità degli oceani). Il bentos comprende alcune specie che vivono sul fondale: dalle varie alghe ai molluschi, ai crostacei e agli echinodermi, numerosi e immobili. La fascia batiale è l ampia zona compresa fra 200 e 2000 m circa di profondità, che corrisponde alla scarpata oceanica. La vegetazione qui è assente perché non arriva la luce. Tale fascia è abitata da numerose specie animali, fra le quali le stelle marine e i calamari giganti, i più grandi invertebrati della terra, che possono raggiungere anche i 15 m di lunghezza. La fascia abissale è la zona che va da 2000 a 4000 m di profondità e comprende anche le fosse oceaniche. È il regno delle tenebre eterne ed è discretamente popolata da forme animali quali le spugne, i crostacei, gli echinodermi e i pesci abissali. I biomi di acqua dolce Comprendono tutti gli ecosistemi di acqua con concentrazioni di sali minerali molto basse: i fiumi, i laghi, le paludi, gli stagni. Si suddividono in biomi di acqua corrente e in biomi di acqua stagnante. Sono biomi di acqua corrente: i fiumi, i torrenti e i ruscelli. In essi la vegetazione è generalmente scarsa. Gli animali tipici del fiume sono i pesci come la trota, il salmone, gli storioni e alcuni uccelli acquatici. Sono biomi di acqua stagnante: i laghi, gli stagni e le paludi, caratterizzati da una ricca vegetazione di canne, giunchi, ninfee, gigli d acqua, lenticchie d acqua e piante d elodea. Animali tipici del lago sono le chiocciole, i vermi, i crostacei, gli insetti, gli anfibi e gli uccelli acquatici quali i germani, altre anatre e le oche; nelle acque profonde troviamo il luccio, la carpa, la tinca, la trota e il pesce persico. Nei laghi troviamo i coccodrilli, in Africa gli ippopotami.

8 La biodiversità 1 Introduzione La biodiversità può essere definita come la varietà delle forme che vivono in un ambiente. La biodiversità viene in genere studiata a tre diversi livelli, che corrispondono a tre livelli di organizzazione del mondo vivente: quello dei geni, quello delle specie e quello degli ecosistemi. Lo conoscenza della biodiversità rappresenta un punto di riferimento fondamentale per gli studi ecologici e per la pianificazione degli interventi di conservazione della diversità biologica. 2 Biodiversità delle specie La specie viene definita come l'insieme degli organismi che possiedono caratteri simili, capaci di incrociarsi fra loro e di dare luogo a una prole fertile. Essa rappresenta l'unità di base della classificazione tassonomica e viene presa come riferimento in molti studi biologici e in molte ricerche condotte dagli ecologi. Nel corso delle indagini sulla biodiversità, infatti, viene spesso contato il numero delle specie maggiormente conosciute (ad esempio di mammiferi, di uccelli e di determinate specie vegetali), presenti in un'area prescelta come campione. Il conteggio delle specie prende il nome di censimento. 2.1 Censimento delle specie Esistono diverse modalità per effettuare il censimento delle specie: il conteggio assoluto di tutti gli esemplari che vivono in una certa zona è perlopiù impraticabile, perché spesso le aree da considerare sono molto vaste, oppure particolarmente impervie e, ancora, non si può avere la certezza di conteggiare tutti gli individui, soprattutto in specie terricole di piccole dimensioni (come insetti, molluschi o vermi). In genere, si procede con conteggi parziali, dai quali si effettua una stima del numero totale di individui per specie: ad esempio, per valutare la presenza di una certa pianta in un'area, si può contare il numero di esemplari presenti entro un metro quadrato, scelto a caso; per censire gli uccelli che si trovano in una regione, si possono scegliere, sempre con un criterio di casualità, alcuni punti di quella regione nei quali effettuare osservazioni visive o, meglio, sonore (i cosiddetti 'punti d'ascolto'), dai quali si desumono le specie ornitologiche presenti. Il criterio di scelta casuale è importante perché i risultati delle osservazioni fatte in alcune areecampione devono essere validi da un punto di vista statistico (significatività dei risultati). 2.2 Ricchezza di specie Il numero delle specie viene definito con l'espressione ricchezza di specie, e costituisce una delle possibili misure della biodiversità di un luogo; esso può essere anche utilizzato come termine di paragone con altre zone. La ricchezza di specie viene considerata come la misura generale di biodiversità più semplice e facile da valutare, anche se non può che rappresentare una stima approssimativa e incompleta della variabilità presente tra i viventi. La ricchezza di specie varia geograficamente: nei climi caldi in genere vive un maggior numero di specie, rispetto a quelli freddi, così come nelle zone più umide vi sono più specie che in quelle più secche. Le zone tropicali, in cui crescono le foreste pluviali, sono tra le regioni a più alto indice di biodiversità. Si calcola che nelle foreste pluviali, ossia in una regione che copre circa il 7% del globo, si trovi almeno il 50% delle specie viventi. Le zone con minori variazioni stagionali accolgono più specie di quelle con stagioni ben definite; zone con topografia e clima diversificati albergano più specie di quelle uniformi. Nonostante l'importanza della specie come unità di base, non sempre i ricercatori sono d'accordo sui metodi di classificazione da utilizzare per determinare i rapporti di parentela tra i diversi organismi, perciò bisogna ricordare che l'inserimento di un determinato organismo all'interno di un certo gruppo tassonomico è suscettibile di variazioni, nel caso si verifichino scoperte che mettono in luce diversi rapporti di parentela tra i viventi.

9 Alcune particolari specie possono, per il ruolo che esse rivestono nell'ecosistema, aumentare la biodiversità di una specie. Ad esempio, specie arboree che raggiungono elevate altezze offrono una grande quantità di risorse utili a molte specie diverse (come uccelli nidificanti, piante epifite, parassiti, erbivori frugivori) e contribuiscono, quindi, alla biodiversità di quell'ambiente. Tuttavia, non esiste ancora un metodo per valutare in modo quantitativo l'importanza di questi ruoli e confrontare i valori ottenuti nei diversi gruppi. 2.3 Specie endemiche Ogni zona contribuisce alla biodiversità totale della biosfera sia con il numero totale delle specie in essa presenti, sia con la proporzione di specie che si trovano unicamente in quella stessa zona. Tali specie sono definite endemiche (il termine 'endemico' deriva dalla scienza medica e generalmente viene utilizzato per indicare una malattia limitata a una zona isolata). Nelle isole, ad esempio, vi sono globalmente meno specie che nelle zone continentali della medesima area ma, in genere, vi è una maggiore proporzione di specie che non si trovano altrove. In altre parole, a parità di altri parametri vi è minore ricchezza di specie, ma vi sono più specie endemiche. Non è, tuttavia, facile valutare la correlazione relativa di questi due fattori, la quale potrebbe essere usata come parametro per paragonare la biodiversità sulle isole e sui continenti. Aree ricche di specie endemiche possono essere zone di speciazione attiva (cioè zone in cui è in corso la formazione di nuove specie) o rifugio di residui evolutivi (ossia, luogo dove ancora riescono a sopravvivere alcuni individui di una specie altrove estinta); in ogni caso, qualunque sia l'interesse teorico, è importante la precisa definizione delle aree a endemismo elevato. Per definizione, una specie endemica di un dato luogo non compare altrove. Se da un lato tutte le specie endemiche di un determinato luogo possono subire in modo negativo i cambiamenti del loro ambiente naturale, dovute ad esempio alla distruzione delle foreste e alla progressiva urbanizzazione, dall'altro lato esse possono nello stesso modo anche beneficiare positivamente di eventuali azioni di conservazione ambientale. Per valutare i costi dell'azione di conservazione, è opportuno identificare precisamente tutte queste opportunità. Gli endemismi possono anche essere definiti in termini di confini nazionali. Questo è di enorme importanza per la conservazione della diversità biologica, poiché, quasi senza eccezioni, gli interventi di conservazione vengono decisi e gestiti, indipendentemente dal tipo di intervento scientifico o dal supporto finanziario, in un contesto politico nazionale. 2.4 Distanza evolutiva delle specie Oltre alla ricchezza di specie e agli endemismi, un'altra misura della biodiversità consiste nella stima della distanza evolutiva delle specie, cioè di quanto differenti percorsi evolutivi hanno seguito due determinate specie. Nella classificazione tassonomica, specie simili sono raggruppate in generi, i generi simili in famiglie, le famiglie in ordini e così via, fino al livello superiore, il regno. Questo tipo di organizzazione tassonomica è un tentativo di rappresentare i rapporti di parentela esistenti tra gli organismi, tentando così di ricostruire il percorso seguito durante la loro storia evolutiva. Pertanto, le specie appartenenti a uno stesso genere dovrebbero essere più affini tra loro delle specie comprese in generi differenti. I taxa di livello superiore al genere possono comprendere da una sola specie a centinaia di migliaia di specie. Alla diversità totale contribuiscono più specie distanti tra loro, classificate in famiglie o ordini differenti, che non specie simili, classificate nello stesso genere. In base a ciò, nel caso si dovesse scegliere di proteggere una sola zona fra due con lo stesso numero di specie, sarebbe preferibile optare per quella caratterizzata da specie distanti l'una dall'altra. Alcuni ricercatori che favoriscono questo approccio utilizzano tale argomentazione per sostenere che la biodiversità viene meglio misurata a livelli tassonomici superiori, ad esempio di famiglie o di ordini, piuttosto che a livello di genere o di specie. 3 Indicatori ecologici

10 Anche la funzione ecologica di una specie può essere significativa nella valutazione di come conservare la biodiversità di una determinata regione: alcune 'specie-chiave', la cui presenza è indice di particolari caratteristiche dell'ambiente (come un'alta concentrazione di ossigeno disciolto nelle acque, oppure un elevato grado di eutrofizzazione), e perciò dette indicatori biologici, possono dare un'idea della biodiversità di un ambiente; in generale, se in un ambiente sono presenti indicatori ecologici tipici delle zone inquinate, si può dedurre che quell'ambiente ha una bassa biodiversità, perché poche specie si adattano a un alto livello di inquinamento. 4 Biodiversità genetica Le differenze osservabili negli individui appartenenti a una stessa specie sono dovute a due fattori fondamentali: le differenze contenute nel materiale genetico, conservato all'interno degli organismi e trasmesso di generazione in generazione; le variazioni prodotte dall'ambiente su ciascun individuo. Le variazioni del patrimonio genetico costituiscono la materia prima su cui lavorano sia la selezione naturale che quella artificiale e sono quindi alla base di gran parte della biodiversità osservabile oggi. Esse dipendono essenzialmente da alterazioni della sequenza delle quattro basi che formano il DNA e che costituiscono il codice genetico di quasi tutti gli organismi. Un'alterazione di questo tipo può comparire per mutazione genetica o cromosomica nei singoli individui; negli organismi a riproduzione sessuata essa viene, poi, diffusa nella popolazione, grazie anche alla ricombinazione del materiale genetico che avviene durante la meiosi, processo con cui si formano i gameti. Le popolazioni appartenenti a una stessa specie condividono lo stesso pool di geni. L'eredità genetica di alcune popolazioni può, tuttavia, differire in modo significativo, specialmente tra gruppi di specie ad ampia diffusione, i quali abitano ambienti molto distanti tra loro. Se le popolazioni che portano gran parte della variabilità genetica si estinguono, la selezione naturale dispone di una minore quantità di variazioni genetiche su cui esercitare la propria azione e, di conseguenza, le opportunità di sopravvivenza della specie possono essere ridotte. La perdita di variabilità genetica in una specie viene detta 'erosione genetica'; uno degli obiettivi che si pongono molti ricercatori è quello di frenare tale fenomeno. La variabilità genetica è particolarmente importante per le risorse agricole. Per secoli l'agricoltura si è basata su un numero limitato di specie vegetali e animali, ma, soprattutto per le piante, da queste specie è stato ottenuto un numero enorme di varietà distinte. La diversità genetica nei vegetali offre spesso reali benefici pratici: la coltivazione di diverse varietà della stessa pianta rappresenta, infatti, una garanzia per l'agricoltore, che difficilmente rischia di avere un raccolto nullo o scarso, poiché è altamente improbabile che condizioni come un tempo particolarmente inclemente o un attacco di parassiti possano colpire in modo ugualmente fatale tutte le varietà piantate. Con le profonde trasformazioni del paesaggio agricolo, avvenute soprattutto dalla seconda metà del XX secolo, molti habitat sono stati convertiti a usi differenti, distruggendo così le varietà selvatiche da cui erano state originate le piante coltivate e che potrebbero essere necessarie per nuovi incroci. Inoltre, i moderni sistemi di coltura intensiva sfruttano solo un piccolo numero di varietà botaniche, commercializzate e coltivate in tutto il mondo: l'attacco di una di queste varietà da parte di un singolo microrganismo patogeno potrebbe comportare la distruzione a livello globale della totalità del raccolto prodotto da quella specifica pianta. Per questi motivi, è particolarmente urgente arrivare presto all'identificazione e alla conservazione della diversità genetica offerta da animali e piante che oggi non vengono più utilizzati in agricoltura, ma che potrebbero venire utili in situazioni critiche. 5 Biodiversità degli ecosistemi Questo è probabilmente il livello di biodiversità meno precisamente definito. La valutazione della diversità a livello di ecosistemi, habitat o comunità è, infatti, relativamente complesso. Questo

11 dipende soprattutto dal fatto che non esiste un unico criterio di classificazione di queste strutture ecologiche, in quanto le principali unità riconoscibili rappresentano, di fatto, parti differenti di un continuum naturale altamente variabile. La diversità degli ecosistemi può essere stimata, in senso lato, in termini di distribuzione globale o continentale dei diversi ecosistemi oppure in termini di diversità di specie all'interno degli ecosistemi. Esistono diversi metodi di classificazione globale, che di volta in volta prendono in considerazione il clima, la vegetazione, la distribuzione geografica delle specie (biogeografia), la vegetazione potenziale e quella introdotta dall'uomo. Questi metodi possono contribuire a dare una visione generale della diversità degli ecosistemi, ma offrono relativamente scarse informazioni sulla diversità all'interno di un ecosistema e tra ecosistemi diversi. La diversità degli ecosistemi viene spesso valutata in termini di diversità di specie, calcolando la loro abbondanza relativa. A parità di numero totale di specie, un sistema comprendente specie presenti nelle stesse proporzioni viene considerato più diversificato di quello in cui vi sono alcune specie molto abbondanti e altre relativamente scarse. 6 Biodiversità in cifre Benché il numero delle specie presenti sulla Terra sia molto alto, non se ne conosce neppure l'ordine di grandezza. Fino a oggi sono stati descritti circa 1,6 milioni di specie; descrivere una specie significa scoprirne e raccoglierne almeno un esemplare, portarlo in un museo, identificarlo come specie nuova e quindi descriverlo e classificarlo formalmente in una pubblicazione scientifica. In base al numero di esemplari raccolti, di specie fino a oggi sconosciute, scoperte in aree tropicali campione analizzate con estrema attenzione, è stata fatta una stima del numero totale di specie che potrebbe esistere nel mondo. Questo numero potrebbe aggirarsi tra 5 e 100 milioni e verosimilmente è di 12,5 milioni. Da questi calcoli si deduce che quasi il 90% delle specie presenti sulla Terra è ancora sconosciuto. I vertebrati costituiscono il gruppo fino a oggi più studiato: negli ultimi decenni sono stati descritti ogni anno circa 200 nuovi pesci, 20 nuovi mammiferi e 1-5 nuovi uccelli. Alcune di queste specie sono realmente nuove, mentre altre sono il risultato della riclassificazione di specie note, che in base all'acquisizione di nuove conoscenze sono state più correttamente suddivise in due o più nuove specie. Nonostante molti ritengano che quasi tutti i mammiferi siano ormai stati scoperti, recentemente 3 nuove specie sono state individuate nel Vietnam del Nord. Gli insetti sono il gruppo comprendente il maggior numero di specie descritte e ogni anno aumentano di qualche migliaia di nuove specie. 7 Impoverimento della biodiversità Una preoccupazione condivisa da molti è quella che, a causa delle attività dell'uomo, la biodiversità possa ridursi a livello globale, nazionale e regionale. Fenomeni come la perdita di popolazioni animali e vegetali, l'estinzione delle specie e la riduzione della complessità di comunità ed ecosistemi sono evidenti a tutti. Per questi motivi, è importante riuscire a effettuare, in base alle conoscenze attuali, stime affidabili di quanto si ridurrà la biodiversità nel prossimo futuro, per poter prendere le misure più opportune a contrastare questa tendenza. L'analisi dei resti animali (come ossa e conchiglie) e dei reperti storici mostrano che, dall'inizio del XVII secolo, si sono estinte circa 600 specie. Questo dato non è di certo completo: molte specie si sono certamente estinte senza che l'uomo se ne sia accorto. Circa tre quarti delle estinzioni note sono avvenute su isole, a causa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse, della distruzione degli habitat (ad esempio deforestazione, desertificazione, ecc.) e dell'introduzione di nuove specie da parte dell'uomo in ambienti in cui esse non erano presenti. Le estinzioni documentate sono molto aumentate nel periodo che va dall'inizio del XIX secolo fino alla metà del XX e, successivamente, sono nuovamente diminuite. Tale diminuzione potrebbe essere il risultato degli interventi protezionistici degli ultimi decenni, oppure potrebbe essere solamente dovuta al fatto che, tra l'ultimo avvistamento di una specie e la

12 dichiarazione di estinzione presunta, possono passare molti anni, poiché specie dichiarate estinte sono poi risultate ancora viventi, ma estremamente rare. Si ritiene che oggi siano circa 6000 le specie animali in pericolo di estinzione; una specie viene considerata prossima all'estinzione quando il numero degli esemplari sta diminuendo, gli habitat sono stati distrutti, le popolazioni sono state sfruttate intensivamente oppure l'areale di distribuzione si è ristretto. Sebbene questo sembri un numero già molto elevato, esistono molte altre specie di cui non è stato ancora valutato lo stato di conservazione: fino a oggi sono state esaminate tutte le circa 9700 specie di uccelli del mondo, ma solo circa la metà dei 4630 mammiferi e una piccola percentuale degli altri vertebrati; si sa relativamente poco delle piante superiori, non si ha alcuna informazione su farfalle, libellule e molluschi e molto probabilmente non si riuscirà mai a valutare le condizioni degli altri milioni di specie di invertebrati. Le osservazioni sul campo hanno confermato che esiste una correlazione tra le dimensioni di un'area e il numero delle specie che essa può contenere. Questa correlazione consente di affermare che, se la superficie di un habitat diminuisce di un decimo delle sue dimensioni originali, essa perderà circa la metà delle specie presenti originariamente. Grazie a questa correlazione è, inoltre, possibile stimare la velocità di estinzione delle specie di un determinato habitat. Dal momento che la maggior parte delle specie terrestri vive nella foresta pluviale tropicale, vi è particolare preoccupazione sull'impatto che il massiccio taglio della foresta, operato dalle popolazioni locali, e la conseguente modificazione di questo habitat potrà avere sulle specie locali. Se come base di partenza si prende il valore più alto, ma meno probabile, della ricchezza di specie tropicali, la correlazione specie-area indica una velocità di estinzione molto elevata. Negli ultimi decenni sono state molte le persone che, a livello individuale o organizzate in associazioni indipendenti o di tipo governativo, si sono dedicate a identificare le popolazioni, le specie e gli habitat, minacciati di estinzione o degradazione, e a cercare di invertire questa tendenza. Obiettivi comuni a questi gruppi sono generalmente la gestione più rispettosa e nello stesso tempo più efficiente dell'ambiente naturale, la mitigazione dell'impatto delle attività umane e il prestare una maggiore attenzione ecologica negli interventi di sviluppo per le popolazioni più svantaggiate. Per molti conservazionisti il 1992 fu un anno decisivo: in giugno, nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite tenutasi a Rio de Janeiro sull'ambiente e lo Sviluppo, venne formulata la Convenzione sulla diversità biologica (o Convenzione di Rio), che è entrata in vigore dalla fine del 1993 e alla quale, nel 2004, avevano aderito 153 paesi. Gli obiettivi generali della Convenzione comprendono: la conservazione della diversità biologica, rendere l'impiego della biodiversità sostenibile economicamente a lungo termine e dividere equamente i benefici derivanti dall'utilizzo delle risorse genetiche (ad esempio, degli incroci vegetali e di quelli prodotti dall'ingegneria genetica). Le sfide sono tante e non sempre facili da affrontare, ma la Convenzione costituisce l'unico punto di riferimento globale, in base al quale è possibile progettare e dare avvio agli interventi di volta in volta necessari. Nella Convenzione viene, peraltro, dichiarato che, nonostante i singoli paesi abbiano la responsabilità del mantenimento della biodiversità all'interno dei propri confini nazionali, è opportuno arrivare anche a una pianificazione degli interventi a livello planetario, che tenga conto del contesto globale e che renderà necessario l'aiuto ai paesi in via di sviluppo da parte di tutte le altre nazioni.